ANCORA UN TRANQUILLO AGOSTO DI PAURA

I mercati finanziari sono rimasti (quasi) calmi in tutta la prima metà del 2018. Un anno un po’ speciale dal punto di vista geopolitico perché è con il suo arrivo che Trump si è sperticato nell’instaurazione forzosa di una sorta di “nuovo ordine mondiale” nei rapporti dell’America con gli Emirati del Golfo Persico, la Turchia, la Siria, la Germania, la Cina, la Corea del Nord, la Russia e persino con l’Italia del nuovo corso.

 

Il 2018 è stato anche l’anno in cui il macchiavellico presidente americano sul fronte interno vede i risultati (positivi) della coraggiosa riduzione delle tasse, ma sul fronte esterno con altrettanto coraggio ha scatenato una ventata senza precedenti di nuove tariffe doganali e di conseguenti nuovi accordi commerciali globali (come quello appena stretto con l’Unione Europea), oltre che aver decretato il sostanziale abbandono di numerosi organismi sovranazionali per far posto ad accordi bilaterali e persino la rinegoziazione (poco spontanea) degli accordi NAFTA.

L’intenzione di Trump sembra quella (positiva) di voler costringere tutti a riequilibrare la bilancia commerciale con gli USA, ma per ora ha ottenuto risultati (parziali) quasi solo con l’Unione Europea e con il Messico, mentre sembra molto più difficile riuscire a piegare la Cina e il Canadain tal senso. Nel frattempo i mercati finanziari soffrono dell’incertezza che ne deriva per le sorti della crescita economica globale.

IL PANORAMA GEOPOLITICO

Un anno un po’ speciale il 2018 anche per la continuazione del ciclo economico positivo globale, la ri-crescita dei tassi di interesse e dei profitti aziendali, l’avvento delle prime applicazioni dell’intelligenza artificiale, la risalita dei prezzi di gas e petrolio e, ciò nonostante, il mantenimento dell’inflazione mondiale alla soglia di guardia del 2% sono tutte ottime notizie che fanno pensare che siamo all’interno di un super-ciclo economico che non ha ancora finito di stupirci.

Anche in Italia quest’anno 2018 potrà rimanere tra quelli memorabili perché si è instaurato un governo nuovo, molto criticato dai media ma assai meno dai cittadini, molto meno propenso ad accettare ricatti e lusinghe dell’Unione Europea (in particolare sull’immigrazione selvaggia dal continente africano) e molto più favorevole all’America di Trump come alla Russia di Putin. Certo però che il rischio-incertezza che la nuova coalizione genera sui mercati rischia di far ricadere l’Italia in una nuova “trappola del debito” !

 Nemmeno per la Cina l’anno si è aperto all’insegna della tranquillità: con l’arrivo del 2018 il nuovo presidente Xi Jinping ha inaugurato di fatto un nuovo corso, molto più farcito di propaganda di quelli precedenti, nel quale per controbilanciare le tirate di giacchetta americane la banca centrale cinese ha ripreso a stampare denaro e a svalutare lo Yuan. Ma il rischio che l’economia cinese imploda sotto un eccesso di debito spaventa gli investitori che vorrebbero investire sulle imprese di quel paese.

Adesso poi è arrivata la doccia fredda del Fondo Monetario Internazionale che (finalmente) bacchetta la Germania per una condotta economica che qualche decennio addietro si sarebbe potuta definire “crumira”: troppa austerità imposta a casa propria e in Europa, eccessivo surplus commerciale e troppa asimmetria tra le dichiarazioni e i fatti. L’ironia è che nel farlo il FMI è arrivato a dare ragione a Trump, per altri versi quasi sempre su posizioni opposte!

LA LIQUIDITÀ DEI MERCATI E LA “BOLLA” SPECULATIVA

Ma soprattutto sta arrivando (forse) il momento della verità a proposito della liquidità sui mercati finanziari globali: le borse europee sono in flessione come pure quelle asiatiche, mentre quasi solo Wall Street “tiene” ma a ben vedere i soli titoli che sono rimasti sulla cresta dell’onda sono ancora una volta i più grandi tra quelli “tecnologici”. La nuova sigla che li identifica è addirittura divenuta “MAGA” (Microsoft, Apple, Google, Amazon) invece della precedente “FAANG” (ovvero Facebook Apple, Amazon, Netflix e Google).

E fino a quando la crescita di un listino azionario con migliaia di titoli quotati è sostenibile sulla sola base di quattro di essi? La Federal Reserve americana promette di continuare a far crescere i tassi anche perché considera le borse ancora sopravvalutate e non vedrebbe male una loro correzione estiva. Uno scenario non positivo dunque, sebbene nemmeno da panico.

