TUTTI VOGLIONO FAR SOLDI CON LA NUVOLA,MA A RENDERLA SICURA ARRIVA IL BLOCKCHAIN

Se vi chiedete qual è il tema più importante nelle aspettative degli analisti finanziari per far soldi in borsa, allora dimenticate l’intelligenza artificiale, le auto elettriche, o la realtà aumentata: tutta roba che fa molto spettacolo ma, dal momento che la grande liquidità disponibile favorisce soprattutto la spesa per investimenti delle imprese che vogliono rinnovarsi ed efficientarsi, ecco che i veri quattrini la maggior parte degli operatori del mercato dei capitali pensano di farli con ciò che è più vicino alle attuali esigenze delle imprese che oggi investono a tutto spiano: la nuvola digitale (detta anche: “cloud computing”).

LA DIGITALIZZAZIONE È IL MAGGIOR SINGOLO CAPITOLO DI SPESA PER INVESTIMENTI DELLE IMPRESE

La digitalizzazione avanza, e con essa crescono le esigenze di infrastruttura informatica delle imprese, che trovano il loro sbocco naturale nell’outsourcing di tutto ciò che non conviene tenere in casa e che può essere fornito da remoto accanto a una miriade di servizi accessori. E se questo è il capitolo di spesa che si prevede crescerà di più nell’anno a venire, è qui che gli operatori vogliono scommettere.

È il medesimo motivo per il quale le più grandi società dell’era digitale, come Apple, Google, Amazon, Alibaba, Tencent e Facebook sono cresciute in borsa per tutto il 2017: si sono soprattutto apprestate a occupare anticipatamente lo spazio di mercato delle piattaforme digitali rivolte alle imprese industriali e commerciali (il “B2B”) ottenendo con questo il consenso degli analisti finanziari.

C’ERANO UNA VOLTA I DATABASE

C’erano una volta i data center e prima ancora i software per la gestione dei database, come ad esempio Oracle, ma avevano uno straordinario limite tecnico (tra gli altri): era difficile accedere loro da telefoni intelligenti e tavolette, cioè dalla rete mobile. Non a caso le società che meglio sperano di posizionarsi per il 2018 (solo per le FAAMG -Facebook Amazon, Apple, Microsoft e Google- si pensa che le vendite in questo settore possano crescere al ritmo di 100 miliardi di dollari nel corso dell’anno) sono proprio quelle che più hanno investito sugli strumenti accessibili da rete mobile.

Con una (grossa) eccezione: “the big blue” (al secolo “IBM” : nell’immagine Virginia Rometty, Presidente e Direttore Generale) il gigante dei mainframes si è già dotata dei più avanzati 60 data center nel mondo ed è fornitrice di buona parte del software di gestione di tutti gli altri servizi cloud nonché ovviamente del “ferro” di buona parte degli altri data center e per di più prima di tutti gli altri ad aver scommesso sulla tecnologia del blockchain per fornire accesso sicuro ai database aziendali, al commercio elettronico e ai servizi remoti di telelavoro, contabilità, gestione del personale, della forza di vendita, delle fabbriche automatiche, eccetera. Addirittura il gigante dell’informatica, che ha appena compiuto 106 anni di vita, sta compiendo una vera e propria rivoluzione copernicana nel favorire la nascita di start-up tecnologiche regalando loro l’accesso gratuito al proprio software di gestione del blockchain per incoraggiare l’utilizzo della propria nuvola.

LA NUVOLA NON SI È DIFFUSA SINO AD OGGI PER TIMORI SULLA SICUREZZA INFORMATICA

Si sa che la remora principale ad adottare servizi sulla nuvola da parte delle aziende e delle pubbliche amministrazioni era stata la problematica della sicurezza di accesso ai dati.

Le frodi informatiche e la ciber-sicurezza sono ancora oggi un tema caldo e molto spesso un vero e proprio mal di testa per chi vuole fare il miglior utilizzo del sistema informatico che gira intorno al “cloud computing” cioè alla digitalizzazione “sulla nuvola” (da remoto): quello estensivo dove tutte le applicazioni e i sistemi gestionali aziendali sono collegati e accessibili da qualsiasi piattaforma.

