LE DIVERGENZE DELL’OCCIDENTE

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I tassi d’interesse aumentano, l’economia rallenta, l’inflazione cala (ma non troppo), l’indebitamento continua a crescere e la guerra Ucraina rischia di allargarsi. Eppure le borse vanno alla grande e i mercati finanziari brindano: che succede? Dipende soltanto dal fatto che l’inflazione ha iniziato a calare? No,non solo. E quest’ultima non è detto sia ancora vinta..!

 

GLI EFFETTI DELL’ECCESSO DI CONCENTRAZIONE DELLA RICCHEZZA

Fior di studi sula concentrazione della ricchezza in poche potentissime mani hanno dimostrato che è una minaccia per la democrazia e il sistema di mercato che l’ha prodotta. Il rischio è quello di una progressiva inefficacia della politica a favore di chi esercita un potere finanziario o oligopolistico, arrivando a controllare le sorti di migliaia di posti di lavoro, il sistema sanitario, le risorse energetiche, le scelte delle amministrazioni locali e sinanco quelle dei parlamenti nazionali.

LA COMPAGNIA HOLDING SPACiò che però in queste ultime settimane stiamo sperimentando appare come una fase “nuova” dell’era “post-capitalistica”, in cui i mercati e i loro grandi protagonisti stanno mostrando la capacità di farsi un baffo non soltanto delle politiche economiche e fiscali delle nazioni, ma persino delle politiche monetarie, rendendole di fatto poco efficaci. Questa “novità” potrebbe aiutare a spiegare i rialzi azionari e il morbidissimo impatto dell’inflazione e delle misure messe in campo per contrastarla sui profitti delle grandi multinazionali.

LA COMPAGNIA HOLDING SPASP500 Corporate Earnings 12/2022

LA DISCUTIBILE “MANFRINA” DELLE BANCHE CENTRALI

Le banche centrali alzano i tassi d’interesse ben sapendo che poco saranno efficaci per combattere l’inflazione perché l’origine di quest’ultima non è il surriscaldamento dei consumi o l’eccesso di investimenti, bensì la scarsità di offerta di materie prime ed energia. Provocano non poco patimento alle piccole imprese, ai privati, e ai lavoratori autonomi che devono sobbarcarsi una spesa aggiuntiva fingendo che il rialzo dei tassi ridurrà l’inflazione.

Quegli aumenti colpiscono poi anche il costo del debito pubblico. I governi devono perciò stanziare maggiori risorse per il servizio del debito, distraendole dalla previdenza sociale, dall’assistenza sanitaria e dal rinnovo delle infrastrutture.

LA COMPAGNIA HOLDING SPAMa il calo della domanda di beni e servizi dei privati e delle piccole imprese appare -per la prima volta nella storia economica- poco percettibile nelle statistiche, fino a mettere in discussione il concetto stesso di “recessione”. Le grandi imprese, la grande finanza, i grandi oligopoli dell’energia, della farmaceutica, delle tecnologie e del commercio elettronico, ne risentono tutto sommato piuttosto poco, a causa delle enormi risorse a loro disposizione per contrastare i venti avversi.

E LE BORSE BRINDANO…

I listini azionari delle borse valori dipendono molto più dall’andamento dei titoli principali per ammontare di capitalizzazione che non da quello generalizzato dell’economia reale che condiziona quasi esclusivamente i profitti e le prospettive delle imprese minori. Ed è probabilmente questo il motivo principale per cui le borse occidentali stanno correndo a gonfie vele proprio da Ottobre, in strana coincidenza tanto con il picco dell’inflazione quanto con l’acuirsi del conflitto ucraino. Oggi la borsa americana delle tecnologie (il NASDAQ) è cresciuto del 20% dall’inizio dell’anno!

E’ quasi come se coesistessero due diverse economie nell’ambito delle stesse nazioni: quella dei grandi oligopoli e dei grandissimi investitori finanziari (che trae persino giovamento dai rialzi dei prezzi delle risorse naturali e dal rialzo dei tassi) e quella di tutti gli altri (che ne soffre).

