IL BITCOIN A 235.000 DOLLARI?

Il prezzo della criptovaluta più famosa del mondo è cresciuto, dal 2010 ad oggi, 5 milioni di volte, provocando una miriade di reazioni e la convinzione generale che si tratti di una bolla speculativa o di una catena di Sant’Antonio. Quello che però non tutti hanno notato è che la natura del Bitcoin, la cui offerta (detta “estrazione “, in Inglese “mining”) è fortemente sotto controllo, è tale da impedirne la diffusione senza che parallelamente il suo valore si apprezzi, mentre in numero ancora minore sanno che del Bitcoin tutti ne parlano ma ben pochi al mondo lo hanno comperato o utilizzato. Si è mai vista una bolla speculativa sul mercato di cui tutti parlano senza che la medesima sia diffusa tra i partecipanti? Viene il sospetto che allora sia l’esatto opposto: che il bello debba ancora venire.

TUTTI NE PARLANO, POCHI LO DETENGONO

Nel mondo esistono soltanto 21 milioni di conti denominati in Bitcoin (in inglese “wallets”), certificati dai registri ufficiali (in inglese “ledgers”)che si scambiano la cripto valuta e condividono la tecnologia della catena di blocco (in inglese “blockchain”). Perciò è ragionevole affermare che, nonostante la sua gran notorietà, quel numero di conti in Bitcoin sia un’inezia rispetto ai 5 miliardi di persone che hanno oggi almeno un conto corrente bancario.

Si stima che il valore complessivo dei mezzi di pagamento (il cosiddetto aggregato monetario “M1”, oltre evidentemente all’oro in circolazione) oggi nel mondo ammonti a qualcosa come 40.000 miliardi di dollari (di cui solo 3.500 miliardi di dollari sono il valore dell’oro) ed è un dato di fatto che una quota crescente di transazioni stiano iniziando a passare dalla rete internet e dal commercio elettronico. Se parallelamente a tale trasferimento degli scambi dal mondo fisico a quello virtuale anche una parte del valore dei medesimi sarà denominato in Bitcoin, se anche solo il 10% di quella cifra si trasferisse in Bitcoin, essa ammonterebbe alla mirabolante capitalizzazione complessiva di 4.000 miliardi di dollari, cioè quasi 14 volte l’attuale valore complessivo di 287 miliardi di dollari del bitcoin al prezzo attuale di 17.000 dollari. Questo risultato -data la rigidità dell’offerta, che non può essere aumentata- porterebbe il valore del Bitcoin a 235.000 dollari (14 volte quello attuale).

L’ipotesi del 10% è in realtà conservativa, mentre ovviamente il nesso logico fra l’incremento dell’ e-commerce e quello dell’utilizzo di Bitcoins non è scontato. Tuttavia si stima che le oltre 1.6 miliardi dì persone che hanno fatto acquisti online a fine 2017 diventeranno 2,14 miliardi a fine 2020, mentre l’ammontare complessivo degli acquisti online cresceranno più rapidamente: si stima che passeranno

da quasi 2.800 miliardi di dollari nel 2017 a quasi 4.500 nel 2021. Nel sud-est asiatico le vendite online sono già divenute il 12,1% delle vendite al dettaglio, mentre sono ancora poco più dell’8% in Europa e Stati Uniti.

 

RISPONDE A ESIGENZE INELUDIBILI

Il fenomeno delle criptovalute ha comunque delle profonde ragioni di esistere (e sulle quali si sono scritte milioni di pagine) e la sua tecnologia, esattamente come ogni altra tecnologia -una volta che è stata inventata- non è possibile cancellarla. Nonostante dunque che oggi qualcuno, allettato dai grandi guadagni realizzati così rapidamente, decida di vendere la sua cripto valuta e (ancor più raramente ) lo faccia chiudendo il suo conto in Bitcoin, è facile predire che invece, nel complesso, la diffusione della cripto valuta più diffusa nel mondo prosegua inevitabilmente e che, in tal caso, il suo prezzo non possa che salire, a causa dell’impossibilità di espanderne l’offerta.

Le cripto valute stanno infatti iniziando ora ad aprire le porte di un gigantesco mercato potenziale che è quello delle valute virtuali universali da utilizzare sulla rete per scambiarsi pagamenti.

