CORSI E RICORSI DELLE BORSE

Sono almeno due anni che ascoltiamo litaníe di analisti e profeti della finanza annunciare imminenti crolli delle borse. Le ragioni del loro argomentare nel tempo sono state di volta in volta le più varie: il “tapering” (la fine del Q.E. e l’annuncio della cessazione degli altri stimoli monetari) la Brexit, la crisi della Grecia, l’elezione di Trump, la polveriera del Medio Oriente, le elezioni italiane, l’eccesso di debiti globali, la Corea, le guerre commerciali americane, la risalita dei tassi d’interesse e gli uragani. Tutte smentite dai fatti. Ma è giustificato il nuovo ottimismo?

 

NIENTE CROLLI

Io stesso in questi anni mi sono talvolta lasciato prendere la mano da inviti alla prudenza, motivi di preoccupazione, disallineamento degli andamenti economici e timori di crolli dopo eccessi di crescita degli indici di borsa. Ma poi è sempre arrivata una ragione per il contrordine. Niente crolli: c’è ancora troppa liquidità in circolazione dicono ogni volta gli irriducibili.

Certamente esistono diverse verità in contemporanea: se è vero che i listini delle borse (soprattutto quelle americane) sono cresciuti del 50% è altrettanto vero che spesso è accaduto in relazione all’ascesa dei profitti aziendali e che, di conseguenza, ciò non è successo dappertutto (ad esempio non in Italia) e non si sono ugualmente rivalutate tutte le categorie di titoli quotati: è continuata la corsa dei “tecnologici”, soprattutto sui mercati anglosassoni e sono discesi tutti gli altri, in particolare quelli delle borse periferiche. Dunque i listini di borsa assomigliano alla “media del pollo” di trilussiana memoria, e così pure gli indici globali risentono della forte componente positiva americana. Andando a discernere meglio non è andato tutto all’insù.

IL GIOCO DELLE ASPETTATIVE

Ma la triste verità è pur sempre un’altra: non esiste alcuna vera correlazione diretta tra le “notizie” relative a economia reale e geopolitica e gli andamenti dei mercati finanziari, i quali seguono queste insieme a mille altre logiche contemporaneamente e dunque si orientano in funzione della percezione collettiva della prevalenza dell’una o dell’altra, mentre alla fine è il fattore psicologico che comanda: se le aspettative degli investitori sono buone i mercati crescono “nonostante” ogni elemento oggettivo negativo e viceversa!

CINA E MERCATI EMERGENTI: DI NUOVO OTTIMISMO

Così scopriamo che, se è vero che i dazi doganali preoccupano per il possibile ostacolo che possono opporre alla crescita economica globale, è altrettanto vero che i mercati stanno prendendo atto del fatto che la questione non è poi così grave se finisce che le aspettative positive di nuovi negoziati con la Cina arrivano sopravanzare i timori di ulteriori misure restrittive. E se è vero che i mercati emergenti sono stati in prevalenza abbandonati dai grandi capitali che hanno preferito approdare in porti più sicuri in vista della fine di un lungo ciclo economico espansivo, adesso è anche altrettanto vero che le quotazioni nelle borse più periferiche sono basse e che il potenziale di crescita che esse esprimono (oltre ai fattori demografici) suggeriscono nuovo ottimismo sulle piazze finanziarie dei paesi emergenti!

Ma basta così poco per trasformare le cautele e le prese di beneficio dopo anni di crescita vorticosa in nuovo ottimismo?

PERSINO L’INDICE DELLA PAURA È AI MINIMI

Evidentemente si, se non si bada ai fatti bensì agli umori. E il bello è che il “barometro della paura”, quell’indice VIX della volatilità delle borse che sempre più spesso viene consultato dai profani, stavolta è tornato di nuovo ai minimi storici, a segnare non soltanto un rimbalzo degli umori, ma addirittura anche una certa rilassatezza di chi si sta abituando a cambiarla sempre più spesso.

