NEL “VOLARE VERSO LA QUALITÀ” IN BORSA TORNA DI MODA LA “BONDIFICATION”

Nonostante la speculazione pura abbia negli ultimi mesi preso il sopravvento sugli investitori razionali nel guidare le tendenze della maggior parte dei listini di borsa nel mondo, in realtà esiste un numero elevatissimo di “cassettisti” che investono anche in titoli quotati ma restano pur sempre alla ricerca di un reddito.La maggioranza di questi non è più in forma individuale ma è oggi rappresentata da investitori professionali o da “family offices” che perseguono il medesimo obiettivo di ottenere dall’investimento sul mercato mobiliare un reddito più o meno costante derivante da cedole e dividendi, anche attraverso sofisticate politiche di investimento come appunto la “bondification”.

I rendimenti pagati dai titoli a reddito fisso sono oramai ridottissimi da anni, a causa del livello quasi pari a zero dei tassi di interesse e, per quel che si può ritenere guardando alle politiche monetarie perseguite dalle banche centrali di tutto il mondo, è probabile che tali politiche proseguano ancora per molti mesi se non per anni.

Questo il motivo per il quale già da un paio d’anni gli investitori che rimangono nei loro orientamenti fortemente avversi al rischio e sostanzialmente alla ricerca di un reddito derivante dal proprio capitale per pagare alle scadenze dovute pensioni, annualità o o anche solo le bollette e le spese domestiche, hanno alla fine adottato politiche di “bondification”, cioè di sostituzione dell’investimento obbligazionario con quello azionario sperando di poter trovare un’alternativa all’investimento in titoli a reddito fisso definendo una particolare composizione del portafogli di titoli azionari di elevata solidità e caratterizzati da elevate politiche di dividendi.

VANTAGGI E SVANTAGGI

Un portafoglio azionario selezionato sulla base della classe di rischio (basso, evidentemente) e sulla capacità di elargire dividendi, invece che sulla base della differenziazione delle tipologie di investimento, può raggiungere l’obiettivo di perseguire minor rischio e importanti capacità di generare reddito ma può mostrare anche maggior dipendenza nel suo comportamento dall’andamento di taluni comparti industriali che esprimono i titoli che pagano più dividendi.


Cioè la selezione di titoli sulla base della bondification può avere un secondo aspetto negativo oltre evidentemente ad essere meno suscettibile di forti rivalutazioni (in quanto meno “pesato” sui titoli a forte crescita): questo secondo aspetto consiste nella minor diversificazione geografica e settoriale, perché i “dividend aristocrats” -come vengono chiamati- sono pochi e sono principalmente legati ai settori dal ciclo di vita più maturo.

Inoltre sino ad oggi le migliori soddisfazioni a chi investe in borsa sono arrivate soprattutto dai titoli tecnologici a grande capitalizzazione (si veda in proposito il grafico). Nulla garantisce che il trend non possa continuare esattamente come è stato sino ad oggi.

LA ROTAZIONE DEI PORTAFOGLI

Il punto però è che in momenti come questo, caratterizzati da timori circa i livelli raggiunti dai listini azionari e da una certa rota dei portafogli da titoli “growth”a titoli più sicuri, decidere di sottopesare quei titoli può finalmente consistere in un vantaggio netto e dunque la bondification può fornire due ordini di soddisfazioni a chi l’ha messa in pratica:

• I maggiori dividendi percepiti

• L’apprezzamento in conto capitale.

Anzi, il mercato sa che la cuccagna delle borse non durerà in eterno (anche se da un anno essa va oltre ogni ragionevole aspettativa) e dunque cerca di ruotare i portafogli verso investimenti meno a rischio e di maggior qualità in termini di profitti, storia, di dividendi, di livello del management e di dimensioni aziendali.

Il “volo verso la qualità” riguarda pertanto non solo quei titoli che risultano in grado di pagare i maggiori dividendi, ma soprattutto quelli che possono vantare una storia di successi ripetuti, di solidità aziendale e di migliore persistenza della propria strategia competitiva.

È questo il motivo principale perché l’argomento della bondification è tornato in auge. In molti casi i portafogli di titoli selezionati in tal senso possono dunque anche ottimamente performare in un momento come quello attuale che mette in secondo piano l’interesse per i titoli tecnologici e innovativi ma con più rischiosità .

