FINANZIARE UN’IMPRESA SENZA AVERE CREDITO

Quasi tutti gli imprenditori del mondo si sono chiesti, almeno all’inizio della propria avventura, come riuscire a finanziare il proprio business. Spesso il capitale sociale di partenza è minimo e le imprese neonate o recuperate da un dissesto appaiono difficilmente bancabili se non hanno ancora chiuso il primo bilancio oppure se le dimensioni sono troppo piccole. Molte nuove imprese magari rilevano attività esistenti e già avviate ma esse non sono normalmente “bancabili” se non possono parallelamente esibire adeguate garanzie patrimoniali a chi potrebbe finanziarle. Non c’è bisogno di perdersi d’animo in molti di questi casi perché spesso nelle attività di impresa esistono molteplici risorse nascoste o modalità alternative di fare affari che possono costituire una valida alternativa al debito bancario e sostenere l’impresa magari anche solo per qualche tempo.


LA CORRETTA DEFINIZIONE DI CAPITALE

Sicuramente un’impresa che nasce da zero -spesso una startup tecnologica- deve riuscire a dotarsi di un capitale di rischio di importo congruo con il proprio piano aziendale, sempre che ne faccia uno. Ecco, il piano aziendale è veramente importante perché se sviluppato correttamente fornisce indicazioni circa la necessità di cassa prospettica e spesso aiuta a reperire risorse chiarificando i rischi ed i rendimenti attesi dell’impresa. Quantomeno il piano aiuta a capire se il capitale di partenza sarà sufficiente a sostenere l’attività fino a quando non sarà possibile generare cassa ovvero accedere a nuove risorse finanziarie.

IL PIANO D’IMPRESA NON SI PUÒ DELEGARE DEL TUTTO AI CONSULENTI

Il piano però non è soltanto un foglio di calcolo, bensì la disamina approfondita delle variabili di partenza che determinano i risultati attesi e delle modalità di impiego delle risorse necessarie. Quando quelle variabili di partenza sono correttamente confrontate con la realtà e diventano ipotesi credibili alla base dello sviluppo numerico atteso, ciò che bisogna aggiungere sono la descrizione e la quantificazione dei rischi e delle modalità per delimitarne le conseguenze negative.

Un imprenditore “autentico” non può pensare di demandare a terzi il suo piano aziendale, bensì al massimo può farsi aiutare nel tracciarlo. Innanzitutto perché deve riuscire a comprendere se la sua attivitá aziendale consegue veri utili oppure genera perdite (cosa mai tanto scontata ex ante), e poi perché attraverso il piano egli inizia a prendere coscienza delle effettive necessità di investimento per sostenere l’attività (quanto può rendere l’impresa se si investe di più?) e infine per toccare con mano le esigenze di capitale circolante netto (che d’ora in avanti definiremo CCN, il cui importo deriva dalla somma algebrica del magazzino e del credito alla clientela, dedotto il credito di fornitura).

IL RUOLO DEL CAPITALE CIRCOLANTE NETTO

Più il CCN risulta elevato e più assorbe risorse finanziarie, che spesso non producono reddito. Più si riesce a ridurlo (magari aumentando vertiginosamente la velocità di rotazione delle scorte, oppure riducendo i tempi di incasso dalla clientela, o infine ottenendo per le ragioni più svariate dell‘ulteriore credito di fornitura) e meno risorse finanziarie serviranno all’impresa, soprattutto quando dovrebbe impiegarle altrove: nell’efficienza della produzione, nei sistemi di controllo e più che ogni altra cosa, nello sviluppo dei mercati di sbocco.

Il controllo efficiente del CCN è di solito il vero scoglio da superare per chiunque, tanto per il fatto che c’è sempre qualche modo ancora da scovare per ridurlo, quanto perché -se è fisiologico- c’è sempre qualche modalità alternativa per finanziarlo.

