LO SCENARIO ECONOMICO SI CAPOVOLGE

LA COMPAGNIA HOLDING
E’ in atto un profondo cambiamento nel corso del ciclo economico: non soltanto a questo punto dell’anno tutti si rendono conto del fatto che l’inflazione che abbiamo registrato fino ad oggi (in Europa al 5% circa) può significativamente peggiorare man mano che gli aumenti dei costi dell’energia, dei componenti elettronici e delle materie prime si trasmettono a valle sui prodotti finiti. E nessuno sa bene quanto l’iper-inflazione in arrivo potrà devastare i conti aziendali così come i risparmi dei privati cittadini. Ma c’è dell’altro: persino la ripresa economica, nell’anno che avrebbe dovuto sancire il ritorno ai livelli pre-covid invece scricchiola! Cosa sta succedendo, e perché?

 

L’EUROPA NON CORRE

Iniziamo dall’andamento della Germania, che è stato negativo per tutta la seconda parte del 2021: poiché essa resta ugualmente il motore economico dell’euro-zona, allora è ancora più grave il fatto che sta entrando in piena recessione. Se infatti anche nel trimestre in corso mostrerà un andamento negativo, allora sarà tecnicamente la volta buona che lo si potrà affermare senza tema di smentita.

I motivi della recessione tedesca sono molti, ma la tendenza sembra inesorabile: dalla crisi delle forniture di semiconduttori, microchip, materie prime ed energia, al calo dei consumi dovuto alle restrizioni ai viaggi, al turismo e allo svago imposte dalla pandemia che continua a strisciare. Il risultato però è notevole: tutta l’ Europa sta pagando a caro prezzo tanto il Covid quanto la crisi geopolitica ed energetica.

L’ITALIA POTREBBE SEGUIRE LA GERMANIA

L’Italia, bisogna darne atto, sino ad oggi sembra aver viaggiato decisamente meglio. Ma nella buona sostanza le cose non vanno nemmeno da noi, e per una serie di motivi:

  • intanto a casa nostra il debito pubblico scricchiola più del Prodotto Interno Lordo (PIL) e quindi il rialzo dei tassi d’interesse (dato oramai per scontato) infliggerà al nostro paese una tassa micidiale che può azzoppare l’economia peggio della penuria di semiconduttori che rovina i conti dell’industria automobilistica franco-tedesca;
  • poi il nostro Paese vanta sì la seconda macchina industriale d’Europa (dopo la Germania e prima della Francia) ma non può vantare alcuna capacità di produrre in casa l’energia che servirebbe per farla funzionare! E’ come se avessimo in garage una vettura formula 1 ma avessimo forti condizionalità sulla benzina che serve per farla girare in pista. La Francia invece ha attivi 58 reattori nucleari, in 19 centrali, che volendo potrebbero quasi soddisfare l’intero Paese. La Germania ha i giacimenti di carbone ed è il punto di arrivo di un gasdotto del nord (il “North Stream”) che la Russia ha costruito apposta per lei. Noi avremmo il gas che arriva dall’Africa, ma non basta. Avremmo anche i giacimenti ma siamo il Paese di Tafazzi, tanto che ci siamo inventati lo stop alle trivelle, così da rendere impossibile andarlo ad estrarre. Morale: i conti delle imprese si apprestano ad essere profondamente affossati;
  • inoltre buona parte dei nostri distretti industriali sono fornitori o sub-fornitori delle grandi industrie europee, molte delle quali direttamente o indirettamente legate al mondo dell’auto (come Stellantis, WW, Bosch, Siemens, eccetera…) impiantistica compresa. Ma il settore “automotive” è in piena transizione e le sue fabbriche sono in ristrutturazione. Dunque è probabilmente soltanto questione di tempo perché anche le nostre esportazioni inizino a zoppicare. Cioè se Sparta piange allora Atene non ride;
  • infine per esprimere ottimismo sul nostro andamento economico non si può non guardare all’altro grande fattore che la fa girare: il denaro (cioè la liquidità). E quest’ultimo da noi non solo ha sempre scarseggiato, ma oggi più che mai ne gira assai poco nelle tasche della gente. L’Italia è in perenne deflazione salariale, le banche erogano sempre meno prestiti, le imprese investono poco persino dei profitti accumulati, lo Stato ancor meno, i risparmiatori comprano principalmente titoli esteri e la borsa italiana è oramai una filiale di quella francese! E se da noi non girano quattrini, le imprese più deboli rischiano di saltare e quelle che vanno bene rischiano di emigrare.
  • La statistica riportata nell’unica tabella che sono riuscito a trovare online è oramai completamente superata! La crescita prevista per il 2022 è da limare o addirittura da invertire per buona parte dell’Eurozona:

