GUARDARE OLTRE L’ORIZZONTE

Ė giustificata l’apprensione dei mercati finanziari per la possibilità di scoppio della bolla speculativa relativa all’intelligenza artificiale? Davvero le borse stanno per crollare come invoca qualche (solita) cornacchia? E i tassi d’interesse riprenderanno a salire dopo la breve pausa discendente? Probabilmente no, niente di tutto questo, dal momento che l’economia americana (dove si concentra quasi il 70% della finanza globale) resta solidamente in crescita e dal momento che i profitti delle imprese tecnologiche non sembrano avere intenzione di flettere. Tuttavia esistono davvero motivi di incertezza e questa volta cercheremo di soffermarci su di essi per comprendere cosa sta succedendo dietro alle quinte del palcoscenico.

LA LIQUIDITÀ COMANDA SULLE ALTRE VARIABILI

L’economia mondiale ha sino ad oggi beneficiato di vari fattori positivi, primo fra tutti la grande liquidità che circola sui mercati finanziari, la quale ha favorito le quotazioni delle borse e la sottoscrizione dei titoli di stato, rendendo ”sostenibile” un debito globale che continua a battere ogni record, con un’attivismo delle banche centrali (le prime responsabili della liquidità in circolazione) che non si era mai visto prima. Essa ha a sua volta favorito la moltiplicazione degli investimenti tecnologici e infrastrutturali i quali hanno contribuito non poco a mantenere elevato il prodotto lordo americano (e anche quello globale). In altre occasioni una simile congiuntura avrebbe portato a un surriscaldamento dell’economia e ad un’impennata dell’inflazione dei prezzi, per contenere la quale di norma arrivava una stretta monetaria che generava puntualmente recessione.

Invece questa volta la congiuntura positiva è coincisa con l’esaurimento di un ciclo di precedente inflazione, con un deciso attivismo delle politiche fiscali (incentivi e spesa pubblica) dei governi di tutto il pianeta, con un’offerta di petrolio e di altre materie prime che ha superato la domanda (e ne ha mantenuto basso il prezzo) e con uno straordinario slancio verso le nuove tecnologie legate alla cosiddetta intelligenza artificiale e con elevatissimi investimenti per realizzare le strutture che fornire quest’ultima. Ciò ha permesso a molte imprese quotate di realizzare meravigliosi profitti i quali a loro volta hanno giustificato quotazioni record delle borse valori di tutto il mondo.

L’INFLAZIONE AVREBBE DOVUTO RISALIRE

Ancora oggi, nonostante qualche sussulto di assestamento, i listini delle borse valori continuano a restare vicini ai massimi di sempre e i tassi d’interesse sono rimasti sotto controllo, nonostante una doppia circostanza che avrebbe potuto spingerli in direzione opposta:

la monetizzazione di parte dei debiti pubblici operata dalle banche centrali, che normalmente genera svalutazione monetaria e, prima o poi, inflazione dei prezzi, e
l’incremento costante dell’indebitamento globale che espande l’offerta di carta finanziaria alla quale non sempre corrisponde altrettanta domanda, cosa che normalmente genera un innalzamento dei rendimenti richiesti dagli investitori per sottoscrivere un maggior volume di titoli a reddito fisso.
Nonostante questi due fattori invece i tassi d’interesse sono rimasti ampiamente sotto controllo e l’inflazione rilevata in tutto il mondo è rimasta stabile, sebbene non in estinzione. La più probabile ragione di ciò è da imputare appunto alla grande liquidità, anche se gli ottimi profitti di gran parte delle imprese quotate ha aiutato non poco il processo generale.

LA TENDENZA AL RIBASSO DEI TASSI D’INTERESSE PER IL MOMENTO RESTA CONFERMATA

Il punto è che nessun ciclo può durare in eterno e periodicamente i mercati finanziari iniziano a temere che quella gigantesca liquidità possa non restare così elevata troppo a lungo. Un fattore ad esempio che ne ha consentito l’espansione pare sia stato il cosiddetto “carry trade” degli investitori in Dollari americani che si indebitavano in Yen giapponese, consentendo profitti facili perché il Giappone non alzava i propri tassi d’interesse. Oggi però quella finestra sta chiudendosi. Così come sempre maggiori dubbi si fanno strada a proposito dell’effettiva profittabilità degli ingenti investimenti in infrastrutture atte a generare intelligenza artificiale.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NON È TUTTO

Le elevatissime valutazioni relative ai fornitori di microchip per l’AI come pure alle cosiddette hyperscaler (fornitori di servizi cloud che gestiscono enormi data center su scala globale) hanno contribuito non poco agli attuali livelli record delle borse e così un loro eventuale ridimensionamento (o un rialzo dei tassi d’interesse) potrebbe determinare un ciclo ribassista. Sarebbe relativamente fisiologico anche se, ancora una volta, ciò appare poco probabile.