Emerge allora un ricordo di molti anni fa quando avevo ascoltato alle “grida” di Piazza Affari una citazione del mitico Giannino, un procuratore di borsa negli anni ‘70 che continuava a ripetere : “quando spengono la luce non ti avvisano prima!” Ecco, forse anche stavolta alla fine andrà così: le peggiori crisi sono giunte quasi sempre inaspettate, quando la guardia collettiva era stata abbassata e la divergenza tra fatti ed opinioni era giunta a livelli estremi.

BALLIAMO SULLORLO DEL PRECIPIZIO?

È andata così nel 2008 e rischia di andare allo stesso modo la prossima volta. Ma forse non già nel 2018: ci sono ancora troppi fattori in gioco che premono in direzione dell’ottimismo sfrenato e troppi interessi a evitare che “qualcuno spenga la luce”. (qui sopra l’andamento dell’indice Dow Jones della borsa americana).

La verità però è che man mano che ci si approssima al crinale della montagna, a ballare e far baldoria si rischia di più di cadere a capofitto nel baratro.

Stefano di Tommaso




DIECI E NON PIÙ DIECI

Esattamente dieci anni fa esplodeva la crisi della Lehman Brothers, una delle più grandi banche d’affari americane e del pianeta e dava l’avvio alla peggiore crisi finanziaria degli ultimi ottant’anni. Ma dopo poco più di un anno di passione le borse da allora hanno ripreso a correre e sono ascese a toccare i massimi di sempre. Oggi, allo scadere di quel decennio nuove importanti avvisaglie di pericolo si stanno radunando nuovamente sui mercati finanziari di tutto il mondo e in particolare su Wall Street, che sino ad oggi si è laureata come la regina delle borse valori e che ha tenuto molto meglio delle altre le sue quotazioni. Ma, a ben vedere la scadenza dei 10 anni potrebbe rivelarsi caustica proprio per i titoli più performanti…

 

Quanto durerà la “bonanza” degl’investimenti azionari? Tutti sanno che l’eternità è riservata ad altri argomenti e che tutto ciò che va in alto prima o poi deve tornare in basso, ma sino ad oggi le borse hanno riservato agli investitori solo sorprese positive, anche quando sono cresciute parecchio. In questi giorni tuttavia in cui si ricorda uno dei momenti più drammatici dei mercati finanziari a memoria d’uomo sempre più investitori professionali iniziano a prendere precauzioni e a prepararsi al peggio, sebbene la prossima recessione non sia nemmeno in vista. In questo articolo cerchiamo di fare luce sulle prospettive dei mercati azionari all’arrivo di un autunno che potrebbe rivelarsi più “caldo” del previsto.

LA DIVERGENZA CRESCENTE TRA LE BORSE NEL MONDO

Cominciamo con un grafico particolarmente esplicativo della divergenza profonda che si è creata -a partire dalla primavera del 2018- tra le quotazioni di Wall Street e quelle di tutte le altre borse valori:

 

Il grafico è coerente con il fenomeno di rimpatrio dei capitali americani investiti in giro per il mondo e con il riaffermarsi del Dollaro quale moneta leader. Ma forse, per fare luce sulla situazione paradossale che stiamo vivendo, bisogna fare ancora un ragionamento, mettendo in relazione le strabilianti performance di Wall Street (rispetto al resto del mondo) viste nel grafico qui sopra, con quelle di un ristrettissimo numero di titoli super-tecnologici e super importanti per il listino, senza i quali la stessa Wall Street non sarebbe affatto stata la medesima:

Nel grafico qui riportato vietiamo infatti che buona parte della performance l’hanno fatta 5 aziende superstar: i cosiddetti titoli FAANGs (Facebook Amazon Apple Netflix e Google) e in particolare la stessa Apple, che ha praticamente sorretto il listino con le sue forze, arrivando per prima oltre la soglia fatidica di mille miliardi di dollari di capitalizzazione.

Bisogna peraltro ammettere che in questa follia euforica c’è forse anche del genio, dal momento che senza i FAANG probabilmente avremmo assistito ad una forte penalizzazione del listino americano che avrebbe a sua volta potuto scatenare un “sell-off” (fuga dalle borse) di proporzioni bibliche e che pertanto il medesimo è stato evitato.

Dunque buona parte delle altre borse valori e la stessa Wall Street -se si escludono quei cinque titoli “d’oro”- sta già oggi navigando a vista e comunque sotto ai livelli di inizio anno.

