LE BORSE SONO SOPRAVVALUTATE?

Negli ultimi otto anni e in particolare nel corso del 2017 le borse di ogni paese hanno toccato continuamente nuovi massimi, allarmando gli investitori di ogni genere circa la possibilità che il mondo si trovi oggi nel bel mezzo di una gigantesca e ingiustificata bolla speculativa.

 

LA RICERCA DI BENI RIFUGIO NON HA SORTITO EFFETTI CALMIERATORI

L’eventualità che la bolla scoppi è più che concreta, dal momento che, da qualunque angolazione si provi a guardare il fenomeno della corsa dei valori mobiliari, esso appare aver sconfinato nell’eccesso, e da tempo provoca reazioni di ogni genere: dalla ricerca di coperture del rischio di crollo dei mercati attraverso strumenti derivativi di ogni genere, fino alla spasmodica ricerca di diversificare i risparmi in beni rifugio, quali immobili di pregio, beni artistici, metalli preziosi e cripto-valute.

Peró la ricerca di alternative da parte di investitori e risparmiatori avrebbe dovuto limare gli eccessi dei mercati finanziari e invece non ha ancora sortito alcun effetto calmieratorio, né relativamente ai corsi di titoli azionari e obbligazionari (e nonostante anche il programmato rialzo dei tassi di interesse da parte delle banche centrali, da tempo dichiarato e in parte già attuato), né sui volumi di scambio quotidiani delle borse valori e nemmeno sugli investimenti alternativi sopra citati, visti come riserva di valore da un lato, ma sicuramente dall’altro lato “pesati” dagli operatori professionali tanto quanto più o meno tutte le principali categorie di investimento (“asset class”): cioè comunque fortemente correlati agli andamenti di azioni e obbligazioni (quindi con una limitata capacità di sortire una vera diversificazione).

MA L‘ASSET CLASS PIÙ A RISCHIO È QUELLA DEI TITOLI AZIONARI

Ovviamente la categoria percepita più a rischio da chiunque è quella dei titoli azionari quotati alle borse valori, che sono continuamente “prezzati” sulla base dei rendimenti attesi, dei rischi potenziali e, altrettanto ovviamente, sull’appetibilitá degli investimenti alternativi. Molti analisti di mercato si interrogano sull’irragionevolezza delle quotazioni raggiunte ma, come dimostra la storia recente, nessuno al mondo può vantare alcuna certezza al riguardo.

Molti sistemi di calcolo sono stati escogitati per tenere conto non soltanto del rendimento attuale, ma soprattutto di quello prospettico, di quello storico e dei rendimenti alternativi più o meno rischiosi sulla base dei quali costruire delle ipotesi razionali.

Purtroppo occorre anticipare che sembrano non esistere ipotesi razionali di alcuna sorta capaci di “spiegare” il presupposto razionale delle attuali quotazioni, e ciò sebbene siano da tempo al lavoro fior di matematici, premi Nobel e interi dipartimenti universitari per riuscire a comprendere quanto il mondo possa essersi avvicinato alla possibilità di una decisa correzione della crescita in atto delle quotazioni borsistiche, apparentemente infinita.

NON ESISTONO TEORIE ECONOMICHE QUANTITATIVE PER INDICARE VALIDE PREVISIONI

Comunque si giri la frittata il risultato che viene fuori in termini di giustificazione delle valutazioni esistenti è apparentemente privo di senso, più rischioso di quanto non lo fosse ai tempi dello scoppio delle peggiori bolle speculative degli ultimi secoli, e per di più in un contesto di eccesso di indebitamento globale e di prefigurata riduzione della liquidità esistente per effetto di lungamente preannunciate politiche monetarie tendenzialmente restrittive !

Eppure gli operatori non sembrano accorgersene e anzi, con il senno di poi affermano che gli stessi avvertimenti da analisti ed economisti sono giunti loro già un anno e mezzo fa e che, se li avessero ascoltati, oggi avrebbero mancato mostruose opportunità di guadagno. Difficile peraltro smentire il “furor di popolo” e la saggezza collettiva con sofisticate inferenze statistiche e altre diavolerie matematiche che i più non leggerebbero nemmeno.

