I CONSUMI DEI MILLENNIALS RIVOLUZIONANO L’INDUSTRIA

LE NUOVE GENERAZIONI RIVOLUZIONANO I CONSUMI, L’INDUSTRIA E LA DISTRIBUZIONE. MEGLIO PER OGNI OPERATORE ECONOMICO E FINANZIARIO ATTREZZARSI PER TEMPO INTERPRETANDO LE NUOVE TENDENZE E CERCANDO DI CAVALCARLE

C’è un profilo di uomo nuovo che appare oggi sempre più distintamente all’orizzonte delle categorie sociologiche e comportamentali: quello dei “millennial”, cioè di quei ragazzi e ragazze che appartengono alle ultime generazioni, nate o cresciute a cavallo del nuovo millennio. In questi anni i millennial stanno terminando gli studi o si sono da poco avviati alla vita lavorativa, iniziano a costituire un insieme a sé di percettori di reddito e comunque si sono distinti da da tempo come nuova categoria di consumatori e, come forse non era così scontato immaginare fino all’altro ieri, condividono un sistema di valori, un insieme di preferenze e una serie di aspirazioni per il futuro che appaiono fortemente discordanti con quelle delle generazioni precedenti.

È dunque inevitabile che questo impatterà non poco sulle tendenze di fondo dell’industria, dei consumi e della distribuzione come è altrettanto inevitabile che ne rimarranno segnate molte altre tendenze, da quelle della moda, ai servizi, alla politica e alla cultura, con ovvie conseguenze sui settori dell’intrattenimento, dell’elettronica , del software e delle telecomunicazioni, come nell’ambito dei trasporti e dei beni di consumo durevole, sino agli investimenti finanziari.

UN’ONDA LUNGA NEI CONSUMI E NELLA DISTRIBUZIONE

Più che una vera e propria rivoluzione culturale -che per certi versi ne deriverà presto e inevitabilmente- il fenomeno legato alle differenti categorie comportamentali e aspirazionali dei millennial al momento si profila come un’onda lunga sul fronte dei consumi, uno tsunami silenzioso ma imponente, in grado di sradicare molta parte dell’attuale comparto manifatturiero, di rovesciare buona parte dei criteri del marketing e della pubblicità e di radere al suolo la quasi totalità dei precedenti sistemi di distribuzione e commercio. E se questo sarà il portato della silenziosa quanto travolgente sovversione in corso è forse bene che non la analizzino e se ne preoccupino soltanto i sociologi, i filosofi e gli artisti, ma anche e soprattutto gli economisti, i politici e gli imprenditori.

Che non si tratti -solamente- di uno dei mille volti della digitalizzazione dell’economia, della sua transizione verso il commercio elettronico, la condivisione in rete delle informazioni e la diffusione globale della conoscenza di una nuova lingua universale come l’inglese (tutti fenomeni assolutamente reali e dirompenti ma che appartengono invece alla generazione precedente) lo testimoniano alcuni cambiamenti di costume che ci apprestiamo ad esaminare con attenzione per cercare di delineare meglio ciò che sembra possa accadere all’economia del nuovo millennio.

COME CAMBIANO I GUSTI E LE ABITUDINI

L’Abbigliamento per esempio. Lo si è iniziato a notare con la ripresa economica che, avviata oltre oceano alla fine dello scorso decennio, arriviamo a toccare con mano sul fronte dei consumi solo negli ultimi dieci-venti mesi nel vecchio continente. Nonostante la spesa per consumi si riprenda, il settore dell’ “apparel” (che nell’accezione più comune comprende oltre agli articoli del tessile/moda in senso stretto anche gli accessori, i gadgets ornamentali e le dotazioni destinate all’esercizio fisico o al corredo d’abbigliamento ad uso lavorativo) sembra addirit8andare in senso opposto: verso il baratro.