L’INVERSIONE DELLA CURVA DEI RENDIMENTI

Ma proprio allo scadere dei dieci anni dall’ultima crisi finanziaria un altro importante campanello d’allarme ha iniziato a suonare: l’inversione della curva di rendimenti. Si veda nel grafico che segue l’evoluzione del differenziale tra i rendimenti dei titoli di stato americani con scadenza a 10 e a 5 anni: quando il primo frutta meno interessi del secondo ecco che qualcosa di innaturale sta succedendo.

Per chi è familiare con il concetto basterà solo dire che tutti concordano sul fatto che, quando accade, nel giro di un anno al massimo arriva la recessione, spesso indotta dalle manovre della stessa banca centrale americana. Per gli altri possiamo aggiungere che, dal momento che anche questa volta le attese sul rialzo dei tassi di interesse sono divenute più importanti nel breve che nel lungo termine (per il quale evidentemente gli operatori non si aspettano grandi variazioni), ecco che -a livello di rendimenti- il mercato preferisce comperare titoli di stato a 10 anni invece di quelli a 5 anni poiché nel breve termine la costanza degli incrementi nei tassi di interesse operata dalla Federal Reserve Bank of America ha solidificato la convinzione che questa continuerà a incrementarli ancora a lungo.

MA LA RECESSIONE E’ ALLE PORTE?

Quando dovrebbe manifestarsi allora la recessione? Difficile per chiunque rispondere ma indubbiamente il super-ciclo economico positivo (che dall’America si è esteso a praticamente tutto il resto del mondo) sembra giunto a durate record nella storia economica e da adesso in poi ogni momento potrebbe essere quello buono per la sua inversione.

E’ stata forse la presidenza Trump che ha gettato scompiglio nelle attese degli economisti, con un forte rilancio tanto delle aspettative quanto dei profitti netti aziendali, dopo l’importante sconto fiscale operato meno di un anno fa ma annunciato quasi due anni fa (con la sua elezione) e la promessa di dare supporto a forti investimenti infrastrutturali. Dopo l’arrivo di Trump indubbiamente l’economia americana ha conosciuto un bel balzo in avanti, registrando livelli occupazionali record che non si vedono nemmeno in Cina (dove le paghe sono dieci volte più basse) e incrementi tanto nei redditi quanto nei consumi pro-capite. Le aspettative di recessione si sono dunque fortemente ridimensionate e anche i mercati finanziari ne hanno risentito positivamente. Ma l’economia americana è oggettivamente “drogata” dagli stimoli fiscali, arrivati per di più dopo anni di stimoli monetari. Quanto a lungo potrebbe continuare a correre se non ne arriveranno ancora di nuovi? Di seguito un grafico che mostra le attese degli effetti delle manovre in corso sull’economia:


LA FUGA IN SORDINA DEGLI INVESTITORI PROFESSIONALI

Volendo poi proseguire con i campanelli d’allarme, anche il comportamento dei grandi hedge-funds speculativi, per quanto solo parzialmente indicativi di una vera e propria tendenza, sono cambiati negli ultimi mesi: il grafico che segue infatti indica una forte attesa di incremento per il prossimo Novembre dell’indice della volatilità, in coincidenza con le “elezioni di medio termine” americane, le medesime che potrebbero segnare la riconquista del Congresso americano da parte dei democratici e, in quel caso, anche la fine della carriera politica del presidente Trump:

Ebbene i due grafici che seguono mostrano il fatto che i grandi investitori hanno iniziato a scommettere su un ribasso del listino già da alcuni mesi, incrementando nel contempo l’investimento sui titoli a reddito fisso (cosa che spiegherebbe il differenziale negativo sulle scadenze più lunghe visto poco sopra):

I RIBASSISTI SI CONCENTRANO SULLE STAR DEL LISTINO

Anche per quanto riguarda la selezione dei titoli su cui investire, l’incremento delle scommesse al ribasso sui FAANGs (e dintorni, come Microsoft, Alibaba e Tesla) mostra chiaramente che gli investitori professionali (i più attivi sul fronte delle scommesse al ribasso) sono pericolosamente pessimisti sugli unici colossi che hanno puntellato la tenuta del listino di Wall Street:

Potrebbe allora confermarsi l’oscura metafora con famosi “mille e non più mille” anni indicati da Gesù Cristo, con i dieci anni e non più altri dieci dei mercati finanziari? Non è detto, così come hanno avuto poca soddisfazione i fautori della fine del mondo, in qualsiasi epoca abbiano profetizzato.