LA “DIVERGENZA” TRA GRANDI E PICCOLI OPERATORI ECONOMICI

Si è creata insomma una situazione che viene alimentata dalle stesse istituzioni pubbliche (a partire dalle banche centrali) per cui se i tassi salgono e i debiti pubblici peggiorano aumenta anche la divergenza tra le due categorie di operatori: quelli della prima categoria ci guadagnano e quelli della seconda ci rimettono.

Difficile affermare che il panorama economico occidentale, rarefatto e fortemente polarizzato sui pochi grandissimi operatori economici del terzo millennio, sia ancora il medesimo del capitalismo storico, i cui valori erano: la concorrenza perfetta, la libera circolazione delle idee e del sapere scientifico, l’intervento dei comitati antitrust, l’innovazione e il pionierismo. Sembra di parlare di concetti relativi ad un’altra era geologica e invece si riferiscono soltanto all’altro ieri!

IL RIARMO FAVORISCE L’INFLAZIONE

Oggi poi l’Occidente propone attraverso i suoi mezzi di informazione di massa una “crociata” contro Russia e Cina (oltre che tutti gli altri stati accusati di “amicizia” con Russia e Cina), ree di non aver piegato la loro politica a questa nuova forma di “oligo-capitalismo” che rischia di sfociare in una sorta di dittatura occulta e globale. In nome di questa grande mobilitazione l’Occidente corre al riarmo, “sanziona” chi esprime “divergenza” e talvolta chiude sinanco alla libera circolazione delle idee, delle persone e delle merci.

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Finanziare il riarmo tuttavia comporta scelte importanti: la spesa pubblica cresce a scapito del “welfare” e accresce il debito pubblico. Al tempo stesso contrasta gli effetti restrittivi della politica monetaria delle banche centrali. Cioè favorisce l’inflazione.

 

 

 

IL RISCHIO DI UNA “SECONDA ONDATA”

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E le statistiche dicono che l’inflazione non è ancora vinta. Tutt’altro! Anzi il rischio è quello di vederne una “seconda ondata”! Ci sono per ora pochi segnali ma preoccupano non poco: se la discesa dell’inflazione in Occidente fosse già terminata non solo le borse non potrebbero che scendere bruscamente, ma le banche centrali sarebbero costrette a reagire bruscamente provocando, stavolta sì, una vera e propria recessione! Uno di questi segnali è il prezzo del rame, salito di circa il 30% dai minimi di Ottobre. Il rame è considerato un “anticipatore” dell’andamento degli altri prezzi delle altre materie prime, di solito di tre mesi.

LA COMPAGNIA HOLDING SPAAltri segnali da non sottovalutare riguardano l’inflazione “core”, cioè quella che non tiene conto dei prezzi energetici ed alimentari, in lieve salita in quasi tutti i paesi europei, e soprattutto gli aumenti salariali. Particolarmente accentuati negli Stati Uniti d’America, anche in Europa stanno arrivando un po’ dappertutto, con il rischio che possano innestare una spirale dei prezzi (soprattutto dei servizi) che si autoalimenta. D’altra parte è da considerarsi quasi fisiologico che, dopo una prima ondata di rialzo dei prezzi, ce ne siano di successive, così come accade per le pandemie. Una serie di “fattori di trascinamento” dell’inflazione appaiono inevitabili.

FANNO BENE LE BANCHE CENTRALI?

Fanno bene allora le banche centrali ad annunciare altri rialzi? Probabilmente no, dal momento che i tassi più elevati assai poco incidono sulle vere cause, fatto salvo il caso in cui esse riusciranno a “scatenare” una seria recessione economica e un rialzo della disoccupazione, due che però avrebbero anche molti effetti collaterali, tutt’altro che desiderabili. Ad esempio abbasserebbero il gettito fiscale, provocando nuove tasse o di mettere a rischio la sostenibilità dei debiti pubblici). Non solo: eventuali disagi sociali porterebbero quasi automaticamente i governi ad aumentare la spesa per il “welfare” (cn un effetto opposto sull’inflazione), proprio quando meno potrebbero permettersela!