Qualcuno afferma (probabilmente a ragione) che l’ossatura teorica sottostante ai modelli economici utilizzati è oramai obsoleta, qualcun altro fa notare che essa, quantomeno nel breve e medio periodo è stata smentita dai fatti, mentre “nel lungo periodo”… torna alla mente il memorabile aforisma di John Maynard Keynes: “…saremo tutti morti”!

LE CONSIDERAZIONI “QUALITATIVE”

Ma se gli attuali metodi quantitativi di valutazione delle azioni non sembrano lasciare alcun barlume di speranza nel fornire valide indicazioni per il prossimo futuro sui mercati, proviamo allora ad elencare quelli qualitativi, giusto per non lasciare alcunché di intentato.

Ecco allora che ci si interroga sugli effetti (non sappiamo se solo apparentemente virtuosi) della digitalizzazione di produzione, distribuzione e finanza dell’economia globale, come pure sugli effetti dell’eradicazione di talune pandemie nei paesi emergenti o infine sul semplice loro (vistoso) miglioramento in termini di tenore di vita medio dell’umanità, che sta innalzando il prodotto globale lordo tanto quanto lo sta innalzando la crescita demografica, imputabile anch’essa per lo più ai medesimi paesi emergenti. È evidente infatti che se l’economia globale cresce più rapidamente anche i profitti aziendali accelerano. O infine ci si interroga sugli effetti moltiplicativi della progressiva riduzione della tassazione dei profitti, della liberalizzazione dei mercati, della progressiva globalizzazione e delle nuove flessibilità nel mondo del lavoro.

Tali effetti, unitamente ad un regime globale di tassi bassi come non se ne vedevano da quasi un secolo, inciderebbero non poco sulla stima della corretta capitalizzazione dei profitti aziendali di molte delle società quotate e sulle aspettative della loro ulteriore crescita, riflettendosi indirettamente su un nuovo approccio alla valutazione dei titoli azionari delle medesime. Una prova indiretta di ciò la si può trovare nell’incremento senza precedenti dell’attivitá globale di fusioni e acquisizioni tra imprese, con valutazioni che rispecchiano quelle borsistiche.

L’EFFETTO SULLE VALUTAZIONI DELLA PREVALENZA DI TITOLI TECNOLOGICI

Quanto ai primi fattori sopra elencati (digitalizzazione e globalizzazione) si può riscontrare una progressiva prevalenza sui listini e sugli indici di borsa dei titoli collegati alle nuove tecnologie digitali, molti dei quali sono accreditati di sempre più rapida capacità di crescita e pertanto per questi ultimi i profitti attesi collegati ai titoli azionari andrebbero capitalizzati con fattori di sconto decisamente più contenuti, a causa del correttivo legato alla maggior crescita attesa dei profitti.

Dunque il combinato disposto della crescita attesa dei profitti e della maggior incidenza dei titoli tecnologici sul totale dei listini azionari rende oggettivamente poco paragonabili le quotazioni degli attuali indici di borsa a quelle di anche soltanto dieci o vent’anni fa, e dunque chi si limitasse ad accostare “sic et simpliciter” i moltiplicatori degli utili di ieri e quelli di oggi sbaglierebbe di diverse lunghezze, dati:

  • il minor livello dei tassi di interesse, atteso tale anche per il prossimo futuro,
  • la crescita degli utili derivante dall’impennata dell’attività economica globale
  • l’elevata incidenza dei titoli tecnologici (che scontano attese di forti accelerazioni negli utili previsti) sul totale del listino.

Quanto ai fattori generali (demografia in aumento, riduzione della tassazione e bassi tassi di interesse) non possiamo non notare che la vera differenza sui profitti aziendali attesi (e sulle aspettative di ulteriori crescite degli stessi) arriva dal cospicuo incremento della capacità di spesa e di investimento dei paesi emergenti, la quale attiva le esportazioni dai paesi più ricchi verso quelli più poveri e dunque una crescita indotta anche laddove la demografia resta statica, con ovvia e più forte accelerazione polarizzata nei paesi più avanzati (perché attirano più risorse finanziarie) e in quelli più retrogradi (perché demograficamente e come capacità di spesa crescono più velocemente).

