L’ECCESSO DI DEBITO MAL SI CONCILIA CON LA RISALITA DEI TASSI REALI. ANDIAMO VERSO LA FINE DEL CICLO DEL CREDITO?

Gli analisti si interrogano se siamo finalmente arrivati alla fine del lungo ciclo del credito di cui le aziende americane hanno goduto sino ad oggi, e la risposta è tendenzialmente positiva. Lo stesso non vale per le imprese europee, che ne stanno beneficiando soltanto adesso e che avrebbero grandi benefici dal poter constatare il prolungamento della situazione attuale, utilizzando le ampie risorse finalmente disponibili per quegli investimenti in tecnologie che in Asia e in America sono stati effettuati da tempo e per dare più spazio alle acquisizioni e aggregazioni che permetterebbero loro di migliorare efficienza, competitività e produttività del lavoro.

 

Momenti come questo, vicini all’inversione della curva, sono solitamente i più favorevoli per reperire risorse finanziarie per acquisizioni a forte debito e non per niente il mondo sta vivendo un picco delle operazioni di fusioni e acquisizioni in leva.

Il punto è che un certo numeri indicatori sta iniziando a lampeggiare, segnalando un eccesso nei multipli recentemente riconosciuti, qualche rincaro nei tassi e, soprattutto, il peggioramento dei rating.

Nel grafico si può vedere l’evoluzione negli ultimi quindici anni delle valutazioni aziendali in termini di multipli del Margine Operativo Lordo:


L’ECCESSO DI INDEBITAMENTO

Il fenomeno è strettamente legato alla crescita degli utili che le imprese quotate stanno realizzando al culmine di un lungo ciclo economico e in un momento in cui né l’inflazione né il surriscaldamento delle richieste salariali hanno ancora rovinato loro la festa.

La forte digitalizzazione dell’economia (soprattutto quella americana, ovviamente) e la maggiore sincronia tra i cicli economici dei paesi più sviluppati con quelli dei paesi emergenti ha inoltre portato in alto anche le aspettative circa i profitti attesi per i prossimi esercizi, scatenando l’appetito degli investitori di private equity, sempre a caccia di opportunità di allocazione delle loro ingenti risorse liquide e, se possibile, con la prospettiva di innalzare il più possibile i livelli di rischio e rendimento attesi, divenuti perciò più disponibili a riconoscere non soltanto valutazioni più elevate, ma anche un maggior livello di indebitamento.

Nel grafico qui sotto riportato di può vedere l’evoluzione del valore medio del debito per le acquisizioni in termini di multiplo del Margine Operativo Lordo:


Un altro fattore che ha permesso di giungere al momento aureo oggi registrato dal mercato dei capitali per la disponibilità di credito è sicuramente stato il deciso e prolungato intervento delle banche centrali che, nel timore di un avvitamento della scarsa velocità di circolazione della moneta, hanno immesso moltissima liquidità sui mercati finanziari.

Se in America quello scenario oramai volge al termine, ciò non vale per la Banca Centrale Europea, alle prese con un tentativo assai tardivo di restituire fiato all’ erogazione del credito nei paesi ‘eriferi come il nostro, dove la ripresa si è vista soltanto da un paio d’anni e quasi solo sulle tabelle statistiche, perché spiazzata dall’eccesso di spesa e debiti pubblici.

LA DISCESA DEI CREDIT RATING

Ma i costi dei credit default swap (il costo per l’assicurazione del rischio credito) stanno rapidamente risalendo oltre oceano e il fenomeno del deterioramento della qualità del credito potrebbe attraversare l’Atlantico più velocemente di quanto non si possa pensare, col rischio di togliere ossigeno ad una già asfittica ripresa dell’attività ordinaria delle banche italiane.

Nel grafico l’andamento del costo dei CDS secondo l’indice Markit:


I TITOLI A REDDITO FISSO RESTANO UNA DELLE MIGLIORI OPZIONI

Eppure dal punto di vista degli investitori i bond (attraverso i quali si finanziano la maggior parte degli istituti di credito) restano una delle opzioni migliori in questo momento in cui l’increme dell’inflazione resta quasi una chimera ma i tassi a breve termine vengono fatti salire ugualmente, poiché evidentemente i rendimenti reali salgono e la scelta di mantenere liquidi i portafogli importanti si giustifica soltanto nell’imminenza di un crollo delle quotazioni.

