LO SCENARIO ECONOMICO SI CAPOVOLGE

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E’ in atto un profondo cambiamento nel corso del ciclo economico: non soltanto a questo punto dell’anno tutti si rendono conto del fatto che l’inflazione che abbiamo registrato fino ad oggi (in Europa al 5% circa) può significativamente peggiorare man mano che gli aumenti dei costi dell’energia, dei componenti elettronici e delle materie prime si trasmettono a valle sui prodotti finiti. E nessuno sa bene quanto l’iper-inflazione in arrivo potrà devastare i conti aziendali così come i risparmi dei privati cittadini. Ma c’è dell’altro: persino la ripresa economica, nell’anno che avrebbe dovuto sancire il ritorno ai livelli pre-covid invece scricchiola! Cosa sta succedendo, e perché?

 

L’EUROPA NON CORRE

Iniziamo dall’andamento della Germania, che è stato negativo per tutta la seconda parte del 2021: poiché essa resta ugualmente il motore economico dell’euro-zona, allora è ancora più grave il fatto che sta entrando in piena recessione. Se infatti anche nel trimestre in corso mostrerà un andamento negativo, allora sarà tecnicamente la volta buona che lo si potrà affermare senza tema di smentita.

I motivi della recessione tedesca sono molti, ma la tendenza sembra inesorabile: dalla crisi delle forniture di semiconduttori, microchip, materie prime ed energia, al calo dei consumi dovuto alle restrizioni ai viaggi, al turismo e allo svago imposte dalla pandemia che continua a strisciare. Il risultato però è notevole: tutta l’ Europa sta pagando a caro prezzo tanto il Covid quanto la crisi geopolitica ed energetica.

L’ITALIA POTREBBE SEGUIRE LA GERMANIA

L’Italia, bisogna darne atto, sino ad oggi sembra aver viaggiato decisamente meglio. Ma nella buona sostanza le cose non vanno nemmeno da noi, e per una serie di motivi:

  • intanto a casa nostra il debito pubblico scricchiola più del Prodotto Interno Lordo (PIL) e quindi il rialzo dei tassi d’interesse (dato oramai per scontato) infliggerà al nostro paese una tassa micidiale che può azzoppare l’economia peggio della penuria di semiconduttori che rovina i conti dell’industria automobilistica franco-tedesca;
  • poi il nostro Paese vanta sì la seconda macchina industriale d’Europa (dopo la Germania e prima della Francia) ma non può vantare alcuna capacità di produrre in casa l’energia che servirebbe per farla funzionare! E’ come se avessimo in garage una vettura formula 1 ma avessimo forti condizionalità sulla benzina che serve per farla girare in pista. La Francia invece ha attivi 58 reattori nucleari, in 19 centrali, che volendo potrebbero quasi soddisfare l’intero Paese. La Germania ha i giacimenti di carbone ed è il punto di arrivo di un gasdotto del nord (il “North Stream”) che la Russia ha costruito apposta per lei. Noi avremmo il gas che arriva dall’Africa, ma non basta. Avremmo anche i giacimenti ma siamo il Paese di Tafazzi, tanto che ci siamo inventati lo stop alle trivelle, così da rendere impossibile andarlo ad estrarre. Morale: i conti delle imprese si apprestano ad essere profondamente affossati;
  • inoltre buona parte dei nostri distretti industriali sono fornitori o sub-fornitori delle grandi industrie europee, molte delle quali direttamente o indirettamente legate al mondo dell’auto (come Stellantis, WW, Bosch, Siemens, eccetera…) impiantistica compresa. Ma il settore “automotive” è in piena transizione e le sue fabbriche sono in ristrutturazione. Dunque è probabilmente soltanto questione di tempo perché anche le nostre esportazioni inizino a zoppicare. Cioè se Sparta piange allora Atene non ride;
  • infine per esprimere ottimismo sul nostro andamento economico non si può non guardare all’altro grande fattore che la fa girare: il denaro (cioè la liquidità). E quest’ultimo da noi non solo ha sempre scarseggiato, ma oggi più che mai ne gira assai poco nelle tasche della gente. L’Italia è in perenne deflazione salariale, le banche erogano sempre meno prestiti, le imprese investono poco persino dei profitti accumulati, lo Stato ancor meno, i risparmiatori comprano principalmente titoli esteri e la borsa italiana è oramai una filiale di quella francese! E se da noi non girano quattrini, le imprese più deboli rischiano di saltare e quelle che vanno bene rischiano di emigrare.
  • La statistica riportata nell’unica tabella che sono riuscito a trovare online è oramai completamente superata! La crescita prevista per il 2022 è da limare o addirittura da invertire per buona parte dell’Eurozona:

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In contemporanea per l’Italia arrivano anche diverse cattive notizie per l’occupazione: per gli stessi motivi visti più sopra per i quali l’industria tedesca va in crisi, anche molti stabilimenti controllati da gruppi stranieri nel nostro Paese stanno chiudendo i rubinetti. Il gruppo Bosch ad esempio ha annunciato 700 esuberi nello stabilimento di Bari nei prossimi cinque anni (un dimezzamento dei suoi attuali 1.700 addetti), la Magneti Marelli invece vuol tagliare 550 ”indiretti!” (dirigenti, impiegati e operai non addetti alla produzione). E vuole farlo entro Giugno. Come detto le ragioni risiedono nelle perdite determinate dai costi fuori controllo e dalla debolezza della domanda. Ma anche a causa di una troppo rapida transizione verso l’auto elettrica, che sta schiacciando tutta l’industria che lavora a monte di quella automobilistica, molto diffusa in Italia.

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Purtroppo a contrastare problemi come questi servirebbe una politica industriale nazionale ben più decisa, che nemmeno il governo Draghi ha mai varato, nonostante sia riuscito a gestire bene il rapporto con l’Europa per varare il PNRR e ottenere i 209 miliardi dei Recovery Fund. Il suo governo però non può permettersi di proseguire a contrastare i problemi della popolazione a colpi di deficit di bilancio.

E LA BCE NON AIUTERÀ

Servirebbe una maggior solidarietà della Banca Centrale Europea (BCE) nel gestire lo stock di debito pubblico italiano, mentre quest’ultima invece ha già annunciato dalla primavera un drastico taglio agli acquisti dei nostri BTP. Dunque il governo Draghi dovrà mostrare molto rigore per essere ascoltato a Bruxelles. Con il rischio di logorarsi politicamente e arrivare lacerato alla vigilia delle elezioni politiche.

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Ma se lo spread tra il BTP italiano e il Bund tedesco sta peggiorando anche perché dipende quasi totalmente da quello che decide la BCE a Francoforte, ecco che nemmeno Draghi può permettersi il lusso di andare a protestare contro le follie imposte dall’agenda ecologista della Commissione Europea. Anzi! Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è in arrivo e, con esso, di fatto una sorta di commissariamento dei conti italiani.

MENTRE IL DOLLARO SI RIVALUTA

La ciliegina sulla torta è poi la cavalcata del Dollaro americano, più o meno inevitabile visto che la BCE tutto sommato fa il nostro interesse a tenere i tassi più bassi che oltreoceano. Inevitabile anche perché l’America (che ha tutta l’energia che vuole e che non vede l’ora di esportarla a caro prezzo) farà di tutto per combattere in casa propria l’inflazione prima delle elezioni di medio termine.

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Con l’effetto che, con il caro-Dollaro, salirà ulteriormente per noi anche il costo delle materie prime (gas e petrolio compresi) e, di conseguenza, ancora una volta: l’inflazione. Con buona pace per le previsioni di un allentamento nell’anno in corso. E il rischio che presto il rincaro dei prezzi al consumo arrivi ad essere più forte di quà che di là dall’oceano!

Insomma quello che sembra vedersi all’orizzonte della prossima stagione, è una situazione economica globale da ”guerra del Kippur” del 1973, con tutto quello che ciò può significare per l’inflazione galoppante, ma senza che il nostro Paese possa opporre al caro-energia l’arma più usata in quegli anni per favorire l’industria nazionale: quella delle svalutazioni competitive. Oggi l’Italia non ha più il controllo della propria moneta e non può che subire una politica monetaria comunitaria fatta molto più su misura dell’industria tedesca che di quella domestica.