LE PIATTAFORME DI CREDITO ALTERNATIVE

Esistono infatti non solo le banche ma anche e soprattutto società di factoring di ogni genere (sino ai cosiddetti “marketplace” online) che si propongono alle imprese che vogliono smobilizzare i loro crediti commerciali verso imprese solide, e in qualche caso propongono persino di finanziare i loro fornitori (reverse factoring) e che in altre situazioni possono finanziare le consistenze di magazzino. Riuscire a coprire in questo modo le esigenze di CCN significa in molti casi trovare quelle risorse altrimenti non reperibili che fanno la differenza.

Volendo stressare al massimo il concetto (e chi non trova risorse alternative spesso non può fare altrimenti) è teoricamente possibile cedere la proprietà degli assets aziendali mantenendo l’uso di quelli più strategici e si può arrivare a ottenere risorse per gli investimenti portando il CCN a un valore negativo, cioè ottenendo più credito di fornitura di quanto ammonti la somma di crediti commerciali e magazzino. Con quella differenza l’impresa può teoricamente finanziare anche i propri investimenti, anche se ovviamente l’arrivare a finanziare l’impresa grazie ai fornitori è un atto estremo e può portare numerose conseguenze negative.

Ma è comunque astrattamente possibile, soprattutto quando lo si faccia per un breve periodo di tempo e per ragioni eccellenti.

IL RAGIONAMENTO DA “IMPRENDITORE SQUATTRINATO” AIUTA COMUNQUE

Un altro metodo per finanziarsi quando non si dispone di cassa è quello di ottenere da terzi senza pagare (in comodato, in noleggio o in cambio di altro) beni strumentali, spazi fisici o altre tipologie di strumenti di produzione (computers, veicoli ecc…). Se io prima pensavo che il capitale sociale di cui dovrei disporre in funzione del mio piano aziendale dovevo impiegarlo per acquisire tali beni e/o per finanziare il CCN ecco che, individuate forme diverse di reperimento di cassa, magari quel capitale potrebbe non servirmi più, o potrebbe servirne di meno o potrei pensare di investirlo meglio in altre direzioni.

Il ragionamento appena accennato, che io chiamo “dell’imprenditore squattrinato” vale infatti anche per chi non lo è davvero, ma può chiedersi se sta utilizzando nel modo migliore le risorse di cui dispone o se invece non varrebbe la pena di sostituire gli attuali metodi di finanziamento con alcuni di quelli indiretti qui citati per reperire risorse al fine di effettuare quegli investimenti che potrebbero risultare davvero strategici per il futuro del business. Molti imprenditori credono di aver fatto tutto il possibile ma dimenticano gli investimenti strategici o semplicemente non si arrischiano a farli perché non ritengono di disporre di sufficienti risorse. Ma si sono mai chiesti quanto è rischioso non farli?

LA NECESSITÀ DI CONTINUARE A CERCARE SOCI DI CAPITALE

Senza dubbio ciò che spesso risulta più odioso dal punto di vista dell’orgoglio dell’imprenditore è l’andare a reperire capitale da terzi investitori, mentre potrebbe da molti punti di vista risultare l’alternativa più sana per far soldi. Non necessariamente infatti allargare la compagine sociale significa aver fallito, anzi! Spesso è un problema strettamente psicologico o di mancata capacità di mettersi attivamente a ricercare i soggetti che potrebbero investire con lui. Le domande che questi ultimi faranno per decidere se investire nella sua impresa molto probabilmente risulteranno essere la miglior consulenza gratuita per un imprenditore che vuole ragionarci sopra.

Nuovi soci di capitale che disturbano perché possono voler dire la loro anche quando non hanno ragione o rischiare intralciare il business, spesso risultano comunque essenziali laddove i rischi del business risultino elevati ovvero poco razionali e dunque nessuna modalità di finanziamento (per quanto irrituale) è altamente indicata. Quando non sarebbe sano finanziarsi (anche indirettamente) la cosa da fare è raccogliere capitale di rischio, magari tramite piattaforme online (crowdfunding) o intermediari specializzati.