IL “VOLO VERSO LA QUALITÀ”

Se si vuole dunque provare a selezionare un portafoglio “value” (cioè più orientato all’investimento difensivo e a lungo termine), il Sole 24 Ore ci fornisce di seguito un’elenco di criteri per la cernita:

• Una redditività costante e in crescita

• Una storia di costante apprezzamento del titolo in borsa

• La capacità di tenere sotto controllo la produttività del lavoro

• La capacità di generare cassa

• La non eccedente valutazione di borsa in termini di P/E

• La “riserva implicita” di valore derivante dai valori intangibili: il marchi e il management

WHAT NEXT?

Resta da vedere quali soddisfazioni potranno pervenire in futuro a chi mette in pratica oggi una tale politica di selezione del portafoglio azionario.

Quando le borse dovessero tornare a veder crescere la volatilità, infatti, gli svantaggi in termini di diversificazione e di sottoesposizione verso i titoli che promettono maggior crescita di un portafoglio così selezionato potrebbe penalizzare chi la mette in pratica (sebbene si potrebbe sempre obiettare che oggigiorno la possibilità di diversificare, in funzione della non omogeneità del rischio, in misura statisticamente rilevante, è quasi scomparsa).

Come sempre perciò, non esiste una ricetta per gli investitori valida per tutte le stagioni. Ad oggi le borse hanno continuato a salire nonostante mille e una cornacchia cercassero di costruire una propria reputazione suonando le campane a morto per prime. E mentre salivano la volatilità scendeva (che è sicuramente un segno di forza del momento borsistico) e i profitti aziendali andavano alle stelle.

Il futuro non è detto che ci riserverà un crollo delle borse nell’immediato ma, mano mano che le banche centrali piloteranno i mercati verso una riduzione della liquidità da esse immessa, potrebbe anticipare una tendenza alla discesa dei corsi con l’aumento della loro volatilità. Neanche questo succederà in un istante ma è chiaro che non solo i titoli più “conservativi “ dal punto di vista del rischio potrebbero “tenere” i livelli più degli altri, ma anche che nessuno si aspetta un nuovo vero e proprio “boom”della crescita economica globale. Dunque rimanere sotto-pesati sui titoli più speculativi può non essere comunque una cattiva idea.

Stefano di Tommaso




SULLE BORSE GLOBALI DUE MONDI CONTRAPPOSTI: TITOLI DIFENSIVI O TECNOLOGICI?

Sui listini di tutto il mondo la galassia dei titoli tecnologici appare avere andamenti sempre più contrapposti a quelli di un’altra galassia, quella dei titoli azionari dei comparti tradizionali. Investire sugli uni risponde infatti a logiche molto differenziate dall’investire sugli altri.

 

Sono oramai molti molti mesi che le borse globali galleggiano su livelli record e che, per questo motivo, i gestori del risparmio si interrogano su come orientare gli investimenti per rispondere alle esigenze dei loro sottoscrittori. L’onda lunga delle nuove tecnologie ha favorito guadagni meravigliosi ma sicuramente i titoli “tecnologici” se da un lato promettono ancora performance eccezionali, dall’altro costituiscono una scommessa forte e rischiosa. I loro corsi sono soggetti a violente oscillazioni anche a causa del fatto che la calma piatta in superficie dei mercati ha incentivato una decisa rotazione dei portafogli.

Sino ad oggi poi anche il mercato dei titoli a “reddito fisso” ha fornito ottime soddisfazioni, ma il livello “quasi zero” dei tassi di interesse fornisce poca attrattiva per gli investitori e per questo motivo essi tendono a preferire investimenti azionari “difensivi” cioè orientati verso titoli a bassa oscillazione e con elevate politiche di dividendi.

Quel che accade perciò rassomiglia ad un processo di polarizzazione degli investimenti. È ormai come se ci fossero per ogni grande borsa del mondo due diversi mercati azionari:

•da un lato quello dei titoli azionari emessi da aziende tradizionali, dove gli investitori hanno da tempo rinunciato a fare scorribande e alla speranza di cospicui apprezzamenti in conto capitale, ma dove cercano invece una sponda di lungo termine, che assicuri loro la cedola e la solidità (per “bondificare” cioè “obbligazionarizzare” i loro investimenti).

•dall’altro lato quello dei titoli emessi da start-up tecnologiche, aziende del mondo internet e società con elevato potenziale di crescita: tutti titoli che esprimono invece forti attese di rivalutazione, assieme ad un’elevata volatilità. Questo mercato risponde al veloce cambiamento delle attese man mano che si chiariscono le tendenze di fondo delle curve esponenziali delle performances. Dunque con titoli come Snapchat che vanno giù e quelli come Amazon o Tencent che invece continuano a correre.

