GRANDI MINACCE E GRANDI OPPORTUNITÀ

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Le ultime caotiche settimane hanno fornito nuovi segnali e sintomi di un malessere generale dell’economia globale confermando quello che da tempo quasi tutto gli osservatori stanno dicendo: è in arrivo un’ importante recessione globale. Ragione per cui gli investitori restano ammutoliti e privi di entusiasmo, gli operatori economici rinviano molte decisioni di investimento e i consumatori -già impoveriti dalla riduzione del potere d’acquisto- riducono la domanda di beni e servizi, in attesa di tempi migliori.

 

LA MINACCIA DELLA RECESSIONE HA FATTO SCENDERE I MERCATI

Sarebbe difficile usare parole più nere di quelle appena scritte eppure i mercati finanziari hanno già perduto circa un terzo del valore annuo del prodotto globale lordo e le prospettive rischiano di essere ancora peggiori.

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Sembra insomma in arrivo la tempesta perfetta, mentre i venti di guerra soffiano più impetuosi che mai e il rischio di nuovi disastri ambientali incombe più di prima dal momento che quasi ogni precedente iniziativa rivolta a moderare l’impatto dell’emergenza climatica e dell’inquinamento planetario appare rinviata a tempi migliori, data la crisi energetica che avvolge buona parte delle economie industriali.

Tra l’altro a riprova del fatto che una contrazione del prodotto lordo è già in corso, è sufficiente osservare nel grafico qui riportato quanto si siano ridotti i costi dei trasporti marittimi, evidente anche a causa della riduzione della domanda:

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Cosa succede dunque? Davvero il mondo è rivolto ad un disastro economico epocale? Ovviamente molto dipenderà dall’esito delle fortissime tensioni politiche internazionali oggi in corso, mentre si sta creando una delle maggiori “spaccature” della storia dell’umanità tra il blocco occidentale delle nazioni (maggioritario in termini di ricchezza economica e tecnologica) e quello orientale e dei paesi emergenti (maggioritario invece in termini di popolazione mondiale e di risorse naturali).

I CONFLITTI ARMATI SI MOLTIPLICANO

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Generalizzare è quasi impossibile e molte grandi nazioni cercano di articolare le loro posizioni politiche sforzandosi di non prendere troppo parte alle attuali contrapposizioni tra i due blocchi (a partire dall’India, che avrebbe tutto da perdere nello schierarsi molto apertamente), ma ciò nonostante la sostanza dei fatti non cambia granché: il mondo sta correndo verso una nuova recessione economica globale e aumenta a dismisura il rischio di nuovi conflitti bellici epocali.

L’Europa (e in particolare Germania e Italia, le due principali strutture industriali del vecchio continente) in questa congiuntura -pur essendo schierata sin troppo lealmente con l’alleato americano- è stato senza dubbio il vaso di coccio tra i due d’acciaio, tanto per la sua forte dipendenza dalle forniture energetiche russe che sono venute meno in modo repentino, quanto per i maggiori costi dovuti ai rincari del Dollaro, delle materie prime e dell’energia, che l’hanno resa assai poco competitiva.

Per quali motivazioni tutto ciò avvenga è difficile per chiunque oggi spiegarlo e forse nel prossimo futuro ci vorranno decenni per farlo nel modo più corretto (senza cioè cadere in fuorvianti semplificazioni). Ma certo oggi la vera domanda -una volta metabolizzata la situazione- è divenuta per quasi tutti i cittadini del mondo un’altra: come comportarsi (razionalmente) di conseguenza?

COSA FARE?

Difficile è infatti accettare la dura realtà: il mondo è sulla china di grandi passi indietro nell’evoluzione dell’umanità, la libertà di opinione e di azione di buona parte della popolazione mondiale è fortemente a rischio e persino i grandi avanzamenti sociali, culturali e scientifici del genere umano rischiano di venire in tal modo cancellati. Ma -una volta inquadrati correttamente i rischi che corriamo- ancor più difficile è valutare quale comportamento assumere.

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Purtroppo non soltanto la domanda risuona forte per chiunque osservi i mercati finanziari, scossi da un’inflazione dei prezzi che sembra stabilmente tornata ai livelli visti l’ultima volta più di quarant’anni addietro e gettati nel panico altresì dal comportamento -apparentemente poco comprensibile- delle banche centrali occidentali (nell’immagine il governatore della FED: Powell), che stanno rialzando bruscamente i tassi di interesse. Questo comportamento è andato sino ad oggi a vantaggio del Dollaro ma rischia di alimentare la crisi economica che già oggi consegue all’inflazione.