Basteranno questi fattori qualitativi a individuare valide ragioni per giustificare gli attuali livelli ultra-speculativi dei titoli azionari oppure alla fine qualcuno premerà il grilletto e, come o peggio che nel 2008, una parte consistente della ricchezza globale sarà risucchiata da una nuova crisi finanziaria?

Nessuna risposta è breve né certa. Proverò a fornire la mia nel prossimo articolo.

Stefano di Tommaso




LE BORSE SONO SOPRAVVALUTATE? (seguito articolo precedente)

Le considerazioni qualitative fatte nell’articolo precedente (tassi di interesse bassi, crescita economica dei paesi emergenti e loro demografia, miglioramento dei profitti aziendali e maggior incidenza dei titoli tecnologici sul paniere dei listini di borsa) portano a pensare che nell’osservare gli sviluppi dei mercati azionari ci si trovi di fronte ad un cambiamento di paradigma nel valutare le aziende, quantomeno quelle che corrono di più. Difficile però generalizzare, dal momento che queste ultime non sono equamente distribuite in tutte le Borse e che anzi, le altre (quelle operanti sui mercati più maturi) possano per lo stesso motivo avere vita sempre più dura.

 

I LISTINI CRESCONO DI PIÙ DOVE CI SONO TITOLI TECNOLOGICI

Wall Street corre anche perché sul totale di quel listino è più elevato il “peso” percentuale dei titoli tecnologici -quelli che oggi sviluppano la maggior capitalizzazione- i quali evidentemente godono di valutazioni molto superiori al normale.

Amazon ad esempio, come si può dedurre dai due grafici qui riportati, venerdì scorso capitalizzava 629 miliardi di dollari con un prezzo dell’azione giunto a 1300 dollari, ma secondo alcuni analisti potrebbe valere quasi l’8% in più (1400 dollari), perché il prezzo obiettivo precedente, di 1200 dollari, non solo è stato superato dai fatti, ma implicava un moltiplicatore dell’EBITDA (margine operativo lordo) di appena 15 volte, mentre quello corretto (atteso per il 2019) si situerebbe intorno a 18 volte.


Qual è la ratio? Ovviamente quella della velocità di crescita degli utili, che per Amazon tende a situarsi intorno al 33% e dunque al di sopra della media di mercato ma anche di quella degli altri cosiddetti FANG (Facebook 28%, Amazon 33%, Netflix30% Google 17%). Ma quanto varrebbe Amazon senza le aspettative di crescita al 33% composto annuo dei suoi profitti? Probabilmente neanche i due terzi di quel numero.


COSA SE NE PUÒ DEDURRE REGIONE PER REGIONE

Dalle osservazioni riportate derivano perciò molte considerazioni pratiche:

  • non è possibile generalizzare circa la sostenibilità degli attuali livelli delle borse perché molto dipende dalla qualità dei titoli che ne compongono gli indici;
  • anzi possiamo immaginare che la selettività degli investitori sulla qualità dei singoli titoli quotati possa soltanto accrescersi nel tempo, accentuando anche -probabilmente- le differenze tra listino e listino;
  • la volatilità dei corsi tuttavia non è pensabile che si mantenga così bassa in eterno, soprattutto pensando a quanta parte delle valutazioni dei migliori titoli tecnologici dipende dal realizzarsi delle attese (un piccolo scostamento tendenziale può determinare una forte differenza di valore);
  • la periodica rotazione dei portafogli degli investitori nel corso del 2017 non ha quasi dato luogo a “sell-out” diffusi, anzi: possiamo affermare che non c’è quasi stata, data la scarsa appetibilità delle asset class alternative, ma neanche qui possiamo scommettere che la situazione non cambi;

AMERICA

Difficile dedurne elementi di pessimismo per i listini Americani (Wall Street e NASDAQ), visto che la corsa delle maggiori società tecnologiche americane non accenna a fermarsi e che questo fatto attira capitali sui mercati finanziari più liquidi del mondo.