LA COMPAGNIA HOLDING

In contemporanea per l’Italia arrivano anche diverse cattive notizie per l’occupazione: per gli stessi motivi visti più sopra per i quali l’industria tedesca va in crisi, anche molti stabilimenti controllati da gruppi stranieri nel nostro Paese stanno chiudendo i rubinetti. Il gruppo Bosch ad esempio ha annunciato 700 esuberi nello stabilimento di Bari nei prossimi cinque anni (un dimezzamento dei suoi attuali 1.700 addetti), la Magneti Marelli invece vuol tagliare 550 ”indiretti!” (dirigenti, impiegati e operai non addetti alla produzione). E vuole farlo entro Giugno. Come detto le ragioni risiedono nelle perdite determinate dai costi fuori controllo e dalla debolezza della domanda. Ma anche a causa di una troppo rapida transizione verso l’auto elettrica, che sta schiacciando tutta l’industria che lavora a monte di quella automobilistica, molto diffusa in Italia.

LACOMPAGNIA HOLDING
Purtroppo a contrastare problemi come questi servirebbe una politica industriale nazionale ben più decisa, che nemmeno il governo Draghi ha mai varato, nonostante sia riuscito a gestire bene il rapporto con l’Europa per varare il PNRR e ottenere i 209 miliardi dei Recovery Fund. Il suo governo però non può permettersi di proseguire a contrastare i problemi della popolazione a colpi di deficit di bilancio.

E LA BCE NON AIUTERÀ

Servirebbe una maggior solidarietà della Banca Centrale Europea (BCE) nel gestire lo stock di debito pubblico italiano, mentre quest’ultima invece ha già annunciato dalla primavera un drastico taglio agli acquisti dei nostri BTP. Dunque il governo Draghi dovrà mostrare molto rigore per essere ascoltato a Bruxelles. Con il rischio di logorarsi politicamente e arrivare lacerato alla vigilia delle elezioni politiche.

LA COMPAGNIA HOLDING
Ma se lo spread tra il BTP italiano e il Bund tedesco sta peggiorando anche perché dipende quasi totalmente da quello che decide la BCE a Francoforte, ecco che nemmeno Draghi può permettersi il lusso di andare a protestare contro le follie imposte dall’agenda ecologista della Commissione Europea. Anzi! Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è in arrivo e, con esso, di fatto una sorta di commissariamento dei conti italiani.

MENTRE IL DOLLARO SI RIVALUTA

La ciliegina sulla torta è poi la cavalcata del Dollaro americano, più o meno inevitabile visto che la BCE tutto sommato fa il nostro interesse a tenere i tassi più bassi che oltreoceano. Inevitabile anche perché l’America (che ha tutta l’energia che vuole e che non vede l’ora di esportarla a caro prezzo) farà di tutto per combattere in casa propria l’inflazione prima delle elezioni di medio termine.

LA COMPAGNIA HOLDING
Con l’effetto che, con il caro-Dollaro, salirà ulteriormente per noi anche il costo delle materie prime (gas e petrolio compresi) e, di conseguenza, ancora una volta: l’inflazione. Con buona pace per le previsioni di un allentamento nell’anno in corso. E il rischio che presto il rincaro dei prezzi al consumo arrivi ad essere più forte di quà che di là dall’oceano!