Certo però il numero di argomenti a favore di un deciso ridimensionamento delle valutazioni azionarie continua a crescere e chi ritiene, come mostrato nel grafico qui sotto riportato, che il mondo ha digerito un salto in alto permanente nella valutazione delle aziende, dovrebbe ricordarsi delle più basilari leggi della fisica, a partire da quella più cara a Isaac Newton: la legge di gravità!


Stefano di Tommaso




IL MASSIMO DEI MASSIMI

Uno studio di Bloomberg Magazine mette a fuoco il particolare momento storico dei mercati finanziari. La scorsa settimana il più importante indice di borsa a Wall Street (Standard &a Poor 500) ha toccato un nuovo record: quota 2500.


LE BORSE SALGONO MA LA VOLATILITÀ SCENDE

La notizia del nuovo massimo di Wall Street potrebbe non avere nulla di sensazionale se non fosse che essa giunge :

  • Nel modo più “soft” che si possa immaginare e cioè senza alcuno strappo: è un anno e mezzo che Wall Street non registra uno storno di almeno il 5% sui corsi delle azioni quotate,
  • Con la più bassa volatilità dei corsi azionari mai riscontrata (si veda qui sotto il grafico dell’indice VIX a 10 anni),
  • Quando oramai quasi tutti i più grandi “guru” avevano predetto un’imminente e importante correzione,
  • Mentre i maggiori fondi azionari americani toccano un altro record nelle richieste di disinvestire da parte dei privati: oltre 200 miliardi di dollari dal 2009 ad oggi!


IL RUOLO DEI BUY-BACK

Ma se tutti i fondi azionari vendono per stare dietro ai disinvestimenti allora chi è che compra? Quello che salta fuori frugando tra le statistiche è che sono le stesse aziende che hanno emesso titoli che poi se li ricomprano. I “buy-back” delle aziende americane hanno raggiunto da 2009 ad oggi la cifra stratosferica di tremila miliardi di dollari.


Il fenomeno può far discutere a lungo perché può essere considerato alternativo agli investimenti aziendali in innovazione e capacità produttiva, ma bisogna ricordare che le aziende che comprano i propri titoli lo fanno sulla base degli utili già realizzati e con la liquidità di cui già dispongono. Dunque non si tratta della classica volata dei corsi trainata dalla speculazione, che magari fa tutto a debito e l’indomani mattina, se lo scenario muta, è costretta precipitosamente a vendere.

Certo quello dei Buy-Back è un fenomeno innegabilmente collegato a quella parte della remunerazione aziendale legata alle “Stock-Options”, strumenti che in teoria intendono allineare gli interessi del management con quelli dell’azionariato ma che di fatto rischiano di orientare le scelte aziendali a far crescere le quotazioni anche artificialmente.

MA I RENDIMENTI SONO BUONI

Ma il record delle quotazioni non cancella la buona redditività dei medesimi titoli azionari: tanto per cominciare essi a Wall Street rendono più dei titoli di stato, come mostra il grafico sull’andamento dell’indice prezzo/rendimento (P/E) confrontato con il rendimento dei titoli di stato americani a 10 anni (qui sotto riportato). Quindi non sembrano così sopravvalutati e acquistare quei titoli appare comunque una scelta razionale compiuta dal management, anche ai prezzi attuali:

IL RUOLO DEI GRANDI TITOLI TECNOLOGICI

La cavalcata di Wall Street eccede poi quella di tutte le altre borse mondiali, ma anche perché è a Wall Street che si concentrano le maggiori multinazionali tecnologiche come Facebook, Apple, Amazon Microsoft e Google: le famose componenti del super ristretto club denominato FAAMG. Da sole queste società hanno contato nel 2017 per il 31% della crescita del medesimo indice S&P500 !