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L’esperienza delle crisi petrolifere degli anni Settanta ha peraltro insegnato alle banche centrali che l’inflazione provocata dalle difficoltà dell’offerta va sostanzialmente ignorata e non combattuta frenando la domanda. Dunque fa bene la BCE a dichiarare di non voler rialzare i tassi, ma fino a quale punto i popoli del nord-Europa accetteranno supinamente la svalutazione dell’Euro? E fino a quale punto accetteranno di sostenere i debiti pubblici dei paesi periferici dell’Unione? La domanda è lecita ma la risposta non c’è…

L’UNIONE EUROPEA AFFRONTA GLI ESAMI DI MATURITÀ

E’ per questi dubbi che l’anno appena iniziato si appresta ad essere una prova generale per la “vera” unione dei Paesi d’Europa che hanno aderito alla moneta unica: alle complessità della geo-politica, dell’inflazione e del ciclo economico che sta arrivando a ribaltarsi, essi vedranno sommarsi anche le tensioni tra i Paesi del nord Europa (i cosiddetti Paesi Frugali, più o meno corrispondenti a quelli della Lega Anseatica) e quelli del sud. Col rischio che possano decidere di prendere le distanze dalle politiche comunitarie annunciate sino a ieri.

Quando il cibo a tavola finisce, insomma, il rischio è quello che volino anche i piatti tra i commensali! Ciò che possiamo sperare è dunque che la recessione in probabile arrivo in Europa non sia completamente sincrona col resto del mondo (cioè con i paesi asiatici e quelli emergenti). E, per questa via, possano continuare a correre le nostre esportazioni. Soprattutto se la stabilità e la rinnovata autorevolezza delle nostre istituzioni riusciranno ad attirare risorse per il mercato dei capitali (o a farne fuggire meno).

MA LE BORSE POTREBBERO RESTARE POSITIVE

Per questi motivi è forse lecito attendersi per la prima parte del 2022 in Europa un completo sfasamento tra il ciclo economico e il mercato dei capitali: se l’economia reale farà tutto sommato fatica a correre nel vecchio continente, le borse -che al momento hanno già vissuto uno scrollone piuttosto deciso- con la liquidità sempre alta potrebbero addirittura rivedere miglioramenti per il comparto azionario, così come potrebbero correre le quotazioni dei beni rifugio ( e degli immobili ) a causa dell’inflazione galoppante. Un miglioramento che viceversa è molto più difficile attendersi per i titoli obbligazionari.

Nel grafico de Il Sole 24 Ore qui riportato si può ben vedere che il sodalizio tra le 2 principali “asset class” si è oramai interrotto:

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Ma la volatilità dei mercati finanziari è attesa altresì alle stelle per i prossimi mesi, soprattutto se i cannoni tuoneranno almeno un po’ ai suoi confini orientali. Il che in determinati momenti potrebbe rassomigliare molto ad una crisi dei mercati, anche se in definitiva resta decisamente improbabile che arrivi ad esserlo davvero. Un gioco adeguato soltanto ai fegati forti, dunque! O a chi riesce a diversificare parecchio i propri investimenti!

Stefano di Tommaso




INFLAZIONE, COME NEGLI ANNI ‘70 ?

inflazione
All’arrivo dei vaccini quest’anno le economie di tutto il mondo hanno vissuto un momento di eccezionale ripresa economica, principalmente spinta dalla ripresa dei consumi e dalla necessità della gente di tornare ad una vita normale. Pochi mesi dopo il gran rimbalzo però c’è il rischio che il forte rincaro dei prezzi possa agire come una tassa occulta sui nuclei familiari spingendo l’andamento economico esattamente nella direzione opposta, verso cioè una contrazione. Anche i margini industriali sono sotto pressione perché spesso il forte rialzo dei costi non si riesce a trasferirlo sui prezzi di vendita. E le grandi multinazionali stanno rivedendo le loro filiere produttive localizzando gli acquisti e verticalizzando le produzioni.

 

È IL COSTO DELL’ENERGIA CHE PUÒ ACCENDERE LA MICCIA

In Europa la bolletta energetica (tutto compreso: dal riscaldamento agli elettrodomestici fino al costo dei carburanti per gli spostamenti) conta almeno per il 10% della spesa per consumi e le statistiche indicano che la crescita dei costi in questo ambito sta arrivando al 40% rispetto al periodo pandemico. Inutile aggiungere che essa rischia di trascinare verso l’alto i prezzi di buona parte degli altri beni di consumo, a partire dal cibo, fino a buona parte delle materie prime, danneggiando fortemente le filiere abituali di fornitura delle imprese manifatturiere.

