RICONOSCERE UN SELL-OFF

Dove vanno i mercati finanziari? Continuerà il caos che stiamo sperimentando nelle ultime settimane oppure si fermerà? Tutti gli operatori se lo chiedono e tutti gli investitori si chiedono cosa fare per limitarne i rischi, ma la risposta giusta è quella che a nessuno piace ascoltare: nel breve termine giù a picco! I motivi sono numerosi e le probabilità contrarie sono poche. Nel medio termine invece tutto può succedere.

 

Mi sono chiesto molte volte se la situazione di deterioramento dei valori finanziari italiani non potesse deviare uno sguardo oggettivo sui mercati e colorare di nero ogni mia possibile valutazione e, per questo motivo, preferirei partire dall’analisi della situazione nazionale, tanto per non avere dubbi.

UNA TEMPESTA PERFETTA ?

L’Italia ha molto probabilmente davanti a sè la “tempesta perfetta“ dei mercati finanziari, dal momento che lo scontro del nostro governo è frontale con la Commissione Europea (e, tra pochissimo, anche con l’intera “troika” che ha asfaltato la Grecia: cioè anche la Banca Centrale Europea -BCE- e il Fondo Monetario Internazionale -FMI-) e stanno per arrivare quasi certamente i downgrade delle agenzie di rating, che daranno la mazzata finale sulla testa del debito pubblico italiano. La congiuntura si fa perciò assai nera tanto per il sistema bancario italiano quanto, di conseguenza, per la Borsa di Milano.

Inutile dire che di fronte a un tale spiegamento di forze qualsiasi altro governo avrebbe vacillato e il Paese avrebbe probabilmente preso in seria considerazione un cambio di rotta della volontà di generare incremento del prodotto interno lordo attraverso una manovra che inizialmente prevede un deficit di bilancio “non ammissibile” per l’Unione Europea. Perché non ammissibile? Chiaramente e inequivocabilmente per motivi politici: questa coalizione politica al governo promette battaglia anche alle prossime elezioni europee e l’attuale classe dirigente europea sta facendo l’impossibile per combatterla !

IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA

Ma questo governo no, per i medesimi motivi politici (è nato sull’onda della prolungata crisi economica e del disprezzo dell’italiano medio nei confronti della politica deviata fatta a livello comunitario sulla sua pelle) non solo non vuole ma non è neppure in grado di fare qualcosa di diverso dal proseguire “in direzione ostinata e contraria”, arrivando a portare alle estreme conseguenze lo scontro in atto, con tutto quello che può significare a livello finanziario una tale scelta. Per non girarci intorno quello che può significare è l’intervento d’urgenza del FMI a imporre un prestito forzoso in nome del solito fantomatico piano di salvataggio per il debito pubblico italiano che, come si è visto in Grecia, consentirà esclusivamente agli stranieri di vederselo rimborsato.

Ovviamente la cosa non avrà un‘ impatto limitato sui mercati perché tra l’altro, se la coalizione al governo del Paese riuscirà ad essere coerente con i suoi intenti, a quel punto dovrebbe chiedere l’immediata congelamento del debito pubblico e l’uscita dall’Unione Monetaria (cosa che potrebbe arrivare a fare e che potrebbe anche avere un profondo senso storico, ma che comporta un fegato d’acciaio da parte di chi promuoverà un tal passo). Possiamo però immaginare cosa può significare una manovra così forte nel breve periodo! L’intero sistema dei valori finanziari italiani (immobili compresi) subirebbe uno shock planetario e nel frattempo assisteremmo al medesimo copione greco a meno che non venisse deciso in un baleno il ritorno alla Lira. Ciò peraltro comporterebbe un incremento stellare dei prezzi di qualsiasi bene ci si voglia acquistare perché al cambio risulterebbe fortemente svalutata rispetto all’Euro e a tutte le altre valute.