IL BLOCKCHAIN PUÒ RISOLVERE IL PROBLEMA

Il sistema di registro remoto (diffused ledger) creato con la tecnologia blockchain per assicurare gli scambi sulle criptovalute è la risposta ideale alla domanda di sicurezza aziendale che frenava lo sviluppo del “cloud computing”: il sistema di blocco creato per le criptovalute è considerato sino ad oggi virtualmente inattaccabile e tiene conto di ogni possibile accesso o movimento, documentandolo.

Il mercato dei servizi informatici connessi al blockchain è valso nel suo complesso nel 2016 soltanto 242 milioni di dollari, ma è destinato a toccare quasi gli 8 miliardi di dollari entro il 2022, parallelamente alla stima dell’espansione dei servizi in “cloud” che si stima verrà adottata entro 5 anni dal 55% delle grandi imprese (oltre i 1000 dipendenti) rispetto all’attuale 17% delle stesse, anche a causa del crescente utilizzo dei dati relativi all’Internet delle cose (IOT).
Stefano di Tommaso




CINQUE GRAFICI RIASSUMONO IL 2017

Ecco a Voi cinque grafici, pubblicati dal Guardian, che riassumono efficacemente l’andamento delle principali variabili economiche dell’anno. E qualche considerazione che se ne deduce.

LE BORSE DI TUTTO IL MONDO SONO QUASI SOLO ANDATE SU:

NONOSTANTE LA LORO CORSA SFRENATA HANNO REGISTRATO LA PIÙ BASSA VOLATILITÀ DEI CORSI DELLA STORIA RECENTE, CONFERMANDO LA NATURA ASSAI POCO SPECULATIVA DEGLI ACQUISTI E FORNENDO STABILITÀ ALLA CRESCITA:

IL COMMERCIO GLOBALE HA FINALMENTE RIPRESO LA SUA CORSA NEL 2017 (nonostante la globalizzazione abbia fatto aumentare il numero degli stabilimenti produttivi nel mondo) E LO SI VEDE DALL’ANDAMENTO DEI PREZZI DEI NOLI MARITTIMI :

MENTRE IL PETROLIO HA INIZIATO A METÀ ANNO A RISALIRE E DA QUEL MOMENTO LO HA FATTO STABILMENTE, EVIDENTEMENTE LA FORTE RIPRESA MONDIALE ALIMENTA LA DOMANDA DI ENERGIA CHE, CONTRO OGNI PREVISIONE, SUPERA DI MISURA LA GRANDE OFFERTA DI MATERIA PRIMA :

E INFINE IL TORMENTONE DELL’ANNO: IL BITCOIN, PARTITO DA 1000 DOLLARI A GENNAIO E ARRIVATO QUASI A 20.000 DOLLARI PER POI RITRACCIARE, MA SOLO DI POCO:

 

COSA SE NE PUÒ DEDURRE?

•che le borse non crolleranno così presto, anzi!
•che la volatilità dei corsi potrebbe però tornare a crescere;
•che l’impennata del commercio globale fa bene alla crescita economica ;
•che la risalita del prezzo del petrolio è indice di forte salute dell’economia globale e, a sua volta, favorisce le esportazioni di molti paesi emergenti;
•che la crescente liquidità mondiale cerca strade alternative a quelle imposte dalle banche centrali, probabilmente proprio dove le restrizioni sono più forti, riversandosi sulle criptovalute le quali vengono viste come riserva di ricchezza al riparo da dittature e tassazioni anche a causa dell’impossibilità di incrementarne artificialmente l’offerta;
•che la tecnologia sottostante, il blockchain, è considerata inattaccabile e sarà perciò presto adottata in una miriade di altre applicazioni collegate alla “nuvola”.