Difficile però dire se è quando le borse vedranno una catastrofe (anche perché la crescita dei profitti potrebbe portare ulteriori buone sorprese e ulteriore liquidità ai mercati.

Dunque nel dubbio sull’inflazione e sulla durata del ciclo economico il reddito fisso mantiene una certa appetibilità, ma ovviamente la discesa dei rating una domanda di fondo la lascia eccome: con il mondo occidentale che ha di nuovo accumulato un elevato livello di indebitamento, cosa succederà se I timori inflazionistici (e dunque anche i tassi) dovessero risalire in maniera consistente?

Ecco perché la fine del ciclo del debito è probabilmente vicina, e con essa la possibilità che le banche tornino prima del previsto a restringere i cordoni della borsa. Chi deve effettuare investimenti o acquisizioni ne tenga conto. Non è sempre primavera !

Stefano di Tommaso




BOOM DEI MINIBOND: AUMENTA LA LORO DURATA, SE NE RIDUCE IL COSTO E CRESCE IL NUMERO DI IMPRESE EMITTENTI

Continua a crescere il numero di Mini-bond emessi e sottoscritti (sia private placement che public offering) grazie al crescente numero di imprese che scelgono di prendere le distanze dai tradizionali canali bancari (tipici della nostra cultura) sperimentando opportunità di finanziamento alternative capaci di riservare molteplici vantaggi nonché quello di sconfiggere le timidezze e diffidenze che gli imprenditori ancora oggi nutrono verso i mercati finanziari.

 

Un fattore che potrebbe aver stimolato questo exploit, è quasi certamente la “caduta” di diversi istituti bancari (soprattutto a Nord-Est) che per decenni hanno monopolizzato e centellinato l’erogazione di risorse finanziarie.

Di seguito il grafico delle emissioni di Minibond quotati al comparto Extra Mot Pro della Borsa Italiana fino al 31.12.2016.

Se fino a quella data avevamo assistito a una crescita costante dello strumento, è nell’ultimo trimestre del 2017 che si è registrato un vero e proprio boom sui minibond, privilegiati soprattutto dalle Pmi rispetto alla Borsa e all’intervento del Private Equity anche grazie alla piena deducibilità degli interessi (entro i limiti del 30% del Reddito Operativo Lordo) e alla scarsa “invasivitá” dello strumento nella gestione e nella “governance aziendali.

Nel solo periodo Ottobre-Dicembre Il numero delle emissioni è fortemente cresciuto: quelle inferiori ai 50 milioni di euro sono state 28 per 147 milioni. Dato che ha portato ad un ammontare complessivo erogato nel 2017 a quota 1,805 miliardi e sono guidate principalmente dal comparto manifatturiero, seguite poi da quello del Food&Beverage, Utilities e Media & ICT.

Ma anche le operazioni di taglio molto grande (più di 150 milioni) sono aumentate, facendo registrare in totale a fine 2017 oltre 300 emissioni per più di 14 miliardi.

Parallelamente alla forte crescita registrata, si è assistito anche ad una contrazione del taglio medio dei bond (sceso a 7.3 Mio), nonché ad una cedola media scesa al 5.13% ed infne ad un “time to maturity” (durata) finalmente superiore ai 5 anni.

La riduzione del ticket evidenzia una maggiore attenzione ed interesse da parte delle PMI verso il mercato del debito e dei capitali riservato, fino a pochi lustri fa, alle sole realtà di maggiore dimensione. Difatti, se fino a pochi anni fa il campione emettente di minibond era presidiato da realtà con fatturato superiore ai 100 Mio., da pochi anni a questa parte, questo è cambiato radicalmente tanto da portare a 40 il numero complessivo delle società emittenti con ricavi inferiori ai 10 Mio. Anche la durata media è cresciuta, sebbene il maggior numero di operazioni si sia concentrato sulla scadenza dei 5 anni.