I gusti e la cura della persona nelle nuove generazioni sembrano semplificarsi, limitarsi, tendere insomma all’essenziale, deprimendo le vendite ed esaltando l’essenzialità, il riciclo e l’omologazione dei prodotti che essi tendono ad acquistare. In poche parole è come se l’intero comparto dell’abbigliamento avesse perduto il suo fascino agli occhi delle nuove generazioni.

Le conseguenze economiche di una tale tendenza sono ovviamente dirompenti, soprattutto per Paesi e sistemi economici come il nostro, che tendono a contare non poco su questo comparto e sul design che lo anima. Quanto questo fenomeno di costume possa in ultima analisi farsi anch’esso risalire alle conseguenze ultime della digitalizzazione e della globalizzazione è arduo dire. E poi esula da questa indagine. Ma il dato di fatto rimane: se i consumi di questo settore crollano, interi sistemi-paese ne sono minacciati.

I numeri parlano chiaro soprattutto negli Stati Uniti d’America, che usualmente anticipano sempre le tendenze del resto del mondo: L’abbigliamento nel 2016 ha costituito soltanto il 3,6% del totale della spesa del consumatore medio americano, contro il 5,1% pagato per l’intrattenimento, l’8,5% per la salute e il 12,6% per il cibo.  Accorpando diversamente i dati viene fuori che la spesa per “esperienze” (dove comprendiamo viaggi, ristoranti e altre attività tipicamente di gruppo) ha raggiunto invece il 18% del totale mentre la sola spesa per le “tecnologie” (ivi compresi gli abbonamenti alle tv online e ai servizi online) supera il 3% (cioè quasi quanto l’intero comparto abbigliamento, accessori e calzature). E visto che parliamo della spesa del consumatore medio americano dobbiamo considerare ancora il basso impatto su quella media delle tendenze emergenti, legate alle preferenze delle nuove generazioni (ancora più dirompenti).

Ma legato al declino delle vendite nell’abbigliamento e negli accessori di moda e di costume vi sono quelli ancora più vistosi del commercio e della distribuzione tradizionale. Una vera ecatombe di negozi che chiudono, grandi magazzini e centri commercio che si ristrutturano (lasciando sempre più spazio al gioco, all’intrattenimento e alla cura della persona) grossisti e distributori internazionali che lasciano il loro spazio di mercato alle nuove forme di consumo online e alle grandi (e dilaganti) organizzazioni/società multinazionali che si occupano sempre più direttamente della vita, dei consumi, della sanità e delle assicurazioni del loro personale (soprattutto quello meglio retribuito).

Quello che si vede ad occhio nudo nella maggiore informalità dell’abbigliamento anche sul posto di lavoro si esprime in una vera e propria rivoluzione delle catene di negozi: crescono quelle in formato GDO (grande distribuzione organizzata) orientate al risparmio e all‘essenziale e si riducono quelle frequentate dal consumatore medio, i multimarca e persino il lusso. Presto la cravatta sarà un ricordo delle generazioni passate ma persino l’abbigliamento di scopo (tute da lavoro, divise, accessori di sicurezza ecc…) si comprime insieme al numero di persone occupate nell’industria manifatturiera (sempre più automatizzata), nell’agricoltura e nell’artigianato.

Ma anche nell’intrattenimento (musica, cinema, discoteche, club, ristoranti ecc…) è in atto una rivoluzione silenziosa e dilagante. Si sa che i millennial sono persone piuttosto schive, poco amanti dell‘ ostentazione e dei fenomeni da baraccone, dei ristoranti e del lusso esteriore (cerimonie di battesimo, compleanno, matrimonio e funerale comprese). I loro archetipi,si chiamano Mark Zuckerberg (Facebook), Jeff Bezos (Amazon), o se vogliamo proprio parlare di “mummie” redivive allora prendiamo il fondatore di Virgin, Richard Branson.

I millennial fanno relativamente poca attività fisica ma mangiano cibo integrale e biologico e assumono poco alcool, parlano le lingue straniere e il linguaggio delle macchine / della tecnologia ma sembrano amare la sobrietà, l’intimità, gli spazi funzionali e ordinati, i ritrovi segreti, i viaggi e gli appuntamenti all’altro capo del mondo, i messaggi in codice e i simboli, soprattutto quando sottemdono a una combinazione di culture, popoli, spiritualità e salute mentale.

