UN MERAVIGLIOSO EQUILIBRIO

La settimana scorsa è stata caratterizzata da qualche scossone sui mercati a causa di una serie di allarmi lanciati da numerosi esperti. Il dubbio principale che sta emergendo riguarda i “veri” profitti che possono derivare dagli ingenti investimenti in Intelligenza Artificiale, cosa che ha determinato una relativa discesa dei corsi azionari delle “Magnifiche Sette” multinazionali tecnologiche, dopo che peraltro avevano continuato a correre molto a lungo. Non è chiaro pertanto quanto i mercati abbiano recepito quei dubbi e quanto invece non abbiano semplicemente deciso di portare a casa i profitti derivanti dalle plusvalenze.

La situazione dei mercati tuttavia, sebbene perturbata da una rinnovata volatilità, non sembra compromessa e ci sono ancora numerosi (e bravissimi) analisti che continuano a giurare che le borse continueranno a salire, almeno fino a fine anno. Anche dal punto di vista macroeconomico la situazione non sembra fornire immediati mal di testa. Diverso è invece lo scenario se proviamo a guardare un po’ più in là.
L’economia americana ad esempio pare stia correndo ancora più velocemente che in passato e ci sono realistiche aspettative del fatto che la crescita annualizzata del prodotto interno lordo d’oltre oceano possa aver toccato, nel terzo trimestre scorso, la soglia del 4% (come noto il blocco dell’amministrazione federale americana ha impedito la diffusione di numerose statistiche e ci sono solo stime al riguardo).

Questa volta indubbiamente appare più difficile sperare che la crescita economica degli U.S.A. faccia da traino a quella del resto dell’Occidente a causa delle elevate barriere doganali che nel corso dell’anno sono state erette dalla nuova amministrazione presidenziale. Tuttavia non è impossibile ritenere che -sebbene molto indirettamente- quello sviluppo economico alla fine possa comunque arrivare a contribuire ad un moderato sviluppo economico anche del continente europeo.
L’Europa d’altro canto sta mettendo in campo uno sforzo collettivo nella direzione del riarmo bellico da parte di tutti i propri governi nazionali. Uno di quelli con pochi precedenti nella storia, che indubbiamente costituisce un importante contributo allo sviluppo (o quantomeno al contenimento della caduta) del prodotto interno lordo. Nel breve termine inoltre poco importa che tale sforzo avvenga attraverso l’espansione dell’indebitamento pubblico. Oltre il breve termine invece le cose potrebbero essere diverse.

Sarebbe piacevole poter scrivere senza problemi che i mercati finanziari si muovono in accordo con uno scenario economico positivo e che i profitti aziendali attesi dalle borse sono tutto sommato ampiamente giustificati non soltanto dagli stimoli all’industria occidentale derivanti dalla maggior spesa militare, ma anche dagli indubbi incrementi di produttività che proverranno dal progressivo utilizzo delle nuove tecnologie. E tutto ciò, sebbene con modalità e misure molto diverse da nazione a nazione, probabilmente riguarderà tutto l’Occidente.
Sarebbe altrettanto piacevole poter affermare con tranquillità che le borse restano impostate su un percorso di crescita di valore anche in funzione dell’attesa di tassi d’interesse in discesa (ancora oggi il 51% degli osservatori resta convinto che la Federal Reserve Bank of America taglierà ancora una volta i tassi d’interesse a breve termine nella prima decade di Dicembre) nonchè di una nuova fase del Quantitative Easing (politiche monetarie espansive) il quale a sua volta costituirà la primissima ragione per la quale i mercati finanziari potrebbero ancora registrare nuovi massimi. Tra l’altro se ciò avverrà sarà piuttosto probabile che le altre banche centrali occidentali si accoderanno.

Il bello è che, se da un lato pare assolutamente realistico convenire circa la speranza che l’Intelligenza Artificiale potrà contribuire positivamente allo sviluppo economico globale, se al tempo stesso appare altrettanto realistico prevedere che -per molti motivi- alla fine la banca centrale americana probabilmente si orienterà su politiche monetarie discretamente espansive, dall’altro lato la perplessità di fondo di molti osservatori deriva dalla consapevolezza del fatto che tutto ciò non accadrà senza scatenare nel tempo altre conseguenze negative, forse già poco oltre il brevissimo termine.
Le principali conseguenze negative che possono derivare dalla congiuntura attuale, nutrita dagli importanti stimoli fiscali derivanti dalla maggior spesa pubblica e dagli altrettanto potenti stimoli monetari derivanti dall’immissione di nuova liquidità da parte delle banche centrali, possono tutte sintetizzarsi in una sola parola: inflazione. Un’inflazione che potrebbe riproporre esattamente la stessa dinamica di cinquant’anni fa (vedi grafico):