Senza parlare della necessità costante delle imprese di crescere e consolidare la propria posizione di mercato, per affrontare le sfide del futuro o anche solo per meglio remunerare degli investimenti che vanno comunque fatti a prescindere dalle dimensioni aziendali. Moltissime imprese italiane tralasciano di pianificare il proprio futuro.

LA NECESSITÀ DI PIANIFICAZIONE E ANALISI STRATEGICA

Qui però torna di attualità il piano aziendale e insieme ad esso la corretta definizione di rischio, rendimento, generazione di cassa e assorbimento di CCN: molte pratiche alternative di reperimento di risorse fuori del mercato dei capitali e del credito bancario possono generare oneri aggiuntivi, rischi e possibili vincoli strategici. Senza una visione strategica del mercato, della concorrenza, delle alternative di fornitura e dei mercati di sbocco, non si ottiene un’immagine nitida del proprio posizionamento e non si elaborano scenari alternativi. In tali casi pratiche come quelle citate, finalizzate al reperimento di risorse finanziarie “alternative”, possono risultare pericolose o più semplicemente possono indurre perdite economiche che non risultano recuperabili in tempi ragionevoli.

Molte imprese possono dunque “guardarsi dentro” e scoprire di disporre di tesori nascosti e capacità vitali inaspettate, ma nel farlo devono cercare di avere le idee chiare e la possibilità di generare valore per tutti i propri “stakeholders” nonostante tutto!

Stefano di Tommaso




PERCHÉ IL “BILICO” DI ELON MUSK CONVINCE LE GRANDI SOCIETÀ DI LOGISTICA

L’uomo è abituato a stupire la sua platea e grazie a questa capacità è riuscito anche ad ammaliare i suoi investitori, sinanco di fronte alle ingenti perdite economiche (e soprattutto finanziarie) dell’ultimo trimestre. Elon Musk ha capito che la sua creatura, l’avveniristica azienda denominata come Nikola Tesla, uno dei più misteriosi geni della tecnologia dell’ultimo secolo, rischiava di essere archiviata nell’immaginario collettivo come un fenomeno da baraccone. E per questo è voluto scendere nella platea più difficile, quella dei veicoli professionali, con un fantastico “coup de théâtre” che ha sedotto gli ingegneri e i managers delle aziende del trasporto e della logistica. L’operazione è senz’altro stata un successo.

 


UN SUCCESSO A WALL STREET

Non solo le caratteristiche tecniche dei veicoli presentati l’altro giorno hanno stupito il pubblico che non si aspettava tutte quelle novità (500 miglia terrestri di autonomia, fortissima accelerazione, forte economicità, prezzo basso e guida autonoma), ma soprattutto sono stati gli analisti finanziari di Wall Street ad essere stati sedotti dalla logica convincente di chi gli ha fatto notare che i vantaggi di un veicolo elettrico (forte coppia motrice ai bassissimi regimi, economia nei consumi e maggiore controllo della trazione) appaiono esaltati quando si parla di trasporto pesante, logistica e consegne a domicilio. Difficile obiettare!

https://youtu.be/nONx_dgr55I
Dopo un periodo deludente in Borsa Tesla è dunque tornata ad apprezzarsi e lo ha fatto dimostrando che può risultare foriera di utili innovazioni che le grandi corporations della logistica apprezzano anche più di quanto i privati amino le sue vetture di lusso, come pure di (futuri) profitti.

PERCHÉ CONVINCE

Ancor più convincente è stato parlare dei numeri e delle statistiche del trasporto (almeno di quelle americane, citate nel corso dell’evento) :

QUOTA DI MERCATO: In un mercato americano di 231.000 unità (nell’ultimo anno) Tesla può aspirare a prendersene già nel 2020 circa il 10%, cioè quasi 25.000 veicoli, per almeno raddoppiare con le vendite previste nel resto del mondo (50mila). Questo significa che nel 2020, capacità produttiva permettendo, solo nella vendita degli autosnodati Tesla può aspirare a fatturare 10 miliardi di dollari ipotizzando un prezzo medio di 200mila dollari l’uno.