L’ASIMMETRIA DEGLI OPPOSTI

Alla base del braccio di ferro che sta giungendo alle estreme conseguenze c’è una forte asimmetria tra due ragionamenti, entrambi assai fondati, tra la coalizione governativa italiana e la maggioranza politica che ispira le scelte della Commissione Europea (il governo dell’Unione): i politici a capo della prima hanno sempre pensato che all’Europa non conviene affatto un braccio di ferro risoluto e continuato con l’Italia perché può determinare l’affossamento definitivo della moneta unica e comunque danneggerebbe gravemente gli interessi degli altri stati membri, quelli a capo della seconda sanno invece che per i politici italiani è cosa assai complessa tenere testa a un simile scontro frontale e che tutti i loro predecessori (Berlusconi compreso) molto presto hanno capitolato. Dunque i secondi puntano sullo sfiancamento dell’attuale maggioranza nazionale anche grazie a tutti gli innumerevoli addentellati del potere finanziario internazionale, a partire dai “media” che getterebbero veleno a volontà e che farebbero di tutto per disorientare gli elettori che hanno votato la maggioranza gialloverde, fino alla “troika” passando anche dalle agenzie di rating e magari dalle accuse di qualche tribunale internazionale. In una parola l’ “assedio” ci sarebbe di sicuro!

Dicevamo che nel medio termine entrambi i contendenti potrebbero avere ragione e che però nel frattempo nessuno aveva previsto che sarebbero entrambi stati pronti a portare lo scontro fino alle estreme conseguenze. Conseguenze che non potranno non generare disordine e sconforto innanzitutto sulle quotazioni dell’Euro, poi sulle borse (non solo quella italiana) e infine anche sui titoli di stato di tutta Europa. Lo scontro di cui scrivevo qui sopra pertanto degli effetti devastanti a catena li produrrà molto presto, a meno che non rientri alla velocità della luce.

LE CONDIZIONI DISASTROSE DEI MERCATI FINANZIARI INTERNAZIONALI

Ma c’è un’ulteriore circostanza che forse hanno tutti sottovalutato: le condizioni del mercato finanziario internazionale, già oggi fortemente deteriorate ben al di là delle attese di prossima recessione economica che tendono ad attestarsi intorno al 2020. Innanzitutto a causa delle pessime condizioni dei mercati asiatici, che pesano sempre più sulla bilancia internazionale. E poi perché se alla crisi asiatica e a quella dei mercati emergenti anche di tutto il resto del mondo (principalmente vittime del caro-Dollaro) si sommerà quella dei mercati europei, la frittata sarà servita, provocando serissime reazioni su Wall Street e su Londra, i cui listini sono oggi forse troppo dipendenti dalle supervalutazioni dei titoli “tecnologici”. La probabilità di deflagrazione di una nuova crisi finanziaria globale inizia dunque a crescere e può risultare fatale nel determinare la prosecuzione vino alle estreme conseguenze dello scontro tra l’Italia e il resto dell’Unione Europea.

Indipendentemente però da quello che potrebbe succedere in futuro lo scenario di breve termine è già di per sè decisamente preoccupante: la svalutazione dell’Euro è già in atto, il rialzo dei tassi di interesse rischia di proseguire a causa della reazione a catena che la crisi italiana può provocare in tutto il mondo, mentre le borse, che già stavano scendendo in tutto il mondo, rischiano soltanto di accelerare nella medesima direzione. La questione italiana insomma può risultare come la classica ultima goccia che fa traboccare l’intero vaso.

I POSSIBILI “MANDANTI”

Quali possibilità ci sono che ciò non accada? Non molte in realtà, complice la Federal Reserve Bank of America che non sta facendo nulla per correggere il suo attuale orientamento ad ulteriore rialzo dei tassi (il differenziale con quelli tedeschi è giunto a superare il 3%) schiacciando di conseguenza tanto i cambi contro il Dollaro quanto le prospettive di esportazioni americane nel resto del mondo. Qualcuno ci vede anche lì lo zampino della politica: l’attuale presidente americano “deve” subire una pesante sconfitta elettorale a Novembre e l’economia americana va troppo bene perché le probabilità che ciò accada restino alte. Un bel crollo di Wall Street aiuterebbe pertanto e l’abitazione che ne conseguirebbe magari farebbe gli interessi dei grandissimi gruppi internazionali che controllano il mercato dell’energia (il cui prezzo schizzerebbe alle stelle).