D’altra parte di motivi per affermare che i mercati finanziari sono ancora in piena bolla speculativa ne abbiamo a bizzeffe, basta voler scegliere l’indicatore piu idoneo: dall’eccesso di rialzo (+300%) che possiamo registrare sull’indice Standard&Poor 500 all’indice CAPE (Cyclically adjusted Price/Earnings Ratio), fino all’eccesso di capitalizzazione dei titoli quotati rispetto al prodotto interno lordo (americano) e all’eccesso di valore espresso dalle blue-chips tecnologiche (i MAGA, appunto) rispetto al resto del listino azionario. Di seguito qualche grafico che lo dimostra:


NON SOLO TIMORI PERÒ

Peraltro a riequilibrare la bilancia delle aspettative verso l’alto c’è il fatto che “The Donald” attende con impazienza di trovare uno spazio di mediazione con la nuova Cina, quella risoluta sì di Xi Jinping, ma non così stupida da farne solo una questione di principio portando avanti la guerra dei dazi che inevitabilmente danneggia il suo Paese.

Basterebbe uno spiraglio in tal senso per risollevare le attese sui titoli industriali americani (ma anche europei) che sino ad oggi hanno subìto le tariffe imposte agli scambi internazionali riducendo i margini. Dal momento che il tavolo negoziale con la Cina di Xi Jinping è segreto ma è già aperto, non è escluso che questo spiraglio arrivi presto, cioè durante l’estate.

E poiché l’economia americana “tira” piu del previsto e può fare da traino anche al resto del mondo, l’eventuale fumata bianca nelle relazioni USA-Cina potrebbe addirittura catalizzare un inatteso rialzo estivo. Se così fosse anche le Borse di Londra e di Tokio ne risentirebbero positivamente e probabilmente si arresterebbe l’emorragia valutaria cinese.

Quanto a noi Europei probabilmente dovremo rassegnarci a convivere con una sempre maggiore polarizzazione dell’industria e della finanza europee sul loro naturale polo di attrazione che è la Germania, lasciando alle borse periferiche dell’Unione un ruolo sempre più marginale, e forse anche meno positivo.

D’altra parte solo in autunno si inizierà a capire se l’Euro-zona subirà finalmente un‘accelerazione nel processo di convergenza fiscale e bancaria dei singoli Stati nazionali (nel qual caso è possibile che anche le borse finiscano per convergere in una sola) o viceversa incrementerà le spinte centrifughe alimentando i nazionalismi e le autonomie.

COSA SUCCEDERÀ

La pausa ferragostana può dunque portare qualche spavento (e il rischio di nuovi “sell-off”) sui mercati borsistici soprattutto in funzione delle aspettative riguardanti eventuali segnali di stanchezza dell’economia reale (la fine del ciclo economico o una crisi importante del commercio globale) ma poiché gli strumenti “meteorologici” degli analisti finanziari non riescono a fare previsioni oltre l’orizsi te di qualche giorno, è almeno altrettanto probabile che invece possa scorrere tranquilla.

I movimenti tellurici profondi che possono portare futuri sconvolgimenti magari oggi in profondità procedono ugualmente, ma possono altresì arrivare a manifestare in superficie i loro effetti anche solo dopo un bel po’ di tempo, con l’inversione della curva dei tassi d’interesse (notoriamente premonitrice di una recessione), o l‘escalation imprevista dell’inflazione o ancora con un eccesso di rialzo del costo delle materie prime.

E’ solo questione di tempo, ma non sappiamo di quanto.
Le incertezze però inevitabilmente incombono su una pausa estiva che il mondo occidentale vive in modo difforme: da una parte l’America che per il momento vede (fin troppo) tutto rosa, dall’altra parte il resto del mondo, (sin troppo) preoccupato delle conseguenze delle minacce americane.

Stefano di Tommaso




COME CAMBIA L’INDUSTRIA DELL’AUTO NELL’ERA DELLA SHARING ECONOMY

È notizia riportata dal Financial Times di ieri quella di ancora molti nuovi denari raccolti sul mercato dei capitali dalle start-up tecnologiche basate sul car sharing. Ad esempio l’iniziativa di Daimler Benz e altri investitori coreani di finanziare con quasi cento milioni di dollari la crescita di “Turo”: una delle società di noleggio auto della Silicon Valley di maggior successo, basata a San Francisco, che ha promosso in California e ora vuole espandere nel resto degli Stati Uniti, in Asia e in Europa i propri servizi fondati sulla diffusione peer-to-peer della condivisione della proprietà dell’auto (che cioè viene diffusa e resa disponibile sulla rete internet trasformando gli stessi utenti in fornitori di nuovi punti di accesso).