PERCORRENZA: Oggi peraltro si calcola che almeno il 20% dei mezzi pesanti venga impiegato attorno al range delle 200 miglia terrestri (poco più di 300 chilometri), cosa che permetterebbe agli autosnodati di Tesla, anche solo raccogliendo metà di quella quota di mercato, di promettere andata e ritorno all’interno dei limiti di sicurezza per l’autonomia dei veicoli, dal momento che promettono 500 miglia di autonomia.

ECONOMIE DI SCALA : Il fatturato previsto, aggiuntivo rispetto a quello previsto per le auto e per le batterie, contribuirà inoltre notevolmente ad ammortizzare i costi di impianto della famosa “Gigafactory” e a renderla più profittevole.

MINORI COSTI DI ESERCIZIO: I bassi costi di gestione del veicolo commerciale, la promessa di una sua durata estremamente lunga e quella,della,sua capacità di guidare da solo promettono risparmi agli operatori professionali dell’ordine di almeno il 20% (qualcuno stima fino al 70%). Intanto Musk snocciola le sue cifre: in America far andare il suo “Semi” costerà $1,26 per miglio terrestre mentre ai prezzi attuali del petrolio un camion diesel equivalente costa $1,51 (se il petrolio non sale).

LA NORMATIVA: Nel settore dei veicoli pesanti non è ancora stata varata alcuna normativa che penalizza l’inquinamento da essi procurato, pari secondo alcune stime al 23% del totale delle emissioni veicolari ( 23 percent of vehicle emissions ) per quelli medi e pesanti. Se dovesse essere varata una tale normativa l’effetto di spiazzamento rispetto all’industria veicolare pesante già esistente sarebbe drammatico e darebbe a Tesla un enorme vantaggio, soprattutto per le consegne nei centri urbani.

IL PERIODO DI AMMORTAMENTO: I bassi costi di gestione del veicolo elettrico aiutano a rimuovere un altro tabù che sembrava inscalfibile: quello del periodo di ammortamento del costo di acquisto: i calcoli sembrano indicare 24 mesi, pari alla media di quelli dei veicoli tradizionali grazie alla combinazione del maggior prezzo iniziale (si stima non meno di $200mila per il “Semi” contro i circa $150mila di un camion diesel equivalente) e dei minori costi di energia.

I PRE-ORDINI PORTANO CASSA: Ad avvalorare la bontà della proposta sono arrivati inoltre i pre-ordini dei grandi operatori logistici (da Amazon a WalMart fino ad una società indiana) il cui successo fa ben sperare che Tesla potrà finanziarsi anche attraverso quei depositi, come è successo con i 600.000 preordini del modello 3 (oltre 2 miliardi di dollari con preordini pagati $3500 al colpo). Nel caso dei veicoli pesanti il ticket richiesto per il pre-ordine è stato fissato in 5000 dollari e si stima ne possano arrivare almeno 100mila (dunque almeno mezzo miliardo di cassa).

I CONCORRENTI ADESSO DEVONO DARSI DA FARE

D’altra parte l’onda lunga del maremoto innescato da Tesla non potrà che bagnare più di concorrente nel settore dei veicoli per il trasporto pesante, dopo aver goduto di un oligopolio che da anni ha permesso loro di restare tanto inquinanti quanto inefficienti nei consumi. Ora dovranno escogitare qualcosa per recuperare il tempo perduto o fare i conti con un mercato che se ne va altrove. Lo sanno bene sia la Mercedes Benz che ha appena lanciato un veicolo totalmente elettrico le cui caratteristiche tuttavia non sono così avanti (Daimler), che

la Mitsubishi che ha lanciato “Fuso”, un veicolo per le consegne urbane (eCanter ), come pure la Toyota, che si è invece lanciata nei veicoli a idrogeno (Toyota Motor Co.) ma sempre con specifiche tecniche assai inferiori a quelle annunciate da Elon Musk.

