L’AMERICA VERSO UN SOFT LANDING

Il mondo intero sembra avviarsi ad un rallentamento della crescita economica, e sicuramente va in quella direzione l’Occidente, in particolare l’industria europea, che da tempo mostra segni di debolezza. In parte ciò dipende dalla maggior competitività delle tigri asiatiche (quantomeno per ciò che riguarda il settore automotive e le industrie che beneficiano del minor costo dell’energia) e dallo spiazzamento dell’economia privata causata dall’eccesso di spesa pubblica. Ma anche la lunga stagione di elevati tassi d’interesse ha contribuito a scoraggiare investimenti e start-up tecnologiche. Ora anche la locomotiva dell’Occidente, l’America, inizia a rallentare, anche perché deve curare urgentemente i suoi problemi, legati all’eccesso di spesa federale e di debito pubblico. La pausa nella crescita economica tuttavia non costituisce necessariamente un grosso problema, dal momento che il calo dei consumi può aiutare la lotta all’ inflazione dei prezzi e questa far scendere il costo del debito.

 

LA CRESCITA ECONOMICA AMERICANA PRENDE UNA PAUSA

A far temere per l’andamento della nostra economia non bastava lo spauracchio dei dazi alle importazioni in America, né quello di un intero mese (Febbraio) di regresso delle borse americane. Non bastava lo shock di un Dollaro troppo forte capace dunque di esportare altrove (cioè a casa nostra) inflazione dei prezzi delle materie prime. Adesso ci si mette anche la FED di Atlanta a pronosticare per gli U.S.A. un primo trimestre 2025 in recessione addirittura dell’1,5% (dopo una precedente stima di crescita al 2,3%, con una revisione al ribasso cioè di quasi 4 punti percentuali).


IL CALO DEI CONSUMI

D’altra parte il taglio già avvenuto di 300.000 lavoratori (su un totale di 9 milioni di dipendenti dell’amministrazione federale) che con il suo strascico di indotto che ha tolto il posto di lavoro a circa 1 milione di persone da un mese all’altro, ha evidentemente generato un impatto negativo per i consumi americani. Come si può vedere dall’andamento fortemente riflessivo delle vendite al dettaglio a Gennaio qui sotto riportate:


Così come pure la fiducia dei consumatori sta drasticamente scendendo (il dato qui riportato è aggiornato invece a Febbraio):


Non si tratta ancora di una recessione vera e propria ma il rischio è oggettivamente quello che l’economia reale americana possa andare verso un periodo di contrazione o, quantomeno, di mancata espansione. Con probabili riflessi sul resto del mondo.

SE IL PETROLIO CALA ALLORA È TUTTA L’ECONOMIA GLOBALE CHE RALLENTA

La tendenza riflessiva però non riguarda evidentemente soltanto l’economia americana, dal momento che anche il prezzo del petrolio è in discesa, come si può vedere dall’andamento del suo prezzo negli ultimi mesi e dallo sforamento della soglia psicologica dei 70 dollari:


In più, poiché da oltre un semestre il grafico qui riportato vede le quotazioni del petrolio spesso al di sotto della media mobile a 200 giorni, è ragionevole attendersi che siano orientate a ulteriori ribassi! Ovviamente ciò lascia ben sperare per l’inflazione, che dipende parecchio dall’andamento del prezzo del petrolio.

FORTUNATAMENTE ANCHE I TASSI D’INTERESSE CALANO

Tornando ai dati relativi all’economia americana occorre anche dire che la tendenza al rallentamento economico sta generando anche fattori positivi, come la discesa dei tassi d’interesse a lungo termine. Nel grafico che segue si può notare il vistoso calo (per la prima volta da mesi anche al di sotto della sua media mobile -la linea verde-) del rendimento implicito dei titoli di stato americani a 10 anni. Cosa che lascia sperare l’amministrazione Trump in un parallelo calo degli oneri finanziari pagati dal Tesoro per le prossime emissioni:


Occorre infatti ricordare che l’America di Trump ha ereditato da Biden una situazione di bilancio federale quasi fallimentare e che per rimetterla in sesto non bastano tagli alla spesa e imposizioni di dazi. Occorre anche che scenda l’inflazione e soprattutto i tassi d’interesse. E, come si può dedurre da quanto sopra riportato, potrebbe essere sulla buona strada.

MA LE VALUTAZIONI D’AZIENDA RESTANO ELEVATE RISPETTO AGLI UTILI

In teoria un ribasso dell’inflazione, un consolidamento dell’andamento economico e un calo dei rendimenti potrebbero delineare un quadro positivo per i mercati finanziari, soprattutto se riuscirà a non accompagnarsi ad una discesa dei profitti netti delle imprese. Ad un calo dei rendimenti dei titoli a reddito fisso infatti si associa un rialzo dei loro corsi e, per quanto riguarda le borse, ad un calo dei tassi d’interesse a lungo termine si può associare una crescita dei moltiplicatori di valore, quali ad esempio il rapporto P/E (prezzo/utile atteso) o il multiplo del reddito operativo (EBITDA margin). Nel grafico il livello dell’indice CAPE RATIO riferito allo SP500 (che segnala la possibile sopravvalutazione della borsa americana): il suo livello è ancora una volta quasi ai massimi storici di sempre.