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Non soltanto. Il timore fare di errate valutazioni passa ora infatti dalle banche centrali anche all’economia reale, dal momento che qualsiasi operatore economico dovrà confrontarsi con crescenti costi energetici e con la lunghissima filiera di rincari che ne consegue per: materie prime, manufatti e servizi. Qualsiasi operatore economico inizia perciò a chiedersi di quanto si restringeranno i consumi e di conseguenza i suoi mercati di sbocco.

IL CAMBIAMENTO ACCELERA CON LA CRISI

Come dire cioè che, ammesso che nonostante i rincari gli imprenditori riescano a restare in piedi riuscendo cioè a limitare i danni e/o a ribaltare i maggiori costi sui prezzi di vendita, le imprese dovranno anche confrontarsi con l’arrivo della recessione e con i possibili cali dei consumi. Se una grande recessione economica globale si farà sentire sarà perciò giocoforza limitare gli investimenti programmati, tanto per ragioni di opportunità quanto per gli incrementi dei costi e le riduzioni delle disponibilità finanziarie che ne conseguiranno.

La riduzione degli investimenti innalzerà poi inevitabilmente la disoccupazione, nonché i gettiti fiscali che -in buona parte del mondo occidentale- sostengono i pagamenti degli interessi da versare a remunerazione dei debiti pubblici. Al tempo stesso tutti chiederanno interventi pubblici in deficit di bilancio, alimentando la crescita dei debiti pubblici oltre ogni ragionevolezza.

Ciò crea inevitabilmente nuove tensioni e nuove pressioni politiche, soprattutto a danno delle nazioni più deboli e a relativo vantaggio di quelle più forti. Nei grafici che seguono: il rialzo dei rendimenti che il mercato ha imposto ai nostri titoli di stato e, di conseguenza, l’incremento della divaricazione (lo “spread”) con i rendimenti dei titoli di stato tedeschi.

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Ma lo stesso varrà anche per le imprese, tra le quali le più piccole subiranno maggiormente e saranno probabilmente fagocitate dalle maggiori. Sarà quindi doveroso tornare ad affermare quanto già ampiamente chiarito in occasione della recente crisi conseguita alla pandemia globale che il mondo ha appena subìto: questi eventi traumatici generano una forte accelerazione verso il cambiamento, in ogni direzione. Un cambiamento in molti casi traumatico ma anche foriero di importanti novità, e circa il quale occorre fare molta attenzione. Gli imprenditori e gli operatori culturali più attenti riusciranno probabilmente a cavalcarlo, altri potranno invece quasi soltanto subirlo.

EFFICIENTARE, COLLABORARE, CAPITALIZZARE…

Ma il cambiamento non riguarderà soltanto i mercati, le tecnologie e le tendenze dei consumi. Riguarderà inevitabilmente anche la struttura sociale e quella delle imprese. Il livello di capitalizzazione e di efficienza, i quali dovranno inevitabilmente incrementarsi a dismisura. Difficile dire cosa succederà a tutti coloro che resteranno indietro in tale processo, ma è più facile prevedere cosa dovrebbero fare tutti coloro che riusciranno a porsi tali questioni per tempo: riflettere ma poi agire presto, efficientare, collaborare e creare alleanze, assicurarsi capitali e intelligenze. E il tutto prima che sia troppo tardi.

Che arrivi o meno una nuova grande crisi economica dell’economia reale (oggi siamo ancora soltanto ad una stagnazione” delle economie del blocco occidentale) dipenderà ovviamente moltissimo dal livello di conflitto che si svilupperà a livello geopolitico. Ma -qualunque cosa succederà- sono sufficienti le attuali tensioni, le attuali aspettative e le attuali problematiche per poter affermare che -ancora una volta- il ritmo evolutivo dell’economia planetaria, così come dell’industria e delle abitudini della gente, è irrimediabilmente destinata ad accelerare. E questo per molti versi acccadrà indipendentemente dell’intensità della crisi. La centrifuga insomma sta accelerando e qualcuno ne rimarrà travolto. Però qualcun altro ne uscirà vincitore, anche a motivo del vuoto che viene creato. Come sempre peraltro…

Stefano di Tommaso




INFLAZIONE, COME NEGLI ANNI ‘70 ?

inflazione
All’arrivo dei vaccini quest’anno le economie di tutto il mondo hanno vissuto un momento di eccezionale ripresa economica, principalmente spinta dalla ripresa dei consumi e dalla necessità della gente di tornare ad una vita normale. Pochi mesi dopo il gran rimbalzo però c’è il rischio che il forte rincaro dei prezzi possa agire come una tassa occulta sui nuclei familiari spingendo l’andamento economico esattamente nella direzione opposta, verso cioè una contrazione. Anche i margini industriali sono sotto pressione perché spesso il forte rialzo dei costi non si riesce a trasferirlo sui prezzi di vendita. E le grandi multinazionali stanno rivedendo le loro filiere produttive localizzando gli acquisti e verticalizzando le produzioni.