La corsa ai mezzi di trasporto pesante del futuro è appena cominciata sul serio!

Stefano di Tommaso

 




TESLA DIVIDE GLI ANALISTI FINANZIARI

Tra le “singolarità” più importanti che si riscontrano sul mercato azionario americano vi è sicuramente Tesla, la società di Elon Musk che produce veicoli e altri sistemi elettrici basati sulle batterie al litio. Tesla è vista dai più (e a ragione) come una sorta di buco nero che brucia cassa e vive essenzialmente di continue richieste al mercato di finanziamenti e nuovi aumenti di capitale, in nome della rivoluzione tecnologica e delle più svariate iniziative che porta avanti, ma al tempo stesso mostra un approccio così innovativo e radicale che viene indicata da altri come il nuovo paradigma industriale del secolo, generando entusiasmo e fidelizzazione tra analisti ed utenti per le aspettative che continua a generare sino ad essere definita la nuova Apple dei veicoli elettrici. Probabilmente sono vere entrambe le interpretazioni ma è per questo che non è facile capire se le azioni Tesla risulteranno l’affare o il buco del secolo.

 

Eppure per effetto della combinazione della normativa che limita le emissioni dei veicoli a combustione interna e dei progressi fatti nell’efficienza dei veicoli elettrici, questi ultimi stanno registrando una crescita delle vendite che è stata del 45% nel 2016 e che può addirittura accelerare nei prossimi anni. Ovviamente Tesla sarebbe in prima fila nel beneficiare di questa tendenza di mercato e nel riuscire a ottenere un lauto profitto dalle sue “supercars”, se non fosse per i suoi (grossi) problemi nel riuscire ad ampliare la capacità produttiva e rispettare i tempi di consegna.

Chi ha ragione: quelli che la danno per morta tempo un anno o due o coloro che ci vedono il paradigma futuro dell’industria moderna? Proviamo insieme ad esaminare le motivazioni dell’una e dell’altra parte per farcene un’idea.

I DETRATTORI

A vantaggio di quelli che la danno per morta a breve termine c’è sicuramente la forte dipendenza della Società di Elon Musk dalla salute dei mercati finanziari globali. Tesla continua ad aver bisogno di nuove iniezioni di liquidità per finanziare i propri progetti. Per un’azienda già arrivata quasi alla soglia dei 400 dollari per azione e oggi rimbalzata a poco più di 300 (dunque comunque molto cara rispetto ad una redditività inesistente ancora per i prossimi anni) e dove l’azionista medio si è visto diluito del 43% dal 2013 ad oggi a causa del frequente ricorso al debito e dei continui aumenti di capitale, le prospettive possono risultare molto dire se i mercati finanziari non continueranno a vedere tassi molto bassi e a inanellare nuovi record!

Difficile infatti pensare che i dividendi di Tesla potranno divenire presto il punto di riferimento di chi oggi acquista il titolo, mentre la prospettiva di venire ulteriormente diluiti è reale e quella di dover emettere nuovi bond per rifinanziare quelli esistenti più che mai concreta.


Nel terzo trimestre del 2017 la prima casa automobilistica della storia che è nata nella Silicon Valley ha evidenziato una perdita di 619 milioni di dollari, contro l’utile da 22 milioni del corrispondente periodo del 2016. Gli analisti hanno però sottolineato il fatto che nel medesimo trimestre sono stati bruciati 1,42 miliardi di dollari di cassa: una cifra sconvolgente ! Forse è per questo che il suo fondatore, nonostante abbia raccolto oltre 3 miliardi di dollari negli ultimi 12 mesi, sta di nuovo facendo il giro del mondo per trovare i finanziamenti per costruire nuovi stabilimenti e andare avanti (vedi:

http://www.auto.it/news/news/2017/11/11-1191657/caslo_tesla_musk_cerca_risorse_da_erdogan/

e

http://punto-informatico.it/4408251/PI/News/tesla-nuovo-stabilimento-shangai.aspx