Ovviamente i segnali che ci manda il mercato sembrano ancora troppo “freschi” per dedurne una tendenza! Anche se sembrano tenere bene i margini di guadagno delle imprese che compongono l’indice principale della borsa americana (Standard & Poor 500) (anzi in leggera crescita, come si può leggere sulla seconda colonna qui sotto) cosa che fa ben sperare per la tendenza di fondo del mercato azionario :

I PROFITTI DELLE GRANDI IMPRESE AMERICANE RESTANO MOLTO ELEVATI

LE QUOTAZIONI DELLE MAGNIFICHE 7 SI RIDIMENSIONANO

L’indice in questione è peraltro terribilmente dipendente dall’andamento riflessivo delle cosiddette “Magnifiche sette” (M7) multinazionali super tecnologiche americane, le cui quotazioni erano cresciute troppo nel corso dell’ultimo anno e sono arrivate ad assommare a oltre il 30% del valore totale delle 500 imprese che compongono l’indice Standard&Poor 500.


Le M7 oggi sono in discesa del 15% dai massimi dello scorso anno (come si può leggere dal grafico sotto riportato) e, ovviamente, hanno trascinato ad un lieve ribasso (5%) l’intero indice, come si può osservare qui sotto:


Il fatto però che il comportamento in borsa dei maggiori titoli tecnologici non abbia devastato l’indice medesimo fa ben sperare che il mercato non abbia definitivamente cambiato rotta, e che il sussulto in corso possa ancora attribuirsi a fattori stagionali e congiunturali. L’impostazione di fondo del mercato azionario americano sembra per il momento ancora positiva.

SALE PERÒ IL RISCHIO DI UNA NUOVA RECESSIONE

Nessuno può tuttavia garantire che il possibile “soft landing” (atterraggio morbido) dell’economia americana non si trasformi in una vera e propria recessione, cosa che scombussolerebbe gli attuali piani presidenziali. Qualche segnale in tal senso purtroppo si vede già, come ad esempio l’impennata e poi il consolidamento di elevati differenziali tra i rendimenti dei titoli privi di rischio a breve termine e quelli dei titoli ad alto rendimento (cioè più speculativi), considerata da sempre un campanello d’allarme di possibili recessioni:


Un’eventualità che coinvolgerebbe anche l’Europa e forse il resto del mondo, ma che al momento è ancora molto prematuro pronosticare. L’Europa d’altra parte in una situazione di quasi-recessione ci si trova già da tempo (come si può leggere dal grafico qui sotto riportato):

MA L’EUROPA INSEGNA: LE BORSE POTREBBERO RESTARE FORTI…

Eppure i mercati finanziari del vecchio continente stanno performando molto bene, soprattutto in funzione dei cali dei tassi d’interesse che hanno premiato i moltiplicatori di valore, come si può rilevare dall’andamento del principale indice azionario europeo:


Dunque, se l’Europa può essere presa ad esempio (e sottolineo il “se”) di ciò che potrebbe succedere a fronte di un leggero arretramento del Prodotto Interno Lordo, allora neanche i mercati finanziari americani potrebbero risentire pesantemente di un eventuale “soft landing” dell’economia! Anzi, nel medio termine l’ulteriore calo dei tassi potrebbe aiutare i listini delle borse.

MA LA VOLATILITÀ RISCHIA DI CRESCERE ANCORA PER UN PO’

Nel breve termine però come sempre succede in questi casi l’incremento della volatilità è a dir poco assicurato, rendendo più difficile cogliere una tendenza di fondo dei mercati. Come del resto è già stato chiaro sin dalla scorsa settimana (come si può leggere dal grafico relativo all’indice della volatilità qui sotto riportato):

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 112 – sa 1 mar 2025

Operazioni in essere : nessuna

GOLD APR 25

Il mio mercato preferito mi sta rendendo difficile operare.

Non mi accanisco.

Nella recente 24 – 28 feb ha segnato un nuovo massimo assoluto di 1 solo dollaro a 2956 e poi è sceso di 124 usd a 2832.

Ritengo comunque che GOLD abbia ecceduto in misura talmente ampia il top di gennaio ( 2817 CASH ) e il prezzo da me atteso ( 2790 ) nello stesso mese, che tali livelli possano essere divenuti supporti robusti, quanto meno al primo tentativo di perforazione.

Data la importanza del segnale scaduto in gennaio, rammento interamente quanto scritto nella N. 109.

Quando è scaduto la volta precedente il ciclo di tempo che ha interessato gennaio 2025, GOLD ha chiuso alto il mese caratterizzato dal segnale, lo ha ecceduto del 4 % il mese successivo e poi si è impantanato in un movimento laterale – negativo per circa due anni.