Insomma quello che sembra vedersi all’orizzonte della prossima stagione, è una situazione economica globale da ”guerra del Kippur” del 1973, con tutto quello che ciò può significare per l’inflazione galoppante, ma senza che il nostro Paese possa opporre al caro-energia l’arma più usata in quegli anni per favorire l’industria nazionale: quella delle svalutazioni competitive. Oggi l’Italia non ha più il controllo della propria moneta e non può che subire una politica monetaria comunitaria fatta molto più su misura dell’industria tedesca che di quella domestica.

LA COMPAGNIA HOLDING
L’esperienza delle crisi petrolifere degli anni Settanta ha peraltro insegnato alle banche centrali che l’inflazione provocata dalle difficoltà dell’offerta va sostanzialmente ignorata e non combattuta frenando la domanda. Dunque fa bene la BCE a dichiarare di non voler rialzare i tassi, ma fino a quale punto i popoli del nord-Europa accetteranno supinamente la svalutazione dell’Euro? E fino a quale punto accetteranno di sostenere i debiti pubblici dei paesi periferici dell’Unione? La domanda è lecita ma la risposta non c’è…

L’UNIONE EUROPEA AFFRONTA GLI ESAMI DI MATURITÀ

E’ per questi dubbi che l’anno appena iniziato si appresta ad essere una prova generale per la “vera” unione dei Paesi d’Europa che hanno aderito alla moneta unica: alle complessità della geo-politica, dell’inflazione e del ciclo economico che sta arrivando a ribaltarsi, essi vedranno sommarsi anche le tensioni tra i Paesi del nord Europa (i cosiddetti Paesi Frugali, più o meno corrispondenti a quelli della Lega Anseatica) e quelli del sud. Col rischio che possano decidere di prendere le distanze dalle politiche comunitarie annunciate sino a ieri.

Quando il cibo a tavola finisce, insomma, il rischio è quello che volino anche i piatti tra i commensali! Ciò che possiamo sperare è dunque che la recessione in probabile arrivo in Europa non sia completamente sincrona col resto del mondo (cioè con i paesi asiatici e quelli emergenti). E, per questa via, possano continuare a correre le nostre esportazioni. Soprattutto se la stabilità e la rinnovata autorevolezza delle nostre istituzioni riusciranno ad attirare risorse per il mercato dei capitali (o a farne fuggire meno).

MA LE BORSE POTREBBERO RESTARE POSITIVE

Per questi motivi è forse lecito attendersi per la prima parte del 2022 in Europa un completo sfasamento tra il ciclo economico e il mercato dei capitali: se l’economia reale farà tutto sommato fatica a correre nel vecchio continente, le borse -che al momento hanno già vissuto uno scrollone piuttosto deciso- con la liquidità sempre alta potrebbero addirittura rivedere miglioramenti per il comparto azionario, così come potrebbero correre le quotazioni dei beni rifugio ( e degli immobili ) a causa dell’inflazione galoppante. Un miglioramento che viceversa è molto più difficile attendersi per i titoli obbligazionari.

Nel grafico de Il Sole 24 Ore qui riportato si può ben vedere che il sodalizio tra le 2 principali “asset class” si è oramai interrotto:

LA COMPAGNIA HOLDING
Ma la volatilità dei mercati finanziari è attesa altresì alle stelle per i prossimi mesi, soprattutto se i cannoni tuoneranno almeno un po’ ai suoi confini orientali. Il che in determinati momenti potrebbe rassomigliare molto ad una crisi dei mercati, anche se in definitiva resta decisamente improbabile che arrivi ad esserlo davvero. Un gioco adeguato soltanto ai fegati forti, dunque! O a chi riesce a diversificare parecchio i propri investimenti!

Stefano di Tommaso




CORSI E RICORSI DELLE BORSE

Sono almeno due anni che ascoltiamo litaníe di analisti e profeti della finanza annunciare imminenti crolli delle borse. Le ragioni del loro argomentare nel tempo sono state di volta in volta le più varie: il “tapering” (la fine del Q.E. e l’annuncio della cessazione degli altri stimoli monetari) la Brexit, la crisi della Grecia, l’elezione di Trump, la polveriera del Medio Oriente, le elezioni italiane, l’eccesso di debiti globali, la Corea, le guerre commerciali americane, la risalita dei tassi d’interesse e gli uragani. Tutte smentite dai fatti. Ma è giustificato il nuovo ottimismo?