Questo mercato oggi è dominato da sistemi di pagamento -come ad esempio PayPal- denominati in una o più valute pregiate (Euro, Dollari, Yen o Renminbi, ad esempio) che non solo sono soggette a restrizioni nella circolazione e alla tassazione, ma in più non potranno mai avere la medesima funzionalità delle cripto valute per tutto il resto del mondo (i miliardi di persone che vivono nei paesi emergenti) le quali non trovano particolarmente comodo detenere a casa loro conti in valuta pregiata per comprare o vendere su internet.

UNA RISERVA DI VALORE

Le cripto valute assolvono inoltre in modo originale e, forse, insostituibile, ad una seconda funzionalità: sono una riserva di valore, un po’ come l’oro o i diamanti. Ma a differenza dei tipici beni-rifugio, la loro offerta sul mercato non è manovrabile dalle istituzioni, non può essere aumentata, e la loro detenzione non può essere vincolata dalle autorità di nessun tipo. L’argomento appena citato può non risultare così importante agli occhi di un cittadino contemporaneo americano o europeo, abituato a contare sui propri diritti di proprietà e su sistemi di circolazione del denaro più o meno liberalizzati, ma diviene una qualità fondamentale per tutti gli altri -molti miliardi di persone- che vivono altrove.

 

L’infrastruttura che è nata negli ultimi cinque anni e che si è diffusa nel mondo per registrarne gli scambi non solo è di per se il “pezzo pregiato” che fa del Bitcoin una vera perla (tant’è che persino la IBM sta pensando di utilizzare la “blockchain” per certificare i dati aziendali spediti sulla “nuvola”) ma rappresenta oramai un investimento miliardario difficile da rimpiazzare e risulta inscindibile dal Bitcoin stesso.

AUTORITÀ E INVESTITORI NON LO HANNO ANCORA ADOTTATO

I mercati finanziari di tutto il mondo lo hanno riconosciuto e hanno iniziato a trattare il Bitcoin come una separata “asset class” su cui investire, consci del fatto che esso è divenuto una riconoscibile riserva di valore, ma di fatto quasi nessuno ci ha ancora investito. Quando lo faranno il suo valore non potrà che crescere. Addirittura il Giappone lo ha equiparato ad ogni altra valuta di conto quale mezzo ufficiale di pagamento. Se al momento gli altri Paesi non lo hanno ancora fatto è perché risultano infastiditi da un qualcosa che non possono controllare, ma la tendenza ad adottarla come mezzo di pagamento sembra inevitabile per scongiurare il peggio (che diventi il mezzo di pagamento universale e che possa relegare quelli ufficiali di Stato allo stesso ruolo che hanno oggi francobolli e marche da bollo) .

CONCLUSIONI

Esattamente come le carte di credito ma con una dignità e un‘ affidabilità completamente diverse, il Bitcoin risponde perciò a esigenze ineludibili e, non diversamente dalle carte di credito, nonostante che ne siano nate a valanghe, alla fine quasi solo il circuito Visa-MasterCard è rimasto quello universalmente accettato, dal momento che risulta poco utile per chiunque gestirne una pluralità. Così come su internet continuano a nascere iniziative di ogni tipo ma il motore di ricerca per eccellenza resta Google e per chiunque risulta relativamente scomodo andarne a cercare altri. In più, mano mano che l’utilizzo di Google si diffonde, risulta ancor più inutile avvalersi delle alternative. Lo stesso potrebbe valere per la più diffusa delle cripto valute, ma ciò determinerebbe -quasi automaticamente- anche un aumento di valore.

Stefano di Tommaso




CINQUE GRAFICI RIASSUMONO IL 2017

Ecco a Voi cinque grafici, pubblicati dal Guardian, che riassumono efficacemente l’andamento delle principali variabili economiche dell’anno. E qualche considerazione che se ne deduce.

LE BORSE DI TUTTO IL MONDO SONO QUASI SOLO ANDATE SU:

NONOSTANTE LA LORO CORSA SFRENATA HANNO REGISTRATO LA PIÙ BASSA VOLATILITÀ DEI CORSI DELLA STORIA RECENTE, CONFERMANDO LA NATURA ASSAI POCO SPECULATIVA DEGLI ACQUISTI E FORNENDO STABILITÀ ALLA CRESCITA:

IL COMMERCIO GLOBALE HA FINALMENTE RIPRESO LA SUA CORSA NEL 2017 (nonostante la globalizzazione abbia fatto aumentare il numero degli stabilimenti produttivi nel mondo) E LO SI VEDE DALL’ANDAMENTO DEI PREZZI DEI NOLI MARITTIMI :