 

È IL COSTO DELL’ENERGIA CHE PUÒ ACCENDERE LA MICCIA

In Europa la bolletta energetica (tutto compreso: dal riscaldamento agli elettrodomestici fino al costo dei carburanti per gli spostamenti) conta almeno per il 10% della spesa per consumi e le statistiche indicano che la crescita dei costi in questo ambito sta arrivando al 40% rispetto al periodo pandemico. Inutile aggiungere che essa rischia di trascinare verso l’alto i prezzi di buona parte degli altri beni di consumo, a partire dal cibo, fino a buona parte delle materie prime, danneggiando fortemente le filiere abituali di fornitura delle imprese manifatturiere.

Energy is expected to push up inflation

L’INDUSTRIA RIDUCE I VOLUMI PRODUTTIVI

L’aumento dei prezzi dei fattori e dei costi di produzione a sua volta sta spingendo le imprese (soprattutto le più grandi e più internazionalizzate) a rivedere fortemente la propria dipendenza dalle filiere “lunghe” cioè dal commercio internazionale, sia per la forte crescita dei prezzi di trasporto, che per la scarsa affidabilità che hanno mostrato in questi mesi di forte contrazione della disponibilità di componenti essenziali come ad esempio i semiconduttori. Anche perché oramai si teme che la scarsità delle forniture possa durare ancora per qualche annetto.

Backlogs soar at German carmakers

Le fabbriche asiatiche sono costipate di ordini ma la sensazione è quella che esse siano sempre meno interessate ad esportare ad occidente le proprie produzioni dal momento che la domanda locale è in crescita così come i prezzi di acquisto di materie prime e semilavorati. Se questo problema è valso durante l’estate quasi solo per l’industria automobilistica e quella aeronautica, già alla fine di Agosto esso si era esteso a buona parte del resto delle produzioni, generando rialzi dei costi di produzione che in molti casi le imprese non sono state in grado di riversare sui prezzi di vendita e soprattutto forti contrazioni nell’output produttivo.

COME NEGLI ANNI ‘70 ?

La scarsità dei beni che si riversano sul mercato è ovviamente sempre il primo fattore responsabile dei rialzi dei prezzi e, a guardare in prospettiva ciò che sta avvenendo, sembra proprio di essere tornati alla corsa all’accaparramento che si è vista all’inizio degli anni ‘70. E tutti sanno com’è finita: la spirale inflazionistica dei prezzi a due cifre che si è generata dopo un po’ di tempo in cui tutti pensavano che il rialzo fosse temporaneo ha sconvolto il mondo e ha creato problemi tanto ai mercati finanziari quanto ai cambi valute.

Consumer price index

Sebbene gli ultimi dati indichino qualche controtendenza negli Stati Uniti d’America, le cui imprese sono state anche le prime a soffrire di questi problemi, bisogna tener conto del fatto che il continente europeo è molto più esposto di quello americano alle importazioni dal sud-est asiatico ed è molto più dipendente dalle importazioni di quanto lo sia l’America.

IL PESSIMISMO AUMENTA TRA GLI INDUSTRIALI

Tanto che una recente pubblicazione di Bank of America indica tra i fattori di pessimismo per l’economia più l’inflazione che la ripresa della variante Delta del Covid-19. In America poi a scendere sono stati quasi solo i prezzi dei beni e servizi che hanno vissuto più intensamente la ripreso dopo la fine del lockdown, come i ristoranti e i biglietti aerei, ad esempio. I nuovi contagi dovuti alla variante delta hanno di nuovo calmierato quei consumi, ma gli altri prezzi hanno registrato un’ulteriore accelerazione, per cui è legittimo supporre che, quando l’attuale ultima ondata pandemica si sarà esaurita, l’inflazione riprenderà a crescere.

