LUXURY E BRAND HERITAGE: STRATEGIE COMPETITIVE (PRIMA PUNTATA)

Il mercato del lusso pur caratterizzato da dinamismo e di crescita continua sta vivendo uno stato di vera trasformazione che sta cambiando le dinamiche competitive e la natura della ricerca necessaria. Il lusso è un valore fondamentale del marchio tradizionalmente reso praticabile rafforzando la sua esclusività, selettività e accessibilità limitata.

Mentre la legittimità dei marchi di lusso è stata a lungo oggetto di notevoli dubbi, imarchi storici sono associati a credibilità e autenticità. Si ritiene che questa associazione positiva sia il risultato dell’immagine di autenticità del marchio storico e unicità.

Sebbene i concetti di lusso e patrimonio provengano originariamente da flussi di ricerca separati, condividono una prospettiva concettuale comune in termini di attenzione all’unicità e all’esclusività. In particolare, il consumo e l’uso di alcuni marchi migliora la percezione dei consumatori di differenziazione, esclusività e status. Si rileva perciò che concetto di patrimonio è un fattore di valore significativo per i marchi di lusso. E sempre più troviamo che i marchi storici stanno affrontano una sfida unica nel preservare un’immagine ancorata alla storia.

Il rapporto tra lusso e patrimonio diventa particolarmente intrigante se consideriamo come influenza le percezioni dei consumatori di diverse fasce d’età.

I marchi di lusso dal punto di vista economico sono stati definiti come quelli che possono comandare dove i consumatori si impegnano nel consumo di lusso per mostrare la loro ricchezza e ottenere uno status sociale. Quindi, la stima sociale dei consumatori, piuttosto che l’utilità funzionale, motiva il consumo cospicuo. Allo stesso modo, è stato sostenuto che l’unicità dei prodotti di lusso deriva dalla maggiore priorità data dai consumatori ai valori aggiunti simbolici e sociali. In effetti, i marchi di lusso in genere competono migliorando il valore del prodotto percepito dal consumatore attraverso l’esclusività, l’identità del marchio e la consapevolezza del marchio. Con l’esclusività come elemento centrale, il settore del lusso contraddice la logica dominante dell’accessibilità al mercato.

Il patrimonio del marchio comporta una celebrazione dinamica del passato attraverso il presente e il futuro prospettico. Di conseguenza, i marchi sono in grado di sfruttare il passato per proiettare un’immagine contemporanea basata sulla longevità e sulle tradizioni. L’influenza dell’orientamento temporale del branding sui consumi e la tensione tra passato, presente e futuro hanno generato uno spettro di strategie di marketing che hanno riscosso notevole interesse negli ultimi anni. Elaborando l’orientamento temporale del concetto di patrimonio, l’aspetto ereditario del patrimonio attraverso diverse generazioni consente la durabilità di quei valori che costituiscono aspetti chiave del patrimonio. In generale, ogni volta che un valore patrimoniale dura per più generazioni, allora si può considerare questo valore come una dimensione della sua stessa età ereditaria.

Tenuto conto di quanto sopra, risulta importante identificare e valutare la comprensione da parte dei consumatori dei marchi di lusso storici associati alle intenzioni di acquisto può aiutare le aziende a gestire la loro presenza tra i consumatori di diverse fasce d’età.

Ciò può essere strategico per assistere i gestori di marchi di lusso del patrimonio nelle loro strategie di marketing rivolte a diversi gruppi di età, in quanto i clienti reagiscono all’acquisto. In maniera completamente diversa. Ad esempio, la fedeltà dei clienti del segmento di consumatori più anziani potrebbe essere rafforzata ponendo maggiore enfasi sull’alta qualità e sulla durata degli articoli. Mentre, la tendenza e il design accattivante dovrebbero essere enfatizzati quando si prendono di mira adulti di mezza età ed emergenti.

Ecco che in una gestione aziendale di valorizzazione di un prodotto e di un brand, i professionisti del marketing dovrebbero concentrarsi sugli aspetti ereditari del marchio storico che promuovono il coinvolgimento e l’identificazione del consumatore con il marchio attraverso il collegamento con le origini dei marchi storici. I risultati dello studio indicano chiaramente che i marchi storici svolgono un ruolo importante nella scelta del prodotto, delle storie e dei valori del marchio. Mentre i brand manager dovrebbero quindi concentrarsi sui fattori che influenzano l’identificazione del marchio individuale e di gruppo.

