COME CAMBIA L’INDUSTRIA DELL’AUTO NELL’ERA DELLA SHARING ECONOMY

È notizia riportata dal Financial Times di ieri quella di ancora molti nuovi denari raccolti sul mercato dei capitali dalle start-up tecnologiche basate sul car sharing. Ad esempio l’iniziativa di Daimler Benz e altri investitori coreani di finanziare con quasi cento milioni di dollari la crescita di “Turo”: una delle società di noleggio auto della Silicon Valley di maggior successo, basata a San Francisco, che ha promosso in California e ora vuole espandere nel resto degli Stati Uniti, in Asia e in Europa i propri servizi fondati sulla diffusione peer-to-peer della condivisione della proprietà dell’auto (che cioè viene diffusa e resa disponibile sulla rete internet trasformando gli stessi utenti in fornitori di nuovi punti di accesso).

 

Turo ha ricevuto quel denaro da un gruppo di investitori e sottoscrittori di un nuovo round di finanziamento sulla base dell’ipotesi che il suo modello di business, inizialmente andato molto bene nell’area di maggior concentrazione al mondo delle innovazioni tecnologiche e nelle conseguenti nuove abitudini di consumo, possa nel tempo essere accettato e diffuso anche nel resto del mondo. Una scommessa ovviamente non priva di rischi ma indubbiamente stimolante.

D’altra parte ogni grande casa automobilistica si è posta il problema del fatto che un’auto privata è ferma e inattiva per più o meno il 99% del tempo totale di possesso, concludendone di voler porre in essere iniziative di ogni tipo che vadano nella direzione di permettere all’utente medio mobilizzare il denaro investito nell’acquisto. Toyota, una delle più grandi con un giro d’affari complessivo che raggiunge i 200 miliardi di dollari, è entrata in the Enterprise Ethereum Alliance (EEA) per lo stesso scopo (si legga l’articolo qui riportato: http://www.trustnodes.com/2017/05/22/car-giants-toyota-mitsubishi-join-enterprise-ethereum-alliance-blockchenize-automobiles ).

LA MOLTITUDINE DI INZIATIVE DI BUSINESS RELATIVE A CAR SHARING E TAXI HAILING

La notizia di per sé non avrebbe nulla di interessante (l’ennesima start-up basata sulla digitalizzazione mobile ha ricevuto tanti capitali) se non fosse che oramai praticamente ogni giorno leggiamo annunci simili da parte di un gran numero di iniziative che peraltro, per essere state selezionate dagli investitori professionali del “venture capital”, non sono che la punta dell’iceberg di un numero ancora molto più grande di nuove iniziative di business volte a cavalcare l’ondata di sostituzione dei precedenti modelli di possesso e di utilizzo dei veicoli di trasporto.

Per dare una vaghissima idea dell’affollamento delle cosiddette “start-up” in questo campo possiamo citare di seguito alcuni dei numerosissimi modelli di business indotti dalle nuove abitudini di consumo dei “millennials” (vale a dire la popolazione di coloro che sono nati intorno alla svolta del millennio), tutti basati sull’economia della condivisione applicata alla proprietà e all’utilizzo dei veicoli:

  • Car renting (noleggio a breve e lungo termine dell’auto) 
  • Car sharing (noleggio a brevissimo termine dell’auto come già avviene anche nelle principali città italiane)
  • Car pooling (condivisione dell’auto tra più utenti per determinati utilizzi, normalmente su base breve e ricorrente)
  • Car ridesharing (condivisione dell’auto privata con uno o più utenti solo per un determinato percorso) come Blabla Car & simili apps per l’effettuazione di percorsi relativamente lunghi (il proprietario di un’auto offre dunque un passaggio ad altri viaggiatori in cambio della condivisione dei costi e della disponibilità degli ospiti a chiacchierare lungo il tragitto)
  • Car Hailing come Uber, Lyft & simili apps (il proprietario fornisce anche un servizio, di taxi, di limousine eccetera…) non sempre in cambio di un pagamento basato sul percorso bensì anche sulla base di una “donazione suggerita”, del previo acquisto di crediti di trasporto o ancora sulla base della condivisione dei costi vivi oltre a un contributo che viene rivolto a qualche fondazione benefica.