 

Se vogliamo tradurre tutto ciò in un solo concetto: bruciando cassa e continuando a posporre le date di consegna delle proprie vetture sulle quali ottiene un margine sino ad oggi piuttosto risicato Tesla continua invece a investire in mille direzioni diverse per ciascuna delle quali (qui sotto l’elenco) essa richiede al mercato cospicui contributi. Se almeno rispettasse le promesse recenti relative alla capacità produttiva e alla tempistica di completamento dei nuovi modelli gli analisti potrebbero indulgere maggiormente sulle iniziative più estemporanee. Secondo i suoi detrattori così facendo Tesla non sembra invece produrre alcun valore per i suoi azionisti.

I PROGETTI “NON-CORE”

La società ancora oggi origina quasi il 90% dei propri ricavi dalla vendita di tre tipologie di veicoli elettrici, due delle quali sono già disponibili sul mercato (la Model S e la Model X) mentre la terza (la Model 3) è in arrivo ma ha già ottenuto dai futuri utenti un cospicuo contributo di “prenotazione”. Una quarta tipologia (la Model Y, nell’immagine) relativa a un nuovo concetto di SUV leggero, sembra invece che non vedrà la luce prima del 2020.


Ciò nonostante il suo fondatore è stato bravissimo nell’affascinare il mercato finanziario anche con un numero elevato di “altri progetti“ che sono solo parzialmente o non sono affatto interconnessi con la produzione di veicoli elettrici: dalla “Gigafactory” di batterie al litio (che anche per le sue elevatissime dimensioni non è ancora entrata in funzione e dovrebbe rappresentare il nuovo standard di produzione nel settore degli accumulatori), alla creazione di “Autopilot”, un sistema proprietario di guida automatica delle proprie vetture, fino a ciò che il mercato finanziario ha spesso definito vere e proprie “distrazioni” rispetto al core business.

Progetti a ciascuno dei quali Elon Musk ha voluto associare concetti innovativi e visioni futuristiche, insieme a denominazioni particolarmente stimolanti e dove sta spendendo cifre iperboliche in progettazione e investimenti senza alcuna certezza di ritorni economici a breve termine. Vale a dire la costruzione di:

-pannelli solari (SolarTiles)
-batterie per uso domestico (PowerWall)
-sistemi integrati di alimentazione elettrica domestica (SolarCity)
-camion elettrici (Truck)
tunnel sotterranei di nuova concezione (Tunneling)
sistemi innovativi di diffusione della musica online (MusicStream)
circuiti di trasporto di persone e cose basati sul concetto di posta pneumatica (HyperLoop)
sistemi di trasporto aereo basati sul concetto di missile terra-aria (SpaceX)
Niente male nemmeno per un assiduo lettore di fumetti futuristici! Peccato che sino ad oggi nessuno di essi abbia portato un contributo tangibile alla creazione di valore del titolo quotato al Nasdaq e in alcuni casi vi siano seri dubbi sulla capacità di realizzarli davvero. Ciò nonostante il mercato sembra credere in Elon Musk più di quanto i fatti e i numeri suggeriscono. Difficile dunque dare torto ai detrattori di Tesla e del suo fantasmagorico leader sulla base di quanto qui riportato!

GLI ESTIMATORI

Chi invece vede il bicchiere mezzo pieno fa notare innanzitutto che la sfida di Tesla nei confronti dell’industria automobilistica si dispiega su tre fronti: quello dell’automazione produttiva, quello dell’autonomia su strada e quello della guida autonoma. Riuscire a combinare al meglio queste tre capacità può fornire a Tesla un importante vantaggio competitivo sulla concorrenza, che rimane soprattutto focalizzata sui veicoli a combustione interna.