Si può concludere che il patrimonio di un marchio ha un ruolo importante nella gestione del marchio stesso, guidandone il valore e la fiducia dei consumatori attraverso la propria storia. Citando due esempi nel settore lusso: Louis Vuitton con i suoi bauli LV infonde al consumatore lo spirito del viaggio, lo stesso può riguardare il settore dell’orologeria, dove un marchio viene identificato con un personaggio che ha indossato al polso un segnatempo, il caso di Rolex con il Paul Newman Daytona.

Ma se la longevità di un marchio viene preferita come prova positiva della fiducia duratura dei consumatori e della credibilità del marchio, anche i nuovi marchi che attingono al patrimonio possono ancora essere considerati marchi del patrimonio. Un altro aspetto importante per un’azienda che sfrutta la propria storia è la narrazione che può essere creata dal patrimonio sia culturale che aziendale, affermando così un marchio come “heritage brand”.

Ma quali sono i nuovi settori in crescita? E come vengono percepiti dai consumatori a seconda della fascia di età…tutto nei prossimi numeri


Marika Lion
Senior Partner La Compagnia Holding

Art & Luxury Wealth Adisory

Contatto:
Piazza Belgioioso, 2 20121 MILANO
Tel. +39 02 7706
marika.lion@lacompagnia.it

 




INVESTIRE COLLEZIONANDO: MODA O INVESTIMENTO? CRESCE L’ INTERESSE PER IL SETTORE DELLA GIOIELLERIA

La Compagnia Holding
Un momento magico per la gioielleria e per ogni altro bene di lusso. Cataloghi mozzafiato per tutte le case d’asta internazionali ma anche nazionali e che a dicembre prossimo presenteranno il meglio di quanto raccolto durante l’anno.

Gioielli raffinati, d’epoca e firmati sono la chiave di un interesse che sta crescendo in tutto il mondo. Ma anche oggetti moderni griffati e particolarmente costosi. Le case d’asta lo hanno ben capito che questo è il momento del lusso e competono con cataloghi davvero molto “brillanti”.
Una tendenza momentanea? non si direbbe. Oggetti da indossare ma meglio, sembra più un nuovo asset class di investimento a medio e lungo periodo visto che le cifre non sono poi cosi vantaggiose per una ricollocazione a breve sul mercato.

Investire in gioielli significa acquistare da conservare, seguire il mercato d’asta e conservarli fino a quando il loro prezzo sarà salito abbastanza da preservare l’investimento e godere di un incremento.
Nella scelta del gioiello sono importanti diversi fattori, il marchio meglio se noto. Oggi Cartier, Bulgari e Van Cleef & Arpelf, Chopard, Bulgari, sono sicuramente maison di prestigio, ma vanno considerati anche molti altri come: Buccellati, Vhernier, Pomellato,Tiffany, Jar, Verdura e altri ancora. Il prestigio riferito alla creazione da parte di un orafo importante è già un fattore determinante e su questi è importante valutare il materiale, la qualità delle pietre preziose e la concentrazione dell’oro, nonché la qualità di carati. Per prima cosa bisogna controllare il valore non tangibile quindi scegliere il gioiello con una storia unica alle spalle magari appartenuto a qualche personaggio famoso come un regnante oppure creato in un determinato periodo storico a tal proposito è importante visionare la sua storia

LA COMPAGNIA HOLDING
JOEL ARTHUR ROSENTHAL (JAR)

 

LA COMPAGNIA HOLDING

CARTIER ART DECO DIAMOND BRACELET
Stima GBP 70,000 – GBP 90,000 Christie’s Novembre 2021

 

LA COMPAGNIA HOLDING

Dalla Collezione di Liz Taylor
Collana di diamanti e smeraldi BVLGARI
Stima 1,000,000 – USD 1,500,000
Prezzo realizzato 6,130,500 USD

 

LA COMPAGNIA HOLDING
CHOPARD
Una collana di diamanti colorati, diamanti e oro bicolore Una collana su misura composta da quattro barre incastonate a pavé che sostengono file di diamanti gialli a forma di pera articolati, che passano a file di diamanti gialli briolette, firmata Chopard.
Asta Phillips dicembre 2021 Stima $ 300.000 – 500.000

 

LA COMPAGNIA HOLDING

OROLOGIO ‘PASHA’ CON DIAMANTI, CARTIER
Stima EUR 20,000 – EUR 30,000 Prezzo realizzato 87,500
Christie’s Febbraio 2021

 