European future gas prices are soaring

E LE TASSE POTREBBERO ADDIRITTURA SALIRE

Il problema è così grande che anche i governi di quasi tutto il mondo si stanno muovendo, nella consapevolezza del fatto che la situazione può peggiorare bruscamente con l’arrivo di un possibile inverno freddo. Si sta pensando a sgravi fiscali e alla possibilità di controbilanciare i timori diffusi con nuove misure fiscali espansive che, se da un lato possono favorire gli investimenti e contribuire a migliorare la fiducia delle imprese, dall’altro lato gettano ulteriori timori circa l’acuirsi dell’inflazione e circa il rischio che il prelievo fiscale possa incrementare ulteriormente nei prossimi mesi per effetto degli interventi governativi. E nel nostro Paese che già ha superato ogni record sarebbe una vera iattura!

European OECD Country Rankings

Il momento magico della ripresa economica sembra insomma essersi esaurito fin troppo velocemente, lasciando il campo alla sensazione che si sia innescato quest’anno il medesimo movimento infernale che ha portato -cinquant’anni fa- al primo importante shock petrolifero globale e all’incapacità da parte delle autorità monetarie, di arginare l’inflazione dilagante.

DI NUOVO TROPPO OTTIMISMO SUI MERCATI

Inutile dire quello che sappiamo già: che i mercati finanziari probabilmente anticiperanno tutto ciò con molto disordine sui listini delle borse e una spiccata ripresa della volatilità complessiva, nonché degli ovvi possibili rialzi dei tassi d’interesse. Correzioni in vista dunque? È assai probabile, sebbene il peggiorare delle condizioni economiche globali possa indurre le banche centrali a continuare a pompare liquidità sui mercati, quantomeno per acquistare titoli del debito pubblico. È su questa base che sino ad oggi c’è stato fin troppo ottimismo, come si può leggere dal grafico riportato:

bearishness

L’effetto di questi interventi però sino ad oggi ha tenuto alto il livello delle quotazioni borsistiche, ed è possibile che questa tendenza non sia affatto esaurita. È ciò che spinge alla prudenza i gestori dei patrimoni in questi giorni, nel timore di fare qualcosa che potrà rivelarsi stupido nel giro di poco tempo, andando a intaccare la bella performance sul valore dei portafogli, accumulata nei primi trimestri di quest’anno.

SCENDERANNO I MARGINI INDUSTRIALI ?

Ma è l’altro timore quello che può giocare un brutto scherzo alle borse: il rischio che i maggiori costi possano provocare una clamorosa riduzione nei margini di profitto delle imprese (sui quali si basano le valutazioni aziendali). Il grafico qui sotto riportato (pubblicato da Bank of America) mostra i risultati di un recente sondaggio tra i gestori di fondi di investimento, e parla fin troppo chiaramente.

Margins expected to worsen

E per quanto anche questo rischio del calo dei margini industriali e di conseguenza dei profitti netti attesi sia ancora prevalentemente percepito come temporaneo e passeggero, qualche riduzione della fiducia dei mercati può provocarla ugualmente, oltre a quella sensazione di amaro in bocca che lasciano le numerose analogie con quanto già avvenuto negli anni settanta, in cui ci vollero un paio d’anni per comprendere che la fiammata inflazionistica non era più da considerarsi “temporanea”.

Stefano di Tommaso




DRAGHI E TRUMP POTREBBERO DELUDERE I MERCATI

Stavolta le borse sembrano più prudenti del solito, in attesa del Consiglio della Banca Centrale Europea di Giovedì, perché le quotazioni incorporano sì l’aspettativa di un giudizio più severo sulla salute dell’economia nell’Euro-Zona ma anche quella (non ovvia ma ugualmente attesa con ansia) che la BCE possa lanciare di conseguenza nuovi stimoli monetari, quantomeno per scongiurare un nuovo “Credit Crunch” nelle zone più svantaggiate. Se gli stimoli saranno annunciati, allora ne beneficeranno innanzitutto le banche e le quotazioni delle borse valori. Quel che non è così scontato però è che le due notizie (la rilevazione dell’andamento macroeconomico e il pacchetto di stimoli monetari) giungeranno nello stesso momento.

 

La BCE potrebbe infatti riservarsi di calibrarne meglio il lancio e rimandarlo ad Aprile. Ma se questo avvenisse non sarebbe un bel segnale per i mercati nè per lo spread tra i Bund e i BTP. Le pressioni dei mercati sul governo italiano e sulla sostenibilità del debito pubblico nazionale potrebbero accrescersi, generando di conseguenza nuovi timori e nuove fughe di capitali dal nostro Paese e, a volerci ricamare sopra, forse queste ultime avidamente agognate dai registi occulti dello spettacolo in scena.