Secondo i più favorevoli commentatori Tesla è di fatto una società di software, tanto per ciò che concerne la capacità di gestire il sistema di accumulo delle batterie (BSM: battery management system) e quello della trasmissione dell’energia alle ruote (PT: power train), quanto per i sistemi che consentono alla vettura la rilevazione delle situazioni esterne e la loro elaborazione ai fini del risultato della guida autonoma, quanto infine per ciò che concerne la gestione dell’automazione in fabbrica. La capacità di generare autonomamente il software di cui ha bisogno è insomma il punto di forza di Tesla e quello che le consentirà di vincere la sua sfida all’industria automobilistica tradizionale.

Questa visione della strategia di Elon Musk può aiutare a spiegare la volontà di diversificare le iniziative di Tesla nelle più disparate direzioni (quelle che più sopra abbiamo sopra definito “non-core”): il punto di contatto sono le possibili sinergie a livello di software.

LE POTENZIALITÀ DELL’AUTOPILOT

 

Il fatto inoltre che le vetture Tesla in commercio già incorporano il sistema di guida autonoma consente all’azienda di totalizzare un gigantesco numero di miglia percorse, nel corso delle quali il software aggiunge all’enorme database ogni genere di situazioni di rischio. Si veda il grafico qui riportato:

Nel grafico sono assunte le seguenti ipotesi di produzione: 5000 Model3 alla settimana a partire da Aprile 2018 e il doppio a partire da Aprile 2019. Per quanto potente sarà il software sviluppato dalle altre grandi industrie, a partire dal 2020 Tesla sarà l’unica ad aver collezionato oltre 11 miliardi di miglia terrestri percorsi con le telecamere e il software di rilevamento dati attivi e questa è esattamente la soglia stimata dalla Rand Corporation quale misura di un sufficiente numero di rilevazioni statistiche per poter assicurare un numero di incidenti accettabile (vedi: Princeton University e vedi: eBook RAND ). La velocità presumibile di miglioramento del software di guida autonoma Tesla è perciò molto più alta di quella che altre case automobilistiche potranno esibire.


Quanto vale in termini finanziari poter assumere la leadership delle automobili che guidano da sole? Moltissimo, si presume. Soprattutto per l’utilizzo di tali veicoli per scopi diversi da quello del “leisure”: taxi, furgoncini per le consegne e sistemi urbani compositi di gestione del traffico sono solo alcuni dei campi di applicazione di veicoli davvero capaci di autogestirsi.

LA FABBRICA AUTOMATICA

Un altro settore dove Tesla ha impiegato davvero ingenti risorse e dal quale si aspetta importanti futuri vantaggi competitivi è quello dell’automazione industriale. La capacità di sviluppo autonomo di robot di produzione gestiti da sistemi software proprietari Tesla è particolarmente cara a Elon Musk a causa della possibilità teorica di accelerare la loro velocità di esecuzione a livelli oggi mai visti a causa del fatto che il sistema-fabbrica deve risultare compatibile con le fasi della produzione non automatizzate. Nel momento in cui la fabbrica può risultare completamente automatica allora la velocità dei robot può accelerare moltissimo, giungendo a livelli di produttività oggi impensabili e ad una decisa compressione dei costi di produzione.

Ovviamente si tratta di un obiettivo finale decisamente in là nel tempo e difficile da raggiungere, che può inoltre cozzare con una non sufficiente integrazione del controllo della qualità dei componenti impiegati, così come con la difficoltà di armonizzare nell’ambito dell’automazione ogni genere di personalizzazione dell’output finale di produzione.

Obiettivi come quelli descritti tuttavia possono portare nel tempo a vantaggi competitivi molto forti, che aiuterebbero a ridefinire il concetto di “industria 4.0” fino a farcelo apparire come decisamente antiquato. Tesla ha dunque scelto di giocare d’anticipo una partita molto difficile le cui complicazioni lungo il percorso potrebbero decisamente minacciare la fiducia che il mercato finanziario vi ha riposto.

