CHI COMPRERÀ TITOLI ITALIANI ?

La storia infinita della fondatezza (o meno) dei timori di insostenibilità del debito pubblico italiano secondo molti commentatori si avvia -con l’arrivo dell’autunno- verso un “momento della verità”. Non si tratta del solito complotto più volte denunciato da questa o quella forza politica bensì del combinato disposto di una serie di eventi che si apprestano ad accadere, dalla fine del Quantitative Easing europeo, alla disaffezione dei capitali verso le piazze finanziarie più marginali, fino al dilemma relativo a come finanziare il deficit nostrano in concomitanza con le promesse elettorali della nuova coalizione politica oggi al governo (che evidentemente non ha facili soluzioni).
 Adesso, dopo i fatti di Genova, ci si è messo anche il tormentone della crisi di affidabilità delle infrastrutture viarie, che richiederà una miriade di interventi in cui bisogna investire capitali, ma non è chiaro da dove arriveranno. La disponibilità di capitali per gli investimenti è funzione diretta dell’appetibilità degli stessi e, se un paese rischia di entrare in una fase di instabilità politica e finanziaria, il mercato si dilegua, come sta succedendo in questi giorni con la fuga dei capitali stranieri dai titoli italiani (tra maggio e giugno gli esteri hanno venduto 58 miliardi di euro di titoli di Stato).
LE RAGIONI DELL’ALLARME
Però bisogna doverosamente notare che, se qualcuno oggi vende i titoli di stato (i volumi di questo Agosto sono decisamente più alti del solito), questo significa per certo due cose:
– la prima è che evidentemente ci sono motivi per allarmarsi (e infatti lo “spread” dei loro rendimenti con i titoli tedeschi è al livello di guardia, poco sotto i 3 punti percentuali),
– la seconda è che evidentemente c’è anche qualcuno che acquista.
CHI COMPRA SONO SOLO LE BANCHE ITALIANE
 Il punto del ragionamento di chi oggi lancia l’allarme sulla possibilità che le cose peggiorino nettamente si basa proprio sulle due suddette considerazioni: i motivi di allarme che determinano il Sell-Off (la fuga) degli stranieri sono più che
oggettivi e poi se coloro che comprano tutto ciò che i primi (s)vendono sono -come sembra- solo le banche italiane (si veda il grafico qui sotto), ecco allora che l’Italia potrebbbe cadere in un “tranello” regolamentare, dal momento che il prestatore di ultima istanza di queste ultime è la Banca Centrale Europea, e non la Banca d’Italia, che ha abdicato alle sue prerogative.

LE BANCHE ITALIANE POTREBBERO ESSERE COSTRETTE A NON COMPRARE PIÙ TITOLI DI STATO ITALIANI

Se infatti il rischio Italia peggiora (a fine Agosto inizia la revisione del Rating Italia da parte di Fitch) e i titoli di stato vengono acquisiti soltanto dalle banche del medesimo Paese, ecco che il loro rating peggiora corrispondentemente, dal momento che sono più esposte al rischio di default del nostro Paese. Dunque, passato un certo limite, la banca centrale europea potrebbe decidere di non voler più rifinanziare le medesime, oppure le normative sulla convergenza bancaria potrebbero mettere uno stop all’acquisto dei titoli di stato oltre una certa quota del capitale “di vigilanza” di quelle banche.

E se ciò accadesse scomparirebbe chiaramente l’ultima specie vivente oggi disponibile ad acquisire, a prescindere da prezzi e rendimenti (siamo tornati sugli scudi), i titoli di stato che devono essere emessi in sostituzione di quelli in scadenza, oltre a quelli nuovi che vengono emessi per finanziare il deficit. La partita dunque diverrebbe molto aspra, e non bisogna faticare granché per prefigurare uno scenario visto già a lungo nell’incubo vissuto dalla vicina Grecia, dove persino gli sportelli bancari avevano smesso di funzionare data la corsa dei residenti a ritirare i depositi in contanti per poterli trasferire altrove.
ALLA RICERCA DI ALLEANZE
Resta perciò aperta la questione iniziale: chi comprerà i titoli italiani? I neo-ministri stanno agitandosi molto (e a ragione) al riguardo, tanto nel dialogo con la banca centrale (Savona è andato a trovare Draghi) e con le altre istituzioni europee (cui chiedono di prolungare il periodo di Q.E. e/o di mostrare se ci tengono alla permanenza dell’Italia nell’euro-zona) quanto con le possibili alternative: le potenze economiche del Pacifico (prima Conte in America e adesso Tria in Cina), cui stanno proponendo vantaggiosi accordi di collaborazione commerciale.
La logica non fa una piega: se i “partners” europei non ci ascoltano facendoci correre il rischio di insolvenza dei conti pubblici, allora magari possiamo aprire le nostre frontiere ad altri partners più generosi, chiudendole ai primi. À la guerre comme á la guerre, insomma!
D’altronde, comunque si giri la frittata, la partita d’autuno per il governo Savini-DiMaio è ardua, e il “ricatto dello spread” che si è già visto avere la capacità di riuscire a terminare il secondo governo Berlusconi, è un rischio che gli attuali leaders non vogliono correre senza provarle tutte, ivi compresa la carta delle alternative all’Unione Europea, se non collabora.
E qui la partita si fa delicata, perché se è vero che sulla parola di un Presidente americano perennemente sotto assedio non c’è da contare troppo, ecco che tornano d’interesse le alternative come la Cina (dove Tria, il ministro dell’economia pentastellato si è recato per un’intera settimana) dato anche il fatto che il fondo di investimento sovrano “Silk Road” possiede il 5% di Autostrade e potrebbe avere un deciso interesse strategico a soppiantare Atlantia e che tanto la Cina quanto la Russia potrebbero trovare interessante investire nelle infrastrutture viarie del nostro Paese (la partita sui titoli di stato si intreccia fortemente con quella della necessità di investimento nelle infrastrutture nazionali).

