LA FORMIDABILE ASCESA DELLE NUOVE IMPRESE IN ITALIA – TERZA PARTE: LA VALUTAZIONE DELLE IMPRESE INNOVATIVE

La Compagnia Holding
Startup è bello. Soprattutto quando attraverso l’innovazione gli imprenditori in erba (giovani o anziani che siano) contribuiscono a renderci la vita migliore con le loro innovazioni, e con sistemi diversi per fare -più comodi o più velocemente o a più basso costo- ciò che facevamo prima con più fatica. L’America come al solito lo ha scoperto prima degli altri e ha sviluppato (soprattutto in California, che è l’America dell’America) un ecosistema idoneo a far nascere, crescere e portare in Borsa le iniziative migliori. Anche per questo le valutazioni sono più alte laggiù. A volte molto più alte: quando gli investitori fanno a gara per sottoscrivere quote di minoranza del tuo capitale soltanto perché sono molti e ben attrezzati a lavorare sulle innovazioni tecnologiche, non c’è da stupirsi se le valutazioni lievitano. Ma come si giunge a formulare queste ultime?

 

INAPPLICABILITA’ DEI NORMALI METODI DI STIMA DEL VALORE

E, in generale, come si fa a valutare un’impresa in erba? Una che non fattura ancora niente o quasi e che promette soltanto di cavalcare un’innovazione, un’intuizione, o un modo diverso di fare le cose? Con i metodi tradizionali non si va molto lontano: inutile parlare di moltiplicatore dei profitti (che per alcune startup non valgono nemmeno quando sono quotate in Borsa: si pensi al caso Tesla, che ha continuato ad accumulare perdite per oltre un quinquennio dopo essere sbarcata al NASDAQ eppure oggi vale oltre un trilione di dollari). Così come è improbabile usare il metodo dei multipli del margine operativo lordo se quest’ultimo ancora non c’è (o quasi); ancor peggio è parlare del patrimonio netto o del valore del brand, dal momento che -per definizione- devono ancora crescere. Forse un po’ meglio sarebbe stimare l’azienda sulla base dei flussi di cassa prospettici, ma con il limite che deriva dal fatto che all’inizio questi saranno negativi, e poi mancano quasi del tutto gli strumenti per identificarli con un minimo di realismo.

LE ALTRE METODOLOGIE

Ma se i metodi tradizionali per valutare un’azienda poco si adattano a quelle che devono ancora nascere, l’industria del “capitale di ventura” ha invece sviluppato delle altre metodologie che, pur ammettendo di essere tutt’altro che una scienza esatta, aiutano nell’esercizio mentale necessario a mettere a fuoco un valore ipotetico. Ovviamente sulla base innanzitutto del Piano di Business che la Startup sarà in grado di pubblicare. Di seguito potremo provare a farne una breve elencazione, anche allo scopo di esplorarli meglio, ma innanzitutto bisogna dare un’occhiata ai fattori più importanti che intervengono nel processo di valutazione di un’impresa innovativa che si accinge a prendere il volo.

GRANDI POTENZIALI E FORTI RISCHI

Il primo criterio che accomuna tutti i metodi di valutazione è quello relativo alle caratteristiche tipiche delle Startup: la potenzialità di generare molto valore in futuro e, possibilmente, capacità di accrescere quest’ultimo nonché la velocità di questa crescita. Si pensi a casi di scuola che oggi costituiscono il grosso del valore di capitalizzazione del listino di borsa americano: Apple, Microsoft, Amazon, Google, Facebook, Tesla… che hanno raggiunto valutazioni elevatissime (sono tutte sopra il trilione di dollari di capitalizzazione di borsa ) soprattutto a causa della loro grande capacità di crescere velocemente e arrivare a dominare ciascuna il proprio mercato.

Accanto alle forti potenzialità però si trovano anche grandi rischi. Le startup per definizione devono ancora mostrare la loro capacità di poter “funzionare” senza fermarsi per strada (come succede a molte di esse) per i motivi più banali: scarsa capacità di pianificazione, lite o separazione dei fondatori, eccesso di concorrenza, difficoltà nel processo di industrializzazione, incapacità di gestire adeguatamente la dinamica finanziaria… quelli qui elencati sono solo alcuni dei numerosissimi motivi per i quali le nuove iniziative non diventano degli “unicorni” (quelle ex-Startup che arrivano a valere almeno un miliardo di dollari).