LE RAGIONI DI QUESTA PROLIFERAZIONE

È evidente che la nascita di tutte queste tipologie di iniziative e la varietà delle nuove modalità di condivisione dei mezzi di trasporto (dall’auto alla moto passando dai tricicli cosiddetti Apecar molto diffusi nell’Asia del sud fino alla condivisione della bicicletta, elettrica o meno) costituisce un segnale deciso che forse qualcosa sta cambiando nelle abitudini di utilizzo dei mezzi di trasporto e nel modello di proprietà in generale dei veicoli.

Qualcosa di importante si muove perciò non soltanto a causa del fatto che la diffusione della fruizione dei servizi resi su internet tramite gli “smartphones” (i telefoni intelligenti) ha reso possibili cose impensabili vino all’altro ieri, ma soprattutto perché oggi è il mercato dei capitali che si è buttato letteralmente a capofitto a investire sulla crescita quel settore della sharing economy che riguarda la mobilità privata.

Al di là dell’impressionante numero e diffusione globale di miliardi di dollari che vanno accumulandosi nella fondazione e crescita accelerata di operatori che investono nella sostituzione dei precedenti modelli di possesso e di utilizzo dei veicoli, quali possibili implicazioni possono derivare al settore automotive nel suo complesso? Proviamo a ragionarci sopra.

L’IMPATTO DEL “CAR SHARING” SULLE NUOVE TENDENZE DELL’INDUSTRIA DELL’AUTO

La moltiplicazione degli operatori che offrono serivizi basati sulla condivisione della proprietà dei veicoli è probabilmente alla base della rinnovata (e prolungata) stagione di espansione del settore automobilistico in senso lato: dalle grandi case che monopolizzano l’attenzione dei media con le nuove proposte di veicoli elettrici o ibridi, più o meno dotati di funzioni automatiche e forniti di connettività, di capacità di guida autonoma sino alle prime funzioni dell’intelligenza artificiale, con anche tutto l’immenso comparto di produzioni indotte dall’industria dei veicoli: dalle imprese specializzate nella progettazione e produzione delle nuove tecnologie fino a quelle che realizzano i componenti utilizzati da auto, moto e altri nuovi veicoli, terrestri o volanti.

È perciò innanzitutto probabile che le grandi risorse finanziarie profuse nei nuovi modelli di business del settore “automotive” possano provocare una moltiplicazione del numero di veicoli acquistati dagli operatori suddetti.

Ma non basta: la diffusione di nuovi modelli di condivisione della proprietà probabilmente accelera la proliferazione di tecnologie e strumenti di telecontrollo della posizione e del comportamento dei veicoli immessi sulle strade da quegli operatori. Senza la nascita di tutte queste società che acquistano veicoli da immettere in rete che ha provocato l’esigenza di geolocalizzazione e di semiautomatismo dei veicoli delle loro flotte, probabilmente la domanda di queste nuove tecnologie sarebbe stata molto più blanda e la velocità della loro diffusione sul totale dei veicoli circolanti molto più bassa. Dunque è possibile che la sharing economy aiuti il rinnovo anagrafico e l’evoluzione tecnologica del totale dei veicoli circolanti.

LE PROBABILI NUOVE PREFERENZE NELLE CARATTERISTICHE DEI VEICOLI DELLE FLOTTE

Senza contare l’osservazione che la maggioranza di queste nuove società che offrono servizi di condivisione dei mezzi di trasporto è basata sulla loro presenza quasi esclusivamente nei principali agglomerati urbani. I veicoli da queste ordinati saranno perciò probabilmente di piccola taglia e destinati ad effettuare percorsi piuttosto brevi. Se poi sono destinati esclusivamente all’utilizzo nell’ambito urbano è più probabile che la domanda futura sia orientata a veicoli totalmente elettrici e che possano prevedere sistemi di rapida sostituzione delle batterie onde evitare i tempi morti di ricarica delle medesime.