Al momento attuale, GOLD ha ecceduto il top di gennaio ( 2817 ) fino a 2956 ( 4,9 % ) , ma è presto per valutare, non avendo per nulla invertito.

Ben comprendete quindi che il comportamento deve essere attentamente osservato, quanto meno anche nel presente febbraio.

Su GOLD sto cercando una operazione strategica e, mediamente, un Mercato, per concedere di sfruttare poi un vero trend, richiede stop loss più ampi dello standard nella fase di apertura delle operazioni.

Dopo che GOLD CASH è salito fino a 2956, è impensabile attendere la rottura del minimo di gennaio ( 2614 ) per aprire un ribasso.

Lo stop loss da piazzare sopra 2956 sarebbe insostenibile.

Vedremo se GOLD offrirà una configurazione per la quale la dimensione dello stop loss sia entro i 40 – 50 USD, vale a dire l’ampiezza tipica di una settimana.

L’alternativa è di attendere che rimbalzi vicino a 2950 cash per una vendita con stop loss limitato.

SILVER MAGGIO 25

Una eventuale operazione sarà da me effettuata sul future di maggio 2025, essendo in consegna il contratto di marzo.

SILVER CASH è salito a 33,39 avvicinando molto il livello interessante di 33,7 per progettare una vendita.

Segnalo sin da ora che in marzo 2025 scadrà un ciclo temporale di medio – alto rilievo, soprattutto se si trattasse di un minimo che si manifestasse tra il top di marzo 2024 ( 25,77 ) e il top di febbraio 2024 ( 23,50 )

L’ultima settimana è sceso velocemente, quindi sembra aver perso forza.

Vedremo se inverte al ribasso; mi farebbe comodo.

Per beneficiare della eventuale discesa, senza allargare troppo lo stop loss, devo attendere di tornare intorno ai massimi della scorsa 24 – 28 feb, quindi circa a 32,7 SILVER CASH ( 33,30 FUT MAGGIO ) con uno stop loss non sopra 34 usd.

Difficile rimbalzare in 5 gg a quei prezzi; vedremo.

DOW JONES INDU CASH

E’ ormai concluso febbraio, nel quale colloco da tempo un importante segnale di inversione.

Inversione significa VENDERE se si arriva al rialzo e COMPRARE se si arriva al ribasso.

Febbraio non è per me così semplice da lèggere, in quanto in nov – dic – gen – febbraio abbiamo avuto 4 top quasi uguali : 45071 – 45073 – 45054 – 44966.

Il top assoluto si è manifestato il 2 – 6 dic, importante timing settimanale, segnalato mesi prima.

In febbraio, ove scadeva il segnale mensile più importante, DOW JONES è scaso dal 6 al 28, ultimo del mese, in cui ha segnato il minimo di febbraio a 43100 e poi è risalito in poche ore di 773 punti, che corrispondono al 41 % del range mensile.

Credo che questo Mercato ci stia inviando un messaggio :

– è partito alto, dal top degli ultimi 4 mesi;
– è sceso lentamente, instillando dubbi;
– ha segnato il minimo l’ultimo giorno del mese ed è risalito rapidamente;
– il top del mese a 44966 è quasi pari ai massimi precedenti, mentre il minimo di 43100 è ben più alto di quello di gennaio ( 41844 ) e allora, essendo febbraio un mese inside, scelgo di considerarlo un massimo, da vendere.

Cosa penso di fare ?

Ipotizzo che 43100, minimo di ieri, possa reggere parecchi gg, anche se giudicare una sola giornata, per di più appena trascorsa, non è per niente semplice.

Non mi sorprenderei se DJ cercasse di riavvicinare in 2 – 3 settimane la trendline da 28660, che è ora in area 44600 – 44800; in tale caso cercherei una vendita con rischio contenuto ( stop loss intorno 45100 cash ) finalizzata a sfruttare il segnale di febbraio, mese dalla dinamica quanto meno infida.

Ciò premesso, sin da lu 3.3, inserirò i seguenti ordini :

vendo 1 MARZO MICRO DJ a 44700 con stop loss a 45200

e, nel caso che l’ordine venga eseguito senza essere stoppato, aggiungerò :

vendo 1 MARZO MICRO DJ alla rottura del minimo del giorno in cui avrò venduto a 44700 senza essere stoppato, sempre con stop loss a 45200.

Serve una salita intorno al 2 %, ben possibile; tutto da vedere che poi inverta e vada a rompere 43100, bottom del mese ciclicamente rilevante.

Gli obiettivi in giù sono talmente lontani che preferirei non parlarne, per evitare sberleffi, ma immagino che, una volta iniziato un ribasso, il doppio minimo di TRUMP non diventerà triplo, mentre l’area 40000 potrebbe essere difficile da passare al primo tentativo e non perché è una cifra tonda.