MENTRE IL PETROLIO HA INIZIATO A METÀ ANNO A RISALIRE E DA QUEL MOMENTO LO HA FATTO STABILMENTE, EVIDENTEMENTE LA FORTE RIPRESA MONDIALE ALIMENTA LA DOMANDA DI ENERGIA CHE, CONTRO OGNI PREVISIONE, SUPERA DI MISURA LA GRANDE OFFERTA DI MATERIA PRIMA :

E INFINE IL TORMENTONE DELL’ANNO: IL BITCOIN, PARTITO DA 1000 DOLLARI A GENNAIO E ARRIVATO QUASI A 20.000 DOLLARI PER POI RITRACCIARE, MA SOLO DI POCO:

 

COSA SE NE PUÒ DEDURRE?

•che le borse non crolleranno così presto, anzi!
•che la volatilità dei corsi potrebbe però tornare a crescere;
•che l’impennata del commercio globale fa bene alla crescita economica ;
•che la risalita del prezzo del petrolio è indice di forte salute dell’economia globale e, a sua volta, favorisce le esportazioni di molti paesi emergenti;
•che la crescente liquidità mondiale cerca strade alternative a quelle imposte dalle banche centrali, probabilmente proprio dove le restrizioni sono più forti, riversandosi sulle criptovalute le quali vengono viste come riserva di ricchezza al riparo da dittature e tassazioni anche a causa dell’impossibilità di incrementarne artificialmente l’offerta;
•che la tecnologia sottostante, il blockchain, è considerata inattaccabile e sarà perciò presto adottata in una miriade di altre applicazioni collegate alla “nuvola”.

 

Stefano di Tommaso




PERCHÉ IL “BILICO” DI ELON MUSK CONVINCE LE GRANDI SOCIETÀ DI LOGISTICA

L’uomo è abituato a stupire la sua platea e grazie a questa capacità è riuscito anche ad ammaliare i suoi investitori, sinanco di fronte alle ingenti perdite economiche (e soprattutto finanziarie) dell’ultimo trimestre. Elon Musk ha capito che la sua creatura, l’avveniristica azienda denominata come Nikola Tesla, uno dei più misteriosi geni della tecnologia dell’ultimo secolo, rischiava di essere archiviata nell’immaginario collettivo come un fenomeno da baraccone. E per questo è voluto scendere nella platea più difficile, quella dei veicoli professionali, con un fantastico “coup de théâtre” che ha sedotto gli ingegneri e i managers delle aziende del trasporto e della logistica. L’operazione è senz’altro stata un successo.

 


UN SUCCESSO A WALL STREET

Non solo le caratteristiche tecniche dei veicoli presentati l’altro giorno hanno stupito il pubblico che non si aspettava tutte quelle novità (500 miglia terrestri di autonomia, fortissima accelerazione, forte economicità, prezzo basso e guida autonoma), ma soprattutto sono stati gli analisti finanziari di Wall Street ad essere stati sedotti dalla logica convincente di chi gli ha fatto notare che i vantaggi di un veicolo elettrico (forte coppia motrice ai bassissimi regimi, economia nei consumi e maggiore controllo della trazione) appaiono esaltati quando si parla di trasporto pesante, logistica e consegne a domicilio. Difficile obiettare!

https://youtu.be/nONx_dgr55I
Dopo un periodo deludente in Borsa Tesla è dunque tornata ad apprezzarsi e lo ha fatto dimostrando che può risultare foriera di utili innovazioni che le grandi corporations della logistica apprezzano anche più di quanto i privati amino le sue vetture di lusso, come pure di (futuri) profitti.

PERCHÉ CONVINCE

Ancor più convincente è stato parlare dei numeri e delle statistiche del trasporto (almeno di quelle americane, citate nel corso dell’evento) :

QUOTA DI MERCATO: In un mercato americano di 231.000 unità (nell’ultimo anno) Tesla può aspirare a prendersene già nel 2020 circa il 10%, cioè quasi 25.000 veicoli, per almeno raddoppiare con le vendite previste nel resto del mondo (50mila). Questo significa che nel 2020, capacità produttiva permettendo, solo nella vendita degli autosnodati Tesla può aspirare a fatturare 10 miliardi di dollari ipotizzando un prezzo medio di 200mila dollari l’uno.