Anche per ciò che riguarda le caratteristiche costruttive e l’affidabilità nel tempo dei medesimi veicoli, la diffusione della loro proprietà a pochi grandi operatori probabilmente provocherà l’innalzamento delle esigenze di qualità funzionale, onde risparmiare nel tempo sui costi di manutenzione ed evitare sorprese nella loro continuità operativa.

Infine il livello di automatismo dei veicoli può incidere sul conto economico degli operatori che li acquistano: se un’auto destinata al noleggio a corto raggio è in grado di parcheggiare da sola o di segnalare in autonomia eventuali malfunzionamenti alla centrale operativa della società che la possiede, quest’ultima ne ottiene un risparmio e una miglior programmazione nella riparazione dei danni e dei guasti.

IN CONCLUSIONE

Le iniziative di business rivolte alla diffusione delle nuove modalità di fruizione dei veicoli di trasporto persone stanno attirando la crescente attenzione del mercato dei capitali e accumulando risorse finanziarie che danno nuova vitalità all’industria del settore automotive.

L’ accresciuta domanda di veicoli sarà però probabilmente orientata ad un maggior contenuto di innovazione e di digitalizzazione dei veicoli stessi, come pure ad una migliore affidabilità funzionale e programmabilità delle manutenzioni.

La tipologia di veicoli richiesti dagli operatori che li noleggiano rispecchierà probabilmente la concentrazione del loro utilizzo nelle principali aree urbane del mondo, più che nelle lunghe percorrenze, con una elevata probabilità che questo accrescerà la domanda di veicoli elettrici e in generale a basso impatto ambientale.

È possibile che queste tendenze determinino anche una maggior domanda di capacità di guida autonoma, di elementi tecnologici basati sull’intelligenza artificiale e di un maggior grado di capacità di geolocalizzazione.

Stefano di Tommaso

 




ECCO DA QUALE SETTORE PROVERRÀ UNA PARTE CONSISTENTE DELLA CRESCITA ECONOMICA GLOBALE

(da una ricerca dell’Economist di Venerdì 18 Agosto)

Quasi non ci accorgiamo del cambiamento ma ogni giorno che passa consumiamo -direttamente o indirettamente- qualche frazione infinitesimale di carburanti in meno e utilizziamo un po’ di più i sistemi elettrici per spostarci, illuminare, effettuare lavori, riscaldarci o raffrescarci e molti di questi sistemi elettrici/elettronici non potrebbero funzionare senza le batterie di ultima generazione (quelle al litio e simili).
 

I sistemi di accumulo risultano fondamentali inoltre anche per il recupero di energia e dunque per la sua economizzazione. L’esempio più evidente ai nostri occhi sono le auto ibride-elettriche ma in realtà il fenomeno è molto più pervasivo e riguarda anche tutti gli altri sistemi di propulsione e movimentazione, le abitazioni, le fabbriche, e persino l’agricoltura. Ma siamo solo agli inizi di una nuova rivoluzione tecnologica che ci migliora la vita.

La maggior parte delle persone che oggi acquista (a caro prezzo) un’automobile Tesla oppure (a più buon mercato) una Nissan Leaf non lo fa per aiutare l’ambiente, bensì per i vantaggi di confort, prestazioni e innovatività che esse esprimono. Eppure, nonostante ancora oggi i produttori di auto elettriche perdono denaro (o ne guadagnano pochissimo) a costruirle, un recente studio dell’Economist, indica la previsione di una crescita esponenziale per la produzione di auto elettriche nei prossimi vent’anni.


Ma l’industria delle batterie non si muove solo per le automobili. Il primo utilizzo massiccio al di fuori del settore auto sarà quello dell’autonomia energetica delle abitazioni, che in questo modo potranno trovare conveniente l’utilizzo dei pannelli solari.

Altri fronti di forte innovazione nelle batterie, oltre a quello di migliorare la loro capacità, riguardano il numero di volte possibili di carico e scarico dell’elettricità immagazzinata nonché la sua velocità: più saranno elevati e più le batterie rassomiglieranno a dei supercapacitori e potranno perciò essere utilizzate meglio e più economicamente, dunque anche in altri settori. Ma soprattutto è il loro costo di produzione che si prevede possa crollare letteralmente nei prossimi anni, tanto per le fatidiche economie di scala delle nuove mega-fabbriche quanto per l’avanzare della ricerca tecnologica.