 

Stefano di Tommaso




COME CAMBIA L’INDUSTRIA DELL’AUTO NELL’ERA DELLA SHARING ECONOMY

È notizia riportata dal Financial Times di ieri quella di ancora molti nuovi denari raccolti sul mercato dei capitali dalle start-up tecnologiche basate sul car sharing. Ad esempio l’iniziativa di Daimler Benz e altri investitori coreani di finanziare con quasi cento milioni di dollari la crescita di “Turo”: una delle società di noleggio auto della Silicon Valley di maggior successo, basata a San Francisco, che ha promosso in California e ora vuole espandere nel resto degli Stati Uniti, in Asia e in Europa i propri servizi fondati sulla diffusione peer-to-peer della condivisione della proprietà dell’auto (che cioè viene diffusa e resa disponibile sulla rete internet trasformando gli stessi utenti in fornitori di nuovi punti di accesso).

 

Turo ha ricevuto quel denaro da un gruppo di investitori e sottoscrittori di un nuovo round di finanziamento sulla base dell’ipotesi che il suo modello di business, inizialmente andato molto bene nell’area di maggior concentrazione al mondo delle innovazioni tecnologiche e nelle conseguenti nuove abitudini di consumo, possa nel tempo essere accettato e diffuso anche nel resto del mondo. Una scommessa ovviamente non priva di rischi ma indubbiamente stimolante.

D’altra parte ogni grande casa automobilistica si è posta il problema del fatto che un’auto privata è ferma e inattiva per più o meno il 99% del tempo totale di possesso, concludendone di voler porre in essere iniziative di ogni tipo che vadano nella direzione di permettere all’utente medio mobilizzare il denaro investito nell’acquisto. Toyota, una delle più grandi con un giro d’affari complessivo che raggiunge i 200 miliardi di dollari, è entrata in the Enterprise Ethereum Alliance (EEA) per lo stesso scopo (si legga l’articolo qui riportato: http://www.trustnodes.com/2017/05/22/car-giants-toyota-mitsubishi-join-enterprise-ethereum-alliance-blockchenize-automobiles ).

LA MOLTITUDINE DI INZIATIVE DI BUSINESS RELATIVE A CAR SHARING E TAXI HAILING

La notizia di per sé non avrebbe nulla di interessante (l’ennesima start-up basata sulla digitalizzazione mobile ha ricevuto tanti capitali) se non fosse che oramai praticamente ogni giorno leggiamo annunci simili da parte di un gran numero di iniziative che peraltro, per essere state selezionate dagli investitori professionali del “venture capital”, non sono che la punta dell’iceberg di un numero ancora molto più grande di nuove iniziative di business volte a cavalcare l’ondata di sostituzione dei precedenti modelli di possesso e di utilizzo dei veicoli di trasporto.

Per dare una vaghissima idea dell’affollamento delle cosiddette “start-up” in questo campo possiamo citare di seguito alcuni dei numerosissimi modelli di business indotti dalle nuove abitudini di consumo dei “millennials” (vale a dire la popolazione di coloro che sono nati intorno alla svolta del millennio), tutti basati sull’economia della condivisione applicata alla proprietà e all’utilizzo dei veicoli:

  • Car renting (noleggio a breve e lungo termine dell’auto) 
  • Car sharing (noleggio a brevissimo termine dell’auto come già avviene anche nelle principali città italiane)
  • Car pooling (condivisione dell’auto tra più utenti per determinati utilizzi, normalmente su base breve e ricorrente)
  • Car ridesharing (condivisione dell’auto privata con uno o più utenti solo per un determinato percorso) come Blabla Car & simili apps per l’effettuazione di percorsi relativamente lunghi (il proprietario di un’auto offre dunque un passaggio ad altri viaggiatori in cambio della condivisione dei costi e della disponibilità degli ospiti a chiacchierare lungo il tragitto)
  • Car Hailing come Uber, Lyft & simili apps (il proprietario fornisce anche un servizio, di taxi, di limousine eccetera…) non sempre in cambio di un pagamento basato sul percorso bensì anche sulla base di una “donazione suggerita”, del previo acquisto di crediti di trasporto o ancora sulla base della condivisione dei costi vivi oltre a un contributo che viene rivolto a qualche fondazione benefica.