Ovviamente gli investitori non sanno bene se e quando saltellare dall’una all’altra galassia, ma appare loro tuttavia abbastanza chiaro che i titoli appartenenti alla prima sembrano divenuti quasi inscalfibili e immutabili alle oscillazioni degli umori persino quando i peggiori timori geopolitici prendono il sopravvento. Dipendono forse maggiormente dalla liquidità dei mercati che però ancora oggi resta molto elevata (vedi il grafico qui allegato che riporta una delle spiegazioni”tattiche” per cui le borse sino ad oggi non sono andate giù: anche nell’ultimo semestre la liquidità sui mercati si è accresciuta ).

Mentre i titoli appartenenti alla seconda galassia (i “tecnologici”) appaiono molto più sensibili alle oscillazioni degli indicatori economici, al trading online e, in definitiva, al “consensus” del mercato. La loro volatilità è infinitamente più alta anche perché settimana dopo settimana qualcuno di essi appare essere un cavallo stanco, altri corrono più delle aspettative e in media scontano maggiormente i timori di un improvviso ridimensionamento dei listini.

Un interessante comparto industriale rimasto forse a cavallo tra i due mondi appare essere quello dell’automobile, dove convivono FCA e GM da una parte, ancora ostinatamente orientati al design più che all’innovazione e dall’altra parte aziende innovative come Tesla, produttrice di auto elettriche supertecnologiche e capaci di guidare quasi da sole. Con tutte le vie di mezzo come Toyota, WW e Volvo, che hanno saltato il fosso della tecnologia di trazione con motori termici tradizionali ma non del tutto e non prevalentemente.  Ovviamente i titoli di Tesla volano, dominati dalle attese sulle consegne di autoveicoli la cui domanda supera di molte volte l’offerta, mentre sugli altri titoli aleggiano minacciosi i nuvoloni della prossima riduzione della spesa per consumi, cui essi possono risultare più sensibili della media.

Utile anche domandarsi chi ci rimette in una tale forte diaspora tra le due diverse tipologie di titoli azionari, mossa dai timori di fondo di possibili ridimensionamenti delle quotazioni. La risposta è che non rientrano in nessuna delle due categorie oggetto di questa polarizzazione i titoli meno liquidi e quelli a minor capitalizzazione. Ma anche quelli emessi da imprese non fortemente caratterizzate come “market leader” di qualche specifico settore, le start-up in generale e forse anche i progetti di IPO. La polarizzazione degli investimenti in fondo è uno dei tanti modi adottati dal mercato per mettersi sulla difensiva !

 

Stefano di Tommaso

 




BENVENUTI NELL’ERA DEL QUANTITATIVE INVESTING

Dopo l’euforia dei mercati arriva una fase di consolidamento che vede gli investitori attenti alle nuove tecniche quantitative di costruzione dei portafogli basate sul concetto di “Bondification”. Vediamo cosa significa.

 

C’era una volta il “Trump Trade”, vale a dire quell’euforia dei mercati finanziari che era immediatamente succeduta all’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America, provocando forti aspettative di riduzione della tassazione e incremento degli investimenti infrastrutturali. Per molti mesi i mercati di quasi tutto il mondo (emergenti compresi) sono saliti uniformemente creando la sensazione che la rinnovata crescita economica globale avrebbe risvegliato il mondo dalla deflazione e alimentato guadagni generalizzati sui mercati.

Oggi invece, alla vigilia di un’estate che si preannuncia algida e relativamente povera di novità sostanziali, salvo il forte rischio di un nuovo acuirsi delle tensioni geopolitiche globali (quantomeno in Siria), con il raffreddarsi delle aspettative di inflazione nei paesi OCSE (che si pensava potesse addirittura tornare prepotente sulla scena) molti investitori stanno facendo “ruotare” i portafogli limitando gli investimenti più speculativi, mentre si torna ancora una volta a parlare di “quantitative investing” e, in particolare, di quella nuova tendenza nelle strategie di investimento che seleziona portafogli di titoli azionari configurandoli per avere caratteristiche simili a quelle di un titolo a reddito fisso di natura sintetica, nota come “bondification”.

ALLA SCOPERTA DELLA “BONDIFICATION”

La strategia, al di là delle sue caratteristiche tecniche (di rischio e rendimento) e dell’intelligenza che essa può esprimere, torna oggi in voga per rispondere ad una fondamentale esigenza di combinare prudenza e ritorni significativi negli investimenti da parte dei gestori di fondi pensione, degli amministratori di riserve tecniche delle compagnie assicurative e dei tesorieri istituzionali di qualunque tipo.