Sul fronte opposto non possiamo non menzionare la decisa opportunità di un accordo rappacificatore tra la Commissione Europea e il Governo Italiano, che indubbiamente risolleverebbe le sorti della Borsa e aiuterebbe a contenere lo spread, aggiungendo un motivo in più alle Agenzie di Rating per non abbassare quello italiano. Ci guadagnerebbe più l’Europa che l’Italia viste le prossime elezioni e visto il rischio di “contagio” di una disfatta della finanza del Bel Paese. Ma la razionalità della “ragione di stato” a volte si scontra con “lo particolare” interesse di questo o quel politico, che al proprio livello può preferire uno scontro a un confronto per mille e una motivazione personale (absit injuria verbis)…

Stefano di Tommaso




IL FATTORE DI DISTURBO DELLA MANOVRA ECONOMICA

La tesi della maggioranza politica eletta pochi mesi fa in Parlamento è chiarissima: se le molti anni (dalla nomina di Monti) e fino a ieri l’aver aderito in toto alle indicazioni della Commissione Europea ha fatto dell’Italia il fanalino di coda dell’Unione, allora è evidente che bisogna andar in direzione ostinata e contraria: se con le tasse e l’austerità non siamo riusciti a ridurre il nominatore del rapporto “debito pubblico/prodotto interno lordo” (anzi il debito è solo aumentato) allora proviamo fare largo a misure espansive (sebbene le risorse per le medesime siano scarsissime) per riuscire ad incrementare il denominatore (il prodotto interno lordo). Ma c’è un elemento che il governo non aveva previsto…

 

Il saldo di bilancio primario dei conti pubblici italiani, con l’eccezione del 2009 (l’arrivo della crisi globale), è stato in attivo per oltre 20 anni. Ciò significa che i governi hanno tassato gli italiani più di quanto hanno speso per consumi e investimenti. Ciò nonostante la spesa per interessi ha fatto crescere il debito.

LA FORMULA DELL’EQUILIBRIO

È formula nota agli studiosi di economia quella che esprime l’avanzo primario dei conti pubblici italiani come il rapporto (B come “balance”) tra il debito e il prodotto interno lordo (PIL) ragguagliato alla crescita marginale dell’economia al lordo dell’inflazione:

Nella nota di aggiornamento al DEF il rapporto Debito/Pil (D) nel 2018 è 130.9%. Il tasso di crescita nominale del PIL nel 2019 è previsto al 3,1% (di cui 1,5% dovuta all’inflazione e 1,6% alla crescita del prodotto). Quindi B=130,9*0,031/(1+0,031)=3,93%. Il 3,93% è molto maggiore del deficit fissato al 2,4%. Se anche la crescita reale del PIL dovesse scendere fino all’1% (considerata troppo bassa anche dalla “troika” delle istituzioni internazionali BCE, FMI e Commissione UE) e l’inflazione andasse all’1,6%, B sarebbe uguale a 2,7%, comunque ancora superiore al 2,4% e sufficiente a far scendere il Debito.

 

COSTI CERTI E RITORNI INCERTI, COLPA DELL’INESPERIENZA

Ovviamente, come è già successo con Donald Trump in America, la manovra espansiva può lasciare molti dubbi a causa del suo costo certo e del suo ritorno incerto. Il dibattito su dove agire per stimolare la crescita inoltre è causa di infinite discussioni e critiche. Ma -di massima- l’alternativa a tale scelta sembra pura fantasia.

Ci sono a dire il vero due importanti questioni che animano -correttamente- le critiche alla manovra: la prima è che non è stata annunciata e illustrata in modo intelligente, ma piuttosto è stata recepita da tutti i commentatori come uno schiaffo all’attuale classe dirigente della Commissione Europea. Il ministro Giovanni Tria in questo si è visto sorpassato in curva dai due vicepresidenti del consiglio, che ne hanno fatto una bandiera politica, probabilmente sbagliando. La seconda è la stima dell’inflazione prospettica, nonché quella della crescita attesa. Se le stime degli effetti della manovra risulteranno pesantemente errate, allora indubbiamente il debito pubblico italiano crescerà. Come peraltro è sempre successo fino ad oggi all’Italia dei governi precedenti e a quasi tutti gli altri stati membri dell’Unione.  Ma a differenza di molti altri stati europei gli italiani sono grandi risparmiatori:

 

IL RUOLO DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA

Possiamo perciò concludere che questi dubbi giustificano da soli gli allarmi circa l’insostenibilità del nostro debito pubblico? Probabilmente no. Per fare un esempio pratico, il Giappone convive da decenni con un debito pubblico pari a e volte e mezzo il prodotto interno lordo e, dopo anni di stagnazione, è arrivato Shinzo Abe con le sue politiche fiscali fortemente espansive riuscendo a far invertire rotta all’economia. Se vogliamo giocare a cercare le differenze, quella unica vera e sostanziale è l’autonomia monetaria del Giappone, che a noi manca. Se la Banca Centrale Europea adotterà una politica monetaria restrittiva indubbiamente avremo un problema in più nel rifinanziamento dei bond pubblici in scadenza e la mancanza di liquidità disponibile per gli operatori economici potrebbe compromettere seriamente le prospettive di crescita del Bel Paese.