 

NIENTE CROLLI

Io stesso in questi anni mi sono talvolta lasciato prendere la mano da inviti alla prudenza, motivi di preoccupazione, disallineamento degli andamenti economici e timori di crolli dopo eccessi di crescita degli indici di borsa. Ma poi è sempre arrivata una ragione per il contrordine. Niente crolli: c’è ancora troppa liquidità in circolazione dicono ogni volta gli irriducibili.

Certamente esistono diverse verità in contemporanea: se è vero che i listini delle borse (soprattutto quelle americane) sono cresciuti del 50% è altrettanto vero che spesso è accaduto in relazione all’ascesa dei profitti aziendali e che, di conseguenza, ciò non è successo dappertutto (ad esempio non in Italia) e non si sono ugualmente rivalutate tutte le categorie di titoli quotati: è continuata la corsa dei “tecnologici”, soprattutto sui mercati anglosassoni e sono discesi tutti gli altri, in particolare quelli delle borse periferiche. Dunque i listini di borsa assomigliano alla “media del pollo” di trilussiana memoria, e così pure gli indici globali risentono della forte componente positiva americana. Andando a discernere meglio non è andato tutto all’insù.

IL GIOCO DELLE ASPETTATIVE

Ma la triste verità è pur sempre un’altra: non esiste alcuna vera correlazione diretta tra le “notizie” relative a economia reale e geopolitica e gli andamenti dei mercati finanziari, i quali seguono queste insieme a mille altre logiche contemporaneamente e dunque si orientano in funzione della percezione collettiva della prevalenza dell’una o dell’altra, mentre alla fine è il fattore psicologico che comanda: se le aspettative degli investitori sono buone i mercati crescono “nonostante” ogni elemento oggettivo negativo e viceversa!

CINA E MERCATI EMERGENTI: DI NUOVO OTTIMISMO

Così scopriamo che, se è vero che i dazi doganali preoccupano per il possibile ostacolo che possono opporre alla crescita economica globale, è altrettanto vero che i mercati stanno prendendo atto del fatto che la questione non è poi così grave se finisce che le aspettative positive di nuovi negoziati con la Cina arrivano sopravanzare i timori di ulteriori misure restrittive. E se è vero che i mercati emergenti sono stati in prevalenza abbandonati dai grandi capitali che hanno preferito approdare in porti più sicuri in vista della fine di un lungo ciclo economico espansivo, adesso è anche altrettanto vero che le quotazioni nelle borse più periferiche sono basse e che il potenziale di crescita che esse esprimono (oltre ai fattori demografici) suggeriscono nuovo ottimismo sulle piazze finanziarie dei paesi emergenti!

Ma basta così poco per trasformare le cautele e le prese di beneficio dopo anni di crescita vorticosa in nuovo ottimismo?

PERSINO L’INDICE DELLA PAURA È AI MINIMI

Evidentemente si, se non si bada ai fatti bensì agli umori. E il bello è che il “barometro della paura”, quell’indice VIX della volatilità delle borse che sempre più spesso viene consultato dai profani, stavolta è tornato di nuovo ai minimi storici, a segnare non soltanto un rimbalzo degli umori, ma addirittura anche una certa rilassatezza di chi si sta abituando a cambiarla sempre più spesso.

Emerge allora un ricordo di molti anni fa quando avevo ascoltato alle “grida” di Piazza Affari una citazione del mitico Giannino, un procuratore di borsa negli anni ‘70 che continuava a ripetere : “quando spengono la luce non ti avvisano prima!” Ecco, forse anche stavolta alla fine andrà così: le peggiori crisi sono giunte quasi sempre inaspettate, quando la guardia collettiva era stata abbassata e la divergenza tra fatti ed opinioni era giunta a livelli estremi.