Infine, escluderei una rottura del minimo dell’anno 2024 ( 37122 ) in quanto fu uno splendido pull back sul top di inizio 2022 ( 36952 ) livello dal quale il Mercato andò giù fino a ottobre 2022 a 28660, da cui parte la trend line di cui parlo da oltre un anno e che ha accompagnato questo Mercato con un magnetismo visto non di frequente.

Per la prima volta ( credo che resterà caso isolato ) allego un grafico dell’indice DOW TRANSPORTATION, che pochi guardano, ma interessa agli studiosi della DOW THEORY, molto in voga 100 – 120 anni orsono.

Questo indice che, come il nome suggerisce, comprende società come FEDEX, UPS, linee aeree…… dopo la elezione di TRUMP è schizzato su come gli altri listini, ma subito dopo si è sgonfiato e sta segnando infiniti minimi pressochè uguali.

Ha una brutta cera.

Mi interessa perché lo ritengo meno manipolato e, forse, la eventuale rottura di questi minimi intorno a 15650 – 700 potrà darmi un preavviso utilizzabile su DOW INDUSTRIAL, del quale scrivo da tempo.

NASDAQ 100 CASH

Ennesimo nuovo top assoluto merc 19.2 a 22222 che è un numero quanto meno insolito.

E poi una discesa violenta dell’ 8 % come NAS 100 sa ben fare, fino a 20407 cash, rompendo, al momento solo intraday, quel minimo a 20538 caduto in gennaio, mese che era caratterizzato da un segnale, anche se di rilievo modesto rispetto a quanto potrebbe essere febbraio per DJ.

Segnalo infine che febbraio, dopo il top a 22222 ha realizzato un outside mensile ribassista, figura grafica da osservare.

Nota finale

Warren Buffet, uomo non di primo pelo, prosegue a fare cassa per la sua amata BERKSHIRE HATHAWAY, giungendo al 31.12.2024 a USD 334 billions liquidi ( gov. bond al 4 % ).

Continua nel mentre a ricordare che ama i buoni investimenti azionari ………… non stare liquido.

Saprà ben lui.

Leonardo Bodini

 




IL “TRUMP TRADE” PRENDE UNA PAUSA

È già terminato il ciclo rialzista che ha seguito l’ascesa di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti d’America? È presto per dirlo ma ci sono segnali che fanno pensare quantomeno ad una “pausa tecnica”, alimentata dalla necessità di prendere profitto dalle posizioni sino ad oggi tenute nonché dai timori che anche l’economia reale possa subire qualche scossone. Ovviamente se fosse anche le altre borse occidentali sarebbero a rischio, tanto più che quelle europee erano salite parecchio nei giorni scorsi anche per aver anticipato il risultato di stabilità che è emerso dalle votazioni in Germania (il risultato anticipato dai sondaggi è sembrato piuttosto simile a quello finale) e oggi potrebbero prenderne profitto. Ma quanto a lungo? Dipende, come sempre, dalla crescita dei profitti netti che le imprese quotate esprimeranno. E anche su questo tema non vi sono affatto certezze…

 

WALL STREET SI RIDIMENSIONA

Lo scorso Venerdì le borse europee si sono profondamente differenziate da quelle americane: le prime hanno continuato la loro corsa, le seconde sono scese parecchio (il DJIA ha perso l’1,7% chiudendo a 43.428,02, l’S&P 500 è parimenti sceso dell’1,7% a 6.013,13, mentre addirittura il Nasdaq 100 ha subito un calo del 2% chiudendo a 21.614,08), anche a causa di una serie di scadenze tecniche relative alle opzioni in essere.


Anche l’indice delle imprese di minori dimensioni (il RUSSELL 2000) ha avuto un Venerdì molto pesante.


Difficile poter affermare che ciò dipende soltanto dalle prospettive macroeconomiche americane, dal momento che negli U.S.A. la crescita del Prodotto Interno Lordo americano seppur in lieve contenimento, viaggia per il momento intorno al 2,5% annuo:

PRODOTTO INTERNO LORDO U.S.A.

I TAGLI AI POSTI DI LAVORO DELL’AMMINISTRAZIONE FEDERALE

Anche se in realtà il clima economico americano sta iniziando a cambiare, in parte in funzione dei timori di ripresa dell’inflazione, e in parte a causa dei pesanti tagli alla spesa pubblica annunciati dal programma DOGE di Elon Musk. Ì trecentomila posti di lavoro federali già tagliati da Elon Musk sono una goccia nel mare dei 7 milioni di disoccupati americani e ancor meno importanti se si considera che negli U.S.A. lavorano all’incirca 160 milioni di individui. Ma comunque, considerando l’indotto della spesa pubblica a stelle e strisce, già quei trecentomila posti tagliati hanno probabilmente generato un calo dell’occupazione di circa 1 milione di posti di lavoro. L’impatto dunque non sarà irrilevante, soprattutto quando i tagli cresceranno, con il programma del DOGE (Department Of Government Efficiency) completamente a regime.