Dal momento tuttavia che una buona parte dei guadagni in conto capitale si materializzano quando la liquidità è abbondante, bisogna anche chiedersi come questa cambierà nel corso del prossimo anno prima di emettere un giudizio che derivi esclusivamente dalle considerazioni sopra esposte.

Se la Federal Reserve contrarrà (come ha promesso) la liquidità disponibile sul mercato per contrastare sul nascere i possibili focolai di inflazione, allora saranno soltanto la generazione di cassa fresca delle imprese e i flussi di capitali in entrata a poter sorreggere le borse, buona parte dell’effetto dei quali è già tuttavia risucchiato dal deficit commerciale strutturale americano.

I mercati temono poi l’eventualità che il Presidente emarginato o addirittura rimosso per motivo di salute mentale. Non è una cosa molto probabile, ma grandi forze si stanno commentando nel disegno e, se dovessero farcela, le aspettative di riduzione delle tasse andrebbero in fumo, così come una bella parte della capitalizzazione delle borse.

EUROPA

In Europa ci sono pochi titoli tecnologici quotati in borsa (se escludiamo il Regno Unito), ma le aspettative sulla crescita dei consumi e l’elevata immissione di liquidità (tutt’ora in corso) da parte delle banche centrali ha favorito i listini azionari, mentre due fattori li hanno invece penalizzati (seppur meno che proporzionalmente) : il cambio dell’Euro contro Dollaro e la crescita della bolletta energetica.

Se da un lato non ci si attende né che il Dollaro continui a svalutarsi contro Euro e nemmeno che il prezzo del petrolio continui a salire, dall’altro lato la Banca Centrale Europea ha chiaramente lasciato intendere che non proseguirà in eterno con il Quantitative Easing. Dunque dal punto di vista strutturale non si materializza un’aspettativa per l’Europa di forti crescite delle proprie borse. Qualora tuttavia il piano Macron per l’Europa dovesse trasformarsi in realtà allora sicuramente le borse accompagnerebbero l’accresciuto livello di fiducia degli investitori.

ASIA

In Asia il discorso è diverso, ma più difficile è dedurne una chiara indicazione: la crescita economica, quella dei consumi, dell’industria locale e dei commerci fa da traino al resto del mondo e continuerà probabilmente ancora a lungo a farlo. Le borse non possono che celebrare questo momento dorato e dunque corrono, unitamente alla crescita progressiva del risparmio gestito e della percentuale di quest’ultimo che finisce sui mercati mobiliari.

Ma l’instabilità finanziaria della Cina e, conseguentemente, di molti altri Paesi emergenti limitrofi continua ad aumentare e non è possibile non tenerne conto.

Quanto peserà perciò il rischio finanziario sulle aspettative degli investitori? Quali probabilità ci sono che potrà trasformarsi in panico e conseguenti vendite generalizzate di titoli e valute locali ? Poche, in assoluto, ma non zero.

CONCLUSIONI E CIGNI NERI (O BIANCHI) ALL’ORIZZONTE

L’indagine sulla sopravvalutazione delle Borse non ha portato a grandi motivi per ritenerle semplici vittime di bolle speculative ed eccessi di liquidità, anzi: abbiamo trovato motivi relativamente validi per ritenere che esista una giustificazione razionale ai livelli raggiunti. Non possiamo tuttavia affermare che dal punto di vista macroeconomico esistano altrettante giustificazioni razionali alle attese di ulteriori, mirabolanti impennate dei listini di Borsa, in nessuna parte del mondo.

Esiste in realtà una forza potente che potrebbe scatenare la prossima volata delle borse, che è l’avvio delle prime applicazioni commerciali dell’intelligenza artificiale. Ma bisogna vedere se, quando arriverà, tale forza non dovrà scontrarsi con altri problemi delle borse, ad esempio la mancata tempestiva monetizzazione del debito pubblico globale.