I Minibond vengono visti dall’imprenditore come alternativa all’ingresso di fondi di Private Equity per sostenere gli è investimenti rivolti allo sviluppo del business. Per ottenere un Minibond infatti resta essenziale poter esibire un buon Piano Industriale, il medesimo che risulta fondamentale per accedere agli altri strumenti del mercato dei capitali. E nel piano industriale può evidenziarsi un’ottima capacità finanziaria prospettica anche laddove gli ultimi bilanci fossero stati particolarmente avari di risultati.

I Minibond vengono visti dall’imprenditore come alternativa all’ingresso di fondi di Private Equity per sostenere gli è investimenti rivolti allo sviluppo del business. Per ottenere un Minibond infatti resta essenziale poter esibire un buon Piano Industriale, il medesimo che risulta fondamentale per accedere agli altri strumenti del mercato dei capitali. E nel piano industriale può evidenziarsi un’ottima capacità finanziaria prospettica anche laddove gli ultimi bilanci fossero stati particolarmente avari di risultati.

Un altro interessante aspetto dei Minibond é la presenza di possibili opzioni di riacquisto o rimborso, come mostrato da questa statistica:

Ecco di seguito una tabella dei principali investitori:

ASPETTI FISCALI E COSTI:

§ Deduzione dei costi inerenti l’emissione ‘per cassa’ (esempi: commissioni , costi società di rating, provvigioni di collocamento, costi Advisor, compensi legali e altri);

§ Richiesta codice ISIN a Banca d’Italia (in caso di dematerializzazione del titolo) e accentramento dei titoli presso un ente autorizzato: costo iniziale c.a. 2.000 € e di mantenimento c.a. 1.500€/anno

§ Certificazione bilancio di esercizio: circa € 15.000

§ Fee Advisor: Una Tantum tra 1% e 2.5% del collocato

§ Fee Arranger: Una Tantum tra 0.5% e 1.5% del collocato

§ Studio Legale: da € 15.000 a € 25.000

§ Emissione del Rating: da € 15.000 a € 20.000 per le PMI. Dal secondo anno -40%.

Di seguito l’elenco completo delle emissioni fino a 50 milioni di controvalore e la loro ripartizione per settori industriali di appartenenza:

 

Stefano di Tommaso

Giorgio Zucchetti




FINANZIARE UN’IMPRESA SENZA AVERE CREDITO

Quasi tutti gli imprenditori del mondo si sono chiesti, almeno all’inizio della propria avventura, come riuscire a finanziare il proprio business. Spesso il capitale sociale di partenza è minimo e le imprese neonate o recuperate da un dissesto appaiono difficilmente bancabili se non hanno ancora chiuso il primo bilancio oppure se le dimensioni sono troppo piccole. Molte nuove imprese magari rilevano attività esistenti e già avviate ma esse non sono normalmente “bancabili” se non possono parallelamente esibire adeguate garanzie patrimoniali a chi potrebbe finanziarle. Non c’è bisogno di perdersi d’animo in molti di questi casi perché spesso nelle attività di impresa esistono molteplici risorse nascoste o modalità alternative di fare affari che possono costituire una valida alternativa al debito bancario e sostenere l’impresa magari anche solo per qualche tempo.


LA CORRETTA DEFINIZIONE DI CAPITALE

Sicuramente un’impresa che nasce da zero -spesso una startup tecnologica- deve riuscire a dotarsi di un capitale di rischio di importo congruo con il proprio piano aziendale, sempre che ne faccia uno. Ecco, il piano aziendale è veramente importante perché se sviluppato correttamente fornisce indicazioni circa la necessità di cassa prospettica e spesso aiuta a reperire risorse chiarificando i rischi ed i rendimenti attesi dell’impresa. Quantomeno il piano aiuta a capire se il capitale di partenza sarà sufficiente a sostenere l’attività fino a quando non sarà possibile generare cassa ovvero accedere a nuove risorse finanziarie.