NON GUARDATE AI PROFITTI FUTURI

In generale bisogna accettare il fatto che -anche le migliori- per un certo numero di anni a venire perderanno quattrini a tutto spiano e, in un certo senso, è anche logico che ciò possa accadere. Se l’impresa infatti ha successo e ha la possibilità di raggiungere il più ampio potenziale di mercato nel minor tempo possibile, dal punto di vista del mercato finanziario sarebbe un errore che il suo management si concentrasse sulla possibilità di portare a casa presto risultati economici positivi, perché ciò ne limiterebbe la capacità di creare molto valore.

Ovviamente ciò non può essere valido in eterno: tutte le imprese a un certo punto della loro vita iniziano a rallentare la crescita e, a quel punto, l’orizzonte di maggior creazione di valore perseguendo a tutti i costi obiettivi di crescita del fatturato incontrano due forti limiti: la capacità di procurarsi ulteriori risorse finanziarie per alimentare quella crescita (laddove i flussi di cassa prospettici non risultano sufficienti a pagare le rate dei debiti e a pagare dividendi a chi sottoscrive gli aumenti di capitale) e la possibilità che, a seguito del successo di mercato, si sviluppi una concorrenza tale da far assopire le speranze di trasformare il successo ottenuto in voluminosi profitti futuri. In fondo al lungo tunnel della crescita insomma i profitti devono pur sempre essere attesi: quanto non lo sono più non basta essere leader di mercato per essere capaci di generare valore per gli azionisti.

I PRIMI TRE FATTORI DI VALUTAZIONE : MANAGEMENT, CAPACITÀ DI CRESCERE E DIFENDIBILITA’ DEL BUSINESS

1) Per valutare perciò una Startup normalmente il primo fattore da considerare è la qualità dell’iniziativa ma anche quella delle persone che le danno vita. La corretta valutazione dell’esperienza, del “carisma” e delle capacità, complessive di cooperare tra tutti i protagonisti sono la base delle tecniche di stima del valore di mercato di una Startup.

2) Il secondo parametro da valutare per asserire la capacità di una Startup di assicurarsi un futuro radioso è la progressione possibile dei ricavi prospettici: la potenzialità di raggiungere presto il successo di mercato resta in molti casi un fattore imprescindibile per asserire la capacitò di quell’impresa di creare valore. E creare valore significa per la Startup essere capaci di generare in ogni istante del proprio percorso di sviluppo la percezione di un accrescimento del proprio valore prospettico, una percezione tale per cui chi si accinga ad acquistarne quote del capitale o a sottoscrivere aumenti di capitale sia disposto a valutarla ogni volta di più. E il primo fattore di verifica è la prima linea del bilancio: quella dei ricavi prospettici.

3) Il terzo e quarto fattore da monitorare nel leggere il piano di business sono fortemente complementari tra di loro: A) l’appetibilità e l’ampiezza del mercato potenziale (quando è possibile definirla) e B) la capacità (prospettica) di difendere il posizionamento di mercato che la Startup andrà a costruirsi e dunque le “barriere all’entrata” dei potenziali futuri concorrenti. Più queste ultime saranno elevate e maggiore sarà- il valore prospettico dell’impresa, atteso che il mercato potenziale che la Startup contribuirà a definire possa risultare sufficientemente ampio e promettente.

ALTRI DUE FATTORI: “TERMINAL VALUE” E ESIGENZE DI CASSA

Soprattutto se le risultanze del Piano di Business della Startup risulteranno positive e promettenti, un fattore di grande rilevanza per poter definire il valore prospettico della medesima consiste nel cosiddetto “Terminal Value”. Cioè quel valore che viene normalmente posto al termine della previsione esplicita dei flussi di cassa futuri e che si basa normalmente non più sulla previsione di altri flussi di cassa, bensì sulla comparazione con altre imprese (già mature) del mercato e con i loro multipli di valutazione.

I multipli a tal scopo più utilizzati sono i seguenti:

  • Rapporto Price-to-earnings (P/E)
  • Rapporto Price-earnings to growth (PEG)
  • Rapporto Price-to-book (P/B)
  • Rapporto Price to Sales (P/S)

Al temine di un periodo di previsione di crescita e sviluppo del mercato potenziale (che non può andare oltre i 5-10 anni, a seconda del mercato) ci sarà infatti una fase di consolidamento dei risultati raggiunti. L’impresa che ne risulterà sarà a quel punto sufficientemente grande da ridurre significativamente il proprio tasso di crescita e relativamente “matura” per essere comparata ad altre imprese oggi già mature del medesimo mercato.

