ERAVAMO LIBERI, FELICI E INCONSAPEVOLI

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Quelli della mia generazione se lo ricordano bene: negli anni ‘60 e ‘70 eravamo liberi di andare dovunque, studiare, pensare, di filosofeggiare, di scegliere come e dove lavorare, di andare a vivere altrove e di rifiutare questo o quel dogma. C’erano meno quattrini e meno giocattoli a nostra disposizione ma eravamo liberi dai debiti, dalle tasse (poche, in confronto con quello che sono oggi) e dai vincoli di legge posti oggi praticamente su qualsiasi cosa. Non parliamo del lockdown ma dell’ideologia prevalente, che con esso ha raggiunto la sua apoteosi. Meglio oggi o meglio allora?

 

Avevamo convinzioni, certezze e soprattutto un futuro meno incerto. Oggi se vuoi fare qualcosa (qualsiasi cosa, da una gita a circolo culturale a un’impresa) devi prima avere un bel gruzzolo (non puoi più pensare di “cavartela”), poi devi informarti sulla pesantissima normativa che si frappone tra te e quell’idea, qualsiasi idea. In nome della tutela della salute, della prevenzione di disastri e dell’ordine pubblico oramai non è possibile nemmeno più scrivere liberamente sui social network, dove teoricamente ognuno potrebbe dire la sua: in realtà se dici cose scomode ti perseguitano finché non cambi idea o ti metti a tacere.

Oggi se vuoi lavorare in proprio o in forma “indipendente” sei soggiogato a migliaia di autorizzazioni, norme, tasse, contributi unificati e non, col rischio che del debito che vai inevitabilmente a contrarre potresti non venire mai a capo. Se invece lavori in qualche grande gruppo devi stare attento a seguire la corrente principale, il mainstream, e a non fare alzate d’ingegno. Ma lo stesso vale se ti viene in mente di scendere in politica, di fare associazionismo o di riunire qualche amico nel bosco, sulla spiaggia o in piazza: ce l’hai il permesso? Hai con te il salvagente, il telefonino, la cassetta di primo soccorso?

Però devi avere con te pochissimo denaro contante, perché altrimenti sei un “evasore virtuale”, un devastatore dell’ambiente oppure un tipo strano, da tenere d’occhio. Per chi ha respirato la libertà che c’era fino a quarant’anni fa tutto ciò è praticamente insopportabile! Per chi ha sperato in un mondo migliore è un incubo senza fine. Per chi è stato libero di avere un qualsiasi comportamento insalubre è strano oggi dover fare il contrario e poi scoprire che muori ugualmente di cancro, di virus o per malattie autoimmuni (che poi sono la risposta scomposta del nostro organismo ad un mondo troppo artificiale).

Oggi siamo arrivati al “grande fratello” orwelliano: tutti sanno dove sei, con chi sei, tutti ti possono controllare e biasimare, e non sei neanche libero di mettere piede fuori di casa o di protestare contro quello che non ti piace. Sulla tua tessera sanitaria c’è tutta la tua vita e i grandi colossi multinazionali sanno persino se tradisci i tuoi affetti. E il bello è che per arrivare a questo punto magari hai studiato una vita, lavorato come un negro e hai passato esami, certificazioni, verifiche e diplomi di ogni tipo, infinitamente di più che non i tuoi genitori o i tuoi nonni. Parli almeno una lingua straniera e sei diventato anche tu (giocoforza) un piccolo esperto di tecnologia. Ma ciò nonostante probabilmente guadagni poco più di un operaio.

Ma soprattutto se non sei parte di un grande gruppo rischi di lavorare con margini di guadagno troppo bassi, quasi solo per pagare le tasse e contributi (anche sulla prima casa), i “ticket” sanitari, le quote associative, le bollette maggiorate fino alla nausea di varie sovrattasse, le sanzioni, gli interessi bancari, le multe, gli strumenti di lavoro e quelli per spostarti (per andare quasi solo al lavoro), le imposte locali (ma i rifiuti vengono lasciati in strada troppo spesso), i parcheggi, le scuole private (perché quelle pubbliche fanno schifo) la sanità privata (per lo stesso motivo) le guardie private (idem), le tv private (idem) e le assicurazioni per qualsiasi cosa (e via andare fino a che non ti avanza nulla).

E se, dopo aver pagato tutto ciò, tu hai avuto successo nella tua impresa, cioè hai superato le minacce della concorrenza globale e della digitalizzazione, hai lavorato di più o hai trovato un modo per guadagnare ugualmente bene e hai speso abbastanza poco perché ti avanzi ancora del denaro, allora probabilmente ti arriva una lettera alla settimana dall’agenzia delle entrate (nome dietro al quale si nasconde oggi anche una equitalia ancora più insidiosa di prima) per chiederti se hai pagato tutto, per costringerti a confessare chissà quale omissione o imprecisione e per costringerti a rivolgerti a (e a pagare) un secondo commercialista dal momento che magari il primo è rimasto vittima della giungla di norme e decreti.