PERCORRENZA: Oggi peraltro si calcola che almeno il 20% dei mezzi pesanti venga impiegato attorno al range delle 200 miglia terrestri (poco più di 300 chilometri), cosa che permetterebbe agli autosnodati di Tesla, anche solo raccogliendo metà di quella quota di mercato, di promettere andata e ritorno all’interno dei limiti di sicurezza per l’autonomia dei veicoli, dal momento che promettono 500 miglia di autonomia.

ECONOMIE DI SCALA : Il fatturato previsto, aggiuntivo rispetto a quello previsto per le auto e per le batterie, contribuirà inoltre notevolmente ad ammortizzare i costi di impianto della famosa “Gigafactory” e a renderla più profittevole.

MINORI COSTI DI ESERCIZIO: I bassi costi di gestione del veicolo commerciale, la promessa di una sua durata estremamente lunga e quella,della,sua capacità di guidare da solo promettono risparmi agli operatori professionali dell’ordine di almeno il 20% (qualcuno stima fino al 70%). Intanto Musk snocciola le sue cifre: in America far andare il suo “Semi” costerà $1,26 per miglio terrestre mentre ai prezzi attuali del petrolio un camion diesel equivalente costa $1,51 (se il petrolio non sale).

LA NORMATIVA: Nel settore dei veicoli pesanti non è ancora stata varata alcuna normativa che penalizza l’inquinamento da essi procurato, pari secondo alcune stime al 23% del totale delle emissioni veicolari ( 23 percent of vehicle emissions ) per quelli medi e pesanti. Se dovesse essere varata una tale normativa l’effetto di spiazzamento rispetto all’industria veicolare pesante già esistente sarebbe drammatico e darebbe a Tesla un enorme vantaggio, soprattutto per le consegne nei centri urbani.

IL PERIODO DI AMMORTAMENTO: I bassi costi di gestione del veicolo elettrico aiutano a rimuovere un altro tabù che sembrava inscalfibile: quello del periodo di ammortamento del costo di acquisto: i calcoli sembrano indicare 24 mesi, pari alla media di quelli dei veicoli tradizionali grazie alla combinazione del maggior prezzo iniziale (si stima non meno di $200mila per il “Semi” contro i circa $150mila di un camion diesel equivalente) e dei minori costi di energia.

I PRE-ORDINI PORTANO CASSA: Ad avvalorare la bontà della proposta sono arrivati inoltre i pre-ordini dei grandi operatori logistici (da Amazon a WalMart fino ad una società indiana) il cui successo fa ben sperare che Tesla potrà finanziarsi anche attraverso quei depositi, come è successo con i 600.000 preordini del modello 3 (oltre 2 miliardi di dollari con preordini pagati $3500 al colpo). Nel caso dei veicoli pesanti il ticket richiesto per il pre-ordine è stato fissato in 5000 dollari e si stima ne possano arrivare almeno 100mila (dunque almeno mezzo miliardo di cassa).

I CONCORRENTI ADESSO DEVONO DARSI DA FARE

D’altra parte l’onda lunga del maremoto innescato da Tesla non potrà che bagnare più di concorrente nel settore dei veicoli per il trasporto pesante, dopo aver goduto di un oligopolio che da anni ha permesso loro di restare tanto inquinanti quanto inefficienti nei consumi. Ora dovranno escogitare qualcosa per recuperare il tempo perduto o fare i conti con un mercato che se ne va altrove. Lo sanno bene sia la Mercedes Benz che ha appena lanciato un veicolo totalmente elettrico le cui caratteristiche tuttavia non sono così avanti (Daimler), che

la Mitsubishi che ha lanciato “Fuso”, un veicolo per le consegne urbane (eCanter ), come pure la Toyota, che si è invece lanciata nei veicoli a idrogeno (Toyota Motor Co.) ma sempre con specifiche tecniche assai inferiori a quelle annunciate da Elon Musk.

La corsa ai mezzi di trasporto pesante del futuro è appena cominciata sul serio!

Stefano di Tommaso

 




IL VENTURE CAPITAL CORRE IN AMERICA E EUROPA MA NON IN ITALIA

Il 2016 è stato in buon anno in Europa per la raccolta di capitali finalizzati a supportare le start-up innovative: sei miliardi e mezzo di euro. Uno in più del 2015. E il 2017 si preannuncia ancora migliore. L’anno scorso il 44% di quei capitali è stato investito in “information&communication technology”, mentre il 27% è andato in aziende che si occupano di sanità e biotecnologie.