BALLIAMO SULLORLO DEL PRECIPIZIO?

È andata così nel 2008 e rischia di andare allo stesso modo la prossima volta. Ma forse non già nel 2018: ci sono ancora troppi fattori in gioco che premono in direzione dell’ottimismo sfrenato e troppi interessi a evitare che “qualcuno spenga la luce”. (qui sopra l’andamento dell’indice Dow Jones della borsa americana).

La verità però è che man mano che ci si approssima al crinale della montagna, a ballare e far baldoria si rischia di più di cadere a capofitto nel baratro.

Stefano di Tommaso




NUVOLONI NERI ALL’ORIZZONTE

Il fenomeno del Dollaro forte, che si combina con quello del caos politico europeo, non congiura a favore delle quotazioni dell’ingente massa di debito pubblico del vecchio continente, nè delle quotazioni dell’Euro. Qualcuno porrebbe ritenere che sia tutta colpa di questo o di quel fatto, ma la verità è che, mentre l’Italia affronta uno dei momenti più bui della sua storia istituzionale, là fuori dei nostri confini (e anche di quelli europei) succede anche di peggio.

 

L’Unione Europea è un soggetto strano, a cavallo tra una nazione federale (che oggi non è, ma batte moneta unica come se lo fosse) e una specie di Commonwealth che invece di essere britannico è di fatto franco-germanico. L’Unione tuttavia ha un suo parlamento e, soprattutto, una “Commissione“ (che agisce talvolta con decisione nel premiare o sanzionare qualcuno, come si trattasse di un vero e proprio potere esecutivo, cioè di un governo). Ma un po’ dappertutto i singoli Stati membri vi sono rappresentati nella ripartizione degli onori e dei poteri innanzitutto sulla base della loro popolazione (per eleggere i deputati ad esempio) e ancor più sulla base del loro peso economico, e talvolta arrivano a spartirsi le cariche che contano sulla sola base del loro peso politico .

SI VA ALLO SCONTRO O E’ ANCORA POSSIBILE UN DIALOGO?

La ventata gelida che Domenica sera è sprizzata sulle massime istituzioni della Repubblica Italiana non gioverà a stabilizzare l’Unione o a spingere per il suo completamento fino a diventare una singola nazione. Oppure si? Certo se l’Italia dovesse arrivare a votare per l’uscita dall’Unione il sistema barcollerebbe non poco, ma è uno scenario che resta ancora oggi piuttosto improbabile, mentre è ancora plausibile che dopo la scazzottata un’intesa sul governo e tra questo e i suoi “partners” europei la si trovi.

Il problema a breve termine è tuttavia quello del rating (e della sua tendenza, cioè il suo ”outlook”) e dell’appetibilità conseguente del debito pubblico italiano, contro i quali peraltro ha sempre giocato una pesantissima speculazione internazionale. Se il gioco, come sembra, si fa duro e si va allo scontro frontale tra poteri politici chi rischia di rimetterci innanzitutto è il mercato dei capitali, che potrebbe vivere una fuga di risparmi dal nostro Paese paragonabile forse solo a quella dell’Argentina. Gli effetti possono apparire drammatici e rapidissimi, mentre per porvi rimedio probabilmente ci vorrà molto tempo.

LO SCENARIO INTERNAZIONALE

Ma la situazione dell’Italia va inquadrata in un contesto internazionale già di per sé negativo e incerto, in cui i capitali stanno comunque fuggendo da buona parte dei Paesi Emergenti o comunque “non centrali” per la finanza globale, tanto per timore di rimanerne intrappolati, quanto per il rialzo dei tassi americani e di conseguenza del Dollaro, che di per sé rischia di fare molti danni alle economie di quei Paesi.

È in questo contesto internazionale (ed extraeuropeo) che vanno lette tanto la situazione politica rovente del contrasto tra cittadini dei Paesi più deboli dell’Unione e poteri europei (che non promette nulla di buono) quanto la possibilità che l’Italia subisca una forte pressione al ribasso sulle quotazioni dei propri titoli di Stato. Il fatto che il resto dell’Unione faccia quadrato e tenga i propri tassi ai minimi della storia ovviamente non aiuta l’Italia che avrebbe bisogno di rendersi più appetibile mentre ciò non fa che aumentare lo spread con i tassi tedeschi e rendere più interessante la fuga dei capitali.