COME CAMBIANO GLI INVESTIMENTI E LE PREFERENZE

Difficilmente comprano automobili e case (piuttosto le affittano per brevi periodi) mentre spendono fiumi di risorse in tecnologie di ogni genere e investono i loro denari sui mercati finanziari. Detestano però le banche tradizionali, i titoli a reddito fisso e la medicina tradizionale. Sembrano (ma è presto per dirlo) voler dedicare molto più tempo alla cura della salute, alla prevenzione dall’invecchiamento e si preparano a una cultura più consapevole e universale, ma anche più “tribale”, con la riscoperta delle antiche tradizioni di famiglia e il gusto per la ricerca delle proprie origini.

Cercano consigli online, trovano ogni genere di pubblicazioni e notizie gratis sulla rete e comunicano (per iscritto) come matti tra loro ma parlano meno e disertano le folle. Ma dopo che hanno trovato la loro aspirazione sembrano più fedeli alle loro idee, più orientati al lungo termine (anche perché si attendono in media una vita ultracentenaria) e in generale più favorevoli ad investire per l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Difficile racchiudere nelle poche parole di un articolo tutto quello che ne potrà conseguire in termini di consumi, di infrastrutture, di investimenti e di tendenze sociali ma una cosa è certa: il futuro che sembra delinearsi sarà quantomai dirompente per quasi tutti i business tradizionali, per i beni di lusso, i locali notturni e le professioni liberali, i beni di consumo durevole e l’edilizia. Difficile anche presumere quali settori sembrano “tirare” maggiormente, perché il fenomeno è piuttosto recente. Ma se va avanti così è agevole pronosticare il successo di coloro che condurranno ricerche di mercato: ce ne sarà bisogno praticamente per chiunque!

Stefano di Tommaso




I RETROSCENA DEL MILIARDO DI EURO SBORSATO DA MICHAEL KORS PER COMPRARE JIMMY CHOO: UN BIGLIETTO DI INGRESSO NEL PARADISO DEI BENI DI LUSSO

Le sorti del titolo Michael Kors a Wall Street non andavano troppo bene da un anno a questa parte, complice una certa disaffezione degli investitori istituzionali nei confronti dei produttori generalisti di accessori e abbigliamento come pure delle grandi catene fisiche distributrici nel medesimo settore (vedi grafico):

 

NONOSTANTE LA CRESCITA DEL FATTURATO, IL MERCATO AZIONARIO NON APPREZZAVA LA MICHAEL KORS

La stessa Michael Kors aveva annunciato lo scorso Maggio la possibile chiusura di un centinaio di propri punti vendit. La disaffezione del mercato nei confronti delle catene di distribuzione di accessori e abbigliamento ha anche provocato di recente la riduzione del numero di operazioni di fusioni e acquisizioni nel settore, come si può vedere nel grafico qui riportato:

La morsa del commercio elettronico infatti si sente un po’ per tutti gli operatori, ma l’accordo di compravendita relativo a Jimmy Choo (la marca preferita di scarpe dell’attrice Sarah Jessica Parker, notissima come Carrie Bradshaw, protagonista indiscussa della fortunata serie televisiva “Sex&the City”) rivela un aspetto inusitato del mercato: la disaffezione degli investitori evidentemente non riguarda i grandi marchi del lusso!

IL PREZZO È ESORBITANTE MA È UN BUON MATCH

Il prezzo pagato (+36% sul valore di base d’asta dei venditori) appare anche significativamente superiore all’obiettivo di raddoppio delle vendite che Michael Kors si attende dal rilancio di Jimmy Choo: un miliardo di dollari entro pochi anni dopo che la stessa ha concluso il 2016 con un fatturato di $460 mln. Anche prendendo per buono tale obiettivo, il prezzo pagato è ancora del 20% superiore alle vendite attese (in dollari è stato pari a circa 1,2 miliardi!