Quel valore prospettico, elevatissimo perché derivante dall’ultimo anno di esplicita previsione del Piano, ma attualizzato ad oggi ad un tasso annuo molto elevato (dal 25% al 50% e a volte anche al 70%) che tenga conto dei notevoli rischi cui la Startup va incontro per arrivare fino a quel punto, è normalmente il primo metodo di valutazione utilizzato dagli investitori dei fondi specializzati nell’investimento del capitale di ventura (ed è per questo chiamato metodo del Venture Capital”).

L’ultimo (e il più difficile) elemento di discernimento che può derivare dalla lettera del Piano di Business messo a punto dagli animatori della Startup sono le esigenze finanziarie prospettiche, dal momento che qualora risultasse particolarmente cospicua la raccolta del capitale necessario ad effettuare tutti gli investimenti che richiede la strada che si intende percorrere, questo potrebbe essere un fattore di particolare attenzione che limita il valore potenziale del business!

Per capirci il caso Tesla è davanti agli occhi di tutti: per anni c’è stato un folto numero di osservatori che scommettevano sul fallimento di quest’ultima a causa degli ingentissimi investimenti che doveva effettuare per perfezionare il proprio piano industriale e dell’ancor più importante esigenza di capitale circolante che esso necessitava (ivi compresa la copertura delle perdite di periodo). E questo nonostante i suoi prodotti avessero già ottenuto un successo clamoroso e la società fosse già stat quotata in Borsa.

LA CHECKLIST

Spesso però chi valuta un’azienda (che intende raccogliere capitale nelle prime fasi della sua vita per sviluppare una significativa innovazione) non si basa soltanto sul Piano di Business, per quanto bene esso possa essere stato ideato.

Basandosi sull’assunto che soltanto una bassissima percentuale delle Startup realizza davvero la crescita dei ricavi e i guadagni previsti nel business plan, occorre contemperare -ai fini della valutazione- le proiezioni finanziarie che derivano dal Piano per la valutazione (in quando è molto probabile che si tratti di numeri poco realistici) con altri metodi di stima del valore, basati su quello che c’è già oggi. Stiamo parlando del cosiddetto “Metodo Berkus” dal nome di chi lo ha proposto per primo.

Egli ritiene che per valutare correttamente una startup sia necessario dare un valore economico a quei fattori che sono già inseriti nella Startup al momento della sua partenza e che, qualora risultino ampiamente positivi, ne riducano il rischio di fallimento. I 5 fattori di rischio per le startup secondo Berkus sono:

  • Proposta di Valore (Basic Value, ovvero Rischio prodotto)
  • Prototipo Funzionante (Technology, ovvero rischio tecnologico)
  • Qualità Manageriali del team (Execution, ovvero rischio di esecuzione)
  • Prodotto lanciato e/o venduto (Production and Sales, ovvero rischio relativo alla capacità effettiva di produrre e vendere)
  • Relazioni strategiche (Market, ovvero rischio di mercato e relativo alla concorrenza).
    A ciascuno di questi elementi si attribuisce un valore attuale (tipicamente 1/2 milione di Euro in caso di pieni voti per ciascuna categoria) ovvero un fattore di rischio.

Ciò significherebbe che il valore di partenza di un’iniziativa che ancora non fattura niente può andare da un minimo di 0,5 milioni ad un massimo di 2,5 milioni. Ovviamente ci sono Startup che, specialmente nelle elevate tecnologie e nel medicale, valgono -già in partenza- infinitamente di più, in funzione del valore del brevetto, o della tecnologia oppure di determinate privative di mercato (accordi esclusivi, joint venture, diritti di opzione così via).

Evidentemente in questi ultimi casi bisognerebbe riuscire ad attribuire un valore patrimoniale agli elementi suddetti apportati alla Startup e i valori risultanti dal metodo Berkus essere piuttosto considerati come valore dell’ “avviamento” al tempo zero, cui sommare il valore risultante dai suddetti elementi patrimoniali (anche immateriali).

Una seconda “check-list” può derivare dal fornire un peso massimo ai suddetti fattori di rischio per compilare una “tabella punti” (Scorecard) da utilizzare, ad esempio, per moderare il valore risultante dal cosiddetto “metodo del venture capital”.

I parametri principali del metodo Scorecard, in ordine di importanza e con il loro rispettivo peso, sono normalmente:

  • Forza del Team (da 0 al 30%)
  • Dimensione del Mercato (da 0 al 25%)
  • Prodotto/Tecnologia (da 0 al 15%)
  • Vendite/Marketing (da 0 al 10%)
  • Contesto Competitivo (da 0 al 10%)
  • Necessità di Ulteriori Investimenti (da 0 al 5%)
  • Miscellanea (da 0 al 5%)

Il totale delle percentuali realizzate costituisce la percentuale di valore prudentemente applicabile al valore risultante da altri metodi complessivi, in funzione dei fattori di rischio percepiti.