 

Turo ha ricevuto quel denaro da un gruppo di investitori e sottoscrittori di un nuovo round di finanziamento sulla base dell’ipotesi che il suo modello di business, inizialmente andato molto bene nell’area di maggior concentrazione al mondo delle innovazioni tecnologiche e nelle conseguenti nuove abitudini di consumo, possa nel tempo essere accettato e diffuso anche nel resto del mondo. Una scommessa ovviamente non priva di rischi ma indubbiamente stimolante.

D’altra parte ogni grande casa automobilistica si è posta il problema del fatto che un’auto privata è ferma e inattiva per più o meno il 99% del tempo totale di possesso, concludendone di voler porre in essere iniziative di ogni tipo che vadano nella direzione di permettere all’utente medio mobilizzare il denaro investito nell’acquisto. Toyota, una delle più grandi con un giro d’affari complessivo che raggiunge i 200 miliardi di dollari, è entrata in the Enterprise Ethereum Alliance (EEA) per lo stesso scopo (si legga l’articolo qui riportato: http://www.trustnodes.com/2017/05/22/car-giants-toyota-mitsubishi-join-enterprise-ethereum-alliance-blockchenize-automobiles ).

LA MOLTITUDINE DI INZIATIVE DI BUSINESS RELATIVE A CAR SHARING E TAXI HAILING

La notizia di per sé non avrebbe nulla di interessante (l’ennesima start-up basata sulla digitalizzazione mobile ha ricevuto tanti capitali) se non fosse che oramai praticamente ogni giorno leggiamo annunci simili da parte di un gran numero di iniziative che peraltro, per essere state selezionate dagli investitori professionali del “venture capital”, non sono che la punta dell’iceberg di un numero ancora molto più grande di nuove iniziative di business volte a cavalcare l’ondata di sostituzione dei precedenti modelli di possesso e di utilizzo dei veicoli di trasporto.

Per dare una vaghissima idea dell’affollamento delle cosiddette “start-up” in questo campo possiamo citare di seguito alcuni dei numerosissimi modelli di business indotti dalle nuove abitudini di consumo dei “millennials” (vale a dire la popolazione di coloro che sono nati intorno alla svolta del millennio), tutti basati sull’economia della condivisione applicata alla proprietà e all’utilizzo dei veicoli:

  • Car renting (noleggio a breve e lungo termine dell’auto) 
  • Car sharing (noleggio a brevissimo termine dell’auto come già avviene anche nelle principali città italiane)
  • Car pooling (condivisione dell’auto tra più utenti per determinati utilizzi, normalmente su base breve e ricorrente)
  • Car ridesharing (condivisione dell’auto privata con uno o più utenti solo per un determinato percorso) come Blabla Car & simili apps per l’effettuazione di percorsi relativamente lunghi (il proprietario di un’auto offre dunque un passaggio ad altri viaggiatori in cambio della condivisione dei costi e della disponibilità degli ospiti a chiacchierare lungo il tragitto)
  • Car Hailing come Uber, Lyft & simili apps (il proprietario fornisce anche un servizio, di taxi, di limousine eccetera…) non sempre in cambio di un pagamento basato sul percorso bensì anche sulla base di una “donazione suggerita”, del previo acquisto di crediti di trasporto o ancora sulla base della condivisione dei costi vivi oltre a un contributo che viene rivolto a qualche fondazione benefica.

LE RAGIONI DI QUESTA PROLIFERAZIONE

È evidente che la nascita di tutte queste tipologie di iniziative e la varietà delle nuove modalità di condivisione dei mezzi di trasporto (dall’auto alla moto passando dai tricicli cosiddetti Apecar molto diffusi nell’Asia del sud fino alla condivisione della bicicletta, elettrica o meno) costituisce un segnale deciso che forse qualcosa sta cambiando nelle abitudini di utilizzo dei mezzi di trasporto e nel modello di proprietà in generale dei veicoli.

Qualcosa di importante si muove perciò non soltanto a causa del fatto che la diffusione della fruizione dei servizi resi su internet tramite gli “smartphones” (i telefoni intelligenti) ha reso possibili cose impensabili vino all’altro ieri, ma soprattutto perché oggi è il mercato dei capitali che si è buttato letteralmente a capofitto a investire sulla crescita quel settore della sharing economy che riguarda la mobilità privata.