E se dopo di ciò ti restano ancora dei quattrini, allora hai l’incubo di come fare a non perderli in borsa, in banca, dal consulente finanziario o in tasse infinite su beni mobili (auto, barche eccetera) o immobili o su titoli di ogni genere. I quali beni ovviamente devi non solo dichiarare ma anche (se te lo chiedono) dimostrare che non li hai guadagnati in frode al fisco o sottratti a qualcun altro. Poi devi sopportare le angherie dei concorrenti sleali (e spesso impunìti) dei dipendenti e dei collaboratori, dei condomini, dei vicini e confinanti, dei teppisti e dei ladri e quelle, ancora peggiori, di chi dovrebbe controllare l’ordine pubblico. Per non parlare dei tribunali: mai rivolgervisi per chiedere di essere pagati o di avere i propri diritti rispettati! Quasi sempre sono altri incubi, e interminabili.

Ovviamente se puoi -visto che i tassi d’interesse sono negativi e le banche ti caricano di costi- cerchi di tenere i soldi che hai più o meno liquidi, almeno in parte visto che gli altri rischi di perderli con qualche rovescio dei mercati. Ma dopo aver pagato ingenti spese e commissioni bancarie persino se non fai niente, rischi che di quattrini te ne avanzino comunque pochi e che ti servano quasi solo a prevenire problemi futuri.

Sarebbe forse meglio restare in povertà? Forse si, ma solo in teoria. Questo varrebbe se ci fossero pensioni dignitose, se gli ospedali funzionassero, se la tua libertà fosse reale, se ci fossero luoghi pubblici dove passare il tempo senza essere aggrediti da extracomunitari e spacciatori. Altrimenti no, non è meglio essere poveri in un mondo dove tutti i diritti dei cittadini sono quasi solo teorici e tutto ciò che è pubblico è corrotto, sporco, inadeguato o non funzionante. Essere poveri è spesso un inferno se non si hanno quattrini per i (molti) farmaci e integratori che oggi ci necessitano o se non si vive isolati dal resto del mondo. E comunque va bene solo se ti trovi in salute ma non hai figli da curare o far studiare. In tutti gli altri casi è molto peggio essere poveri, soprattutto in un Paese che si dichiara democratico ma dove devi pagare anche per i servizi sociali.

A tutto ciò si può fare il callo, ma non si può dire che quello che viviamo sia un mondo migliore di quarant’anni fa. È molto peggiore, in ogni senso. Forse abbiamo auto migliori, ma non possiamo più nemmeno fare un’accelerata senza incorrere in qualche sanzione. Forse abbiamo una più lunga aspettativa di vita ma probabilmente in vecchiaia resteremo soli, perché i nostri figli sono quasi sicuramente all’estero (e meno male!) e i nostri famigliari sono quasi sicuramente altrove. Non esistono quasi più i piccoli centri, i comitati di quartiere, i circoli cittadini, i bar dell’angolo (adesso sono cinesi) e le sale da gioco.

E prendere l’automobile per andare da amici e parenti è dispendioso, è complicato, ed rischioso molto più di qualche anno fa. Prendere i mezzi pubblici invece è spesso scomodo e pericoloso ed è altrettanto incerto: ci saranno scioperi, disservizi o altro ancora? Meglio chiamare su Zoom!

Si potremmo pensare di metterci in contatto quasi solo su Skype, Zoom, Facetime, Meet, Facebook, Webex, Whatsapp, o chissà quale altra piattaforma per la (video)chiamata. Ma siamo comunque soggetti alle bizze di una delle peggiori infrastrutture di telecomunicazioni del mondo mentre la corrispondenza postale è oramai completamente passata di moda: se anche scrivi a qualcuno le tue lettere si confondono con una montagna di pubblicità che sommerge la cassetta postale. Ma sei sommerso da annunci anche sul tuo spazio mail, alla faccia della “privacy”: più se ne parla e meno ne hai.

Eravamo insomma felici, un giorno, e non lo sapevamo. Oggi siamo anche sotto lockdown, dobbiamo aggiornarci sull’ultimo dpcm, dobbiamo portare con noi un lasciapassare da stato di guerra (l’autocertficazione). Dobbiamo mostrare di essere igenizzati, immunizzati e tamponati. Siamo spremuti, controllati, tartassati e derubati. Siamo liberi di fare diete severe ma non di farci una passeggiata. E dove? in mezzo al traffico? Al parco insieme agli spinelli e ai tamburi dei “colorati” o in qualche altro posto dove però dobbiamo arrivare con altri mezzi perché non possiamo nemmeno parcheggiare?

Ma ancor più siamo incerti sul nostro futuro, quello dei nostri cari e quello della nostra nazione. Incombono su di noi altri virus, batteri, malattie genetiche e altre minacce sanitarie infinite. Incombono la possibile perdita del posto di lavoro o del nostro business, le scadenze dei vaccini, delle terapie e il rischio derivante dalle radiofrequenze e dai nuovi veleni che respiriamo, mangiamo o beviamo.

Il mondo insomma si è complicato terribilmente. Soprattutto quando non si è supermilionari. Il che vale per la stragrande maggioranza degli italiani. Si stava meglio quando si stava peggio? Si probabilmente molto, molto meglio! E non sappiamo più come fare per ritrovare “quel” peggio! Anzi sappiamo che il peggio, quello vero, deve ancora venire… Possiamo soltanto pensare di combattere per riprenderci le nostre vite e le nostre libertà, ma siamo anche un po’ meno giovani. Ma i nostri giovani non ci capirebbero nemmeno…!

Stefano di Tommaso