Stefano di Tommaso




LA FORMIDABILE ASCESA DELLE NUOVE IMPRESE IN ITALIA – PRIMA PARTE: LO SCENARIO DI MERCATO NEL NOSTRO PAESE –

La Compagnia Holding
Il nostro paese è interessato più che mai alla ventata di globalizzazione e innovazione tecnologica che pervade l’intero pianeta e sta rispondendo con una grande massa di imprese neo-costituite che vanno quasi sempre a cogliere le nuove possibilità di fare affari determinate dallo sviluppo scientifico e tecnologico. Ovviamente il mercato dei capitali guarda con attenzione in questa direzione perché costituiscono una buona opportunità: qualcuna di esse emergerà come nuovo “unicorno” (nel gergo finanziario, supererà il miliardo di dollari in valore). Il problema è che l’Italia brilla per numerosità e qualità delle Startup ma scarseggia nella capacità di veicolare loro la dotazione iniziale di capitali.

 

LA BORSA LE ACCOGLIE MA… DOPO !

La Borsa Valori è molto recettiva nei confronti delle imprese innovative (ovviamente quelle che hanno superato la fase pionieristica) e mostra un deciso appetito per esse. Nell’ultimo anno e mezzo ovviamente il numero di “matricole” si è ridotto per via della pandemia, ma costituisce comunque la stragrande maggioranza delle operazioni di “Initial Public Offerings” (IPO), cioè di nuove quotazioni. Il segmento di mercato delle imprese innovative vale oggi alla Borsa di Milano (che da quando è stata incorporata da quella francese ha assunto il nominativo di Euronext Growth Milan – EGM) circa 150 imprese, su un totale di circa 350 società quotate in Italia, ma è destinato a crescere esponenzialmente. Solo in Francia ce ne sono infatti tre volte tanto, sia delle une che delle altre.

Il confronto nell’Unione europea sull’innovazione delle piccole imprese evidenzia che l’Italia è quinta in classifica, con una quota di piccole imprese con attività innovative pari al 60,9% del totale. Superiore di 14,9 punti percentuali alla media europea (46,0%), poco distante dalla Germania (62,3%) e ampiamente superiore a quella di Francia (45,9%) e Spagna (26,9%).

Esploreremo il fenomeno delle nuove imprese in Italia sotto due punti di vista: i numeri del macro settore delle neo-costituite e le loro modalità di finanziamento, aiutandoci con le poche risultanze statistiche disponibili nel nostro paese, la prima delle quali è fornita dal Ministero per lo Sviluppo Economico, che pubblica un rapporto trimestrale (realizzato con Unioncamere, Infocamere e Fondo di Garanzia del Mediocredito Centrale) utile a comprendere la vertiginosa ascesa delle Startup Innovative.

IL RAPPORTO DEL M.I.S.E.

Alla data dello scorso 1 Ottobre 2021 queste ultime erano divenute più di 14.000 di cui 2600 quelle a prevalenza giovanile (sotto i 35 anni) e delle quali piu di 10.000 nei servizi digitali. Tra tutte quasi il 13% è costituito in prevalenza da donne. Ma l’imprenditoria corre in Italia più di quanto si pensi non soltanto per le Startup innovative: le società di capitali di recente costituzione sono infatti la bellezza di circa 100.000.

Delle 14.000 Startup Innovative registrate già più di 6.000 hanno ricevuto l’autorizzazione del Fondo di Garanzia per quasi 2 miliardi mentre le PMI Innovative che hanno ricevuto una garanzia sono state poco più di 1.200 e il Fondo medesimo ha garantito prestiti nei loro confronti per un totale di 1,3 miliardi .

Singolare il fatto che la maggior parte delle Startup Innovative abbia sede in Lombardia (oltre il 26%) e addirittura quasi il 19% sia a Milano, contro il quasi 12% del Lazio e il quasi 9% della Campania, cosa che sta a significare soltanto che chi ha una buona idea di business se può viene nelle città dove è più sviluppata la capacità di incubarla e finanziarla per farla diventare un’impresa.