Al di là dell’impressionante numero e diffusione globale di miliardi di dollari che vanno accumulandosi nella fondazione e crescita accelerata di operatori che investono nella sostituzione dei precedenti modelli di possesso e di utilizzo dei veicoli, quali possibili implicazioni possono derivare al settore automotive nel suo complesso? Proviamo a ragionarci sopra.

L’IMPATTO DEL “CAR SHARING” SULLE NUOVE TENDENZE DELL’INDUSTRIA DELL’AUTO

La moltiplicazione degli operatori che offrono serivizi basati sulla condivisione della proprietà dei veicoli è probabilmente alla base della rinnovata (e prolungata) stagione di espansione del settore automobilistico in senso lato: dalle grandi case che monopolizzano l’attenzione dei media con le nuove proposte di veicoli elettrici o ibridi, più o meno dotati di funzioni automatiche e forniti di connettività, di capacità di guida autonoma sino alle prime funzioni dell’intelligenza artificiale, con anche tutto l’immenso comparto di produzioni indotte dall’industria dei veicoli: dalle imprese specializzate nella progettazione e produzione delle nuove tecnologie fino a quelle che realizzano i componenti utilizzati da auto, moto e altri nuovi veicoli, terrestri o volanti.

È perciò innanzitutto probabile che le grandi risorse finanziarie profuse nei nuovi modelli di business del settore “automotive” possano provocare una moltiplicazione del numero di veicoli acquistati dagli operatori suddetti.

Ma non basta: la diffusione di nuovi modelli di condivisione della proprietà probabilmente accelera la proliferazione di tecnologie e strumenti di telecontrollo della posizione e del comportamento dei veicoli immessi sulle strade da quegli operatori. Senza la nascita di tutte queste società che acquistano veicoli da immettere in rete che ha provocato l’esigenza di geolocalizzazione e di semiautomatismo dei veicoli delle loro flotte, probabilmente la domanda di queste nuove tecnologie sarebbe stata molto più blanda e la velocità della loro diffusione sul totale dei veicoli circolanti molto più bassa. Dunque è possibile che la sharing economy aiuti il rinnovo anagrafico e l’evoluzione tecnologica del totale dei veicoli circolanti.

LE PROBABILI NUOVE PREFERENZE NELLE CARATTERISTICHE DEI VEICOLI DELLE FLOTTE

Senza contare l’osservazione che la maggioranza di queste nuove società che offrono servizi di condivisione dei mezzi di trasporto è basata sulla loro presenza quasi esclusivamente nei principali agglomerati urbani. I veicoli da queste ordinati saranno perciò probabilmente di piccola taglia e destinati ad effettuare percorsi piuttosto brevi. Se poi sono destinati esclusivamente all’utilizzo nell’ambito urbano è più probabile che la domanda futura sia orientata a veicoli totalmente elettrici e che possano prevedere sistemi di rapida sostituzione delle batterie onde evitare i tempi morti di ricarica delle medesime.

Anche per ciò che riguarda le caratteristiche costruttive e l’affidabilità nel tempo dei medesimi veicoli, la diffusione della loro proprietà a pochi grandi operatori probabilmente provocherà l’innalzamento delle esigenze di qualità funzionale, onde risparmiare nel tempo sui costi di manutenzione ed evitare sorprese nella loro continuità operativa.

Infine il livello di automatismo dei veicoli può incidere sul conto economico degli operatori che li acquistano: se un’auto destinata al noleggio a corto raggio è in grado di parcheggiare da sola o di segnalare in autonomia eventuali malfunzionamenti alla centrale operativa della società che la possiede, quest’ultima ne ottiene un risparmio e una miglior programmazione nella riparazione dei danni e dei guasti.

IN CONCLUSIONE

Le iniziative di business rivolte alla diffusione delle nuove modalità di fruizione dei veicoli di trasporto persone stanno attirando la crescente attenzione del mercato dei capitali e accumulando risorse finanziarie che danno nuova vitalità all’industria del settore automotive.

L’ accresciuta domanda di veicoli sarà però probabilmente orientata ad un maggior contenuto di innovazione e di digitalizzazione dei veicoli stessi, come pure ad una migliore affidabilità funzionale e programmabilità delle manutenzioni.

La tipologia di veicoli richiesti dagli operatori che li noleggiano rispecchierà probabilmente la concentrazione del loro utilizzo nelle principali aree urbane del mondo, più che nelle lunghe percorrenze, con una elevata probabilità che questo accrescerà la domanda di veicoli elettrici e in generale a basso impatto ambientale.

È possibile che queste tendenze determinino anche una maggior domanda di capacità di guida autonoma, di elementi tecnologici basati sull’intelligenza artificiale e di un maggior grado di capacità di geolocalizzazione.

Stefano di Tommaso