IL PIANO D’IMPRESA NON SI PUÒ DELEGARE DEL TUTTO AI CONSULENTI

Il piano però non è soltanto un foglio di calcolo, bensì la disamina approfondita delle variabili di partenza che determinano i risultati attesi e delle modalità di impiego delle risorse necessarie. Quando quelle variabili di partenza sono correttamente confrontate con la realtà e diventano ipotesi credibili alla base dello sviluppo numerico atteso, ciò che bisogna aggiungere sono la descrizione e la quantificazione dei rischi e delle modalità per delimitarne le conseguenze negative.

Un imprenditore “autentico” non può pensare di demandare a terzi il suo piano aziendale, bensì al massimo può farsi aiutare nel tracciarlo. Innanzitutto perché deve riuscire a comprendere se la sua attivitá aziendale consegue veri utili oppure genera perdite (cosa mai tanto scontata ex ante), e poi perché attraverso il piano egli inizia a prendere coscienza delle effettive necessità di investimento per sostenere l’attività (quanto può rendere l’impresa se si investe di più?) e infine per toccare con mano le esigenze di capitale circolante netto (che d’ora in avanti definiremo CCN, il cui importo deriva dalla somma algebrica del magazzino e del credito alla clientela, dedotto il credito di fornitura).

IL RUOLO DEL CAPITALE CIRCOLANTE NETTO

Più il CCN risulta elevato e più assorbe risorse finanziarie, che spesso non producono reddito. Più si riesce a ridurlo (magari aumentando vertiginosamente la velocità di rotazione delle scorte, oppure riducendo i tempi di incasso dalla clientela, o infine ottenendo per le ragioni più svariate dell‘ulteriore credito di fornitura) e meno risorse finanziarie serviranno all’impresa, soprattutto quando dovrebbe impiegarle altrove: nell’efficienza della produzione, nei sistemi di controllo e più che ogni altra cosa, nello sviluppo dei mercati di sbocco.

Il controllo efficiente del CCN è di solito il vero scoglio da superare per chiunque, tanto per il fatto che c’è sempre qualche modo ancora da scovare per ridurlo, quanto perché -se è fisiologico- c’è sempre qualche modalità alternativa per finanziarlo.

LE PIATTAFORME DI CREDITO ALTERNATIVE

Esistono infatti non solo le banche ma anche e soprattutto società di factoring di ogni genere (sino ai cosiddetti “marketplace” online) che si propongono alle imprese che vogliono smobilizzare i loro crediti commerciali verso imprese solide, e in qualche caso propongono persino di finanziare i loro fornitori (reverse factoring) e che in altre situazioni possono finanziare le consistenze di magazzino. Riuscire a coprire in questo modo le esigenze di CCN significa in molti casi trovare quelle risorse altrimenti non reperibili che fanno la differenza.

Volendo stressare al massimo il concetto (e chi non trova risorse alternative spesso non può fare altrimenti) è teoricamente possibile cedere la proprietà degli assets aziendali mantenendo l’uso di quelli più strategici e si può arrivare a ottenere risorse per gli investimenti portando il CCN a un valore negativo, cioè ottenendo più credito di fornitura di quanto ammonti la somma di crediti commerciali e magazzino. Con quella differenza l’impresa può teoricamente finanziare anche i propri investimenti, anche se ovviamente l’arrivare a finanziare l’impresa grazie ai fornitori è un atto estremo e può portare numerose conseguenze negative.

Ma è comunque astrattamente possibile, soprattutto quando lo si faccia per un breve periodo di tempo e per ragioni eccellenti.

IL RAGIONAMENTO DA “IMPRENDITORE SQUATTRINATO” AIUTA COMUNQUE

Un altro metodo per finanziarsi quando non si dispone di cassa è quello di ottenere da terzi senza pagare (in comodato, in noleggio o in cambio di altro) beni strumentali, spazi fisici o altre tipologie di strumenti di produzione (computers, veicoli ecc…). Se io prima pensavo che il capitale sociale di cui dovrei disporre in funzione del mio piano aziendale dovevo impiegarlo per acquisire tali beni e/o per finanziare il CCN ecco che, individuate forme diverse di reperimento di cassa, magari quel capitale potrebbe non servirmi più, o potrebbe servirne di meno o potrei pensare di investirlo meglio in altre direzioni.