LE RICHIESTE AGLI UFFICI DEL LAVORO HANNO TOCCATO IL NUMERO DI 8 MILA DI RECENTE

Non per niente l’indice PMI relativo al settore dei servizi per il mese di Febbraio è in discesa ben oltre le attese, al di sotto della soglia psicologica di 50, che indica aspettative recessive:

INDICE DEI DIRETTORI DEGLI ACQUISTI RELATIVO AL SETTORE SERVIZI NEGLI U.S.A.

MA L’EUROPA VA MOLTO PEGGIO

Mentre per la crescita economica in Europa non è chiaro se siamo al di sopra o al di sotto dello zero assoluto, per di più con una significativa caduta degli indici relativi alla produzione industriale, come si può riscontrare dal grafico qui riportato:


Ma se negli USA si può comprendere che il mercato azionario, dopo tanto correre, voglia prendersi una pausa di riflessione, soprattutto in attesa di focalizzare meglio le tendenze di fondo dell’inflazione, della crescita e dei profitti, in Asia le borse corrono più che mai, come si può vedere ad esempio dall’andamento dell’intero primo scorcio del 2025 per la borsa di Hong Kong (indice Hang Seng):


Più difficile è invece spiegare come mai in Europa, nonostante prosegua il calo della produzione industriale, ci sia ancora tanto da festeggiare.

IN EUROPA È RIMASTO QUASI SOLO IL RISIKO BANCARIO AD ALIMENTARE LE BORSE

A meno di non ricordare che in Europa i principali titoli azionari scambiati in borsa sono quelli del settore bancario, sottoposto ai possibili effetti positivi di importanti offerte di pubblico acquisto e scambio, lanciate per alimentare un processo generalizzato di fusioni e acquisizioni da parte dei principali operatori.

I quali, come si può vedere dal grafico sotto riportato, stanno lavorando ad un ulteriore consolidamento del settore bancario in poche grandi mani. E per farlo stanno proponendo offerte che dovranno in molti casi subire un ritocco verso l’alto a causa della cauta risposta dei mercati, come peraltro si può leggere dal grafico sotto riportato:


È chiaro però che, se oltre oceano l’ondata di ribassi delle borse dovesse proseguire, anche le borse europee finiranno per esserne travolte.

LA STAGIONALITÀ DELLE BORSE

Anche perché esiste un innegabile fattore stagionale dedotto dalle statistiche di molti anni precedenti che indicano, nel periodo in arrivo, una maggior debolezza dei listini principalmente dovuta a fattori stagionali, come si può vedere da questo grafico elaborato sull’andamento stagionale del principale indice a Wall Street, da quale si evince chiaramente che le tre settimane a venire potrebbero essere caratterizzate da una relativa debolezza dell’indice Standard & Poor 500:


Ma la fine (o la pausa?) del “Trump Trade” comporta anche una rotazione dei portafogli verso una maggior cautela da parte dei gestori dei patrimoni. Gli investitori professionali stanno ragionando sulla sostituzione di buona parte degli investimenti azionari dalle grandi tecnologie verso titoli azionari emessi da aziende appartenenti a settori “difensivi”, cioè verso imprese grandi e capaci di pagare dividendi robusti, della “old economy” e con bassa volatilità dei corsi.

E LA VOLATILITÀ CRESCE

La volatilità dei titoli azionari a Wall Street infatti negli ultimi giorni sembra molto accresciuta, come risulta dal grafico qui sotto:


Ovviamente molto dipenderà dall’evoluzione nei prossimi mesi dei profitti netti che le imprese quotate riusciranno ad esibire.

LE ATTESE PER I PROFITTI NETTI RISTAGNANO

L’attesa -almeno per Wall Street- è per un consolidamento degli stessi, non per ulteriori crescite, come si può leggere dalla tabella qui sotto riportata, relativa all’indice SP500:


Non stupisce dunque che le borse americane abbiano mostrato una flessione, e non stupirebbe l’eventuale sequela che le borse europee potrebbero mostrare a partire dalla settimana prossima. Questo ovviamente non significa che da adesso in avanti le borse valori occidentali dovranno mostrare un andamento riflessivo, ma soltanto che, probabilmente, l’eventuale prosecuzione del trend rialzista che abbiamo visto sino ad oggi potrebbe riprendere soltanto a partire dalla metà di Marzo.

UN CONSOLIDAMENTO DELLE BORSE NON SIGNIFICA UN LORO CROLLO

Cosa che peraltro non è necessariamente negativa per l’economia reale, dal momento che un’eventuale fase di consolidamento delle borse occidentali potrebbe aiutare a far crescere i corsi della maggior parte dei titoli a reddito fisso e dunque a far scendere i tassi d’interesse a lungo termine, fattore essenziale per far scendere il costo del debito per le imprese nonché per creare le condizioni perché le banche centrali possano proseguire la discesa dei tassi di sconto. Elemento essenziale a sua volta per far ripartire la corsa dei listini. Molti se l’aspettano a partire dalla Primavera.