LA “DIVERGENZA” TRA POLITICHE MONETARIE E FISCALI

C’è una seconda divergenza al riguardo: se le politiche fiscali restano espansive (a causa dell’incremento della spesa pubblica che deve finanziare il riarmo e che cerca di contrastare i problemi sociali generati dall’inflazione) a poco serve stringere sulle politiche monetarie!

LA COMPAGNIA HOLDING SPASenza pretendere di possedere la verità, in quest’ottica apparirebbe più corretta una manovra delle banche centrali coordinata con i governi per restringere la liquidità in circolazione senza alzare i tassi, onde riuscire a correggere i prezzi di materie prime ed energia, con la finalità di toccare le vere cause dell’inflazione degli altri prezzi ed evitare che il rialzo dei tassi provochi conseguenze spiacevoli.

Ma il rialzo dei tassi d’interesse (soprattutto se dovesse sortire un rialzo di quelli reali, cioè quelli al netto dell’inflazione) appare un toccasana per i bilanci di banche, finanziarie e holding di partecipazione. Con tassi reali più elevati le rendite finanziarie crescono, a scapito dell’industria e del commercio. Si può comprendere dunque che ci sono forti interessi in ballo!

COSA SUCCEDERÀ

Prima di lanciarsi nelle previsioni occorre ricordare l’andamento ciclico di quasi tutte le variabili economiche e finanziarie: è probabile che le borse non proseguano troppo a lungo nella risalita di cui hanno goduto negli ultimi mesi dal momento che l’economia globale rallenta, lievemente ma inesorabilmente. È inoltre possibile che l’inflazione arrivi a “rimbalzare”, seppur di poco, spingendo le banche centrali a ulteriori rialzi dei tassi, peraltro già ampiamente annunciati!

Tuttavia se il conflitto ucraino non si allargherà e se non si creerà un secondo fronte di scontro a Taiwan o in generale con la Cina, allora è possibile che il prezzo del petrolio e del gas continuerà a scendere, con un benefico effetto sull’economia mondiale e sull’inflazione dei prezzi. Ciò potrebbe permettere alle banche centrali di interrompere i rialzi dei tassi anche in presenza di piccoli rialzi dell’inflazione “core”. Il che darebbe manforte alle borse per toccare nuovi massimi.

LO SCENARIO PIÙ PROBABILE

Quello appena descritto non è tuttavia lo scenario più probabile. Il consenso di mercato attribuisce la probabilità più elevata ad una “lieve” recessione, forse confinata alle sole economie occidentali, che deprimerà la dinamica dei prezzi ma che scatenerà anche molta incertezza sui mercati finanziari, soprattutto se accompagnata da nuovi attacchi da entrambi i fronti in Ucraina. Provocando una discesa moderata delle borse.

E in tal caso gli scenari possibili sono almeno due: se i prossimi scontri in Ucraina saranno brevi ma intensi e lasceranno spazio a nuove trattative per la pace, l’effetto negativo sarà contenuto.

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Auspicando infine che l’ultimo scenario abbia la minima probabilità di verificarsi, c’è invece la teorica possibilità che gli scontri prossimi venturi siano pesanti e non consentano di “aprire” ad alcuna soluzione diplomatica. Anzi, se anche nei confronti della Cina dovessero aumentare le tensioni, allora l’inflazione potrebbe riprendere la sua corsa anche a causa dell’accresciuta necessità di materie prime ed energia, che porterebbe a rialzi dei prezzi in breve tempo generalizzati. In tutto il mondo forse. Con buona pace per il buonsenso!