Ce la farà? Difficile dirlo oggi, alla vigilia di possibili manrovesci sui mercati finanziari, perché in questo momento è messa fortemente in discussione la capacità di Tesla di riuscire a completare i suoi programmi prima di esaurire le risorse finanziarie già raccolte nonché quella di conservare la fiducia del mercato per fornirgliene di ulteriori nei prossimi mesi.

Eppure quella di Tesla sembra una delle storie industriali più intelligenti, belle e romantiche dei nostri anni…

Stefano di Tommaso

 




LA STRADA DELLA DIGITALIZZAZIONE AZIENDALE NON È UNA PASSEGGIATA DI SALUTE

Un recente studio della McKinsey sul processo di progressiva digitalizzazione delle imprese mi ha recentemente aperto gli occhi sul potenziale distruttivo del fenomeno. Non che non lo avessi immaginato, ma non mi ero reso conto di come funziona realmente.

 

Il punto è che il cammino delle imprese tradizionali verso la progressiva digitalizzazione delle proprie attività è in media molto più lento di come si potrebbe immaginare. Si stima si trovi a meno del 40% del totale delle imprese nel mondo.

Ma quella media è purtroppo quella del pollo di trilussiana memoria (se io ho due polli e tu non ne hai nessuno, “in media” ne abbiamo uno a testa).

Più in dettaglio i settori più avanzati nella digitalizzazione appaiono essere quello dei Media & Entertainment (62%), del Commercio al Dettaglio (55%), delle Produzioni ad alta Tecnologia (54%) e delle Cure Mediche (51%). Seguono le società di Telecomunicazioni e quelle di Trasporti e Logistica (44%), quelle dei Servizi Professionali (42%), dei Servizi Finanziari (39%), dell’Automotive 32%) e dei beni di Largo Consumo (31%).


Lo studio citato mostra che :

1.la tendenza verso una più veloce e completa digitalizzazione appare molto più forte nelle imprese più grandi e in quelle eccellenti;

2.gli investimenti per realizzare quella digitalizzazione sono -nel totale- assai cospicui e comportano una conseguente forte disparità fra chi può permetterseli e chi invece soffre di scarsità di risorse;

3.quegli investimenti forniscono il miglior risultato laddove sono fortemente allineati con la cultura aziendale e con la strategia (sempre che se ne abbia una) e si riesca a esplicitarla e condividerla con tutto lo staff manageriale (sempre che se ne abbia uno);

4.laddove talune aree di business siano rimaste indietro nel processo esse sono anche le più facili prede per le start-up innovative, forti di una struttura di costi e di condivisione delle informazioni che nei vecchi modelli di business è molto difficile da realizzare.

Nel corso del processo di progressiva digitalizzazione del business tra le imprese ci sono poi come sempre quelle vincenti e quelle perdenti.


Il processo può inoltre apparire distruttivo in vari modi:

•può rischiare di cancellare i tratti distintivi che facevano sì che la clientela preferisse quell’impresa alle altre;

•può allontanare personaggi-chiave;

•può non portare effettivi risparmi di costo o effettivi (e misurabili) miglioramenti provocando ugualmente forti uscite di capitali per gli investimenti;

•può risultare fortemente disallineato alla strategia, al posizionamento competitivo e alle competenze migliori, compensando così i miglioramenti con i peggioramenti senza apportare effettivi vantaggi;

•può far perdere a chi gestisce la concentrazione necessaria sul business.
Le conseguenze delle osservazioni appena citate rasentano l’ovvietà: il mondo aziendale si dividerà in poco tempo tra le imprese che riusciranno in tempo (e con profitto) a completare il processo riprendendo spazio sui margini di profitto a causa delle maggiori efficacia e efficienza e quelle che -non avendolo fatto- saranno vittima di una concorrenza spietata, in particolare da parte dei nuovi concorrenti!

Nessun andamento graduale perciò, bensì tensioni, rivoluzioni copernicane e strappi in avanti o indietro. Le innovazioni sono certo necessarie, ma anche gradevoli quanto un parto cesareo…


Stefano di Tommaso