IL TRIONFO DELLA FINANZA ALLA BASE DELLA RIPRESA

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Il 2021 non è ancora classificabile come l’anno della vittoria sulla pandemia globale (si pensi al caso indiano che rischia di estendersi anche altrove) ma è sicuramente riconoscibile come l’anno della ripresa economica dopo lo shock legato ai lockdown! Lo dimostrano non soltanto la ripresa dei consumi ma anche la forte dinamica di fusioni e acquisizioni che sta attraversando il pianeta. E la necessità di alimentarle con molto capitale e molta intelligenza.

 


IL BOOM DELLE FUSIONI E ACQUISIZIONI ERA NELL’ARIA

Non che non lo avessimo ampiamente previsto già alla fine dello scorso anno, ma il fenomeno va ampliandosi progressivamente man mano che gli effetti della ripresa arrivano a farsi sentire. Una ripresa fortemente sbilanciata verso taluni settori industriali e invece avara di benefìci verso molti altri, che sta fingendo soprattutto da acceleratore dei cambiamenti economici, climatici, sanitari e sociali del pianeta.

Il grande vincitore della competizione tra i comparti dell’economia nel 2021 è senza dubbio quello della finanza, in ogni sua forma: dalle banche alle borse valori, passando dalle fintech (piattaforme tecnologiche di affari finanziari) alle SPAC (società-veicolo di investimenti quotate in borsa prima ancora che investano) e sinanco al crowdfunding (sottoscrizione online di piccole quote del capitale di società in forte crescita).

LA FINANZA LUBRIFICA LA RIPRESA…

Ma la finanza -si sa- è lo specchio del resto dell’economia, sebbene tenda a precedere i cambiamenti e talvolta a farli addirittura accadere. La finanza è una funzione delle tendenze socio-economiche, delle previsioni e delle aspettative, persino quando sono errate. Tuttavia la finanza è divenuto negli ultimi anni il regno del “bengodi” da quando le banche centrali hanno aperto i rubinetti senza più alcuna voglia di ricordarsene gli effetti.

Ed è così che l’enorme massa di liquidità che le banche centrali hanno regalato ai mercati finanziari sta indubbiamente fungendo da acceleratore degli eventi, spingendo anche le aziende più recalcitranti ad aggregare o aggregarsi con altre aziende, siano esse partner o concorrenti, fornitrici o distributrici, fino a cambiare sostanzialmente pelle e natura dei loro business ma con una logica prevalente: incrementare il valore per i propri azionisti, a costo di lasciare per strada masse intere di lavoratori, grandi tradizioni artigiane e industriali, e persino negozi ed empori di ogni sorta, vittime dell’onda montante del commercio elettronico.

Tutto ciò sarà di conseguenza il trionfo del private equity, delle quotazioni in borsa e delle banche d’affari, dal momento che i servizi finanziari saranno una componente fondamentale di tale trasformazione. Con una crescita della domanda che supererà di molto quella della loro offerta.


…PERSINO IN ITALIA !

Persino in Italia, dove tutto accade più lentamente, quantomeno a causa della sonnecchiante burocrazia, nel primo trimestre del 2021 il volume delle fusioni e acquisizioni è cresciuto, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, del 161%. La sottocapitalizzazione delle imprese, la scarsità di credito ordinario e la necessità di investire pesantemente (ttte variabili strettamente legate alla finanza) hanno indubbiamente giocato un ruolo centrale in questo vero e proprio boom di operazioni!

Ma le motivazioni di questo fenomeno non finiscono affatto qui: la necessità di adeguarsi alle normative e alle tendenze sulla sostenibilità del contesto ambientale, l’accentuarsi della concorrenza internazionale, i danni al conto economico derivanti dalla serrata di molti esercizi pubblici e il ricambio generazionale (con la profonda modificazione delle priorità -si pensi alla salute- e delle abitudini dei consumatori) hanno fatto il resto.

LE INSOLVENZE SMUOVERANNO LE PMI


In molti casi le operazioni straordinarie derivano dalla necessità di tamponare le perdite e le insolvenze, che in Italia restano spesso al vertice delle priorità aziendali, almeno per le imprese medie e piccole. Ci sarà un incremento delle procedure concorsuali e ci saranno ulteriori licenziamenti ma il falò delle attività obsolete potrà generare anche nuove iniziative perché è spesso dalle necessità che nascono le virtù.