Immaginare manovre che contrastano il rischio di una simile deriva dovrebbe trovarsi al primo posto tra le priorità della Banca Centrale Europea, che però ha probabilmente le mani legate da un mandato assai stretto e dalla difficoltà di agire in fretta visto che il suo Governatore rappresenta moltissimi Stati eterogenei fra loro.

L’EVENTUALE SCIVOLATA DEL RATING ITALIA POTREBBE FUNZIONARE DA DETONATORE PER I MERCATI FINANZIARI

Ma poi bisogna ricordarsi anche del possibile “effetto domino”: se la situazione europea (o anche solo Italiana) degenerasse, poiché riguarderebbe valori di migliaia di miliardi (trilioni, come dicono gli Americani) di Euro, ecco che anche gli altri mercati ne risentirebbero negativamente, contribuendo a sospingere la migrazione dei capitali verso le piazze (e le valute) più sicure o più neutrali, ma anche a creare volatilità nelle borse di tutto il mondo.

Il crepuscolo del lungo ciclo economico positivo che il mondo fino all’anno in corso ha vissuto per quasi un decennio anche in modo sincronizzato, la prospettiva di una riduzione della liquidità disponibile sui mercati e il rischio che il super-Dollaro non si arresti e faccia danni a catena tra i Paesi Emergenti (dove oramai risiede buona parte della popolazione mondiale e dove si alloca una fetta consistente del prodotto globale lordo) possono risultare fattori decisivi per riuscire a creare uno smottamento consistente sui mercati finanziari. Anche in quelli più solidi.

E questo rischio alimenta le aspettative negative che in tal modo potrebbero auto-realizzarsi, quantomeno spingendo gli operatori a minor fiducia sul futuro e dunque a ridurre gli investimenti strutturali e scientifici, che sono alla base dello sviluppo economico. Anche la voglia di trasformare gli investimenti mobiliari in liquidità “‘tattica” contribuisce a dare forza al Dollaro, creando le condizioni per una possibile tempesta valutaria.

Dio non voglia…

Stefano di Tommaso




LA ROTAZIONE DEI PORTAFOGLI DEGLI INVESTITORI ISTITUZIONALI RIVELA MINOR OTTIMISMO DI QUANTO ESPRESSO DAGLI INDICI DI BORSA

Per chi si chiede come andrà l’economia globale nel 2018 c’è un modo semplice di provare a rispondere: provare a guardare dove si orientano le grandi case di investimento nel mondo. Non soltanto è utile conoscere il loro livello di fiducia, la quota investita in azioni rispetto a ciò che è investito in titoli a reddito fisso e a quale percentuale di cassa mantengono la loro liquidità, ma soprattutto è interessante conoscere la ripartizione dei loro portafogli per settori industriali, quanta quota parte è investita in titoli proc-ciclici e quanta in titoli anti-ciclici (cioè che crescono o che decrescono quando l’economia “tira”). Ebbene i dati più recenti, relativi allo “stance” di Febbraio differiscono molto da quelli di solo un mese prima:

REDDITO FISSO

come ci si poteva attendere dai corsi dei titoli obbligazionari (tutti in discesa) la quota di titoli a reddito fisso non è cresciuta nei portafogli istituzionali, ma non sembra nemmeno essere scesa, dal momento che l’attesa generale è quella di una fortissima correlazione tra gli andamenti di azioni e obbligazioni (oltre il 90%);

LIQUIDITÀ IN PORTAFOGLIO

ciò che dunque sale è invece la cassa netta detenuta (al di sopra delle medie storiche) sul totale del portafoglio di investimenti (segnale di cautela di fronte all’incertezza dei mercati) ma soprattutto aumenta l’intenzione dei gestori di portafogli di liquidare talune posizioni appena possibile sfruttando eventuali rimbalzi delle quotazioni. Evidentemente l’ipotesi alla base è che il mercato azionario è ancora troppo caro;