I REQUISITI PER RIENTRARE TRA LE “STARTUP INNOVATIVE”

Ma chi sono le Startup Innovative? Il Ministero dello Sviluppo economico risponde così: Possono ottenere lo status di Startup Innovativa le società di capitali costituite da meno di cinque anni, con fatturato annuo inferiore a cinque milioni di euro, non quotate, e in possesso di determinati indicatori relativi all’innovazione tecnologica previsti dalla normativa nazionale“. Che poi sarebbe il possesso di almeno 1 di questi 3 requisiti:
A)sostiene spese in ricerca e sviluppo per più del 15% del valore della produzione, B) impiega personale altamente qualificato (almeno 1/3 dottori di ricerca o ricercatori o almeno 2/3 con laurea magistrale), C) è titolare di un brevetto o di un software recentemente registrato.

A queste imprese sono state rivolte significative agevolazioni, introdotte con il decreto-legge “Rilancio” del 19 maggio 2020, n.34 :

  • Incentivi fiscali all’investimento nel capitale di startup innovative
  • Accesso gratuito e semplificato al Fondo di Garanzia per le PMI
  • Smart & start Italia (finanziamenti agevolati per startup innovative localizzate sul territorio nazionale)
  • Trasformazione in PMI innovative senza soluzione di continuità
  • Esonero da diritti camerali e imposte di bollo
  • Raccolta di capitali tramite campagne di equity crowdfunding
  • Servizi di internazionalizzazione alle imprese (ICE)
  • Deroghe alla disciplina societaria ordinaria
  • Disciplina del lavoro flessibile
  • Proroga del termine per la copertura delle perdite
  • Deroga alla disciplina sulle società di comodo e in perdita sistematica
  • Remunerazione attraverso strumenti di partecipazione al capitale
  • Esonero dall’obbligo del visto di conformità per compensazione dei crediti IVA
  • Fail Fast (procedure semplificate in caso di insuccesso della propria attività)

Inoltre in risposta all’emergenza COVID sono state introdotte ulteriori misure a loro favore:

  • Contributi a fondo perduto per acquistare servizi per lo sviluppo delle imprese innovative
  • Sostegno al Venture Capital
  • Credito d’imposta in ricerca e sviluppo
  • Proroga del termine di permanenza nella sezione speciale del registro imprese
  • Estensione della garanzia per il fondo centrale di garanzia per le Pmi
  • Ulteriori incentivi all’investimento in Startup Innovative
  • Programma Investor Visa for Italy: dimezzamento delle soglie minime di investimento
  • Agevolazioni per le Startup Innovative localizzate in zone colpite da eventi sismici

MA I CAPITALI NON ARRIVANO DAL MISE. NÈ DAL MEDIOCREDITO

Ovviamente le suddette agevolazioni hanno contribuito in parte a stimolare la nuova imprenditoria, in particolare quella giovanile (poco meno del 20%) ma, evidentemente il grosso è costituito soprattutto da quella “di riflusso” degli “adulti (che va ben oltre l’80%), derivante dalla cancellazione di numerosissimi posti di lavoro a causa della crisi economica o della delocalizzazione all’estero delle imprese. Lo testimonia il fatto che una percentuale quasi uguale alla proporzione tra adulti e giovani nuovi imprenditori è quella delle 100.000 imprese neo-costituite, delle quali oltre l’80% non ha i requisiti di startup innovativa.

Bisogna dire che il Decreto Rilancio costituisce nel complesso una vera e propria manna per le giovani iniziative innovative. Una manna spesso ignorata da coloro che vogliono mettersi ”in proprio”, ma sulla quale si sono buttate orde di professionisti, consulenti e intermediari che in qualche modo vantano “agganci” presso il Ministero per lo Sviluppo Economico e il Mediocredito Centrale. Una manna che però evidentemente è stata meglio sfruttata in quei luoghi (come Milano) ove è più facile creare, finanziare e condurre un’impresa. Un’informazione questa che impone una riflessione ulteriore a proposito degli altri fattori (diversi da agevolazioni e incentivi ai finanziamenti di Stato) che risultano essenziali affinché l’imprenditoria si sviluppi ulteriormente in Italia, prima fra tutti la disponibilità di capitali di rischio, oltre che di finanziamenti.

Praticamente infatti nessuna delle misure previste recentemente dal Governo riguarda il capitale di rischio (tipicamente gli proveniente da Family&Friends e Venture Capital), la cui presenza peraltro risulta essenziale anche nella normativa prevista per attivare i finanziamenti e i contributi di Stato. E senza capitali di rischio le nuove imprese non riescono a partire. L’italiano medio insomma, quando non riesce a tenersi il proprio posto di lavoro, se può se lo crea di sana pianta, e questo gli fa onore. Ma poi sconta il fio della ristrettezza e poca trasparenza del mercato dei capitali italiano, che oltretutto resta negli ultimi anni particolarmente arretrato rispetto al resto d’Europa.