E ciò non soltanto perché la grande liquidità continua a trainare verso l’alto il prezzo dell’oro il quale resta -nel lungo termine- la misura più esatta della svalutazione monetaria, cioè del “de-basing” delle principali valute di conto. Ma anche perché occorre tenere conto del fatto che c’è un motivo per il quale la crescita economica globale registrata negli ultimi mesi non ha riportato verso l’alto il prezzo dell’energia e delle materie prime e questo motivo risiede nella straordinaria congiuntura positiva che ha permesso all’offerta di petrolio, gas e di molte altre “commodities” di eccedere la relativa domanda, contenendone i prezzi.
Il mondo intero ha dunque potuto godere di un 2025 nel quale la crescita economica (che si è tradotta in una maggior domanda di beni e servizi), non ha trainato al rialzo i prezzi delle materie prime e dei principali prodotti industriali dal momento che la loro offerta ha superato la domanda. Anche (e soprattutto) per questo motivo non abbiamo assistito ad una ripresa consistente dell’inflazione. Diverso è invece per il costo dell’energia elettrica dal momento che la domanda di energia dovuta alla moltiplicazione dei Data Center supera costantemente l’offerta che discende dall’attuale potenza installata di generazione elettrica.
Ovviamente, man mano che la crescita economica prosegue indisturbata (anzi stimolata da un meraviglioso concerto di politiche fiscali e monetarie) è sempre più lecito chiedersi quanto a lungo potrà durare questa situazione di eccesso di offerta di petrolio, gas, materie prime e semilavorati industriali. E la risposta rischia di essere deludente: piuttosto poco tempo, prima che la situazione rischi di arrivare a ribaltarsi.

Ma occorre aggiungere che nel frattempo l’inflazione dei prezzi registrata dalle statistiche ufficiali occidentali non è mai scesa sotto una certa soglia. E che questa non corrisponde a quel famoso livello del 2% indicato dagli economisti come “ottimale” per l’economia, bensì è più vicina al 3%, soprattutto in America dove i redditi (e i consumi) appaiono sicuramente meno influenzati da altri fattori come accade in Europa. E bisogna ricordare che quel numero è comunque nel migliore dei casi una buona media delle variazioni di numerosi prezzi che si sono mossi in modo molto variegato. Nel peggiore dei casi invece quel numero è dipende da studi statistici decisamente “ammaestrati” dalla politica.
Anche senza voler in questa sede proseguire con l’indagine macro-economica che necessiterebbe la strana congiuntura astrale che stiamo vivendo, appare probabile che a un possibile incremento dell’inflazione corrisponda, presto o tardi, un incremento dei tassi d’interesse. Soprattutto di quelli a medio e lungo termine, che sono meno facilmente “gestibili” dalle banche centrali e che contano molto di più nell’influenzare tanto le valutazioni d’azienda quanto il costo del denaro preso a prestito. Si veda in proposito A quali eccessivi livelli è giunto l’indicatore di “sopravalutazione” delle aziende caro a Warren Buffett:

Ecco: il nervosismo che stiamo registrando negli ultimi tempi sui mercati finanziari può essere innanzitutto essere spiegato soprattutto dai (fondati) timori che alla fine i tassi d’interesse invece di scendere possano finire col crescere. Ma questa è soltanto la punta dell’iceberg contro il quale l’economia mondiale rischia di andare a cozzare. Sotto la superficie dell’oceano infatti il grosso del problema consisterebbe nelle conseguenze che un rialzo di tassi potrebbe avere in termini di sostenibilità dei debiti pubblici occidentali. Un problema amplificato dal fatto che, fuori dagli Stati Uniti d’America e dai Paesi Emergenti (cioè principalmente l’Europa), la crescita economica restante appare quasi nulla.
La situazione attuale dell’economia globale insomma appare rosea soltanto tenendo conto dell’incremento di liquidità costantemente operato dalle banche centrali di tutto il mondo e altresì tenendo conto dello stimolo fiscale generato dall’incremento costante della spesa pubblica, cosa che genera però una crescita smisurata dei debiti pubblici complessivi. Due fattori circa la cui sostenibilità nel lungo termine è lecito nutrire dei dubbi.
Se teniamo poi conto del fatto che ci troviamo molto vicini ai massimi storici di sempre delle borse di buona parte del pianeta, ecco spiegata la crescente prudenza degli investitori e dei risparmiatori circa il come potrebbe evolvere la situazione nel prossimo futuro. Se i profitti aziendali delle principali imprese quotate in borsa nel mondo non proseguiranno la straordinaria crescita registrata negli ultimi tempi, se i tassi d’interesse saliranno e se la crescita economica globale non proseguirà come oggi, allora sarà necessario abbassare i moltiplicatori delle valutazioni aziendali, cioè osservare una riduzione dei valori delle aziende quotate.

Ecco però anche spiegato il motivo del ricorso generalizzato a beni rifugio alternativi ai valori azionari come l’oro e gli altri metalli preziosi, per proteggersi dalla svalutazione monetaria o da possibili scrolloni dei mercati finanziari. La svalutazione monetaria tuttavia può contribuire non poco a spiegare la crescita dei prezzi dei listini delle bose: in termini di valore aureo infatti quest’ultima è stata addirittura negativa. Ed ecco spiegata la prudenza degli investitori nei confronti dei titoli a reddito fisso: se le aspettative sono quelle di una prosecuzione della svalutazione monetaria allora il rendimento dei titoli obbligazionari non potrà che salire.

In conclusione di questa lunga carrellata di considerazioni non appare così singolare l’atteggiamento sempre più prudente degli investitori nei confronti dei mercati finanziari: da un lato il mondo appare vicino a un punto di svolta, che potrebbe anche essere doloroso. Dall’altro lato la svalutazione monetaria spinge a comperare azioni e non obbligazioni, dal momento che sono quote parte di attività reali che possono rivalutarsi nel tempo. E al tempo stesso non si può non tenere conto del fatto che la crescente liquidità in circolazione alimenta anche il mercato obbligazionario, che dunque non scende di prezzo (cioè non sale di rendimenti) sintantoché la domanda supera l’offerta. Un meraviglioso equilibrio dunque, che però non sembra molto probabile possa durare a lungo.
Stefano di Tommaso




