 

Stefano di Tommaso




VENDITE AUTO NELLA BUFERA. E I CONCESSIONARI SI AGGREGANO

I veicoli immatricolati in Italia nel primo quadrimestre 2019 ammontano a 712.196 unità, il 4,6% in meno rispetto ai volumi dello stesso periodo del 2018, mentre la quota di mercato delle auto italiane nuove vendute nel nostro territorio è più o meno di un quarto del totale. Il mercato delle vendite di auto nuove, dopo le flessioni di gennaio (-7,5%), febbraio (-2,4) e marzo (-9,6%), ad aprile 2019 ha registrato una mini-ripresa “tecnica” (+1,5%) quasi solo grazie ad un giorno lavorativo in più (20 giorni ad aprile 2019 contro i 19 di aprile 2018) totalizzando nel quadrimestre un -4,6% rispetto allo stesso periodo del 2018.

 

Nel quadrimestre forte appare la contrazione delle autovetture diesel (-25%) mentre quelle a benzina sono viceversa in aumento quasi della stessa misura (+24%). Raddoppiano le auto elettriche rispetto ai primi 4 mesi del 2018: sfiorano le 2400 unità, anche grazie all’eco-bonus (dopo la pubblicazione, l’8 Aprile, ne sono state vendute 1200 in venti giorni) ma in totale rappresentano meno dell’1% del mercato (dunque il sistema bonus-malus -a conti fatti- pende fortemente a sfavore).

CRESCONO LE AUTO ELETTRICHE, CROLLANO DIESEL E A METANO


Crescono del 33% nel quadrimestre le vendite di auto ibride (quelle plug-in beneficiano parimenti dell’eco-bonus). In crescita anche le superutilitarie (anche perché la nuova normativa privilegia le auto con prezzo di listino inferiore a €50mila ed emissioni inferiori ai 70mg) e le S.U.V. (una tendenza oramai consolidata) mentre sono parimenti in calo le berline e più in generale viene penalizzato l’alto di gamma (-31%). Appena positive le vetture sportive e quelle di super-lusso. Nello stesso periodo crescono leggermente le vendite di auto nuove a GPL (+5%) ma crollano quelle a metano (-41%).

CRESCITA DELLE VETTURE USATE


Il medesimo andamento si registra per le vetture usate: nel primo quadrimestre del 2019, i trasferimenti di proprietà sono stati 1.480.849 (esattamente il doppio rispetto alle vendite di auto nuove), ma ammontano al 4,1% in meno rispetto allo stesso periodo del 2018, un calo poco inferiore a quello delle vendite di auto nuove, nonostante la decisa riduzione (anche per fattori stagionali) delle vendite di auto a km zero.

SCENDONO NOLEGGIO E FLOTTE AZIENDALI, CRESCONO I PRIVATI

Andando a separare le vendite di auto secondo il regime di proprietà, cala parecchio il noleggio (-6,8% nel quadrimestre) ma, a ben vedere, cresce decisamente nel solo mese di Aprile (+23%), evidenziando la sua caratteristica fortemente pro-ciclica di questa forma di proprietà. In generale comunque il noleggio a lungo termine sembra destinato a una riduzione nel 2019. Scendono inoltre decisamente le vendite alle flotte aziendali (-7,25% nel primo trimestre, a causa del venir meno degli incentivi per il superammortamento), mentre crescono di misura (meno del 3% quelle a privati), e i leasing auto.

In generale le previsioni per l’anno in corso sono dunque negative: qualcuno stima che le auto nuove che saranno state vendute a fine 2019 ammonteranno a meno di 1,8 milioni, contro le 1,9 milioni vendute nel 2018 (-5%) ma è questa soltanto una vaga ipotesi, che non tiene conto dell’attesa di possibile miglior ripresa economica per la seconda parte del 2019, che potrebbe dunque riflettersi anche sul mercato dell’auto.