E’ un po’ quel che è accaduto per la sorte del dialogo Cina-America tanto agognata dalle borse internazionali: ci si aspettava che Trump segnasse già nei giorni scorsi due goal spettacolari, tanto al tavolo da gioco dei rapporti commerciali quanto sullo scacchiere ancora più complesso dei negoziati strategici con la Corea del Nord (considerata ancora un vero e proprio satellite della politica estera cinese, che mira a porre una propria zampata significativa sulla futura Corea riunita): il successo probabilmente ci sarà, ma nessuno ne ha davvero fretta, e nel frattempo le borse non brindano. Ora si parla di un consenso generale per la firma dell’accordo commerciale con la Cina al 27 di Marzo, sebbene nemmeno quella data sia certa.

Sullo sfondo poi le preoccupazioni sull’andamento dell’economia nel suo complesso aumentano e molti si chiedono se la crescita economica che ci si attendeva si verificherà davvero, inducendo perciò l’esposizione degli investitori al rischio dei mercati verso atteggiamenti di maggior prudenza ma soprattutto generando un ovvio “volo verso la qualità” dei capitali che, nel dubbio, preferiscono spostarsi sulle piazze finanziarie più liquide e sicure, riducendo la loro presenza dunque nell’Europa periferica (dove siamo noi Italiani), nonché in Cina e in molti altri Paesi Emergenti. Questa tendenza può suggerire a Donald Trump di generare altra pressione sull‘interlocutore cinese attraverso la fibrillazione dei mercati finanziari, anche al fine di indurlo a più miti consigli.

Ma a ben vedere lo stesso concetto può valere anche per i Paesi partner dell’Unione che oggi più influenzano la Commissione Europea (leggi Francia e Germania), non esattamente allineati con l’idea di veder proseguire con successo la manovra del governo giallo-verde in Italia, e dunque meno inchine a vedere la BCE agire troppo prontamente per tutelare i titoli scambiati sulle piazze finanziarie periferiche come la nostra.

Non ci sarebbe da stupirsi dunque che l’attesa di nuovi spunti dei mercati finanziari si trasformi in un lento logorìo, o addirittura in un vero e proprio allarme, pur non potendo imputarne la colpa a Mario Draghi, che resta condizionato alle decisioni collegiali del Consiglio e rimane in uscita a breve termine.

Non è ovviamente questo l’unico scenario possibile: il super governatore potrebbe ugualmente tentare un colpo di scena dai risvolti patriottici o anche soltanto un commento più generoso, e in fondo gli osservatori un po’ ci sperano.

Così come a Wall Street l’attesa della fine delle guerre commerciali tra poco più di un paio di settimane tiene ancora gl’indici sui massimi. Le borse possono contare ancora su un’ottima liquidità e sull’ennesima aspettativa di buoni profitti industriali che saranno pagati a breve dalle imprese quotate, dunque la benzina non manca loro e non hanno troppi problemi anche a divergere vistosamente dall’andamento delle principali variabili macroeconomiche, tutte o quasi oramai orientate all’opposto degli indici di borsa e delle quotazioni dei titoli a reddito fisso.

È per tutti questi motivi che nulla è scontato, e che in queste ore la cautela regna sovrana. Ma in fondo l’attesa è breve. Tra Giovedì e Venerdì qualche carta verrà scoperta.

Stefano di Tommaso




L’EUFORIA DELLE BORSE

Che le prospettive di un indebolimento dell’economia reale non significhino necessariamente che le borse debbano crollare lo sapevamo già, ma che addirittura gli indici di tutte le principali borse del pianeta portassero a casa una settimana da record non era così scontato che potesse accadere. La domanda perciò è: cosa succede? Quali aspettative spingono gli investitori ad alimentare il “rally di Maggio”? I mercati lo hanno già ribattezzato “Iran Deal”.

 

Al di là dell’ovvia affermazione che la risalita del prezzo del petrolio ha beneficiato le numerose aziende quotate le cui sorti sono legate a questa variabile, non sembra facile rispondere compiutamente, proviamo perciò a esaminare i fatti:
•In funzione delle tensioni geopolitiche, oro e petrolio toccano nuovi massimi e trainano i listini di molte aziende energetiche, chimiche e industriali;

•I rendimenti a lungo termine si stabilizzano poco sotto il 3%, così come pure si riducono le ansie da risalita dell’inflazione e questo sembra dare ossigeno alle banche e alle compagnie assicurative, nonché più tempo alle banche centrali per far salire i tassi;

•Il Dollaro continua ad apprezzarsi contro tutte le altre valute ma soprattutto mette in difficoltà il cambio con buona parte dei Paesi Emergenti e fa scendere per gli americani il prezzo delle materie prime.