Il ragionamento appena accennato, che io chiamo “dell’imprenditore squattrinato” vale infatti anche per chi non lo è davvero, ma può chiedersi se sta utilizzando nel modo migliore le risorse di cui dispone o se invece non varrebbe la pena di sostituire gli attuali metodi di finanziamento con alcuni di quelli indiretti qui citati per reperire risorse al fine di effettuare quegli investimenti che potrebbero risultare davvero strategici per il futuro del business. Molti imprenditori credono di aver fatto tutto il possibile ma dimenticano gli investimenti strategici o semplicemente non si arrischiano a farli perché non ritengono di disporre di sufficienti risorse. Ma si sono mai chiesti quanto è rischioso non farli?

LA NECESSITÀ DI CONTINUARE A CERCARE SOCI DI CAPITALE

Senza dubbio ciò che spesso risulta più odioso dal punto di vista dell’orgoglio dell’imprenditore è l’andare a reperire capitale da terzi investitori, mentre potrebbe da molti punti di vista risultare l’alternativa più sana per far soldi. Non necessariamente infatti allargare la compagine sociale significa aver fallito, anzi! Spesso è un problema strettamente psicologico o di mancata capacità di mettersi attivamente a ricercare i soggetti che potrebbero investire con lui. Le domande che questi ultimi faranno per decidere se investire nella sua impresa molto probabilmente risulteranno essere la miglior consulenza gratuita per un imprenditore che vuole ragionarci sopra.

Nuovi soci di capitale che disturbano perché possono voler dire la loro anche quando non hanno ragione o rischiare intralciare il business, spesso risultano comunque essenziali laddove i rischi del business risultino elevati ovvero poco razionali e dunque nessuna modalità di finanziamento (per quanto irrituale) è altamente indicata. Quando non sarebbe sano finanziarsi (anche indirettamente) la cosa da fare è raccogliere capitale di rischio, magari tramite piattaforme online (crowdfunding) o intermediari specializzati.

Senza parlare della necessità costante delle imprese di crescere e consolidare la propria posizione di mercato, per affrontare le sfide del futuro o anche solo per meglio remunerare degli investimenti che vanno comunque fatti a prescindere dalle dimensioni aziendali. Moltissime imprese italiane tralasciano di pianificare il proprio futuro.

LA NECESSITÀ DI PIANIFICAZIONE E ANALISI STRATEGICA

Qui però torna di attualità il piano aziendale e insieme ad esso la corretta definizione di rischio, rendimento, generazione di cassa e assorbimento di CCN: molte pratiche alternative di reperimento di risorse fuori del mercato dei capitali e del credito bancario possono generare oneri aggiuntivi, rischi e possibili vincoli strategici. Senza una visione strategica del mercato, della concorrenza, delle alternative di fornitura e dei mercati di sbocco, non si ottiene un’immagine nitida del proprio posizionamento e non si elaborano scenari alternativi. In tali casi pratiche come quelle citate, finalizzate al reperimento di risorse finanziarie “alternative”, possono risultare pericolose o più semplicemente possono indurre perdite economiche che non risultano recuperabili in tempi ragionevoli.

Molte imprese possono dunque “guardarsi dentro” e scoprire di disporre di tesori nascosti e capacità vitali inaspettate, ma nel farlo devono cercare di avere le idee chiare e la possibilità di generare valore per tutti i propri “stakeholders” nonostante tutto!

Stefano di Tommaso




LA TRAHISON DES IMAGES (OVVERO: LE BANCHE CENTRALI SONO DAVVERO IN RITIRATA?)

Ci sono artisti che passano alla storia per le loro vite intense (si pensi al Caravaggio o a Van Gogh). E poi c’è René Magritte, un uomo elegante, come tanti, educato e distinto come un banchiere, ma capace di evocare la trasformazione della realtà come nessun’altro. In questo sta il suo genio: nell’invito a osservare il mondo con occhi diversi, a stupirci di ciò che è apparentemente banale, a scavare sotto la superficie per scoprire che la realtà è molto più affascinante di quanto non appaia. « Chi oserebbe pretendere che l’immagine di una pipa è una pipa? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi, non è una pipa»

 