La vera questione delle questioni sembra dunque risiedere nelle prospettive di permanenza dell’Italia nell’Unione (politica e monetaria) Europea. Secondo la JP MORGAN il verso rischio dell’Italexit è nullo e pertanto gli allarmi delle Agenzie di Rating sono fasulli e la salita dei rendimenti dei titoli italiani è un buon affare per chi ci investe adesso. Sarei pronto anch’io a scommetterci, anche perché sono in arrivo le elezioni europee e il clima politico può cambiare parecchio, ma c’è un altro fattore che scompiglia le possibili previsioni: il profondo cambiamento delle prospettive dei mercati finanziari a livello internazionale.

IL FATTORE ESOGENO: I MERCATI FINANZIARI INTERNAZIONALI

I mercati sono indubbiamente divenuti più nervosi negli ultimi giorni, e gli effetti di sono visti platealmente: Le borse valori sono scese parecchio e i titoli a reddito fisso incorporano rendimenti superiori, per la prima volta anche a quelli tipici dell’investimento azionario (che si situano storicamente sotto al 3%). La curva dei rendimenti americana si è del tutto appiattita e sono per questo motivo partite le speculazioni sul momento in cui la Federal Reserve americana riuscirà a innescare l’ennesima recessione a causa dell’atteggiamento troppo duro nei confronti dei tassi di interesse (oggetto del mio articolo:  “SE I TASSI AMERICANI MINACCIANO I MERCATI FINANZIARI)

È chiaro che se la tendenza attuale dovesse proseguire la manovra economica italiana rimarrebbe spiazzata dal deflusso di capitali verso l’area dollaro e verso una minore propensione al rischio da parte degli investitori. Ci vuole dunque un po’ di “fattore C” nella ricetta della coalizione giallo-verde. E per adesso non se ne è visto…

Stefano di Tommaso




ATTESE DELUSE !

Il mese di Settembre era iniziato sotto i peggiori auspici per i mercati finanziari ma nella seconda metà del mese le cose sembravano andare un filino meglio di ciò che si poteva temere. In particolare per la Repubblica Italiana, dopo lo shock della messa sotto osservazione da parte di Fitch, la prima delle Agenzie di Rating internazionali ad avere la revisione in scadenza, era iniziato a trasparire un moderato ottimismo, germogliato sulla linea della prudenza mostrata al mondo dal ministro dell’economia Giovanni Tria e a causa di una congiuntura internazionale favorevole. Ma era apparso chiaro a tutti che la positività dei mercati sullo spread, sull’appetibilità dei Buoni del Tesoro Poliennali e sulla borsa italiana (che contempla una forte presenza di banche, grandi detentrici di titoli di stato) era fortemente legata al deficit che sarebbe stato deciso nel Documento di Economia e Finanza, dunque nella data di Giovedì 27 Settembre, prevista per la sua pubblicazione.

BASTAVA IL 2%

I pronostici davano una decisa probabilità che quel deficit si sarebbe attestato al 2% del Prodotto Interno Lordo, o addirittura al di sotto di tale cifra, ma ciò derivava dall’aspettativa che avrebbe prevalso la linea del professor Giovanni Tria, che si era speso non poco nelle settimane precedenti a rassicurare i mercati. Bastava poco per dare loro soddisfazione e guadagnare tempo nel difficile rapporto dell’Italia con la finanza internazionale. Veniamo da anni molto peggiori, come si può vedere dal grafico qui allegato:

E invece la sorpresa generale, a mercati chiusi giovedì sera, nell’apprendere che quel numero (il 2% accettato dal consenso generale) era stato rivisto al rialzo (2,4%), è stata perciò grande! E per svariate ragioni:

I MOTIVI DELLA DELUSIONE DEI MERCATI

intanto se i nostri ministri dovevano proprio seguire la linea dell’incremento indiscriminato della spesa pubblica e dunque arrivare a scontentare i mercati finanziari al fine di prendere misure espansive di politica fiscale, potevano anche incrementarne la misura e cercare di ottenere in cambio un ulteriore obiettivo: quello di fare di più per far ripartire l’economia,
ma poi la situazione era così chiara circa la necessità di contrastare le incombenti difficoltà relative alla prossima revisione del rating da parte delle altre due Agenzie (Moody’s e Standard&Poor’s) come pure al futuro collocamento di titoli di stato a soggetti diversi dalla Banca Centrale Europea (che ha chiaramente lasciato intendere che con la fine del “Quantitative Easing” si avvia a non comperare più nuovi titoli italiani) che sarebbe bastato rimanere entro la soglia del 2% per fare tutti felici e contenti: il debito pubblico nazionale sarebbe cresciuto ancora ma in una misura considerata “accettabile” dal consenso generale.
La Banca Centrale Europea (BCE) è stata quasi l’unico acquirente dei titoli di stato negli ultimi due anni, come si può ben osservare dal grafico qui allegato:

Adesso se bisognerà emettere titoli di stato aggiuntivi rispetto a quelli in scadenza (il Ministro dell’Economia giura invece che la crescita programmata dalla manovra garantirà una discesa del debito dell’1% all’anno) nessuno sa come fare a collocarli senza che i tassi italiani tornino a crescere (in decisa controtendenza rispetto al resto d’Europa la cui banca centrale non prevedeva di lasciarli salire ancora per circa un anno) e che dunque il Paese rischi di avvitarsi nella spirale di maggiori tassi=maggiore spesa pubblica=minore sostenibilità del debito esistente.

IL DEBITO COSTA DI PIÙ

Ora per pareggiare il maggior costo del debito (già certo vista la brusca reazione dei mercati dello scorso Venerdì 28) nemmeno l’opzione di incrementare le tasse sembra oggi non percorribile se non addirittura in netto contrasto con tutte le misure previste del DEF, ma l’equazione in qualche modo dovrà quadrare, dunque il difficile equilibrio che sembrava accettare un deficit del 2% più per volontà politica internazionale che non per logica oggi sembra perduto. (Si veda il grafico qui allegato che riporta il calo dei corsi del Btp, che significa un incremento del,suo rendimento implicito):

Eppure bastava veramente poco, o forse basterà ancora veramente poco, per trovare a livello comunitario un punto di equilibrio rispetto alla linea politica del governo, e magari il falò delle risorse finanziarie che sono bruciate venerdì dopo l’annuncio verrà visto nelle prossime settimane come un fuoco di paglia, al quale seguiranno forse interventi dei vigili del fuoco, che potrebbero -controvoglia- essere proprio gli altri membri dell’Unione, pur di salvare quel che resta dell’Unione Europea. Che è anche Unione Monetaria. Venerdì infatti anche l’Euro è disceso così come tutte le borse europee (si veda il grafico allegato:)

I MERCATI NON ERANO COMUNQUE FAVOREVOLI

 


Ma se anche la tornata di fine settimana dei mercati fosse da considerare il prodotto di una serie di concause e si rivelasse alfine un fuoco di paglia, qualche bruciatura rimarrà comunque indelebile all’immagine di credibilità e autonomia che il ministro Tria stava cercando di costruirsi.

E se questo governo deve durare fino al 2023 sarà bene che la “chirurgia plastica” di qualche intervento dall’alto si mobiliti d’urgenza perché quello che Salvini e Di Maio hanno annunciato di voler fare era un’operazione di delicata affermazione della credibilità delle manovre espansive di politica fiscale, che andava ampiamente illustrata prima di tutto e, possibilmente, dopo aver passato il primo vaglio delle agenzie di rating.

Ora invece, per quanto Giovanni Tria possa illustrare il calcolo degli effetti espansivi sul Prodotto Interno Lordo della manovra (stimati nell’1,6% l’anno prossimo e nell’1,7% nel 2020), gli effetti positivi dei 15 miliardi di investimenti pubblici previsti ogni anno e la neutralità sui conti pubblici dell’operazione di rimozione della legge Fornero sulle pensioni, molti (strumentalmente oppure no) avanzeranno legittimi dubbi al riguardo. E nel frattempo rischiamo di beccarci qualche “downgrade” (abbassamento) del rating nazionale, con tutti i problemi che esso potrà creare.