LA COMPAGNIA HOLDING
Van Cleef & Arpels | Suite of Gold, Cultured Pearl, Emerald and Diamond ‘Barquerolles Lion’ Jewels, France
Sotheby’s 2020 Stima USD 50,000 – 70,000 Prezzo realizzato 81,900 USD

 

LA COMPAGNIA HOLDING
Finarte 23-24 novembre 2021 Importanti orecchini con diamanti
Stima € 250.000 – 300.000

 

Altro fattore da non trascurare è il contenuto, ossia metalli preziosi come l’oro e il platino, le pietre quali diamanti, smeraldi, rubini e le perle naturali. In questo caso si tratta di materie prime in metalli preziosi, perciò il loro valore è sempre confermato. Mentre l’oro è regolato dai mercati finanziari, i gioielli si pongono sul mercato, con valori che oscillano a seconda del momento storico. Parliamo perciò di oggetti fungibili e poiché sono tutti diversi per creazione (l’oro vale per la caratura sempre uguale) hanno un mercato molto meno liquido. Perciò l’investimento in gioielli va bene valutato su tutte le caratteristiche dell’oggetto che si intende scegliere.
Perciò è bene controllare alcuni punti molto importanti del prodotto perché è possibile previa visione trovare i vari elementi che possono influire notevolmente sul prezzo. Infine da non trascurare investimenti anche su gioielli moderni, sempre valutando eccezionale qualità di materiale e della presenza di significative pietre preziose. Si consideri La tendenza di prendere in considerazione tali oggetti va oltre la moda e perciò meglio sempre affidarsi a gioiellieri che possano confermare la loro affidabilità nel tempo. L’acquisto attraverso casa d’aste e dealer internazionali rappresenta ancora una certa e sicura garanzia. Al riguardo, una recente indagine sul mercato (market size 2021) post pandemia, indica con un segno positivo del 7% il settore “Jewelry” con una cultura del lusso di marca in crescita in mercati non tradizionali; la preferenza di gioielli unisex e un mercato e-commerce in crescita per scelta di prezzo.

La Compagnia al suo interno offre un servizio di Art & Luxury Wealth Advisory.

Per informazioni: marika.lion@lacompagnia.it

 




IL SUCCESSO DELLA “PET ECONOMY”

Abbiamo assistito negli ultimi anni ad un poderoso sviluppo dei cosiddetti “Pet Shop”, vale a dire dei negozi specializzati nel cibo e negli accessori per gli animali domestici. Non soltanto sono comparse un po’ ovunque pubblicità e nuove insegne, tanto quelle di catene di negozi specializzati (tra i più famosi: Arcaplanet, Maxi Zoo, Fortesan e L’Isola dei Tesori, i quali da soli totalizzano quasi 500 punti vendita in Italia), quanto di singoli negozi specializzati (sono quasi 5000 in Italia), ma anche nella Grande Distribuzione è impossibile fare a meno di notare l’espansione degli scaffali che espongono gli stessi articoli.

UN FENOMENO SOCIOLOGICO

Il fenomeno sociale della diffusione degli animali domestici nelle famiglie corrisponde ad una forte crescita del mercato di cibi e articoli per cani, gatti, uccellini, roditori, tartarughe e molte altre diverse tipologie di piccoli compagni domestici, proprio nel medesimo periodo in cui i consumi complessivi nazionali sono sostanzialmente rimasti piatti.

Cosa succede ? Noi italiani ci siamo riscoperti animalisti convinti? Oppure stiamo soltanto allineandoci ad una tendenza globale che riguarda i Paesi economicamente più sviluppati? Poiché nella sola Europa è stimato che vivano nei 75 milioni di famiglie oltre 200 milioni di animali domestici (rapporto ASSALCO-ZOOMARK 2017), è vera senza dubbio la seconda ipotesi, per quanto non si possa esprimere alcun nesso prevalente tra livello del reddito e numero di animali adottati nelle abitazioni: per esempio nella sola Russia pare convivano nelle abitazioni quasi 22 milioni di gatti e 16 milioni di cani!

Per continuare con i numeri europei, i gatti sono senza dubbio la specie maggiormente diffusa, con più di 70 milioni di esemplari, circa il 35% del totale, mentre i cani sono più di 62 milioni, cioè il 31%. La Francia è il paese con il maggior numero di felini: 12,6 milioni, record assoluto rispetto agli altri Paesi comunitari più popolati dai gatti, ovvero Germania (11,8 milioni). Per quanto riguarda i cani, il Regno Unito è la nazione che ne ospita di più, con 8,5 milioni di esemplari, seguito a breve distanza da Francia, Italia e Germania (rispettivamente 7,3 milioni, 7 e 6,8 milioni di cani).