Stefano di Tommaso




I DAZI DI TRUMP: TRE POSSIBILI SPIEGAZIONI

Tutti i “media” hanno abbondantemente parlato di ciò che il Presidente degli Stati Uniti d’America ha annunciato con molta enfasi appena insediato alla Casa Bianca: di voler imporre dazi a tutti i partner commerciali dell’America, pur sapendo benissimo che è altamente possibile che il resto del mondo risponda con reciprocità. Con le sue dichiarazioni Trump ha dunque inscenato un gigantesco spettacolo in mondovisione, generando dibattiti e contro-dichiarazioni a non finire. Perché? Vuole davvero scatenare guerre commerciali globali? I mercati non lo credono, e forse a buona ragione. Ma se l’annuncio dei dazi può essere considerato uno strumento di politica internazionale nelle mani di Trump, allora potrebbero esserci anche altri risvolti…

 

UNA STRATEGIA ALLARGATA E COMPOSITA

Evidentemente il nuovo Presidente, nell’affermare una strategia molto più allargata rispetto a quella che aveva dichiarato in campagna elettorale (di voler adottare cioè solo specifiche iniziative a favore dei settori più in difficoltà negli U.S.A. come alluminio e acciaio, microchip, automobili e prodotti farmaceutici) sembra essere deciso a creare molto scompiglio e parrebbe anche esserci riuscito: con la sua dichiarazione di voler adottare dazi e tariffe indiscriminatamente per tutti, i commentatori dell’intero pianeta hanno iniziato a chiedersi cosa succederà al commercio mondiale e se l’’iniziativa potrà ravvivare l’inflazione.

ANDAMENTO (in volume) DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

E Trump -per dimostrare che non stava scherzando- ha esplicitamente ammesso di essere perfettamente cosciente del fatto che il rischio di una tale manovra è il possibile aumento generalizzato dei prezzi delle merci importate negli U.S.A. Una dichiarazione forte perché al momento c’è un certo allarme per l’evoluzione dell’inflazione. E dalla sua evoluzione dipenderà anche la politica monetaria.

ANDAMENTO INFLAZIONE NEGLI U.S.A.

MA I MERCATI RIMANGONO INDIFFERENTI

Dunque, con le sue parole, il neo-Presidente americano è riuscito nel generare una parata di giganteschi fuochi d’artificio. Ma dietro a questa geniale cortina fumogena qualcuno ha fatto notare che Trump si è limitato agli annunci, non avendo ancora diramato alcuno degli ordini esecutivi. Un particolare non da poco, dal momento che i mercati finanziari, i quali evidentemente ne hanno preso buona nota, invece di reagire male a tali dichiarazioni fragorose e agli scenari apocalittici tratteggiati dai solo i di turno, hanno invece iniziato a dare segni evidenti di ottimismo: la volatilità azionaria è diminuita, i principali indici delle Borse e del Reddito Fisso sono saliti e il Dollaro è crollato. Cioè l’opposto di quanto ci si poteva attendere.

TASSI D’INTERESSE A LUNGO (linea blu) E A BREVE TERMINE (linea grigia)

Giusto il prezzo dell’oro (il bene-rifugio per eccellenza) è inizialmente cresciuto, lasciando adito a timori di maggior inflazione, per poi scendere. Però, oro a parte, il cui prezzo è spesso determinato dalle banche centrali con giganteschi movimenti di compravendita, l’interpretazione che sembrano aver dato i mercati finanziari è che il Presidente alla fine intenda utilizzare i Dazi alle importazioni come strumenti di politica economica. E come argomenti per dialogare con le singole altre nazioni, spezzando i legami che le tengono oggi legate alle alleanze preesistenti .


I rendimenti impliciti dei titoli obbligazionari quotati sono infatti in calo (dunque i corsi dei titoli salgono) e questo potrebbe far pensare che molto dipenderà dall’indice PCE (quello preferito dalla banca centrale americana per misurare l’inflazione, in alternativa al PCI) in uscita la prossima settimana.

DIFFERENZE NEL PANIERE DEI BENI TRA I DUE INDICI DELL’INFLAZIONE IN U.S.A.

Ma anche le borse valori dopo l’annuncio del Presidente sono andate su. E questo nonostante il possibile aumento dei costi di produzione in caso di guerre commerciali, che evidentemente ridurrebbe i margini delle imprese. Evidentemente i mercati si attendono un generale beneficio dalle iniziative del Presidente.


MSCI WORLD INDEX
Si potrebbe anche pensare -invece- che la buona notizia è soltanto che l’applicazione di tariffe e dazi non risulti imminente, in pratica la Casa Bianca potrebbe aver fatto la voce grossa ma poi starebbe dando alle sue controparti internazionali il tempo di trovare degli accettabili compromessi. È anche possibile sostenere che l’intera faccenda arrivi prima del previsto a mancare di credibilità. Paradossalmente le imprese che avrebbero più da perdere con i dazi e le guerre commerciali sono state quelle che hanno guadagnato di più. Le Magnificent Seven ad esempio sono molto globalizzate e, nonostante i timori di nuove guerre commerciali, le loro quotazioni (che scontano lauti profitti futuri ancora per molti anni a venire) sono tornate vicino ai massimi storici. Dunque probabilmente la percezione degli investitori va ben oltre il fatto momentaneo.