LE ANALOGIE CON L’AMMINISTRAZIONE TRUMP

Donald Trump ha fatto in America un’operazione simile a quella che vogliono portare avanti i nostri nuovi governanti (fatta di stimoli all’economia di natura fiscale e sociale), che nonostante ricevesse le critiche di buona parte dell’intellighenzia e del “mainstream” (i media) che gli investitori hanno plaudito e che i mercati hanno gradito, ma l’Italia non è l’America e i predecessori degli attuali nostri ministri non hanno brillato per credibilità! Tanto più che i timori per l’eccesso di debito pubblico italiano sono comunque fondati perché senza l’ombrellone europeo i tassi dei nostri titoli di stato sarebbero più elevati.

I nostri ministri avrebbero dovuto curare molto di più la comunicazione con il resto del mondo.

IL BLUFF DELLA SPECULAZIONE “POLITICIZZATA”

Ciò detto bisogna anche spezzare una lancia contro la speculazione. All’estero tutti i commentatori indipendenti hanno notato che la reazione dei mercati è apparsa assolutamente eccessiva e fors’anche strumentale a chi vorrebbe ridurre il consenso dell’attuale maggioranza al governo. E così pure le parole del Presidente Mattarella non sono apparse esattamente scevre da ogni posizione politica, anzi!

Esiste tra l’altro una regola tra gli investitori: “Until support for the euro crumbles, here’s a rule of thumb for longer-term investors: If any eurozone bonds yield much more than Germany’s, buy them” riportata ieri dal Wall Street Journal, che quindi invita gli investitori a “scoprire il bluff” degli speculatori a matrice politica, perché la vera misura indicata dallo spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi non è il rischio di default del nostro Paese, bensì quello di uscita dall’Euro. E sintantoché non sarà all’orizzonte una tale ipotesi, l’Unione Europea non può permettersi di far saltare il tavolo.


Anche Fidelity Investments scrive la stessa cosa. Se di rischio dobbiamo parlare, afferma, è quello di uscita dall’Unione, che però non è all’ordine del giorno, nemmeno nell’opinione pubblica, come mostra il grafico qui riportato:


L’USCITA DALL’EURO NON È IN VISTA

Con una certa probabilità dunque l’allarme sui mercati rientrerà presto, ma la vera questione è se fa bene il governo italiano a spingere sull’accelerazione della crescita invece che sulla leva del debito. E la risposta è probabilmente si. La leva da utilizzare oggi non può essere quella del rigore, che si è visto aver fatto solo danni, ma quella della crescita economica, senza la quale la mole del debito non sarà mai sostenibile. Ma ciò vale non soltanto per l’Italia, bensì per l’intera Europa, che sa che deve continuare a lungo con la sua politica di tassi bassi, e cerca scuse come questa per darne la colpa a qualcuno.

E’ il medesimo motivo per cui non è irragionevole supporre che le quotazioni delle banche nostrane, oggi fortemente penalizzate dai titoli pubblici in portafoglio, in realtà non torneranno a brillare ancora per un lungo periodo, seppure un rimbalzo potrebbero vederlo presto. Tassi bassi e “mercati sedati” dal mix probabile di politiche monetarie restrittive e politiche fiscali espansive è possibile che non gioveranno ai conti futuri degli intermediari finanziari.

Stefano di Tommaso




LA POSSIBILE RIVINCITA DELLA BORSA ITALIANA

È solo di un paio di settimane fa la messa sotto osservazione del rating italiano da parte di Fitch, la prima delle agenzie di Rating internazionali ad avere in scadenza la revisione periodica del merito di credito della Repubblica Italiana, e ci sembra di parlare di una precedente era geologica. E risale a poco più di un mese fa il crollo del ponte di Genova e il codazzo infinito di polemiche sulla responsabilità prima e sulle ricostruzioni poi (non solo di quello già caduto).

Allora le (serie) argomentazioni della maggioranza al governo circa la necessità di avviare una stagione di rilancio degli investimenti infrastrutturali e, con essi, anche dell’economia italiana, fecero rabbrividire gli euro-burocrati (già preoccupati per le belligeranti promesse di reddito di cittadinanza e flat tax) sulla tenuta dei conti pubblici. Il risultato di quei giorni fu il rilancio dello spread (tra i rendimenti dei BTP italianai e quelli dei Bund tedeschi) a livelli visti soltanto all’epoca dell’ultimo governo Berlusconi. Anche le stime sulla crescita del nostro P.I.L. sono state riviste al ribasso e oggi ci si aspetta di chiudere l’anno con una crescita dell’1,2%.