IL POSSIBILE RITORNO DELLO “STOCK PICKING” E DEI TITOLI “VALUE”

La morale delle morali è però tutt’altra: se è difficile generalizzare e formulare previsioni attendibili sui listini globali (dato che dipendono da troppe variabili) è però ipotizzabile che, dopo la grande abbuffata, gli investitori torneranno a optare per un maggior rigore nella selezione dei titoli e che tra questi sceglieranno soprattutto quelli “value” (meno ciclici e con un maggior contenuto di valore intrinseco). Ed è probabilmente lì che potranno realizzarsi buone performances a prescindere da ciò che avviene a livello planetario, soprattutto qualora a tale livello non succederà proprio alcunché.

Stefano di Tommaso




QUASI MEZZO MILIARDO DI DOLLARI PAGATO PER LA STARTUP DI DUE ITALOAMERICANI, DOCENTI AL M.I.T.

Emilio Frazzoli, professore di ingegneria aeronautica e astronautica al famosissimo Massachusetts Institute of Technology e un altro professore dello stesso Istituto, Carlo Iagnemma, a capo del gruppo di ricerca sulla robotica dell’automazione per il settore automotive, quattro anni fa avevano fondato Nu-Tonomy, la classica iniziativa di spin-off universitario quale startup tecnologica per raccogliere capitali e dedicarsi ai sistemi di software avanzato per la guida autonoma dei veicoli stradali in ambienti affollati e complessi.


All’inizio dello scorso anno l’iniziativa ebbe una certa notorietà per il lancio di un servizio sperimentale di taxi-robot a Singapore basati sulla Mitsubishi elettrica Miev, poi sulla Renault Zoe. L’esperienza -di grande successo- ha permesso loro di sottoscrivere accordi di collaborazione con Uber, Grab (la rivale di quest’ultima nel sud-est asiatico) e con la stessa Renault. Successivi accordi sono stati sottoscritti con Lyft per un servizio di Robo-Taxi a Boston, Massachusetts, dove ha sede la loro società.


Qualche giorno fa la svolta: Delphi Automotive, una multinazionale americana nata come spin-off della General Motors dei primi anni ‘90 e dedicato alla fabbricazione e ingegneria della componentistica dell’automobile, li ha comprati per quasi mezzo miliardo di dollari per rinnovare il lato tecnologico della propria offerta di prodotti.

Delphi ha dichiarato che l’iniziativa è volta ad accelerare l’introduzione sul mercato di sistemi per trasformare le auto in circolazione in sistemi completamente autonomi, con l’introduzione di nuovi talenti dell’ingegneria gia presenti in azienda (2 anni fa Delphi aveva già comprato un’azienda simile: Ottamatika, spin-off di un’altra Università, la,Carnegie Mellon) fondata da due professori di origine indiana, che prometteva di immettere sul mercato I propri sistemi già dal 2019.

L’intero settore è stato sconvolto, negli ultimi tempi da investimenti miliardari delle case automobilistiche finalizzati a permettere loro di raggiungere per prime il medesimo obiettivo di sfornare veicoli completamente autonomi: Ford aveva comprato Argo Artificial Intelligence, una startup molto simile ma in stadi meno maturi di sviluppo, mentre General Motors aveva pagato un miliardo per la Cruise Automation e Toyota, forse la più avanti nel processo di sviluppo, ha già registrato qualcosa come 1400 brevetti nel campo della guida autonoma avendo assunto, qualche tempo fa, un intera squadra di professori del medesimo Massachusetts Institute of Technology. Ma nessuna di queste operazioni può oscurare il vertice raggiunto qualche mese fa da Intel, che ha pagato oltre 15 miliardi di dollari Mobileye, una società israeliana (leggi il mio articolo di Marzo in proposito : http://giornaledellafinanza.it/2017/03/14/nuovo-rilancio-nella-corsa-alla-self-driving-car/)

Stefano di Tommaso




ESUBERANZA RAZIONALE?