Per comprendere l’importanza strategica degli investimenti rivolti alle innovazioni tecnologiche, ricordiamoci che in tutto il mondo buona parte delle tecnologie che oggi sono parte integrante della nostra vita quotidiana sono in realtà state introdotte da sconosciuti e spesso giovanissimi imprenditori che non lavorano per gli uffici di ricerca e sviluppo delle grandi multinazionali, per mille e un motivo.

E ricordiamoci anche che buona parte di tutte le innovazioni che hanno generato venti o trent’anni fa i colossi che oggi valgono di più a Wall Street (tenendo conto del fatto che ciascuno di essi capitalizza in Borsa quanto il Prodotto Interno Lordo della Gran Bretagna) sono nate in un garage grazie ai cosiddetti “family&friends” e a qualche lungimirante capitalista di ventura.

Se l’America oggi mantiene una leadership tecnologica rispetto al resto del mondo pur con una popolazione inferiore a quella di molti altri Paesi è solo grazie alle sue università (private) e al moltiplicarsi di quegli sparuti lungimiranti investitori di ventura iniziali che hanno scommesso su alcuni giovani promettenti.

 

Questo dovrebbe far riflettere quando si parla di politica economica, di futuro dei giovani e di creare occupazione: questa non si crea per decreto e non si supporta (solo) puntellando le fabbriche del passato oggi in crisi. L’occupazione del futuro -com’è ovvio- sarà generata dalle aziende del futuro.

Eppure in Italia nessuno ne parla e nessuno è disposto ad ammettere che se tutte le volte che un giovane ha un progetto ambizioso questi deve fuggire all’estero per realizzarlo o per non morire soffocato da un eccesso di burocrazia, tassazione e rivendicazioni sindacali, ne avremo poche nel nostro Paese di aziende del futuro, all’altezza dell’evoluzione tecnologica in corso.

Nel nostro Paese già il 93% dei capitali raccolti dalle imprese (spesso tradizionali) quotate in Borsa viene sottoscritto dall’estero, figuriamoci i capitali di ventura! Persino in Europa un decimo di quei 6 miliardi e mezzo raccolti l’anno scorso dal Venture Capital proviene dall’America. E la sola Francia si prepara ad essere uno dei principali incubatori di startup del pianeta. Dopo gli Stati Uniti d’America l’Europa è il secondo ecosistema delle innovazioni, in gran fermento di risorse umane e capitali.

In Italia invece i dati ISTAT parlano di una nazione che spende il 77% della spesa pubblica per gli anziani sopra i 65 anni, mentre il 20% dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni che non studia ancora, non ha e non cerca un lavoro. E il 2,8% per cento della spesa pubblica se ne va in “pensioni di reversibilità”, cioè alle vedove dei pensionati defunti mentre siamo l’ultimo Paese dell’Unione Europea per investimenti in capitale di rischio.

Ma non solo abbiamo politiche economiche sbagliate a dir poco che favoriscono l’esportazione di cervelli e l’immigrazione di braccianti e delinquenti. Se abbiamo il 93% degli investitori in aziende quotate (buona parte delle quali sono banche e società immobiliari) è anche perché il nostro è un contesto economico che rappresenta il bengodi delle rendite di posizione! Rendite le cui dinamiche sono agli antipodi rispetto alla logica di chi investe capitale di rischio!

In Europa sono 13 i fondi di investimento in “venture capital” che hanno raccolto più di €100 milioni. Da noi la più importante operazione di venture capital è stata appena lanciata (dunque non ha ancora raccolto nulla) ed è il fondo dal valore di 100 milioni di euro annunciato da Cariplo Factory e dedicato a growITup, la piattaforma di Open Innovation creata in partnership con Microsoft e rivolto a tutte le startup digitali italiane.

Un ottimo segnale di cambiamento. Ma prima di recuperare tutto il terreno perduto la strada per il Bel Paese si preannuncia molto lunga!
E nel frattempo saremo destinati a crescere e ad assumere molto meno degli altri Paesi sviluppati.
L’esatto opposto di ciò che sarebbe coerente con la nostra vocazione benefica che ci spinge a restare il Paese principe nell’accoglienza degli extracomunitari e nella tolleranza dell’immigrazione clandestina!

 

Stefano di Tommaso