Ancora oggi, all’alba della pubblicazione del Documento di Economia e Finanza (DEF) attesa entro il prossimo 27 Settembre, lo spread italiano resta a livelli elevati, ma la situazione sembra -quasi d’un tratto- non fare più paura a nessuno, anzi! È la Germania, non l’Italia, a subìre gli strali dell’amministrazione Trump per il suo comportamento in materia di pressioni sull’Europa e di commercio internazionale, e forse nemmeno del tutto a torto. Mentre è notizia fresca la crisi sistemica delle principali banche tedesche, a sostegno delle quali Angela Merkel avrebbe stanziato altri 100 miliardi di euro.

L’attuale coalizione al governo del Bel Paese, da molti già data per spacciata alla ripresa della pausa estiva, potrebbe invece inanellare una serie di insperati successi già entro le prossime due-tre settimane, complice il rasserenato clima internazionale relativamente a dazi e dogane che giova di sicuro anche alle imprese esportatrici cisalpine. Non solo: il nuovo vertice della Cassa Depositi e Prestiti impersonato dall’amministratore delegato Palermo è al lavoro su un vorticoso piano industriale da presentare entro fine Ottobre che dicono potrà prevedere quasi un centinaio di miliardi di investimenti.

E se, come sembra, le prossime settimane faranno segnare agli indici di borsa una seppur effimera ripresa, anche i timori sul debito italiano e sulla lentezza della crescita dell’economia italiana potrebbero finire per essere spazzati via. Inutile dire che un tale scenario non farebbe che un gran bene alle poco fortunate vicende della borsa italiana, principalmente vittima negli ultimi mesi di un’ingiustificata fuga di capitali dalle banche italiane e dai nostri titoli di stato.

Il giornale Milano Finanza fa notare che da fine Marzo ad oggi è al 6,6% il divario di performance tra il Ftse Mib di Milano e l’indice generale Eurostoxxs 600 (al +2,7%) che peraltro comprende anche Milano (-3,9%); dunque le altre azioni europee hanno fatto anche meglio. Il medesimo indice europeo ha a sua volta accumulato un divario di performance con Wall Street (indice SP500) dell’8,6%, dal momento che nello stesso periodo quest’ultima è cresciuta dell’11,3%. Perciò Milano è rimasta indietro di oltre il 15% rispetto a New York in meno di 6 mesi. La fuga dall’Italia ha colpito soprattutto le banche nazionali, con il Ftse Banks Italia, sceso nel medesimo periodo del 13,6% contro il 3,9% complessivo di Milano.

Ma questo è anche il motivo per il quale si è creata l’opportunità di un arbitraggio sul azioni italiane, vittima sino a ieri di timori sulla salute economica dell’intero Paese e che oggi potrebbero beneficiare della migliorata congiuntura. Le attese degli analisti (e l’attuale misura dello Spread, oggi intorno a 230 centesimi di punti percentuali) sono infatti incentrate su un deficit dei conti pubblici programmato dal ministro Tria per il DEF del 2019 pari al 2,3%. Secondo un rapporto di UBS ogni frazione di punto migliorativa rispetto a quel numero potrebbe innescare una pari discesa dello Spread e la forte ripresa dell’ottimismo sui titoli italiani, i quali potrebbero beneficiare anche del rinnovato ottimismo a livello internazionale. Addirittura secondo Pictet la borsa italiana potrebbe recuperare il suo “gap” con il resto d’Europa già solo se il DEF dovesse parlare del 2%.

Ovviamente parliamo di fine Settembre-inizio di Ottobre, nel momento di massima intensità della campagna elettorale americana. Su quello che succederà poi non vi sono meno che meno certezze. In particolare con la settimana del 6 Novembre (giorno delle votazioni di medio termine) potrebbe terminare l’idillio di Wall Street con il presidente Trump e, di conseguenza, anche le altre borse valori potrebbero risentirne. Non solo, ma anche la revisione del rating sulla Repubblica Italiana è atteso per fine Ottobre da parte di Stanndard&Poor il 26 e Moody’s entro la settimana successiva.

In quei giorni tutto sarà possibile..!

Stefano di Tommaso