Nei 25,8 milioni di famiglie degli Italiani pare peraltro vivano oltre 60 milioni di animali (vale a dire 2,3 per ogni famiglia, con il 58% delle quali ha un solo animale domestico, il 20% ne ha un paio, mentre il 14% ne possiede 4 o più), con una forte prevalenza dei pesciolini (quasi il 50% del totale) cui fanno seguito quasi 13 milioni di uccellini (oltre il 21% del totale), 7milioni e mezzo di gatti e quasi 7 milioni di cani. I Pet sono visti meglio dalle famiglie con più di 3 componenti (oltre il 54% ne ha almeno uno) e dalle persone più mature: dai 45 ai 64 anni d’età quasi metà degli italiani ne ha almeno uno, mentre il 24% degli Italiani anziani (dai 65 nei d’età) convive con almeno un animale.

I NUMERI DELLA PET ECONOMY IN ITALIA

La presenza degli animali domestici genera dunque non soltanto un cospicuo fenomeno sociale che andrebbe analizzato forse meglio di quanto si è visto e letto sino ad oggi, ma soprattutto determina una serie di consumi che sono arrivati a pesare non poco nel bilancio domestico.

Solo per ciò che riguarda il cibo, il mercato italiano risulta dominato dalle vendite di alimenti per cani e gatti con un giro d’affari di quasi 2 miliardi di euro, per un totale di 559.200 tonnellate commercializzate.

Se lo suddividiamo per Area Geografica (2016), l’Italia Settentrionale con il 52,8% copre oltre la metà del mercato nazionale complessivo, mentre al Centro Italia e in Sardegna gli alimenti per animali sono venduti per il 28,4% del totale. Infine il Sud Italia, con il 18,7%, si caratterizza per la più bassa penetrazione di cibo confezionato per gli animali, oltre che per la ridotta copertura del territorio da parte delle principali catene nazionali di Pet Shop.

Supermercati e Ipermercati risultano il canale di vendita più diffuso per il cibo “Pet” (46,3%), seguiti dagli altri supermercati (10% circa), dai negozi tradizionali specializzati (31% circa) e dalle catene di Pet Shop (7% circa), le quali però sono in forte crescita

Quasi trascurabile appare l’incidenza della spesa per accessori per animali (poco più di 72 milioni in valore nel 2016 rispetto ai quasi 2 miliardi di euro per il cibo), sebbene in crescita decisa. Nonostante le cifre sopra esposte, il mercato del cibo per animali domestici (Pet Food) è atteso in crescita anche per i prossimi anni, soprattutto per gli “snack” per cani e gatti ma ci si aspetta una contrazione del mercato degli «alimenti per altri animali da compagnia».

Da notare però che, nonostante gli «altri» pet rappresentino in Italia circa l’80% della popolazione di animali domestici, il relativo mercato a valore corrisponde a meno dell’1% del totale ed è quindi poco significativo. Sia la Grande Distribuzione che le catene di Petshop presentano trend positivi, soprattutto per quanto riguarda i volumi di vendita di Food. Al contrario, i Petshop tradizionali tendono ad accordarsi e a perdere quote di mercato.

Per il prossimo futuro la direttrice principale del trend positivo è da identificare nella maggiore attenzione dei proprietari nei confronti della cura (è in crescita verticale, sebbene ad oggi di proporzioni trascurabili, il fatturato dei servizi di toelettatura) e della salute dei propri animali, e quindi nella spesa per i veterinari e nella scelta dei prodotti dedicati, dal momento che è stato dimostrato che gli animali nutriti con cibo specializzato prodotto in forma industriale vivono mediamente quasi il doppio di quelli alimentati con gli avanzi della tavola.

Poiché la pet economy è cresciuta nonostante la recente crisi dei consumi ed è attesa in ulteriore crescita, è evidente che il fenomeno attrarrà anche nuove risorse finanziarie, forti sviluppi nelle catene distributive, con la progressiva aggregazione dei negozi singoli in catene specializzate e la crescita del commercio online dei prodotti per la cura degli animali, che ancora oggi rappresentano una frazione infinitesimale dei volumi totali.