Ma ci sono almeno due fattori di incertezza nelle previsioni di un drastico calo dei costi di accumulo di energia:

– il costo futuro del litio e degli altri metalli pregiati utilizzati nella produzione di sistemi di accumulo, che sino ad oggi in media è sceso anch’esso grazie alle economie di scala di estrazione, ma che in futuro potrebbe riservare delle sorprese, come è accaduto ad esempio per il Cobalto o il Nichel. Si narra che siano in Cina e in Corea del Nord i territori più ricchi al mondo di giacimenti di metalli e terre rare utilizzati per la produzione di batterie e questo potrebbe aiutare a spiegare parte dei sommovimenti geo-politici in corso.

– Il rischio che il perseguire economie di scala da parte di tutti i grandi produttori di batterie possa generare enorme sovracapacità industriale rispetto all’assorbimento da parte del mercato di sbocco. Il fenomeno è già in atto e potrebbe creare molto scompiglio se dovesse degenerare.

Viceversa potrebbe risultare sempre più profittevole recuperare materie prime pregiate dal riciclo di batterie e altri materiali esausti mentre si prevede un vero e proprio boom nell’utilizzo delle nanotecnologie per la fabbricazione dei catodi (uno dei due componenti tecnologici fondamentali di ogni sistema di accumulo di energia, insieme agli elettroliti).

Come dicevamo più sopra tuttavia una parte rilevante che si prevede possa svilupparsi sono i grandi sistemi di accumulo stazionari, utilizzati come riserva di capacità elettrica delle reti di distribuzione per i momenti di picco, come pure per ottimizzare l’utilizzo di energie generate da fonti rinnovabili (sole e vento innanzitutto).

Tesla ha anticipato tutti con la proposta commerciale al grande pubblico della sua “Powerwall” da piazzare in garage, ma molti altri produttori come Nissan, ad esempio, stanno attrezzandosi a fare anche di meglio. Il mercato della sostituzione dei generatori di emergenza (tipicamente diesel, di piccola e media taglia ed estremamente rumorosi) è molto ampio nel mondo ma sino ad oggi sono risultati più cari e più complessi da manutenere.

La doppia prospettiva di riduzione dei costi dei componenti e di maggior diffusione della normativa in materia di emissioni inquinanti potrebbe cambiare decisamente lo scenario e aprire nuove possibilità alla tecnologia che vi sottende. I sistemi di “storage” più grandi (dal megawatt in su) utilizzano infatti anche diversi materiali per l’accumulo e molta più intelligenza elettronica per ottimizzare la propria resa nonché la durevolezza. Il loro utilizzo peraltro si estende quantomeno alla capacità di assicurare continuità all’elettricità fornita, eliminando o riducendo fortemente in un prossimo futuro i rischi di black-out e anche quelli di rottura dei sistemi elettronici cui sono collegati.

Esiste un mondo dorato di applicazioni “premium price” (cioè più o meno indifferenti alle tematiche di costo intrinseco) nella ricerca di sistemi mobili per l’accumulo dell’energia che a sua volta costituisce un mercato molto appetitoso (ad esempio per le applicazioni militari e aerospaziali) sino ad oggi quasi nemmeno sfiorato dalla grande industria, dove probabilmente sarà la capacità di ottimizzare le prestazioni e quella di miniaturizzazione dei componenti a farla da padrona. E come si può ben immaginare i sistemi di controllo e gestione intelligente saranno in questi campi più interconnessi che mai con il successo di queste applicazioni.

La riflessione finale riguarda perciò lo sviluppo economico che può derivare dai sistemi di accumulo di energia, che come si può ben intuire dalle poche considerazioni riportate è molto ampio, e le frontiere dello sviluppo tecnologico ad essi connesso ancora di più. Dunque più ancora che dalla digitalizzazione e dallo sviluppo dei futuri sistemi di intelligenza artificiale i valori in gioco nel campo della gestione energetica nei prossimi tre decenni sono immensi e le opportunità di business sono ancora a portata di mano di chiunque!

Stefano di Tommaso