BOOM DELL’USATO ONLINE

Si stima inoltre in crescita la quota di mercato delle auto usate (dovuta alla progressiva saturazione del mercato), sebbene il maggior numero di unità vendute non corrisponda che a circa la metà degli importi in termini di valore rispetto alle auto nuove.

Ma l’argomento più interessante è quello delle vendite online: sembrerebbe che il 40% degli 800.000 veicoli posti in vendita online in ogni istante venga piazzato a privati nel giro dei successivi 30 giorni. I maggiori operatori del mercato sono senza dubbio AutoScout24 e Facile.It e rischiano di erodere una fetta sempre maggiore di un mercato, quello dell’usato, che ha sempre rappresentato una miglior fonte di guadagno per i concessionari auto rispetto alle vendite del nuovo.

Il 27% delle persone in Italia sarebbe interessato all’acquisito dell’auto online e ci si aspetta che questa percentuale cresca sulla sua di quanto sta accadendo in UK e US. Le ragioni che spingono i consumatori ad optare per questa scelta sono: migliori promozioni (per il 51% degli intervistati) , una più facile comparazione di prezzo (37% ) e un risparmio di tempo (28%).

I DISTRIBUTORI SI AGGREGANO, MA IN EUROPA SONO PIÙ AVANTI

Quanto ai distributori di auto, è sempre più chiaro che, mentre in Italia continuano ad operare le piccole realtà, nel resto d’Europa sono soprattutto i grandi gruppi a crescere di fatturato. Il mercato dell’auto infatti risente meno di altri dell’esplosione delle vendite online, sia per un problema concreto di assistenza e manutenzione, che per i servizi accessori che accompagnano quasi sempre le vendite.


Le statistiche disponibili per i concessionari in Europa sono tuttavia molto limitate per il 2018 e, per farsi un’idea del mercato, bisogna risalire al 2017, anno in cui la Svizzera Emil Frey ha registrato il più alto livello di fatturato (oltre 11 miliardi di euro, mezzo milione di vicoli consegnati e quasi 700 punti vendita). Seguono a distanza Penske Europe (quasi 8 miliardi) e tre pesi massimi britannici: Pendragon (5,5 miliardi), Lookers (poco meno) e Inchcape Europe (quasi 5 miliardi). Tra le italiane spiccava (sempre nel 2017) la Autotorino, che però nel 2018 ha già totalizzato una forte crescita, contando anche il fatturato della neo-acquisizione di Autostar, a circa 1,2 miliardi di euro. Seguono Intergea e Porsche Holding (appartenente al gruppo VW). Molti di questi grandi gruppi distributivi sono però oggi indipendenti dalle case di produzione automobilistica, che in precedenza sembravano voler presidiare più direttamente il loro mercato di sbocco.

CRESCE LA QUOTA DI MERCATO DEI GRANDI MULTIMARCA


Dappertutto però si assiste a un andamento opposto delle vendite a seconda delle strutture distributive: crescono quelle dei grandi gruppi multimarca, calano più che proporzionalmente quelle dei piccoli e dei monomarca. In Italia poi nel 2017 i primi 50 dealer fatturavano in media meno di 300 milioni di euro, un ordine di grandezza dunque nemmeno paragonabile a quello dei primi gruppi europei appena citati. Nel grafico qui sopra si nota comunque per quei medesimi top 50 una quota di mercato comunque crescente.

BOOM DEI SOFTWARE PER VENDITE E ASSISTENZA AUTOMOBILISTICA


Chi può farne i migliori guadagni sono le case produttrici di software per la gestione delle vendite auto, per i configuratori, per i comparatori di prezzo e prestazioni, per gestirne la fiscalità, la manutenzione e la soddisfazione come utilizzatori. Una vera e propria messe di nuovi prodotti informatici è destinata a riversarsi sul tema secondo la società di analisi e previsioni Garner Insight.