Stefano di Tommaso 




I RETROSCENA DEL MILIARDO DI EURO SBORSATO DA MICHAEL KORS PER COMPRARE JIMMY CHOO: UN BIGLIETTO DI INGRESSO NEL PARADISO DEI BENI DI LUSSO

Le sorti del titolo Michael Kors a Wall Street non andavano troppo bene da un anno a questa parte, complice una certa disaffezione degli investitori istituzionali nei confronti dei produttori generalisti di accessori e abbigliamento come pure delle grandi catene fisiche distributrici nel medesimo settore (vedi grafico):

 

NONOSTANTE LA CRESCITA DEL FATTURATO, IL MERCATO AZIONARIO NON APPREZZAVA LA MICHAEL KORS

La stessa Michael Kors aveva annunciato lo scorso Maggio la possibile chiusura di un centinaio di propri punti vendit. La disaffezione del mercato nei confronti delle catene di distribuzione di accessori e abbigliamento ha anche provocato di recente la riduzione del numero di operazioni di fusioni e acquisizioni nel settore, come si può vedere nel grafico qui riportato:

La morsa del commercio elettronico infatti si sente un po’ per tutti gli operatori, ma l’accordo di compravendita relativo a Jimmy Choo (la marca preferita di scarpe dell’attrice Sarah Jessica Parker, notissima come Carrie Bradshaw, protagonista indiscussa della fortunata serie televisiva “Sex&the City”) rivela un aspetto inusitato del mercato: la disaffezione degli investitori evidentemente non riguarda i grandi marchi del lusso!

IL PREZZO È ESORBITANTE MA È UN BUON MATCH

Il prezzo pagato (+36% sul valore di base d’asta dei venditori) appare anche significativamente superiore all’obiettivo di raddoppio delle vendite che Michael Kors si attende dal rilancio di Jimmy Choo: un miliardo di dollari entro pochi anni dopo che la stessa ha concluso il 2016 con un fatturato di $460 mln. Anche prendendo per buono tale obiettivo, il prezzo pagato è ancora del 20% superiore alle vendite attese (in dollari è stato pari a circa 1,2 miliardi!

Invece di preoccuparsene però il mercato azionario americano ha premiato l’annuncio dato da Michael Kors quando questi ha rivelato il fortissimo esborso per la Jimmy Choo. Ecco il grafico:

LA SCARSITÀ DI MARCHI DI GRANDE RINOMANZA

Il più diffuso commento sull’operazione riguarda infatti la relativa scarsità di target di grande qualità per possibili acquisizioni da parte degli altri operatori.
Il mercato scommette dunque sul fatto che i (pochi) marchi di assoluto prestigio restino indenni dalla mattanza dei margini operativi nel settore monda derivante dall’effetto congiunto della globalizzazione e delle vendite online.
In altre parole, l’acquirente attraverso questa operazione, è riuscito a riaffermare la sua  natura complessiva di grande operatore nel mercato dei beni di lusso. Un mercato che non teme rivali in quanto a moltiplicatori e stabilità dei profitti.

IL MONDO DORATO DEI BENI DI LUSSO

Ecco ad esempio il grafico dell’ultimo anno relativo al titolo Kering (conosciuta in precedenza come Pinault-Printemps-Redoute o PPR): una multinazionale fondata dall’imprenditore francese Pinault. Kering capitalizza in borsa 47 volte gli utili attesi di circa un miliardo di dollari e viene valutata perciò 47 miliardi. Come si può vedere l’andamento è rimasto sempre positivo e l’indice della variabilità del suo prezzo in relazione al resto del mercato (il beta) è estremamente ridotto (cioè è un titolo stabile ed in crescita).

UN LEADER CREDIBILE

Le considerazioni degli analisti non si sono evidentemente fermate qui: John Idol, il leader della Michael Kors che l’ha rilevata nel 2003 quando fatturava 20 milioni di dollari, ha chiuso in crescita il fatturato 2016 a 2,4 miliardi di dollari e può vantare una significativa esperienza nel settore in qualità di ex direttore generale di Donna Karan (DKNY), una storica icona della moda americana.

Il suo programma per far crescere il valore dell’acquisizione (dalle sinergie nelle borse da donna a quelle nelle scarpe da uomo) è piaciuto agli analisti ed è stato percepito all’altezza della sfida: quella della sua definitiva accettazione nel mondo dorato del lusso, “l’unica sovrastruttura capitalista non soggetta a cedimenti anche quando il mondo crolla”, come scriveva il beato Antonio Rosmini, per giustificare le spese dei ricchi della cerchia di Alessandro Manzoni che gli permettevano di studiare in collegio a Stresa.

 

Stefano di Tommaso