I TITOLI AZIONARI CHE HANNO PIÙ GUADAGNATO DALL’INIZIO DEL 2025

Le aziende le cui vendite sono incentrate sul mercato interno americano avrebbero invece dovuto sovra-performare con i timori di guerre commerciali, ma le loro quotazioni sono rimaste invece tra le più arretrate.


DOPO GLI ANNUNCI DI TRUMP IL DOLLARO SCENDE

Certo: il dollaro ora più debole farà sembrare migliori i guadagni all’estero delle multinazionali americane. Ma occorre chiedersi perché il Dollaro americano si è deprezzato. Teoricamente l’avvio di dazi e tariffe dovrebbe ridurre l’offerta di Dollari fuori dei confini americani e quindi vederlo apprezzarsi. Se è andata al contrario siamo di nuovo di fronte ad un inequivocabile segnale di tranquilla da parte dei mercati finanziari.

IL CAMBIO EURO/DOLLARO

Come spiegare questa contraddittoria reazione dei mercati? Per tutte le minacce che ha avanzato, Trump sta chiaramente cercando di spaventare le controparti commerciali degli americani per riuscire ad ottenere concessioni da parte loro senza nemmeno aver davvero applicato le tariffe annunciate alle importazioni. Se invece avesse davvero voluto andare avanti a imitare il suo predecessore William McKinley il quale era riuscito a finanziare il Tesoro americano con i dazi, avrebbe potuto farlo subito, ma al momento egli sta scegliendo di non farlo. Ed è forse per questo che i mercati finanziari stanno reagendo positivamente: se Trump otterrà concessioni senza colpo ferire il commercio internazionale ne verrà addirittura esaltato!

Il futuro però rimane assai incerto e, dal momento che il prevedere che alla fine Trump non farà null’altro che strillare potrebbe risultare come una lettura semplicistica, si è allora tentati di approfondire l’analisi.

DOPO GLI ANNUNCI DUE POSSIBILI ESITI ESTREMI

Innanzitutto con il prevedere due possibili esiti estremi e assai alternativi tra loro:

  • il primo è quello che preconizza un Trump che riuscirà a manipolare la percezione della realtà pur non facendo ancora niente di concreto, allo scopo di ottenere consistenti concessioni dalle altre nazioni (le quali evidentemente fanno bene al business americano);
  • il secondo, all’opposto, è quello che Trump sia in realtà in procinto di stupire ancora una volta tutti i commentatori, lanciando una tra le peggiori serie di guerre commerciali della storia economica. Una scelta che tuttavia potrebbe far parte di una complessa strategia volta a conseguire l’importante obiettivo di ridurre il deficit del bilancio federale americano (l’altra parte di questa strategia sarebbero i giganteschi tagli alle spese non necessarie annunciati e già avviati da Elon Musk con il suo gruppo DOGE cioè: Department of Government Efficiency).

La realtà però si trova probabilmente da qualche parte in mezzo ai due opposti scenari. Ed è proprio in mezzo che ci sono molti soldi da fare per la speculazione.


Dunque i detrattori (e gli oppositori politici) del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America battono la grancassa dipingendo scenari catastrofici relativi ad un arretramento dell’intera economia mondiale dovuto all’avvio a catena di guerre e ritorsioni commerciali, mentre viceversa la scommessa silenziosa dei mercati finanziari al momento consiste nell’esatto opposto: cioè che Trump riuscirà a ottenere concessioni significative dal resto del mondo senza affossare l’economia interna, anzi fornendole beneficio.

NON SOLTANTO OBIETTIVI COMMERCIALI

(a parte gli speculatori che su questa divergenza stanno facendo fortuna)? E’ noto che anche i mercati -talvolta- si sbagliano. Probabilmente la risposta dipenderà non soltanto dalle altre mosse di Trump bensì anche dall’atteggiamento che mostreranno le controparti degli Stati Uniti d’America: se reagiranno biecamente e violentemente a tali annunci è possibile che l’unico modo che avrà Trump di restare convincente per ottenere i suoi obiettivi sia quello di mettere in pratica quanto annunciato. Se invece accetteranno di entrare in sofisticati colloqui negoziali, è possibile che lo sconvolgimento preconizzato si trasformi addirittura in un vero e proprio efficientamento del commercio internazionale.