EPPURE IL RISPARMIO DEGLI ITALIANI È INGENTE

Basti pensare che oltre 3/4 dei risparmi italiani (ingenti e in crescita) che vengono investiti sul mercato dei capitali prende la strada degli investimenti esteri. Una vera e propria iattura per il sistema delle imprese, che dipende dal fatto che non esistono strumenti (privati e pubblici) per veicolare loro a sufficienza la disponibilità di risparmio fresco.

I depositi bancari italiani peraltro crescono anche loro (siamo a quota 1.700 miliardi di euro), ma sempre più difficilmente si trasformano in finanziamenti alle imprese. Da dieci anni a questa parte le banche italiane hanno ridotto di circa 275 miliardi di euro il credito alle imprese mentre hanno incrementato di 185 miliardi l’investimento in titoli pubblici italiani. Lo Stato cioè, per ogni euro garantito alle imprese italiane (circa 3,4 miliardi in totale) ne ha assorbiti 55 dal mercato dei capitali, spiazzando di fatto le imprese.

COSA FARE

L’auspicio è perciò che il governo attuale possa finalmente muoversi anche nella direzione dello sviluppo del mercato dei capitali, prima che l’ondata di nuove iniziative si sgonfi per impossibilità di reperire adeguate risorse. Perché senza che quest’ultimo raggiunga anche nel nostro paese maggiori dimensioni e articolazioni, buona parte delle 100.000 nuove imprese costituite alla fine si spegnerà.

Le banche d’affari come la nostra fanno il possibile per mettere insieme i capitali di rischio , assicurandosi prima che il Piano di Business sia concreto e che impedisca di sprecare risorse, costituendo e registrando la Startup come “innovativa”, reperendo idonee risorse umane con competenze qualificate, per renderle capaci di fare davvero business e trovando talvolta loro uno spazio di mercato anche attraverso accordi commerciali e collaborazioni industriali.

Altre volte viene costituito un “Club Deal” guidato dalle stesse banche d’affari che raccoglie intorno a sè capitali di rischio provenienti da uno sparuto gruppo di investitori professionali (per quasi il 70% i cosiddetti “Ángel Investor” i quali -giustamente- pretendono di partecipare anche alla conduzione aziendale, qualche “Family Office” (cioè gli uffici che si occupano di investire per conto dei più ricchi) e qualche (raro) investitore di Venture Capital.

Ma la sproporzione tra domanda offerta, così come tra le risorse complessivamente reperibili in Italia rispetto a quelle degli altri paesi avanzati, è notevole!

Stefano di Tommaso




NON È UN PAESE PER GIOVANI

Una giornata a Londra, tra mille discorsi e impegni, mi ha tuttavia aiutato non poco a uscire dalla routine dei soliti pensieri, delle solite notizie economiche e politiche, per avventurarmi in qualche riflessione di fondo, complici le due ore di aereo di ritorno in cui sei costretto a sedere, sonnecchiare, mangiucchiare, bere e, ovviamente, riflettere…

 

Penso al mondo che va avanti, a questi cittadini britannici che, pur spaventati dalle possibili conseguenze della Brexit guardano purtuttavia ben oltre, investono, interagiscono piu di tanti altri popoli europei con tutto il resto del mondo, e cercano di trarne il meglio per sè stessi.

E penso a noi Italiani che avanti ci guardiamo ben poco, anzi spesso ci inveteriamo nei soliti discorsi (o lasciamo impunemente che altri lo facciano per noi), che non ci spaventiamo nemmeno per ciò che dovrebbe invece davvero intimidirci, che non programmiamo un bel niente e che facciamo una gran fatica, quando andiamo all’estero a cercare di vendere i nostri prodotti, a non farci prendere per pazzi dal resto della truppa!

Il mondo attraversa una congiuntura particolarmente positivo, con molti paesi emergenti che finalmente tirano un sospiro di sollievo e cercano di cogliere il momento storico favorevole per fare qualche deciso passo in avanti, tanto dal punto di vista della competitività delle loro imprese, quanto da quello della modernizzazione delle infrastrutture, soddisfatti sinanco se a fare gli investimenti a casa loro alla fine è qualcun altro (che vorrà pur guadagnarci sopra) ma almeno sanno che così progrediscono.