Stefano di Tommaso




A GLOBAL SHIFT

Era parecchio tempo che non mi capitava di commentare una situazione economica globale tanto positiva quanto contrastata come quella attuale. Se pensiamo ai mercati finanziari sembra di guardare il mondo dalla cima di una montagna: non si potrebbe essere più in alto ma è anche questo il problema, visto che adesso potrebbe iniziare la discesa. Se invece guardiamo alla crescita dell’economia reale, non si può che prendere atto dei decisi miglioramenti a livello globale, con un andamento positivo uniforme un po’ in tutto il mondo. Se vogliamo infine riferirci alle variabili che più interessano l’uomo della strada (reddito disponibile, debiti, uguaglianza sociale, sicurezza e previdenza) allora notiamo se non dei passi indietro comunque non grandi progressi dopo la crisi del 2008. Eppure sono solo facce diverse del medesimo mondo che stiamo vivendo.

LA RIMONTA DEGLI EMERGENTI

Un mondo per molti versi migliore e nel quale iniziano a divenire attori globali molti Paesi Emergenti che sino a ieri costituivano solo una piccola parte dell’economia globale. D’altronde sono loro i veri protagonisti dell‘impennata dello sviluppo economico che stiamo vivendo. Senza la loro avanzata il mondo occidentale si sarebbe probabilmente addormentato in una sorta di “stagnazione secolare”, principalmente a causa della flessione demografica.

Una macro-tendenza globale invece di portata storica come quella in corso sta cambiando il panorama finanziario e persino gli equilibri geopolitici. In testa la Cina, ovviamente, che si prepara ad essere la più grande economia del pianeta (lo sarebbe già stata dal 2012 se la sua divisa -il renminbi- non si fosse ripetutamente svalutata nei confronti del dollaro). Ma in generale l’intero continente asiatico è quello con maggior slancio, forte innanzitutto della crescita demografica (quasi cinque miliardi di abitanti, nove volte la somma dei cittadini d’America ed Europa) e poi del pesante interventismo di stato, che spinge da anni sugli investimenti produttivi e sulla ricerca tecnologica. In Asia è poi anche il Giappone, la terza potenza economica mondiale e la più avanzata del continente dal punto di vista tecnologico.

Se le tendenze in corso continueranno immutate ci avviamo a vivere un periodo di “contro-colonialismo”, nel quale il vecchio continente (e forse anche quello americano) saranno presi d’assedio da ricchi immigranti e colossi commerciali.

Oggi gli indici dello sviluppo delle piccole e medie imprese, quelli della produzione industriale, degli ordinativi all’industria e persino quelli del commercio globale sono tornati ai massimi da molti anni addietro. L’accesso al credito e il suo costo limitato hanno spinto gli investimenti e la nuova ondata di digitalizzazione ha sorpreso per quanto si sia introdotta meglio nei Paesi Emergenti che non avevano le sovrastrutture occidentali. Ma soprattutto sono gli investimenti che sembrano essere letteralmente decollati in quei Paesi.

IL SUCCESSO DEL QUANTITATIVE EASING

Gli ultimi otto anni hanno visto i Paesi Anglosassoni avventurarsi con un certo successo nelle politiche di espansione monetaria operate dalle banche centrali dopo la recessione innescata nel 2008 dal collasso dei mercati finanziari, quantomeno nel far tornare a crescere le quotazioni e la liquidità di quei mercati finanziari. Hanno avuto invece minor successo nel trasmettere tale impulso all’industria e ai commerci, e hanno registrato un’indubbia tensione a livello sociale perché quelle operazioni di acquisto di titoli sul mercato aperto hanno favorito i grandi detentori di capitale finanziario e indirettamente alimentato la disuguaglianza sociale senza essere accompagnate da politiche di perequazione dei redditi da parte dei governi di praticamente ogni paese OCSE, che anzi hanno perseguito impostazioni neo-liberiste.