SETTORI INDUSTRIALI

un forte segnale di avversione al rischio è la rinnovata preferenza per comparti notoriamente “difensivi” quali la sanità, le telecomunicazioni, le “utilities” (acqua, energia, servizi pubblici ecc…) mentre solo un mese fa ad essere favoriti erano soprattutto I comparti “pro-ciclici” come la meccanica e l’elettronica e le nuove tecnologie. E’ evidente che la scelta riflette l’aspettativa generale di un rallentamento dell’economia, mentre le statistiche sino ad oggi sembrano indicare il contrario.

MERCATI

dietro-front anche per i mercati emergenti, sui quali fino al mese scorso molti gestori di portafogli avevano puntato, evidentemente perchè si teme che la liquidità del mercato -chiaramente in restrizione- possa affliggere prima le piazze più remote del globo. Questo normalmente è un segnale di aspettativa di rafforzamento del Dollaro (principale moneta estera di scambio per i paesi emergenti) mentre non è un buon segnale per l’euro, che riflette l’andamento dell’Europa, che annovera le principali nazioni esportatrici di costruzioni, impianti e tecnologie industriali, le quali evidentemente non beneficeranno della ridotta disponibilità di capitali nei paesi emergenti. Tuttavia non possiamo evitare di notare che invece sono mesi che il Dollaro continua a scendere e che questo fatto tutto sommato controbilancia la fuoriuscita dei capitali dai paesi emergenti.


IL “GURU” DI OMAHA

interessante curiosità viene dall’orientamento di portafoglio del più famoso di tutti I gestori di investimento azionario: il quasi novantenne Warren Buffett. La sua notoria avversione ai titoli finanziari e a quelli tecnologici viene ribaltata dai fatti: il bilancio di Berkshire Hathaway vede nell’ultimo trimestre 2017 un accrescimento significativo della partecipazione in Apple (tecnologia) e in banche come Wells Fargo, Bank of America, Bank of New York Mellon e US Bancorp. Altro settore dove ha effettuato una pesante scommessa è quello dell’agricoltura, incrementando negli ultimi mesi la quota di azioni già detenuta in Monsanto. In effetti è difficile dargli torto: Apple sta performando molto bene e risulta una delle società più solide e meglio gestite di Wall Street, la tendenza al rialzo dei tassi si sta confermando e ne risultano inevitabilmente favorite le banche che vedono crescere la loro forbice (tra tassi attivi e tassi passivi) e infine i prezzi delle principali derrate alimentari stanno crescendo e ciò favorisce i titoli del settore.


MORALE

la corsa delle borse degli ultimi anni è stata accompagnata da un prolungamento del ciclo economico positivo ben oltre le più rosee aspettative che, anche per la sua lunga durata è riuscito a sincronizzare l’economia americana (il cui orologio va notoriamente avanti di mesi rispetto al resto del mondo) con quella europea e quella dei principali Paesi in via di sviluppo. Questa sincronia ha dato nuovo impulso alla crescita economica globale e, ovviamente, gli indici delle borse di tutto il mondo non hanno potuto che registrare l’ottimismo che si andava diffondendo. Oggi però i principali investitori, nonostante le buone notizie sul fronte dell’economia reale, ritengono ugualmente le borse sopravvalutate e orientano verso la prudenza la composizione dei loro investimenti, rivolgendosi verso titoli anticiclici e aumentando la quota di liquidità.

È interessante notare che questo non significa necessariamente che le borse scenderanno ma solo che tra gli investitori si diffonde maggior prudenza visto che possono permetterselo. I recenti lauti guadagni possono infatti far dimenticare loro il rischio di beneficiare meno delle prossime risalite. E, così come è già accaduto nell’ultimo anno e mezzo, questo fatto è positivo perché riduce la possibilità di eccessi speculativi e aiuta a dare stabilità al mercato azionario.

Stefano di Tommaso