Quello che si è visto infatti dopo le ultime, drammatiche crisi finanziarie, è che anche seguendo una politica di forte differenziazione degli investimenti effettuati e anche limitandosi a selezionare titoli a reddito fisso o collegati ad una importante garanzia sottostante, quando i mercati finanziari picchiano, essi tendono a muoversi più o meno tutti nello stesso modo, provocando ingenti perdite di valore anche nei portafogli gestiti dagli investitori più moderati, quelli che avevano sperato di scambiare minori rendimenti potenziali con una maggior protezione dai rischi.

Una volta cadute quelle certezze del passato relativamente alle cosiddette “asset classes” (cioè alla tipologia di titoli disponibili sul mercato), ecco che quegli operatori del mercato finanziario che sono ugualmente costretti a cercare forme di impiego a limitato rischio speculativo e con buona capacità di pagare un reddito periodico, si sono rivolti a sistemi complessi di analisi quantitativa per trovare delle risposte alle loro esigenze.

Il Financial Times di qualche giorno fa per mano di John Authers ne compie un’ampia indagine per comprendere il fenomeno, descritto come il trend del momento dal Rapporto Annuale fornito da “Create-Research” per Principal Global Investors, che ha intervistato oltre 700 gestori professionali di patrimoni i quali, nel complesso, controllano investimenti per quasi 30.000 miliardi di di Dollari.

Il segreto della Bondification sta sicuramente nella selezione scientifica di titoli azionari emessi da grandi società con basso indebitamento, business stabile, buona generazione di cassa e conseguente forte politica dei dividendi. Più o meno il contrario delle caratteristiche dei titoli tecnologici che sono andati a ruba fino a qualche mese fa.

LA “ROTAZIONE” DEI PORTAFOGLI

Non soltanto in tale modo gli investitori più avversi al rischio possono risultare in grado di costruire l’equivalente di un portafoglio obbligazionario evitando di accettare i rendimenti quasi a zero che si trovano ancora oggi sul mercato.

Quel che sta avvenendo è anche che la rotazione dei portafogli nelle ultime settimane derivante dai timori di qualche significativa correzione sui mercati sta spingendo anche gli altri gestori di patrimoni, che normalmente erano più propensi a prendere dei rischi, tra le braccia degli analisti “quantitativi” capaci di costruire portafogli di titoli diversificati non più sulla base delle “asset classes” bensì soprattutto sulla base dei loro indici statistici di rischio, indipendentemente da quale asset class cui appartengono e, ovviamente, alla “bondification”.

IL TRIONFO DEI “QUANTS”

Per comprendere l’attenzione che sta generando il fenomeno della progressiva sostituzione dei “traders” sui mercati finanziari con ingegneri e specialisti di analisi finanziaria quantitativa, può essere utile dare un’occhiata a un articolo apparso su Bloomberg Finance qualche mese fa denominato “Inside A Moneymaking Machine Like No Other” (ecco il link: https://www.bloomberg.com/news/articles/2016-11-21/how-renaissance-s-medallion-fund-became-finance-s-blackest-box ) dove si spiegava la rivoluzione copernicana negli investimenti proposta da Renaissance Technologies, un misterioso e leggendario gruppo economico, gestore di fondi “hedge” e in particolare del “Medallion Fund”, riuscito a generare profitti per 55 miliardi di dollari dai propri investimenti negli ultimi 28 anni senza quasi mai perdere nemmeno nei momenti più difficili.

Renaissance Technologies ha insomma performato meglio di George Soros e Ray Dalio, prendendo tra l’altro un numero di rischi molto minore e in un periodo più breve!

Quale il segreto? Enunciarlo è più semplice di quanto si possa immaginare: mettere insieme e investire in cervelli e conoscenze scientifiche provenienti dai rami più disparati dello scibile per generare tecnologie interpretative dei segnali provenienti dal mondo reale, applicandole negli investimenti azionari. Più difficile è ovviamente farlo davvero, e per un periodo di tempo così lungo come quasi un trentennio.

Ma al di là della storia straordinaria di questa società di investimenti, campione mondiale del settore, l’impossibile risposta all’eterna questione di dove investire nei momenti più difficili oggi arriva soltanto da quelli che una volta erano definiti i “nerds”, gli intellettuali con la testa fra le nuvole. Che oggi -con il loro approccio pragmatico ai numeri della Finanza- più che mai sembrano aver vinto la battaglia per il successo.

Stefano di Tommaso