LE RAGIONI DI QUESTA PROLIFERAZIONE

È evidente che la nascita di tutte queste tipologie di iniziative e la varietà delle nuove modalità di condivisione dei mezzi di trasporto (dall’auto alla moto passando dai tricicli cosiddetti Apecar molto diffusi nell’Asia del sud fino alla condivisione della bicicletta, elettrica o meno) costituisce un segnale deciso che forse qualcosa sta cambiando nelle abitudini di utilizzo dei mezzi di trasporto e nel modello di proprietà in generale dei veicoli.

Qualcosa di importante si muove perciò non soltanto a causa del fatto che la diffusione della fruizione dei servizi resi su internet tramite gli “smartphones” (i telefoni intelligenti) ha reso possibili cose impensabili vino all’altro ieri, ma soprattutto perché oggi è il mercato dei capitali che si è buttato letteralmente a capofitto a investire sulla crescita quel settore della sharing economy che riguarda la mobilità privata.

Al di là dell’impressionante numero e diffusione globale di miliardi di dollari che vanno accumulandosi nella fondazione e crescita accelerata di operatori che investono nella sostituzione dei precedenti modelli di possesso e di utilizzo dei veicoli, quali possibili implicazioni possono derivare al settore automotive nel suo complesso? Proviamo a ragionarci sopra.

L’IMPATTO DEL “CAR SHARING” SULLE NUOVE TENDENZE DELL’INDUSTRIA DELL’AUTO

La moltiplicazione degli operatori che offrono serivizi basati sulla condivisione della proprietà dei veicoli è probabilmente alla base della rinnovata (e prolungata) stagione di espansione del settore automobilistico in senso lato: dalle grandi case che monopolizzano l’attenzione dei media con le nuove proposte di veicoli elettrici o ibridi, più o meno dotati di funzioni automatiche e forniti di connettività, di capacità di guida autonoma sino alle prime funzioni dell’intelligenza artificiale, con anche tutto l’immenso comparto di produzioni indotte dall’industria dei veicoli: dalle imprese specializzate nella progettazione e produzione delle nuove tecnologie fino a quelle che realizzano i componenti utilizzati da auto, moto e altri nuovi veicoli, terrestri o volanti.

È perciò innanzitutto probabile che le grandi risorse finanziarie profuse nei nuovi modelli di business del settore “automotive” possano provocare una moltiplicazione del numero di veicoli acquistati dagli operatori suddetti.

Ma non basta: la diffusione di nuovi modelli di condivisione della proprietà probabilmente accelera la proliferazione di tecnologie e strumenti di telecontrollo della posizione e del comportamento dei veicoli immessi sulle strade da quegli operatori. Senza la nascita di tutte queste società che acquistano veicoli da immettere in rete che ha provocato l’esigenza di geolocalizzazione e di semiautomatismo dei veicoli delle loro flotte, probabilmente la domanda di queste nuove tecnologie sarebbe stata molto più blanda e la velocità della loro diffusione sul totale dei veicoli circolanti molto più bassa. Dunque è possibile che la sharing economy aiuti il rinnovo anagrafico e l’evoluzione tecnologica del totale dei veicoli circolanti.

LE PROBABILI NUOVE PREFERENZE NELLE CARATTERISTICHE DEI VEICOLI DELLE FLOTTE

Senza contare l’osservazione che la maggioranza di queste nuove società che offrono servizi di condivisione dei mezzi di trasporto è basata sulla loro presenza quasi esclusivamente nei principali agglomerati urbani. I veicoli da queste ordinati saranno perciò probabilmente di piccola taglia e destinati ad effettuare percorsi piuttosto brevi. Se poi sono destinati esclusivamente all’utilizzo nell’ambito urbano è più probabile che la domanda futura sia orientata a veicoli totalmente elettrici e che possano prevedere sistemi di rapida sostituzione delle batterie onde evitare i tempi morti di ricarica delle medesime.

Anche per ciò che riguarda le caratteristiche costruttive e l’affidabilità nel tempo dei medesimi veicoli, la diffusione della loro proprietà a pochi grandi operatori probabilmente provocherà l’innalzamento delle esigenze di qualità funzionale, onde risparmiare nel tempo sui costi di manutenzione ed evitare sorprese nella loro continuità operativa.