Invece di preoccuparsene però il mercato azionario americano ha premiato l’annuncio dato da Michael Kors quando questi ha rivelato il fortissimo esborso per la Jimmy Choo. Ecco il grafico:

LA SCARSITÀ DI MARCHI DI GRANDE RINOMANZA

Il più diffuso commento sull’operazione riguarda infatti la relativa scarsità di target di grande qualità per possibili acquisizioni da parte degli altri operatori.
Il mercato scommette dunque sul fatto che i (pochi) marchi di assoluto prestigio restino indenni dalla mattanza dei margini operativi nel settore monda derivante dall’effetto congiunto della globalizzazione e delle vendite online.
In altre parole, l’acquirente attraverso questa operazione, è riuscito a riaffermare la sua  natura complessiva di grande operatore nel mercato dei beni di lusso. Un mercato che non teme rivali in quanto a moltiplicatori e stabilità dei profitti.

IL MONDO DORATO DEI BENI DI LUSSO

Ecco ad esempio il grafico dell’ultimo anno relativo al titolo Kering (conosciuta in precedenza come Pinault-Printemps-Redoute o PPR): una multinazionale fondata dall’imprenditore francese Pinault. Kering capitalizza in borsa 47 volte gli utili attesi di circa un miliardo di dollari e viene valutata perciò 47 miliardi. Come si può vedere l’andamento è rimasto sempre positivo e l’indice della variabilità del suo prezzo in relazione al resto del mercato (il beta) è estremamente ridotto (cioè è un titolo stabile ed in crescita).

UN LEADER CREDIBILE

Le considerazioni degli analisti non si sono evidentemente fermate qui: John Idol, il leader della Michael Kors che l’ha rilevata nel 2003 quando fatturava 20 milioni di dollari, ha chiuso in crescita il fatturato 2016 a 2,4 miliardi di dollari e può vantare una significativa esperienza nel settore in qualità di ex direttore generale di Donna Karan (DKNY), una storica icona della moda americana.

Il suo programma per far crescere il valore dell’acquisizione (dalle sinergie nelle borse da donna a quelle nelle scarpe da uomo) è piaciuto agli analisti ed è stato percepito all’altezza della sfida: quella della sua definitiva accettazione nel mondo dorato del lusso, “l’unica sovrastruttura capitalista non soggetta a cedimenti anche quando il mondo crolla”, come scriveva il beato Antonio Rosmini, per giustificare le spese dei ricchi della cerchia di Alessandro Manzoni che gli permettevano di studiare in collegio a Stresa.

 

Stefano di Tommaso

 




PERCHE’ PENSO CHE AMAZON CAMBIERA’ LA NOSTRA VITA E L’INTERO MONDO DEL CONSUMER BUSINESS

Dopo aver fatto un passaggio basilare nell’aggiungere alla propria catena distributiva i supermercati bio “Whole Food” (cibo integrale) oggi Amazon si appresta a lanciare un’altro di quei servizi che solo lei può offrire: “Prime Wardrobe”, quello di prova a casa di abiti e degli accessori scelti online senza obbligo di acquisto

 

https://youtu.be/EIQh0O3wOdM

 

La pubblicità è accattivante: uno scatolone viene lasciato davanti alla porta di casa dell’utente che ha selezionato alcuni capi da visionare, questi li prova quando vuole, ne trattiene qualcuno se crede, e poi lascia il resto visionato nello scatolone che richiude con uno speciale adesivo con il codice che aveva trovato al suo interno, limitandosi a poggiare di nuovo lo scatolone fuori della sua porta. Un incaricato lo ritirerà a sue spese.

Perché solo Amazon può offrire un tale servizio?