La Trahison des images (la fuorvianza delle immagini) è un suo dipinto realizzato nel 1928-29 (l’anno della più grande delle crisi di Borsa della storia). L’opera, contestando la raffigurazione della pipa (non si tratta di fatto di una pipa, bensì di una sua immagine), mira a mettere in risalto la differenza di tangibilità e consistenza che il mondo della realtà ha con quello dei segni, invitando alla riflessione sulla complessità del linguaggio. A cinquant’anni dalla morte di Maigritte il messaggio della filosofia surrealista lanciato con forza proprio dalla pittura di grandi evocatori di concetti astratti come lui (ma anche da Miró, Ernst, Dalí, de Chirico ecc…), non poteva essere più attuale nel contesto odierno dei mercati finanziari.

L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL TAPERING

Sono quasi due anni che I banchieri centrali ci raccontano della loro volontà di procedere a una graduale ritirata da quello che è stato forse il loro più vasto e profondo intervento nella storia dell’economia: il Quantitative Easing (l’allentamento della politica monetaria seguìto alla brusca riduzione della liquidità in circolazione dopo la crisi borsistica del 2008). All’epoca si rischiava di ripercorrere pedissequamente gli otto anni di crisi economica che erano seguiti alla crisi finanziaria del 1929 e i principali banchieri centrali nel mondo, capitanati da quelli anglosassoni, decisero nel 2008 di controbilanciare con vigore la riduzione del moltiplicatore monetario del credito (e della velocità di circolazione della moneta) con l’acquisto sul mercato di grandi quantità di titoli e dunque con la conseguenza di affogarli di liquidità. I tassi di interesse discesero perciò più o meno bruscamente intorno allo zero e questo fatto risultò a sua volta essenziale per rendere sostenibile un altro macigno che rischiava di schiacciare per sempre l’economia mondiale: l’eccesso di indebitamento generale (tanto privato quanto degli Stati sovrani).

Che la manovra di Quantitative Easing (di stampo chiaramente keynesiano) sia risultata ex-post fortemente appropriata, nonostante le numerosissime critiche che piovevano soprattutto da economisti conservatori, lo dimostra il periodo di eccezionale crescita economica che oggi -a nove anni di distanza- il mondo intero sta vivendo in forma per di più sincrona: tanto per le economie più sviluppate quanto per quelle emergenti.

Il “Tapering” però (che dal punto di vista economico dovrebbe essere l’esatto opposto della manovra espansiva) sbandierato da due anni a questa parte dagli annunci dei medesimi banchieri centrali, preoccupati dall’incessante e dilagante crescita dei valori azionari e obbligazionari, è risultato tuttavia così prudente e graduale da apparire sostanzialmente inesistente. Un caso così estremo da risultare sostanzialmente illusorio di quella “Forward Guidance” (anticipazione verbale delle future manovre) che le banche centrali amano utilizzare per indirizzare i mercati quando vedono degli eccessi che potrebbero trasformarsi in futuri disastri.

Ecco allora che oggi si materializza una fuorviante rappresentazione della realtà: quella che tocchiamo con mano appare molto diversa da quella che ci viene comunicata dalla Yellen (governatrice della Federal Reserve bank of America), da Zhou Xiaochuan (presidente della banca centrale cinese) da Mark Carney (presidente della banca centrale inglese) e via dicendo, sino all’ultimo arrivato nella lista degli “annunciatori”: Mario Draghi (governatore della banca centrale europea).

NESSUNO PUÒ PERMETTERSI UN’IMPORTANTE RISALITA DEI TASSI DI INTERESSE

Ad ascoltare gli annunci bellicosi di aumenti dei tassi di interesse della Yellen sembrava che una nuova crisi dei mercati potesse arrivare solo per effetto di tale manovra, attuata invece sino ad oggi in forma quasi simbolica, perché lo sanno tutti che un vero rialzo dei tassi di interesse I governi di tutto il mondo non possono permetterselo, fino a quando non saranno riusciti a monetizzare buona parte del debito pubblico, cioè per molti anni ancora. Tanto per fare due numeri, dal 2007 i debiti globali (pubblici e privati) sono infatti aumentati di oltre il 70%, arrivando a sfiorare i 140mila miliardi di dollari secondo il Fondo monetario internazionale. E’ chiaro anche a un bambino che -se un’importante risalita dei tassi si materializzasse- il maggior costo del servizio del debito non farebbe che incrementare I disavanzi pubblici e dunque la massa del debito stesso, impedendone il rientro a volumi più fisiologici. Ecco dunque che si procede sistematicamente a graduali rinvii dei rialzi annunciati e a piccoli passi di un quarto di punto percentuale alla volta, augurandosi che l’omeopatia funzioni davvero nel limitare gli eccessi dei mercati finanziari.