Infine il livello di automatismo dei veicoli può incidere sul conto economico degli operatori che li acquistano: se un’auto destinata al noleggio a corto raggio è in grado di parcheggiare da sola o di segnalare in autonomia eventuali malfunzionamenti alla centrale operativa della società che la possiede, quest’ultima ne ottiene un risparmio e una miglior programmazione nella riparazione dei danni e dei guasti.

IN CONCLUSIONE

Le iniziative di business rivolte alla diffusione delle nuove modalità di fruizione dei veicoli di trasporto persone stanno attirando la crescente attenzione del mercato dei capitali e accumulando risorse finanziarie che danno nuova vitalità all’industria del settore automotive.

L’ accresciuta domanda di veicoli sarà però probabilmente orientata ad un maggior contenuto di innovazione e di digitalizzazione dei veicoli stessi, come pure ad una migliore affidabilità funzionale e programmabilità delle manutenzioni.

La tipologia di veicoli richiesti dagli operatori che li noleggiano rispecchierà probabilmente la concentrazione del loro utilizzo nelle principali aree urbane del mondo, più che nelle lunghe percorrenze, con una elevata probabilità che questo accrescerà la domanda di veicoli elettrici e in generale a basso impatto ambientale.

È possibile che queste tendenze determinino anche una maggior domanda di capacità di guida autonoma, di elementi tecnologici basati sull’intelligenza artificiale e di un maggior grado di capacità di geolocalizzazione.

Stefano di Tommaso

 




LA CARICA ESPLOSIVA DEL BITCOIN

Bitcoin ai massimi di valore e notorietà. Ma dopo l’attacco senza precedenti ai computers di tutto il mondo ci si chiede se metterlo sotto inchiesta

 

Due recenti accadimenti, collegati tra loro, hanno fatto notizia in tutto il mondo nelle scorse ore:
– L’impressionante ascesa del valore del Bitcoin (la moneta virtuale nata nel 2009 per le transazioni su internet), giunto alla soglia dei 1800 Dollari, quando a inizio 2017 quotava “solo” 1000 Dollari;
– L’attacco informatico senza precedenti che rischia di bloccare i computer di mezzo mondo, per rimuovere il quale è stato chiesto un “riscatto” in Bitcoin.

Soprattutto quest’ultimo ha messo in evidenza come il “Cibercrime” (i reati informatici) possa risultare estremamente difficile da contrastare quando utilizzi tutte le risorse che mette a disposizione la rete mondiale di iternet, ivi compresa la sua criptovaluta: il Bitcoin.

UNA MONETA DAVVERO “INDIPENDENTE” BASATA SUL BLOCKCHAIN: UNA TECNOLOGIA FORTEMENTE INNOVATIVA

Nonostante la sua recente nascita (2009), l’ascesa del Bitcoin come moneta indipendente e internazionale ne ha fatto parlare parecchio i giornali. Ancora oggi tuttavia sono in molti a chiedersi esattamente cosa sia e come funzioni.

La caratteristica principale della valuta online è la sua tecnologia innovativa di certificazione delle transazioni, denominata “blockchain”. Diffusa gratuitamente dai suoi creatori quale sistema di certificazione indipendente e inattaccabile degli scambi commerciali denominati in Bitcoin, il mondo sta individuando molti altri possibili utilizzi della blockchain per certificare di tutto senza bisogno di sottostare all’autorità di qualche garante.

Il fatto che nessuno abbia nemmeno la più remota speranza di poter manomettere il sistema di verifica dei pagamenti in Bitcoin e il fatto che il medesimo sistema non sia controllato né gestito da alcuna autorità politica o centrale, ne proietta un’aura idealistica e libertaria, cosa che ha spinto i suoi pionieri a diffonderla per accompagnare e promuovere proprio quella filosofia sottostante: l’idea che il “signoraggio” della moneta potesse essere abolito costituisce il principale fascino della moneta elettronica per eccellenza, visto che nessuna autorità pubblica può permettersi di stamparne liberamente per i propri scopi.