•quasi solo Amazon può contare su una completa completa conoscenza delle abitudini e dei gusti del consumatore, dal momento che gli vende di tutto
•solo Amazon ne ha precedentemente valutato la solvenza e le preferenze con la diffusione capillare dell’abbonamento al servizio “Prime” (consegna in una o due ore nelle principali città del pianeta) e con il controllo dei propri sistemi di pagamento,
•solo Amazon può stoccare in ogni Paese del mondo una montagna di centinaia di migliaia di articoli nei propri magazzini per poterli avere pronti all’uso in un istante,
•solo Amazon può conseguentemente vantare un controllo globale della catena logistica e distributiva fino al furgoncino che effettua il giro della clientela Prime “a prescindere” da cosa deve consegnare o ritirare,
•ma soprattutto solo Amazon può integrare tutto ciò in un’unica imbattibile offerta!

Siamo veramente arrivati a un passo dal Grandee Fratello descritto settanta anni fa da George Orwell! E ci siamo arrivati con il sorriso sulle labbra per il solletico che ci fa nell’incarcerarci dietro le sbarre dorate della nostra nuova gabbia (l’abitazione), con lo scintillio delle sue campanelline e la felicità di sentirsi più pronti ad effettuare acquisti e noleggi.

Mettere insieme informazioni fondamentali circa le nostre misure delle scarpe, delle camicie, insieme a quelle che Amazon ha acquisito già dal momento in cui andavamo su internet a cercare gli articoli che preferiamo, dalle mutande , dallo spazzolino da denti, dal cibo che preferiamo fino tipo di cuffie Bluetooth che ci piacciono o di televisori che preferiamo, di giochi online che selezioniamo, di libri che leggiamo o di film che noleggiamo, farà di Amazon il cugino stretto del Grande Fratello. Con sistemi inferenziali di quelle informazioni che sono già correntemente state sviluppate da molti operatori informatici Amazon potrà disporre di una catalogazione del fenotipo di ciascuno di noi da far invidia ai servizi segreti! E tutto ciò per miliardi di utenti…

 Un’immagine suggestiva del film “1984”di Michael Redford tratto dall’omonimo romanzo di Orwell

Di lì a controllare anche i media e le agenzie di pubblicità online il passo sarà davvero breve. E a quel punto anche la manipolazione delle menti risulterebbe un obiettivo facilmente raggiungibile !

Ma Amazon può a questo punto andare molto oltre anche sotto il profilo del “business”: obbligare praticamente chiunque altro voglia raggiungere i “suoi” consumatori a passare dalla propria piattaforma (e a pagare pedaggio). Obbligare chiunque voglia produrre degli articoli e sperare di riuscire a distribuirli globalmente a farli come dice e al prezzo che dice lei, dal momento che quasi solo lei ne conoscerà davvero il corretto posizionamento competitivo. Obbligare chiunque voglia fare logistica e distribuzione a lavorare per lei. Costringere l’intero sistema bancario globale a passare dalle proprie griglie di conoscenza della capacità di credito degli individui e a confrontarsi un acerrimo concorrente che, grazie ai propri sistemi informatici e alle proprie piattaforme di pagamento, risulterebbe quasi imbattibile.

Amazon ha -in teoria- la forza finanziaria, la diffusione capillare e l’intelligenza gestionale di fare tutto ciò sotto il naso di un bel po’ di bellimbusti che oggi credono di essere i padroni del mondo, di un bel po’ di politici che fanno finta di difendere i loro elettori, di un bel po’ di intellettuali che pensano di immaginare un mondo diverso… Bisogna vedere se glielo lasceranno fare, ma prima aspettiamoci che il suo titolo, quotato a Wall Street, possa fare ancora l’ennesima bella galoppata al rialzo, magari al di sopra di Google e Apple!

Chi aveva in animo di lanciare l’ennesima start-up online, magari con l’ambizione di farla diventare la prossima SnapChat o la prossima Foodora, adesso ha un problema in più: come potrebbe fare a meno dell’organizzazione capillare che Amazon può vantare? dei magazzini sempre pronti? del corriere che passa già dall’indirizzo della clientela selezionata? della conoscenza della capacità finanziaria del consumatore e, soprattutto, della profilazione sempre più puntuale dei gusti, delle abitudini, degli orari e delle competenze del consumatore ideale?

 

Stefano di Tommaso