Energy is expected to push up inflation

L’INDUSTRIA RIDUCE I VOLUMI PRODUTTIVI

L’aumento dei prezzi dei fattori e dei costi di produzione a sua volta sta spingendo le imprese (soprattutto le più grandi e più internazionalizzate) a rivedere fortemente la propria dipendenza dalle filiere “lunghe” cioè dal commercio internazionale, sia per la forte crescita dei prezzi di trasporto, che per la scarsa affidabilità che hanno mostrato in questi mesi di forte contrazione della disponibilità di componenti essenziali come ad esempio i semiconduttori. Anche perché oramai si teme che la scarsità delle forniture possa durare ancora per qualche annetto.

Backlogs soar at German carmakers

Le fabbriche asiatiche sono costipate di ordini ma la sensazione è quella che esse siano sempre meno interessate ad esportare ad occidente le proprie produzioni dal momento che la domanda locale è in crescita così come i prezzi di acquisto di materie prime e semilavorati. Se questo problema è valso durante l’estate quasi solo per l’industria automobilistica e quella aeronautica, già alla fine di Agosto esso si era esteso a buona parte del resto delle produzioni, generando rialzi dei costi di produzione che in molti casi le imprese non sono state in grado di riversare sui prezzi di vendita e soprattutto forti contrazioni nell’output produttivo.

COME NEGLI ANNI ‘70 ?

La scarsità dei beni che si riversano sul mercato è ovviamente sempre il primo fattore responsabile dei rialzi dei prezzi e, a guardare in prospettiva ciò che sta avvenendo, sembra proprio di essere tornati alla corsa all’accaparramento che si è vista all’inizio degli anni ‘70. E tutti sanno com’è finita: la spirale inflazionistica dei prezzi a due cifre che si è generata dopo un po’ di tempo in cui tutti pensavano che il rialzo fosse temporaneo ha sconvolto il mondo e ha creato problemi tanto ai mercati finanziari quanto ai cambi valute.

Consumer price index

Sebbene gli ultimi dati indichino qualche controtendenza negli Stati Uniti d’America, le cui imprese sono state anche le prime a soffrire di questi problemi, bisogna tener conto del fatto che il continente europeo è molto più esposto di quello americano alle importazioni dal sud-est asiatico ed è molto più dipendente dalle importazioni di quanto lo sia l’America.

IL PESSIMISMO AUMENTA TRA GLI INDUSTRIALI

Tanto che una recente pubblicazione di Bank of America indica tra i fattori di pessimismo per l’economia più l’inflazione che la ripresa della variante Delta del Covid-19. In America poi a scendere sono stati quasi solo i prezzi dei beni e servizi che hanno vissuto più intensamente la ripreso dopo la fine del lockdown, come i ristoranti e i biglietti aerei, ad esempio. I nuovi contagi dovuti alla variante delta hanno di nuovo calmierato quei consumi, ma gli altri prezzi hanno registrato un’ulteriore accelerazione, per cui è legittimo supporre che, quando l’attuale ultima ondata pandemica si sarà esaurita, l’inflazione riprenderà a crescere.

European future gas prices are soaring

E LE TASSE POTREBBERO ADDIRITTURA SALIRE

Il problema è così grande che anche i governi di quasi tutto il mondo si stanno muovendo, nella consapevolezza del fatto che la situazione può peggiorare bruscamente con l’arrivo di un possibile inverno freddo. Si sta pensando a sgravi fiscali e alla possibilità di controbilanciare i timori diffusi con nuove misure fiscali espansive che, se da un lato possono favorire gli investimenti e contribuire a migliorare la fiducia delle imprese, dall’altro lato gettano ulteriori timori circa l’acuirsi dell’inflazione e circa il rischio che il prelievo fiscale possa incrementare ulteriormente nei prossimi mesi per effetto degli interventi governativi. E nel nostro Paese che già ha superato ogni record sarebbe una vera iattura!

European OECD Country Rankings

Il momento magico della ripresa economica sembra insomma essersi esaurito fin troppo velocemente, lasciando il campo alla sensazione che si sia innescato quest’anno il medesimo movimento infernale che ha portato -cinquant’anni fa- al primo importante shock petrolifero globale e all’incapacità da parte delle autorità monetarie, di arginare l’inflazione dilagante.