Calcola la Banca Pictet che, secondo gli annunci odierni dei loro governatori, dopo i 2.540 miliardi di dollari iniettati sui mercati dalle 5 maggiori banche centrali del mondo nel 2017, si scenderà a “soli” 510 miliardi nel 2018 per poi teoricamente azzerare la liquidità immessa a partire dal 2019. Dunque bisogna aspettare almeno un biennio per verificare se toccheremo con mano una riduzione della liquidità sui mercati.

Per quest’anno invece ancora due triliardi e mezzo di dollari continueranno ad affogare gli acquisti di azioni e obbligazioni.

Poi si vedrà, anche sulla base della misura dell’inflazione dei prezzi al consumo (quasi inesistente), mentre di quella dei prezzi degli “assets” non se ne infischia nessuno.

D’altra parte una fetta consistente di questa liquidità è affluita sotto forma di investimenti nei Paesi emergenti. Negli ultimi anni essi hanno attirato importanti flussi d’investimento (superiori a 300 miliardi di dollari nel solo 2017) e questo ha aiutato decisamente il sincronismo della crescita economica globale che oggi registriamo, unitamente alla loro crescita demografica. È altresì indubitabile che la crescita generalizzata dei profitti aziendali cui assistiamo negli ultimi mesi (che a sua volta traina la corsa delle borse) c’entra parecchio con le maggiori esportazioni che il mondo più industrializzato realizza nei confronti dei Paesi Emergenti.

CHI VUOLE FERMARE IL CAVALLO IN CORSA?

“Davvero qualcuno vuol fermare il galoppo dell’economia ?” (avrebbe chiesto Maigritte con ironia). Nessuno, davvero, nemmeno se “sospinto” da forze artificiali. Anche perché i Paesi OCSE sanno benissimo che senza la manna dell’accelerazione del prodotto globale lordo che oggi finalmente si dispiega essi non potrebbero sostenere le tensioni sociali interne che derivano dal fatto che le classi meno agiate dei paesi più ricchi hanno beneficiato sino ad oggi ben poco della ripresa economica. La crescita indotta dalle facilitazioni monetarie ha in prima battuta favorito i detentori di attività finanziarie. Cioè h ampliato la disuguaglianza economica. Ci vuole tempo perché i suoi benefici si trasmettano all’economia reale.

Lo scenario perciò di graduale riduzione delle facilitazioni monetarie che ci viene propinato va filtrato attentamente con la realtà, che sembra riferirci uno scenario diverso, che nessuno vuole vedere tramontare troppo in fretta. Non lo vuole l’America, che si prepara a controbilanciare il suo tapering (tutto da vedere se poi si materializzerà dopo la nomina del successore della Yellen) con un pacchetto di riduzioni fiscali e incentivi all’industria proprio orientato al miglioramento dei redditi più bassi. Non lo vuole la Cina, ancora pesantemente impegnata a finanziare il suo sviluppo anche per strappare alla fame qualche centinaio di milioni residui di propri cittadini ancora dediti all’agricoltura più retrograda.

Non lo vuole nemmeno l’Europa, preoccupata più di quanto si possa immaginare dalle tensioni interne e dalle spinte separatiste che potrebbero far tramontare presto la stagione di crescita in corso, minacciata dal potenziale tracollo del debito sovrano dei suoi membri più deboli.

“Non credete minimamente a ciò che dico. Non prendete nessun dogma o libro come infallibile” diceva Buddha. E “una volta eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità”, gli faceva eco Sherlock Holmes nei romanzi di sir Arthur Conan Doyle. Forse un esercizio utile anche in economia.

Stefano di Tommaso