Il problema che vedo a casa nostra invece è che proprio quando tutto va per il meglio e il progresso avanza che ci sono conseguenze per chi rimane al palo. È in quel momento che si perdono quelle posizioni di avanguardia civile, scientifica, industriale e stilistiche che abbiamo tenuto per quasi un secolo dopo le ultime guerre, rischiando di perdere anche tutti i vantaggi che le medesime ci hanno portato.

Sarebbe questo il momento anche per noi italiani di investire (o attrarre investimenti altrui) nella ricerca, nell’innovazione, nelle nuove tecnologie e nelle infrastrutture che le favoriscono. Basterebbe creare taluni incentivi fiscali, comitati di promozione, protocolli di marketing territoriale o anche solo la riconversione di capannoni dismessi e servizi generali per le start-up innovative, per vedere fiorire da noi quelle iniziative che i nostri giovani vanno a creare all’estero, dove sono supportati a farlo.

Quali sono le considerazioni che possono discendere dal prendere atto non essere più -noi Italiani- gente in grado di organizzarsi e stimolare investimenti in innovazioni, tecnologie, ricerca e infrastrutture ? Quali sono le conseguenze dell’impossibilità tutta italiana di finanziare o raccogliere capitali per l’internazionalizzazione, la distribuzione globale dei nostri prodotti, l’acquisizione di aziende simili alle nostre nel resto del mondo, o anche solo per riuscire a modernizzare I nostri impianti, I nostri supermercati, I nostri mezzi di trasporto o I nostri edifici ?

La prima e di gran lunga la più importante è quella relativa ai nostri giovani, ai nostri talenti, ai nostri circuiti formativi: in assenza di iniziative se teniamo a loro possiamo solo sperare che essi prendano il largo, che si svincolino da governicchi e ministeri popolati da miopi e ignoranti, che se ne freghino degli infiniti limiti di legge alla loro possibilità di avere successo e che abbandonino la speranza di un’assunzione precaria, che si allontanino dalle periferie decadenti, dai luoghi fatiscenti e dalle aziende del passato, per andare all’estero e cercare di guardare piu lontano o più in alto, per sperare in una vita migliore dentro un mondo migliore.

Come si può desiderare per loro il contrario se si vuole il loro bene? Come si può sperare che restino a casa nostra a pagare le nostre pensioni (e vitalizi) per chiunque e le nostre tasse infinite? Come si può accettare gli infimi livelli di sanità pubblica che vengono loro riservati quando non possono pagare i (carissimi) servizi delle cliniche private?

Ma in tal caso come si può accettare di continuare a salutare, riverire e magari sostenere i soliti politici, coloro il cui sistema di potere ci sta conducendo così in basso? Come si può pensare che tutto ciò che essi fanno possa rimanere impunito, che nessuno voglia ribaltare la situazione ?

Oggi come oggi il nostro Paese non può essere considerato una culla per le iniziative delle giovani generazioni, un luogo idoneo al cimento degli intellettuali, degli ardimentosi e degli ambiziosi. Ad ogni passo essi rischierebbero di finire sedati e imbavagliati prima ancora di rendersene conto.

Forse non serve avere figli e non serve sperare che qualcuno di essi possa avere l’intelligenza e l’ambizione di guardare oltre il cortile, per rendersene conto e per sperare che il sistema burocratico, statico e inetto, che governa le nostre debolezze, arrivi prima possibile a crollare rovinosamente per far posto a qualcosa di nuovo.

Ma è sufficiente ogni tanto mettere il naso fuori dei confini di stato, per annusare l’aria che cambia e rendersi conto del fetore di quella che invece ristagna…

Stefano di Tommaso




PERCHE’ PENSO CHE AMAZON CAMBIERA’ LA NOSTRA VITA E L’INTERO MONDO DEL CONSUMER BUSINESS

Dopo aver fatto un passaggio basilare nell’aggiungere alla propria catena distributiva i supermercati bio “Whole Food” (cibo integrale) oggi Amazon si appresta a lanciare un’altro di quei servizi che solo lei può offrire: “Prime Wardrobe”, quello di prova a casa di abiti e degli accessori scelti online senza obbligo di acquisto

 

https://youtu.be/EIQh0O3wOdM

 

La pubblicità è accattivante: uno scatolone viene lasciato davanti alla porta di casa dell’utente che ha selezionato alcuni capi da visionare, questi li prova quando vuole, ne trattiene qualcuno se crede, e poi lascia il resto visionato nello scatolone che richiude con uno speciale adesivo con il codice che aveva trovato al suo interno, limitandosi a poggiare di nuovo lo scatolone fuori della sua porta. Un incaricato lo ritirerà a sue spese.