LA GLOBALIZZAZIONE SPINGERÀ LE PIÙ GRANDI

Per le imprese di maggiori dimensioni la priorità assoluta sembra invece essere la crescita fuori confine, di qui una forte spinta alle acquisizioni all’estero da parte di imprese italiane. Con buona pace -anzi talvolta con il supporto- delle pubbliche autorità, come nel caso della borsa italiana o delle telecomunicazioni. La necessità di raggiungere una dimensione idonea a fronteggiare la concorrenza internazionale e quella di controbilanciare il forte calo dei consumi nel nostro Paese hanno indubbiamente favorito la migrazione di molte grandi imprese italiane, le quali addirittura hanno spesso potuto scegliere di pagare là tasse in altri paesi dell’Unione Europea, senza dover sottostare ad alcun correttivo da parte del nostro governo.

IL “NEXT GENERATION EU”

L’arrivo (si spera, dal momento che i tempi continuano a slittare) dei fondi “Next Generation EU) potrebbe inoltre aggiungere altra benzina sul fuoco, anche se per riuscire ad osservare il loro effetto sulla ripresa della spesa per consumi dovremo forse attendere il 2022. Ma il loro impatto maggiore si dovrebbe vedere già prima sugli investimenti produttivi, soprattutto quelli legati alla digitalizzazione, alla prevenzione dei rischi e all’efficienza nei costi di produzione.

LA FINE DELLA CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI

Infine un effetto interessante della pandemia: che fine farà quel milione Ie oltre) di posti di lavoro di persone oggi in cassa integrazione guadagni, surrettiziamente tenuti in piedi per evitare emergenze sociali? È nelle cose che l’assistenzialismo di stato non possa durare in eterno e che molti di essi non rientreranno mai più nelle imprese dalle quali sono usciti. ma è altrettanto probabile che almeno una parte di quel grande numero di lavoratori e impiegati possa “rimettersi in gioco” investendo sulla propria attività, generando nuove iniziative e alimentando quel ciclo di micro-investimenti e consumi che derivano dalla nascita di nuove imprese.

L’accrescimento delle masse monetarie in circolazione e la presumibile maggior velocità della loro circolazione non potrà che riportare in alto i tassi d’interesse e i volumi dei finanziamenti erogati. Questo fenomeno favorirà peraltro anche di riflesso il settore bancario e finanziario e potrà portare maggior ricchezza percepita, dunque anche la ripresa dei consumi.

TURISMO GIÙ E COSTRUZIONI SÙ

Ma nel nostro Paese a far da contraltare ci sarà una presumibile scarsità di afflusso di turisti e la necessità di spendere cifre molto più alte del passato per la digitalizzazione (anche domestica) e la sanità, anche privata. Ciò significa che i risparmi e la spesa per consumi durevoli dovrebbero superare ampiamente i consumi correnti, accentuando il divario crescente tra settori tradizionali del “Made in Italy” (moda-tessile-arredamento-accessori-lusso) che difficilmente potranno godere subito della ripresa e quelli dell’informatica, della mobilità eco-sostenibile, della prevenzione infortuni e della formazione continua, buona parte dei quali accentueranno le importazioni e sbilanceranno le partite correnti.

L’unico settore industriale di matrice prettamente interna che invece dovrebbe segnare una decisa ripartenza -anche grazie ai numerosi incentivi pubblici- è quello delle costruzioni, dei riassetti immobiliari, delle grandi opere infrastrutturali e della mobilità locale e nazionale, dal momento che era rimasto decisamente indietro e decisamente colpito dalle restrizioni sociali.

IL VIRUS SVECCHIERÀ L’ITALIA

L’Italia rischia dunque di uscire piuttosto malconcia dalla crisi pandemica, ma in una cosa il virus avrà avuto un effetto decisamente positivo per il nostro Paese: lo svecchiamento forzoso che ne deriverà. E chissà che alla lunga non ne possa beneficiare anche la nazione?

 

Stefano di Tommaso