Anni dopo che quasi il mondo intero aveva perseguito politiche di espansione delle masse monetarie anche i Paesi dell’Eurozona e la sua banca centrale si sono finalmente avventurati in manovre similari e il risultato sembra essere estremamente positivo anche qui.

IL LENTO TRAVASO DAI MERCATI FINANZIARI ALL’ECONOMIA REALE

La speranza è che però la risoluzione del problema sociale, in ritardo ma alla fine arrivi nella catena di trasmissione della liquidità dai mercati finanziari all’economia reale. Questa speranza deriva dalla constatazione che un po’ dappertutto la disoccupazione è in deciso ribasso mentre la dinamica salariale è in moderato aumento.

Ma soprattutto essa deriva dalla crescita industriale in corso, che avviene quasi in assenza di inflazione e con la prospettiva di un deciso incremento della produttività del lavoro a causa del diffondersi dei processi di automazione industriale e della progressione della digitalizzazione, con la riduzione dei costi e dei ritardi della distribuzione di beni, servizi e informazioni.

Ovviamente non fila tutto così liscio come potrebbe apparire leggendo frettolosamente una sintesi estrema come quella appena delineata, per esempio a proposito dell’inflazione, dal momento che non è così chiaro per quali motivi essa si è mantenuta bassa. Al di là delle arcinote motivazioni relative all‘avanzamento dell’economia digitale e dell’intelligenza artificiale, esistono anche questioni più prosaiche circa i prezzi della manodopera, delle materie prime e dell’energia.

I prezzi in questione per esempio adesso stanno salendo anche oltre le aspettative più recenti, sebbene siano in molti a giurare che non ci saranno gravi tensioni per gas e petrolio e che, di conseguenza, nemmeno i prezzi delle altre principali commodities potranno correre troppo

Sicuramente però le tensioni superficiali di quei prezzi riflettono la crescita dei prodotto globale lordo, così come ci si chiede pure quand’é che i mercati finanziari inizieranno a tenere conto (ridimensionandosi) delle innegabili tensioni geopolitiche che emergono un po’ dappertutto. L’esplosione anche solo di qualche conflitto locale può oggettivamente rovinare la festa della crescita economica generalizzata e interrompere quella lenta trasmissione all’economia reale dei benefici effetti della liquidità dei mercati finanziari. Sono questi i motivi di cautela dei banchieri centrali nel fare marcia indietro dopo la stagione del Quantitative Easing, insieme alla necessità di attendere ancora per riuscire a vedere annacquato il potenziale esplosivo dell’eccesso di indebitamento globale attraverso la progressione dell’espansione economica e della monetizzazione dei debiti pubblici.

UN FUTURO POCO AGITATO PER I MERCATI FINANZIARI 

Questa necessità di attendere è anche un’ottima notizia per i mercati borsistici: se la liquidità in circolazione non farà marcia indietro tanto in fretta allora i mercati troveranno qualche ostacolo in più verso la discesa, mentre molto investitori professionali si riposizionano sul reddito fisso abbassando i tassi impliciti dei titoli che comperano e dunque in contrasto con il rialzo dei tassi d’interesse che invece si prepara da parte di principali banchieri centrali. Storicamente l’appiattimento della curva dei tassi (normalmente inclinata positivamente per le scadenze più lontane) è stato un segnale di inversione del ciclo economico, ma questa volta non è detto che succeda ancora, almeno non così presto.

Ci vorrà probabilmente tutto il 2018 perché qualcosa cambi davvero sui mercati. Una pacchia per chi ha già investito in borsa, ma non c’è nemmeno da attendersi grandi progressi per i listini globali, a causa delle molte nuvole all’orizzonte, seppure lontane e probabilmente assai depotenziate.

Se al tempo stesso in cui i mercati tenderanno a flettere l’economia globale e soprattutto i Paesi Emergenti avranno continuato a correre, di crisi vere e proprie sui mercati finanziari non si parlerà ancora per lungo tempo!

Stefano di Tommaso