IL NOBEL A RICHARD THALER PUÒ SPIEGARSI CON IL TENTATIVO DI DARE RISPOSTE AL TEMA DELL’ESUBERANZA IRRAZIONALE DEI MERCATI FINANZIARI? E SE FOSSE IL CONTRARIO?

L’altro giorno leggevo tra i commenti all’ultima premiazione della fondazione Nobel per gli studi economici quelli che fanno riferimento ad un semplicissimo sito web gestito da un altro premio Nobel per l’economia: Robert Schiller. Il nome del sito internet “http://irrationalexuberance.com/main.html?src=%2F#4,0” parla già da solo. Esso si limita ad esporre, accanto alla copertina del famosissimo libro omonimo (vedi immagine copertina), soltanto due grafici: quello dell’andamento dell’indice azionario Standard &Poor di Wall Street (Insieme a quello dell’andamento degli utili aziendali) e quello del rapporto prezzo/Utile insieme all’andamento dei tassi di interesse.


Anche il premio Nobel elargito in precedenza a Robert Shiller riguardava la “Finanza Comportamentale”. Dunque questo tema è percepito dal mondo accademico nonché dai giurati del premio Nobel come uno di quelli davvero importanti in un momento come questo.

I GIUDIZI ED I COMPORTAMENTI UMANI NON SONO DEL TUTTO RAZIONALI. NEMMENO QUANDO CREDONO DI ESSERLO

Il ragionamento di fondo di Schiller e Thaler osserva che il comportamento umano non può essere rappresentato con la sola logica delle aspettative razionali e I modelli economici di conseguenza non possono non tenerne conto. Solo che quel “tenerne conto” può non andare soltanto nella direzione di predire lo scoppio delle bolle speculative. Può invece anche essere interpretato all’opposto per riuscire a comprendere come mai le borse continuano a salire.

Andiamo infatti a leggere cosa ci raccontava Shiller nel suo libro, pubblicato nel 2000 (quando I mercati finanziari avevano toccato un altro picco massimo): che se si vuole interpretare correttamente l’andamento delle Borse Valori bisogna necessariamente tenere conto anche delle psicologie (e non solo delle argomentazioni razionali) le quali aiutano non poco a fabbricare ogni genere di bolle speculative sui mercati. Il libro spiega anche che alla fine le bolle esplodono sempre, anche se a volte in tempi più lunghi del solito.

 

Questi grafici così sintetici e quasi silenziosi ci raccontano però anche dell’altro: se andiamo a guardare il rapporto prezzo utili cui si riferiscono le attuali quotazioni borsistiche, non c’è dubbio che siamo oggi ben lontani dai massimi del 2001, poco prima che finisse l’era della prima “New Economy” e il mondo cambiasse per sempre. Più esattamente su quel rapporto, rispetto ai massimi siamo a metà strada, mentre i tassi di interesse a lungo termine (la linea rossa) sono invece arrivati in picchiata ai minimi di sempre più o meno un anno fa, nonostante le intenzioni più volte espresse dai banchieri centrali di tutto il mondo, concordi con la necessità di continuare a tirarli un po’ su, dal momento che neanche negli anni trenta si erano visti così in basso.

E SE LE ATTUALI QUOTAZIONI DI BORSA RISPECCHIASSERO LA “NUOVA NORMALITÀ”?

Dunque da un lato le azioni quotate a Wall Street non risultano poi così care se comparate con I profitti che esse esprimono, dall’altro lato i tassi sono oggettivamente bassi e dunque essi giustificano (almeno in parte) delle quotazioni più elevate a parità di tutto il resto. Come dire che la bolla speculativa alla fine scoppierà ugualmente, ma di strada da fare per gonfiarsi ancora potrebbe averne ancora tanta. Allora in questo caso ciò che sembra davvero irrazionale è il timore di un crollo, non il suo opposto.