ADESSO IL BITCOIN HA ASSUNTO ANCHE VALORE LEGALE

Fino a poco tempo fa tuttavia la medesima Bitcoin era una valuta cui nessuno Stato riconosceva valore legale, sin quando tuttavia il governo del Giappone (a inizio 2017) non ha fatto la prima mossa, prendendo atto della sua diffusione e accettandola quale mezzo ufficiale alternativo di pagamento.
La mossa ha spiazzato tutti gli altri governi del mondo perché il Bitcoin ha una caratteristica che a molti non piace affatto: è totalmente indipendente dal sistema bancario e, conseguentemente, i suoi movimenti non sono riferibili all’identità di chi li ha effettuati.

È probabile che sia questo il motivo per il quale il ricatto informatico globale delle ultime ore chiede di essere riscattato in Bitcoin: nessuno potrà risalire all’identità di chi lo percepisce. Forse mai prima d’ora il mondo aveva preso atto del fatto che il Bitcoin può diventare la moneta delle transazioni illegali!

Il Bitcoin infatti viene percepito dai più come una vera e propria riserva alternativa di valore e, al tempo stesso, come un bene della cui proprietà si può impedire il censimento alle autorità statali. Le sue transazioni sono tutte tracciate, ma non è possibile individuare i soggetti che le compiono, che possono avere costituito i loro conti in Bitcoin interamente per contanti e con nomi di pura fantastica.

La questione però accende più di un faro sulla mancanza di controlli per uno strumento che non solo risponde all’esigenza di effettuare transazioni sulla rete, ma soprattutto viene utilizzato come “asset class” a sé stante, oggetto di investimento e speculazione per oltre il 90% delle sue transazioni.

LA CRESCITA DEL SUO VALORE E LA SUA NATURA SPECULATIVA

Il motivo per il quale il Bitcoin è cresciuto esponenzialmente di valore negli ultimi mesi è da riferirsi anche a anche un’altra fondamentale caratteristica di questa moneta: quella di non poter essere “inflazionata”.

Nessuno infatti ha il potere di stamparne un ammontare superiore a quello in circolazione, mentre il suo volume totale cresce leggermente all’aumento del numero di transazioni eseguite grazie a un meccanismo automatico che ne premia i “certificatori” con il cosiddetto “mining” (cioè con la sua estrazione). Il meccanismo di moltiplicazione della moneta è però tale per cui se ne sale la diffusione tra il pubblico e, conseguentemente, la domanda, il prezzo del Bitcoin cresce quasi proporzionalmente, determinandone una forte rivalutazione.

Questo è anche il motivo per il quale ci si aspetta ulteriori forti impennate della valuta virtuale, dal momento che essa è impossibile da inflazionare e, al contempo, è molto richiesta proprio in situazioni dove la circolazione della moneta ufficiale è invece ristretta (la Cina, per esempio) oppure dove esistono forti timori di una svalutazione della medesima a causa di politiche monetarie eccessivamente accomodanti (come il Giappone, appunto). Non è un caso che delle 32 piattaforme di scambio della moneta le prime 4 utilizzino lo Yuan come moneta di cambio del Bitcoin!

Il fatto tuttavia che la maggior parte delle transazioni in Bitcoin abbia natura di investimento ne rende estremamente volatile il valore, come dimostrano le sue vistose oscillazioni degli ultimi anni (sebbene nell’ambito di un trend fortemente crescente).

COSA SUCCEDE ADESSO

È probabile che sia presto tentata la messa al bando della possibilità di creare nuovi conti in valuta Bitcoin in maniera anonima, ma resta per farlo una enorme difficoltà: oggi il sistema è completamente indipendente dai suoi creatori e dunque risulta estremamente difficile apportarvi modifiche.
È come un mostro che si autoalimenta e che propaga la sua esistenza in maniera esponenziale man mano che tutti, dai giovani “nativi digitali” a chi vuole affrancarsi dalle restrizioni di legge, lo scoprono e lo adottano.

È per questo motivo che -nonostante politici, banchieri e sinanco studiosi dell’economia continuino a gridare allo scandalo- è probabile che la sua diffusione non conosca dei significativi arresti e, per l’impossibilità di moltiplicarne le quantità in circolazione, magicamente, nemmeno la crescita del suo valore!

 

Stefano di Tommaso