Perché solo Amazon può offrire un tale servizio?

•quasi solo Amazon può contare su una completa completa conoscenza delle abitudini e dei gusti del consumatore, dal momento che gli vende di tutto
•solo Amazon ne ha precedentemente valutato la solvenza e le preferenze con la diffusione capillare dell’abbonamento al servizio “Prime” (consegna in una o due ore nelle principali città del pianeta) e con il controllo dei propri sistemi di pagamento,
•solo Amazon può stoccare in ogni Paese del mondo una montagna di centinaia di migliaia di articoli nei propri magazzini per poterli avere pronti all’uso in un istante,
•solo Amazon può conseguentemente vantare un controllo globale della catena logistica e distributiva fino al furgoncino che effettua il giro della clientela Prime “a prescindere” da cosa deve consegnare o ritirare,
•ma soprattutto solo Amazon può integrare tutto ciò in un’unica imbattibile offerta!

Siamo veramente arrivati a un passo dal Grandee Fratello descritto settanta anni fa da George Orwell! E ci siamo arrivati con il sorriso sulle labbra per il solletico che ci fa nell’incarcerarci dietro le sbarre dorate della nostra nuova gabbia (l’abitazione), con lo scintillio delle sue campanelline e la felicità di sentirsi più pronti ad effettuare acquisti e noleggi.

Mettere insieme informazioni fondamentali circa le nostre misure delle scarpe, delle camicie, insieme a quelle che Amazon ha acquisito già dal momento in cui andavamo su internet a cercare gli articoli che preferiamo, dalle mutande , dallo spazzolino da denti, dal cibo che preferiamo fino tipo di cuffie Bluetooth che ci piacciono o di televisori che preferiamo, di giochi online che selezioniamo, di libri che leggiamo o di film che noleggiamo, farà di Amazon il cugino stretto del Grande Fratello. Con sistemi inferenziali di quelle informazioni che sono già correntemente state sviluppate da molti operatori informatici Amazon potrà disporre di una catalogazione del fenotipo di ciascuno di noi da far invidia ai servizi segreti! E tutto ciò per miliardi di utenti…

 Un’immagine suggestiva del film “1984”di Michael Redford tratto dall’omonimo romanzo di Orwell

Di lì a controllare anche i media e le agenzie di pubblicità online il passo sarà davvero breve. E a quel punto anche la manipolazione delle menti risulterebbe un obiettivo facilmente raggiungibile !

Ma Amazon può a questo punto andare molto oltre anche sotto il profilo del “business”: obbligare praticamente chiunque altro voglia raggiungere i “suoi” consumatori a passare dalla propria piattaforma (e a pagare pedaggio). Obbligare chiunque voglia produrre degli articoli e sperare di riuscire a distribuirli globalmente a farli come dice e al prezzo che dice lei, dal momento che quasi solo lei ne conoscerà davvero il corretto posizionamento competitivo. Obbligare chiunque voglia fare logistica e distribuzione a lavorare per lei. Costringere l’intero sistema bancario globale a passare dalle proprie griglie di conoscenza della capacità di credito degli individui e a confrontarsi un acerrimo concorrente che, grazie ai propri sistemi informatici e alle proprie piattaforme di pagamento, risulterebbe quasi imbattibile.

Amazon ha -in teoria- la forza finanziaria, la diffusione capillare e l’intelligenza gestionale di fare tutto ciò sotto il naso di un bel po’ di bellimbusti che oggi credono di essere i padroni del mondo, di un bel po’ di politici che fanno finta di difendere i loro elettori, di un bel po’ di intellettuali che pensano di immaginare un mondo diverso… Bisogna vedere se glielo lasceranno fare, ma prima aspettiamoci che il suo titolo, quotato a Wall Street, possa fare ancora l’ennesima bella galoppata al rialzo, magari al di sopra di Google e Apple!

Chi aveva in animo di lanciare l’ennesima start-up online, magari con l’ambizione di farla diventare la prossima SnapChat o la prossima Foodora, adesso ha un problema in più: come potrebbe fare a meno dell’organizzazione capillare che Amazon può vantare? dei magazzini sempre pronti? del corriere che passa già dall’indirizzo della clientela selezionata? della conoscenza della capacità finanziaria del consumatore e, soprattutto, della profilazione sempre più puntuale dei gusti, delle abitudini, degli orari e delle competenze del consumatore ideale?

 

Stefano di Tommaso