Le FAAMG ono anche le società i cui utili crescono più velocemente e quelle che prospettano non soltanto le maggiori capitalizzazioni di borsa della storia (qualcuna di esse, come Apple, è ripetutamente giunta vicino al tetto mai toccato sin’ora dei 1000 miliardi di dollari), ma anche le migliori prospettive nel tempo di ulteriore crescita.

 

LE BORSE DEL RESTO DEL MONDO NON SONO DA MENO

Ma se Wall Street registra la miglior crescita e nuovi record, come stanno andando le altre borse? Nemmeno a casa nostra ci possiamo lamentare un granché: l’indice MIB della borsa di Milano è tornato decisamente a correre nel 2017 raggiungendo quasi i massimi storici del 2014 e del 2015 e questo nonostante il cambio dell’Euro con il Dollaro si sia rivalutato di quasi il 15% nell’ultimo anno (da 1,05 a 1,20).

Se guardiamo all’indice europeo complessivo (Stoxx 600) il quadro appare quasi identico:


Per non parlare dell’indice Hang Seng della borsa di Hong Kong: anch’esso al massimo storico come Wall Street! In Cina, nonostante la stretta ai rubinetti del credito che la banca centrale sta dando per motivi di prudenza, l’economia è cresciuta del 6,9% annuo nel secondo semestre 2017, battendo le stime degli analisti. Non stupisce dunque che la borsa sia così euforica:

CONCLUSIONI AFFRETTATE?

Proviamo perciò a riassumere cio che vediamo: il fenomeno delle quotazioni azionarie giunte ai massimi di sempre si estende a tutto il mondo e si accompagna all’immensa fortuna generata dai grandi titoli tecnologici, principalmente quotati a Hong Kong e Wall Street.

Esso accade in contemporanea al record di disinvestimenti dai fondi azionari da parte degli investitori privati e al crescere di indicazioni di prudenzada parte dei maggiori analisti, i quali però notoriamente lo fanno da oltre un anno e sino ad oggi possono soltanto ammettere di aver avuto torto.


Abbiamo anche notato che persino a questi livelli di capitalizzazione il rapporto prezzo utili è alto ma non esagerato se rapportato alle effettive prospettive di crescita dei profitti.

L’economia mondiale cresce inoltre altrettanto forte nel 2017 (o almeno è questa la prospettiva per l’ultimo scorcio dell’anno in corso) ma indubbiamente la parte del leone nella corsa delle borse la fanno i buy-back delle imprese quotate: un fenomeno particolarmente difficile da interpretare nella sua interezza ma che non può scatenare, di per sé, una corsa al ribasso.


Certo in generale più crescono le quotazioni azionarie e più cresce la possibilità che si verifichi un tonfo delle borse con tutto quello che ne consegue.

Oppure accadrà che la crescita economica globale prosegua la sua accelerazione e arrivi a consentire all’intera umanità di vivere una vita migliore. Certo ad oggi il 2017 sembra essere un anno migliore (soprattutto per chi stava peggio). Persino migliore delle rosee prospettive riassunte dal Fondo Monetario Internazionale nel grafico qui sopra riportato.

Stefano di Tommaso




LA CALMA SUI MERCATI, IL NERVOSISMO DEGLI INVESTITORI E LA LEZIONE DI MARK TWAIN

Quando l’indice della volatilità tocca minimi storici come quelli attuali e lo fa nell’ambito di un trend chiaramente discendente verrebbe a tutti da pensare che la calma piatta dei mercati sia divenuta un elemento acquisito.

 

Se invece si guarda le vette che le valutazioni aziendali hanno raggiunto dai tempi (quasi remoti oramai) dell’elezione di Donald Trump alla presidenza delle presidenze, giustamente si teme che quella attuale sia solo la classica calma prima della tempesta e l’istinto suggerirebbe che all’orizzonte dei mercati si intraveda un bel ribaltone, potente e improvviso, come tante volte è successo in passato dopo un periodo di eccesso di ottimismo.