DI NUOVO TROPPO OTTIMISMO SUI MERCATI

Inutile dire quello che sappiamo già: che i mercati finanziari probabilmente anticiperanno tutto ciò con molto disordine sui listini delle borse e una spiccata ripresa della volatilità complessiva, nonché degli ovvi possibili rialzi dei tassi d’interesse. Correzioni in vista dunque? È assai probabile, sebbene il peggiorare delle condizioni economiche globali possa indurre le banche centrali a continuare a pompare liquidità sui mercati, quantomeno per acquistare titoli del debito pubblico. È su questa base che sino ad oggi c’è stato fin troppo ottimismo, come si può leggere dal grafico riportato:

bearishness

L’effetto di questi interventi però sino ad oggi ha tenuto alto il livello delle quotazioni borsistiche, ed è possibile che questa tendenza non sia affatto esaurita. È ciò che spinge alla prudenza i gestori dei patrimoni in questi giorni, nel timore di fare qualcosa che potrà rivelarsi stupido nel giro di poco tempo, andando a intaccare la bella performance sul valore dei portafogli, accumulata nei primi trimestri di quest’anno.

SCENDERANNO I MARGINI INDUSTRIALI ?

Ma è l’altro timore quello che può giocare un brutto scherzo alle borse: il rischio che i maggiori costi possano provocare una clamorosa riduzione nei margini di profitto delle imprese (sui quali si basano le valutazioni aziendali). Il grafico qui sotto riportato (pubblicato da Bank of America) mostra i risultati di un recente sondaggio tra i gestori di fondi di investimento, e parla fin troppo chiaramente.

Margins expected to worsen

E per quanto anche questo rischio del calo dei margini industriali e di conseguenza dei profitti netti attesi sia ancora prevalentemente percepito come temporaneo e passeggero, qualche riduzione della fiducia dei mercati può provocarla ugualmente, oltre a quella sensazione di amaro in bocca che lasciano le numerose analogie con quanto già avvenuto negli anni settanta, in cui ci vollero un paio d’anni per comprendere che la fiammata inflazionistica non era più da considerarsi “temporanea”.

Stefano di Tommaso




CINQUE GRAFICI RIASSUMONO IL 2017

Ecco a Voi cinque grafici, pubblicati dal Guardian, che riassumono efficacemente l’andamento delle principali variabili economiche dell’anno. E qualche considerazione che se ne deduce.

LE BORSE DI TUTTO IL MONDO SONO QUASI SOLO ANDATE SU:

NONOSTANTE LA LORO CORSA SFRENATA HANNO REGISTRATO LA PIÙ BASSA VOLATILITÀ DEI CORSI DELLA STORIA RECENTE, CONFERMANDO LA NATURA ASSAI POCO SPECULATIVA DEGLI ACQUISTI E FORNENDO STABILITÀ ALLA CRESCITA:

IL COMMERCIO GLOBALE HA FINALMENTE RIPRESO LA SUA CORSA NEL 2017 (nonostante la globalizzazione abbia fatto aumentare il numero degli stabilimenti produttivi nel mondo) E LO SI VEDE DALL’ANDAMENTO DEI PREZZI DEI NOLI MARITTIMI :

MENTRE IL PETROLIO HA INIZIATO A METÀ ANNO A RISALIRE E DA QUEL MOMENTO LO HA FATTO STABILMENTE, EVIDENTEMENTE LA FORTE RIPRESA MONDIALE ALIMENTA LA DOMANDA DI ENERGIA CHE, CONTRO OGNI PREVISIONE, SUPERA DI MISURA LA GRANDE OFFERTA DI MATERIA PRIMA :

E INFINE IL TORMENTONE DELL’ANNO: IL BITCOIN, PARTITO DA 1000 DOLLARI A GENNAIO E ARRIVATO QUASI A 20.000 DOLLARI PER POI RITRACCIARE, MA SOLO DI POCO:

 

COSA SE NE PUÒ DEDURRE?

•che le borse non crolleranno così presto, anzi!
•che la volatilità dei corsi potrebbe però tornare a crescere;
•che l’impennata del commercio globale fa bene alla crescita economica ;
•che la risalita del prezzo del petrolio è indice di forte salute dell’economia globale e, a sua volta, favorisce le esportazioni di molti paesi emergenti;
•che la crescente liquidità mondiale cerca strade alternative a quelle imposte dalle banche centrali, probabilmente proprio dove le restrizioni sono più forti, riversandosi sulle criptovalute le quali vengono viste come riserva di ricchezza al riparo da dittature e tassazioni anche a causa dell’impossibilità di incrementarne artificialmente l’offerta;
•che la tecnologia sottostante, il blockchain, è considerata inattaccabile e sarà perciò presto adottata in una miriade di altre applicazioni collegate alla “nuvola”.

 

Stefano di Tommaso