 
IL RISCHIO DI “CONTAGIO”
Insomma il “circolo vizioso” (doom loop) che rischia di ripetersi è quello già visto nel 2008/2009, quando la crisi di fiducia sulle banche (e tra le banche) aveva a sua volta alimentato le vendite sui titoli di stato fino a creare la voragine globale che ricordiamo.
Ora poiché nel medesimo autunno caldo che si appresta a vivere l’Italia c’è anche il rischio di un “sell-off” sulle borse europee ed americane (sia per i massimi toccati da Wall Street che per il rischio di contagio di quelle europee in caso di allarme sui titoli italiani), ecco che il debito italiano potrebbe avere tutte le caratteristiche per diventare il detonatore di una nuova crisi finanziaria globale e che anche su questo tavolo i ministri penta-leghisti cercheranno di vendere cara la pelle prima di ritrovarsi costretti al commissariamento europeo !
Stefano di Tommaso




METÀ ANNO & METÀ DEL GUADO

Giunti alla svolta dell’Estate, all’inizio del nuovo semestre solare e alla vigilia del nuovo G20, proviamo a fare il punto sulla situazione dei mercati e dell’economia globale e, soprattutto, sulla possibilità di una correzione estiva delle borse.

 

Con i prezzi al consumo stabili in Italia a giugno l’inflazione, grande protagonista di timori e aspettative nella prima metà dell’anno, è in calo dello 0,1% all’1,3% mentre nei prossimi mesi dovrebbe restare poco sopra questi livelli (media annua attesa del CPI a 1,5%). Alla stessa percentuale dovrebbe attestarsi in Eurozona la crescita dei finanziamenti ai privati.

L’OTTIMISMO DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA

Draghi perciò gongola: la situazione è in quella perfetta via di mezzo per la prosecuzione degli stimoli quantitativi (tra inflazione/deflazione, crescita moderata e borse non troppo esuberanti) che può permettergli al tempo stesso di continuare quasi indefinitamente a sostenere la liquidità in circolazione e i rinnovi dei titoli di stato italiani (di un eventuale stop se ne riparlerà oramai nel 2018) mentre l’Euro continua ad apprezzarsi sul Dollaro e su quasi tutte le altre valute (cosa molto gradita ai Tedeschi, che stanno partendo per le vacanze sentendosi un po’ più ricchi).

Nemmeno l’Italia trema: le esportazioni italiane vanno ugualmente un po’ meglio di prima (la fiducia delle imprese nel manifatturiero è passata a Giugno a 107,3 dal 106,9 precedente mentre nelle costruzioni sale a 129,8 dal 128,1 di maggio: ai massimi da quasi un decennio) e, se durante il momento di punta del turismo in Italia arriva un po’ più di valuta forte, la cosa non dispiace a nessuno.

L’Euro in salita invece alle borse europee un pochino disturba: chi fa i conti in Dollari continua a cavarsela con le performances ma concorrono alla debolezza delle borse continentali l’instabilità politica e bancaria italiana, gli effetti negativi (assai limitati invero) dell’uscita della Gran Bretagna e i dubbi sulla capacità di Macron di realizzare ciò che ha promesso. La situazione europea tuttavia non riuscirà a influenzare il corso delle borse, anzi fosse per quelle nostrane ci sarebbero anche segnali di cauto ottimismo.

I PERICOLI PER LE BORSE ARRIVANO DA OLTREOCEANO

Il mercato azionario è però sempre più globalizzato e, casomai, il vero pericolo che una correzione significativa su manifesti nel corso del mese arriva dal resto del mondo, dove un certo numero di tensioni stanno acuendosi: dalle difficoltà crescenti della presidenza Trump a quelle geopolitiche mediorientali, dal timore del crollo del sistema finanziario cinese, fino a quello dello scoppio della bolla speculativa derivante dagli eccessi di leva finanziaria di nuovo presenti sul mercato dei derivati (che nel 2008 è stato il vero detonatore).

Bisogna ricordare infine che buona parte degli shock sul mercato finanziario sono stati storicamente generati dalle mosse delle banche centrali e anche stavolta la Yellen potrebbe trovare il modo di portare avanti la tradizione tanto con il suo recente richiamo circa le valutazioni troppo elevate espresse dal mercato quanto per il fatto che un contesto americano di piena occupazione e crescita moderata potrebbe tentare la FED di continuare con il rialzo dei tassi, cosa che però potrebbe-nello scenario attuale- costituire un ulteriore ostacolo alla partenza degli investimenti nelle grandi opere infrastrutturali promesse da Trump.

A ciò va aggiunto che gli operatori si interrogano sulle implicazioni di una crescita economica americana fin troppo moderata che potrebbe far propendere il Congresso americano verso la definitiva archiviazione della riforma fiscale. Già solo questi ultimi due fatti, una volta incorporati nei modelli statistici degli analisti, possono far temere uno scivolone estivo delle borsa americana e, con essa, di buona parte di quelle asiatiche.

Questo non significherà necessariamente l’avvio di una nuova tempesta perfetta dei mercati, per via della crescita economica globale consistente e generata da variabili cosiddette “fondamentali” (demografia, capacità produttiva, tecnologie e globalizzazione). Ma solo che, all’alba del secondo semestre 2017, l’economia globale -giunta a malapena a metà del guado nel suo processo di rinnovamento- qualche ostacolo lungo il suo cammino verso un mondo migliore è praticamente scontato che lo si incontri

 

Stefano di Tommaso