OTTIMI FONDAMENTALI

Peccato che il ragionamento sopra riportato qualcuno va ripetendolo da oltre un anno e quello che invece è successo è più o meno l’opposto: i listini delle borse hanno continuato a salire di livello per svariate e molteplici ragioni: all’inizio per l’euforia di una possibile nuova era di bassa fiscalità e elevati investimenti infrastrutturali, poi con la motivazione dell’eccesso di liquidità che “affligge” le borse, di seguito per la splendida notizia della decisa ripresa degli utili aziendali (il “consensus” di mercato cita un più 4,4% nel 2017 per le blue chips di Wall Street e addirittura un più 4,5% nel 2018) un po’ in tutto il globo e per la constatazione della notevole crescita economica globale (e per di più sincronizzata), infine per la notizia della decisa ritirata dell’inflazione dalla parata dei possibili mostri all’orizzonte, accompagnata da quella che ne è conseguita per necessità: la caduta delle aspettative di rialzo dei tassi di interesse.


Se tutte queste ragioni per proseguire con l’euforia dei mercati finanziari siano fondate o illusorie solo i posteri potranno sentenziarlo, ma… “fattostà”…! Se le borse potessero scrivere una lettera agli investitori oggi forse citerebbero la più famosa delle battute di Samuel Langhorne Clemens, al secolo Mark Twain (Florida, 30 novembre 1835 – Redding, 21 aprile 1910): “le notizie della mia morte sono fortemente esagerate”!

MOTIVI DI PREOCCUPAZIONE

Eppure di motivi di preoccupazione gli investitori ne avrebbero davvero parecchi!

Dalle minacce geo-politiche di un’escalation militare attorno alla vicenda dei test termonucleari della Corea del Nord, alla debolezza della crescita dei consumi, fino alla possibilità (sempre meno realistica, invero) di un impeachment dello stesso presidente Trump, passando per la minaccia dei partiti populisti in Europa (in realtà già in fase calante dopo la vittoria di Macron in Francia) e per il rischio di implosione del sistema bancario e finanziario cinese. I debiti pubblici delle maggiori nazioni del mondo poi non accennano affatto a diminuire come pure continuano ad essere ripetute le espressioni di volontà di ridurre i portafogli dei titoli posseduti dalle banche centrali di America e Europa, con il rischio che questo fornisca la scusa per un brusco scivolone dei mercati finanziari e come se non bastasse il Dollaro si permette tra l’usco e il brusco una bella svalutazione a due cifre del cambio contro le principali valute. Ma tant’è. Le borse continuano a prosperare e lo fanno anche esibendo una calma olimpica.

AL LUPO AL LUPO

Se vogliamo rincarare la dose, sono così tanti mesi che gli investitori più importanti, quelli che “fanno opinione” continuano a suonare la campanella d’allarme e con questa scusa continuano a sobbarcarsi dosi da cavallo di derivati e altri strumenti di copertura del rischio, sono così tante le volte che essi hanno dichiarato di voler diversificare il loro portafoglio al di fuori delle borse (dagli immobili alle opere d’arte), che probabilmente oggi non solo si mangiano le unghie, ma avranno anche effettivamente indirizzato altrove parte dei portafogli gestiti per conto della clientela. Questo significa che esiste un’importante quota della ricchezza mondiale che non è stata più indirizzata verso le borse valori, proteggendole indirettamente dal rischio di un repentino collasso!

Sono in molti gli analisti che oggi prevedono che, proprio per questo motivo, se uno scivolone ci sarà, difficilmente sarà brusco e troppo importante.

MA IL MONDO GIRA…

Nel frattempo dalla parte meno rumorosa e più operosa del mondo moderno -l’Oriente- provengono quasi solo segnali positivi, di grande fiducia nel futuro e di grandi investimenti in nuove tecnologie.

La crescita economica mondiale che quest’anno rischia di macinare quasi il 4% è oramai per più di due terzi dipendente da quella del continente asiatico, che da solo totalizza oltre cinque miliardi di abitanti. A sua volta l’Asia traina le esportazioni americane ed europee e i profitti delle principali società quotate multinazionali. Ma quei cinque miliardi di asiatici, Kim Yong Un e i suoi missili sparati sui cieli del Giappone permettendo, delle paturnie prudenziali degli investitori conservativi anglofoni e continentali probabilmente se ne fregano alla grande.

 

Stefano di Tommaso