Ma Trump non ha soltanto obiettivi di bilancia commerciale. I suoi sembrano innanzitutto obiettivi geo-politici. Ed è noto a tutti che egli sia un ottimo giocatore di poker! Pronto al bluff ma anche all’azione. Il mondo infatti oggi contempla numerosi teatri di guerra, fredda e calda, commerciale o convenzionale. Di seguito una mappa relativamente aggiornata:


UN POSSIBILE TERZO, FORMIDABILE OBIETTIVO

A guardar bene, potrebbero dunque esserci anche altre spiegazioni riguardo al fine ultimo del gran trambusto orchestrato sino ad oggi: se Trump -appena eletto- avesse voluto iniziare immediatamente una campagna di dialogo e pacificazione dei diversi focolai di guerra sopra riportati, avrebbe corso il rischio di risultare tormentato, come nel suo precedente mandato, da accuse di ingerenze straniere nella politica degli Stati Uniti d’America.

Anche stavolta molti a casa sua lo potrebbero accusare di sacrificare la sicurezza nazionale in cambio di accordi e strette di mano commerciali, esattamente così come è avvenuto durante l’intero quadriennio del suo precedente mandato con l’accusa di collaborare con la Russia di Putin (e addirittura di ingerenza di quest’ultimo nel processo elettorale americano: il cosiddetto “RussiaGate”).

Accusa evidentemente infondata ma che ciò nonostante è riuscita a guadagnare per quasi quattro anni le prime pagine di tutti i “media”, cioè per l’intera durata della sua presidenza.


Se invece egli volesse addivenire ad accordi internazionali attraverso delle credibili preventive minacce, ecco che dopo tutta la baruffa sui dazi egli potrebbe trovarsi ad operare molto più liberamente poiché il dividendo di tali possibili dialoghi verrebbe inevitabilmente “arricchito” da qualche concessione commerciale portata a casa a favore dell’intera economia americana. Contro i quali benefici evidentemente nessuno oserebbe alzare un dito di protesta!

I VERI INTERESSI DELL’AMERICA DI TRUMP

In fondo Trump si è sempre ripromesso di ridurre il costo implicito dell’inflazione, che erode i risparmi e danneggia le classi più deboli. E per farlo occorre innanzitutto riuscire a far scendere il costo dell’energia, cioè in primis quello del petrolio, dal momento che la massima parte della produzione globale di pannelli fotovoltaici è in Cina, la quale resta il maggior rivale commerciale. Per far scendere il prezzo del petrolio Trump deve inevitabilmente riuscire a risolvere i maggiori conflitti armati, a partire da quello con la Russia in Ucraina. E questo accade nonostante gli U.S.A. siano uno dei maggiori estrattori di petrolio al mondo. Accade perché in realtà, ciò che crea un vero vantaggio competitivo all’America è invece la tecnologia, la quale necessita di poter contare, per svilupparsi, di grandi quantità di energia ad un costo accettabile.


Non solo: l’America di oggi giorno potrebbe risultare particolarmente sensibile alla riduzione dell’inflazione (o comunque dei tassi d’interesse) dal momento che l’enorme debito pubblico genera al momento una mole di interessi da pagare ai sottoscrittori dei titoli di stato tale da dimezzare le entrate fiscali nette. Impossibile dunque risanare il bilancio federale americano senza trovare il modo di ridurre l’immenso onere per interessi. Trump questo lo sa bene e sa anche che a poco varrebbe la giustificazione (molto in voga a casa nostra) secondo la quale lui ha solo ereditato quel problema dai suoi predecessori.

L’ANDAMENTO DEL DEFICIT PUBBLICO FINO ALL’AMMINISTRAZIONE BIDEN

In questo gli U.S.A. mostrano interessi economici sostanzialmente opposti a quelli del Regno Unito, che esporta petrolio e che intendeva mettere le mani su buona parte delle risorse naturali dell’Ucraina, se la guerra non fosse andata così male. Se dunque la gigantesca parata sui dazi nascondesse l’intento di un dialogo più serrato con i BRICS di quanto si potrebbe sospettare (i quali, occorre ricordarlo, rappresentano un mercato potenziale per le merci americane costituito da più di 5 miliardi di individui), ecco che chi ci rimetterebbe di più sarebbero soprattutto le medie potenze europee, che rimarrebbero fuori da quei dialoghi.

Ma sopra ogni altro obiettivo Trump ha già dichiarato la sua volontà di dialogare “singolarmente” con gli altri Paesi del mondo, a prescindere dagli Organismi Internazionali o dalle alleanze che li legano gli uni agli altri. E, indubbiamente, il mettere a rischio le interazioni di ciascun Paese con l’America rappresenta una minaccia credibile che può spingerli a dialogare in ordine sparso.


In un mondo rappacificato invece, con i costi di energia e materie prime ai minimi termini e con il conseguente sviluppo della domanda di tecnologia, probabilmente l’America riuscirebbe a mantenere la sua leadership globale senza vessare nessuno e riscoprendo i valori umani più profondi sul rispetto dei quali si erano basati i suoi fondatori.

È soltanto una delle possibili altre spiegazioni. Come detto ciò che succederà dipenderà anche da altri fattori. Ma come Sir Arthur Conan Doyle faceva dire a Sherlock Holmes: “una volta eliminato tutto l’impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev’essere la verità”…

 

Stefano di Tommaso