A proposito dei tassi di interesse bisogna poi ricordare che quelli che contano davvero sono I tassi reali prospettici, cioè quelli futuri e al netto dell’inflazione. Per soppesare il livello dei tassi di interesse reali e tenerne conto nel chiedersi come attualizzare i profitti futuri sono perciò importanti le aspettative di inflazione, che fino a qualche giorno fa sembravano puntare verso l’alto mentre poi è arrivata l’ennesima doccia fredda che gli economisti non riescono a spiegare se non con il salto quantico della digitalizzazione.

TASSI, CRESCITA E INFLAZIONE

La crescita economica infatti si accompagna di norma a un surriscaldamento dell’economia che porta qualche tensione sui prezzi al consumo perché aumenta la propensione alla spesa da parte dei consumatori che si ritrovano con un reddito maggiore. Questo sarebbe particolarmente evidente negli Stati Uniti d’America dove l’economia cresce oramai da più di sette anni ( altrove solo negli ultimi tempi l’economia è tornata a crescere ) e la disoccupazione è giunta ai minimi storici, eppure l’inflazione non risale. Senza di essa I tassi di interesse reale attuali, pur bassi, non sono nulli e pertanto hanno più probabilità di restare a livelli simili a quelli attuali.

Dunque I profitti futuri vanno attualizzati a tassi bassi e -in generale- giustificano maggiormente le quotazioni stratosferiche di molte società quotate.

Poi ovviamente per giudicare se le valutazioni espresse dalle borse appaiono o meno eccessive, dipende anche da ciascun settore di appartenenza. Tipico è il paragone che si fa tra I moltiplicatori degli utili di due titoli che sono chiaramente molto grandi ed esprimono business all’avanguardia e globalizzati, sono percepiti entrambi come titoli “tecnologici” ma appaiono tuttavia agli investitori molto diversi tra loro: Apple e Alphabet (Google). Il Financìal Times di stamane faceva notare che la prima, dal momento che buona parte dei suoi utili arrivano dagli apparati cellulari, viene considerata “cara” dal mercato al prezzo di 15 volte gli utili mentre la seconda, I cui profitti derivano per oltre l’80% dalla pubblicità online, quota tranquillamente (e da tempo) ben 27 volte gli utili. Le aspettative di crescita della prima sono infatti diverse da quelle della seconda.

MORALE

Per giudicare eccessive le valutazioni del mercato bisogna prima stabilire quale tasso di crescita dell’economia riduce il fattore di sconto dei profitti futuri. E se quel fattore prima di tener conto della crescita già partiva da un livello basso in assoluto, è sufficiente attendersi una lieve crescita prospettica del. Intesto economico per valutare molto più caro un titolo quotato. E nessuno può negare che, con una previsione di crescita economica globale vicina al 4% nell’anno in corso, le aspettative di crescita ulteriore dei profitti sono più che giustificate. Casomai perché il sistema prezzi/tassi/aspettative sia sostenibile bisogna che restino vere tanto le prospettive di un‘ inflazione limitata quanto quelle di un forte interscambio internazionale, fattore essenziale anche per tenere viva la prospettiva di importanti profitti aziendali. Diverso sarebbe infatti se quelle premesse mutassero.

Tornando alle aspettative-non-esattamente-razionali, appare possibile che se pensiamo di poter giudicare gli eventi sulla base di ciò che è successo in passato stiamo tralasciando quasi certamente una parte della verità. I lavori di Richard Thaler riguardano proprio la verifica del fatto che gli esseri umani si basano moltissimo sul comportamento passato per fondare le loro decisioni, anche quando chiaramente il futuro non rassomiglia più al passato.

Nonostante Thaler abbia espresso chiaramente il suo disappunto per il livello da lui giudicato eccessivo delle borse odierne, resta il fatto che le sue teorie possono funzionare anche all’opposto. Cioè nell’indicare “a prescindere “ come eccessivi I livelli borsistici attuali solo perché in passato non si era vissuto un salto quantico nello sviluppo economico (delle economie emergenti) come quello attuale. Nessuno può vantare delle certezze al riguardo ma il beneficio del dubbio deve continuare ad animare la ricerca dell verità!

Stefano di Tommaso