La montagna di preoccupazioni che la stampa internazionale ha quasi unanimemente sollevato per le tensioni commerciali con la Cina è stata ignorata dai mercati finanziari mentre l’abbandono dell’accordo nucleare sull’Iran da parte degli U.S.A., ha fatto ascendere le quotazioni di Dollaro e Petrolio generando il topolino di un “hurrà” dei mercati finanziari! L’effetto può apparire strano se non si comprende a fondo lo stato d’animo dei mercati, che nella misura dei rischi percepiti valutano molto più gravemente l’incremento dei tassi di interesse che non quello delle probabilità di un conflitto.

L’indice STOXX® Global 1800 è un indice relativo all’andamento di un paniere selezionato di 600 titoli azionari americani, 600 europei e 600 asiatici. Eccone il grafico, dove si può ben vedere la decisa rimonta delle borse da fine Marzo ad oggi, a un passo dal massimo, raggiunto a Gennaio 2018:


Senza dubbio il rientrato allarme sull’inflazione americana (quella europea sembra quasi inesistente) e il ritorno dei tassi a lungo termine sul Dollaro al di sotto del 3% ha poi scoraggiato la speculazione dal portare avanti indefinitamente le proprie posizioni ribassiste costringendola a ricoprirsi, ma è sufficiente questo fattore a spiegare la corsa di Wall Street del 2,4% in una settimana?

Sicuramente il temuto (almeno in America) surriscaldamento salariale non c’è quasi stato: le retribuzioni medie orarie dell’ultimo trimestre sono cresciute del 2,6% rispetto ad un anno prima, esattamente un decimo della crescita dei profitti netti delle aziende americane nello stesso periodo (+26%), mentre la disoccupazione è scesa al livello record del 3,9%.

Ma la vera notizia degli ultimi giorni sembra essere quella che non ci sono grandi notizie (negative), soprattutto in tema di crescita economica globale:

 

 

 

 

 

 

 

 

Dunque: se nell’economia americana (che fa da traino alle tendenze di tutte le altre) l’inflazione sale meno del previsto, il prodotto lordo prosegue senza scossoni la sua crescita e le tensioni mediorientali non spaventano i mercati ma giustamente li mettono un po’ in allerta, ecco allora che si prospetta un quadro in cui le banche centrali difficilmente accelereranno sulla previsione della risalita dei tassi d’interesse.

Se combiniamo il dato di fortissima crescita dei profitti aziendali con quelli di debole risalita del costo del lavoro e dell’inflazione, con la ricopertura delle posizioni speculative al ribasso e infine con la caduta dei timori di accelerazione della risalita dei tassi di interesse (e della conseguente riduzione della liquidità in circolazione), ecco che la ricetta è completa: i risparmiatori tornano a comperare titoli e fondi azionari e i mercati possono continuare a marciare a gonfie vele, almeno sintantoché la liquidità resterà abbondante !

Non chiedetemi però fino a quando. Non lo sa nessuno, nemmeno gli economisti che continuano a snocciolare (spesso a ragione) dati preoccupanti a proposito dei timori relativi alla fragilità delle economie dei Paesi Emergenti davanti alla risalita di Dollaro e Interessi, nonché nei confronti della presunta maturità del ciclo economico o meglio, come afferma qualcuno più autorevole del sottoscritto, di quella del “ciclo del credito” (e dunque dell’abbondanza di liquidità). Ecco un grafico che mette a confronto i periodi di recessione già vissuti con l’andamento del ciclo del credito:


Sarà anche vero (e dunque pericoloso) ma intanto l’andamento attuale del grafico mostra una maggior similitudine con quello dell’ultimo decennio del 1900 che con il primo decennio del 2000. Ma poi non possiamo non accettare che sino ad oggi sono stati i governi ed i mercati -con i loro “animal spirits”- a mostrarsi più autorevoli degli economisti e questi ultimi, si sa, sono tendenzialmente pessimisti e sicuramente più deboli, dunque finiscono con l’aver spesso torto. Voglio proprio vedere se se la prenderanno con Trump anche per questo motivo!

Stefano di Tommaso