Molte considerazioni spingono a mantenere un approccio ottimistico ai mercati finanziari:

  • Innanzitutto la stagionalità: siamo alla vigilia di fine anno, quando i grandi gestori di patrimoni misurano le loro performances per dedurne un premio di performance. Questo rende improbabile un ciclo ribassista che precede tale momento;
  • In secondo luogo per la liquidità: è relativamente probabile che essa resti elevata perché le banche centrali -oltre che di stabilità dei prezzi- devono preoccuparsi della stabilità finanziaria. Dunque ciò che sta già avvenendo è che inizieranno a sostituire la liquidità che sui mercati si sta esaurendo con probabili nuovi interventi di espansione monetaria, nel timore che il sistema bancario possa incorrere in pericoli di insolvenza;
  • Inoltre perché è piuttosto improbabile che l’espansione della politica fiscale in corso in tutto il mondo si interrompa, a causa della spesa militare, della gara tecnologica tra oriente e occidente del mondo e della necessità di fornire sostegno al gran numero di nuovi disoccupati che derivano dalla diffusione delle nuove tecnologie;
  • Infine perché i prezzi delle materie prime e della componentistica industriale di base sembrano strutturalmente destinati a rimanere sotto controllo, contribuendo non poco a combattere l’inflazione dei prezzi.

IL PREZZO DEL PETROLIO RESTA IN UN CANALE DISCENDENTE

Per tutti questi motivi la situazione d’incertezza che viene correttamente percepita da analisti finanziari ed economisti non sembra destinata -nel breve termine- a generare panico sui mercati finanziari, se non per le piccole e medie imprese, che potrebbero presto pagare più caro il debito.

L’indice azionario delle piccole e medie imprese americane è sceso più degli altri

La tendenza generale resta però piuttosto positiva e difficile da erodere in fretta.

LA TEMDENZA DI FONDO DELL’INDICE STANDARD & POOR RESTA AL MOMENTO RIALZISTA

MA LO SCENARIO CAMBIA SU UN PERIODO PIU LUNGO

Tutt’altra cosa è se invece guardiamo alla medesima situazione nel lungo periodo (5–10 anni), per vari motivi:

  • innanzitutto perché -nonostante i probabili interventi di sostegno delle banche centrali- il sistema globale del credito potrebbe non riuscire ad evitare una contrazione generalizzata;
  • in secondo luogo perché le banche centrali potrebbero essere costrette a limitare un’eventuale nuova stagione di “quantitative easing” (politiche monetarie espansive) a causa del crescente rischio di inflazione);
  • è poi relativamente probabile che le aspettative dei mercati nei confronti delle nuove tecnologie risultino in seconda analisi un po’ meno rosee di quanto appaiano oggi;
  • inoltre l’effetto “occupazionale” negativo dell’iper-automazione che deriverà dalle nuove tecnologie giungerà inevitabilmente a frenare la crescita economica globale;
  • infine occorre guardare alla dinamica dei prezzi delle materie prime, sino ad oggi rimasta straordinariamente bassa nonostante la gigantesca espansione monetaria, la monetizzazione dei debiti pubblici e la relativa scarsità di terre rare e metalli preziosi (che inevitabilmente si accentua in presenza di tensioni geopolitiche). Il rialzo dei loro prezzi potrebbe spingere al rialzo i tassi d’interesse e il costo delle “commodities”(beni primari e fungibili, scambiati globalmente senza grandi differenze qualitative, come materie prime agricole ed energetiche, metalli e semilavorati), cronicizzando l’attuale inflazione strisciante.

Per questi motivi è lecito attendersi da qui a pochi mesi una dinamica meno positiva della spesa per investimenti in tutto il mondo, tanto per controbilanciare gli eccessi attuali quanto per il fatto che una parte dello sviluppo economico si “smaterializza” trasferendosi dai beni ai servizi. Se ciò accadrà è lecito attendersi qualche tensione aggiuntiva sul mercato del lavoro globale, che potrebbe penalizzare a sua volta anche la spesa per consumi.

Anche i consumi mostrano già oggi andamenti divergenti: i consumatori e gli acquisti delle imprese di fascia alta vivono ancora un contesto di crescita mentre quelli della fascia bassa iniziano a faticare. Ciò produce andamenti contrastanti e rende difficile fare previsioni positive oltre il prossimo anno.

Infine la demografia può giocare un ruolo negativo: in tutto l’Occidente da qui a poco tempo la generazione dei “baby boomers” (che ha avuto il suo picco nel 1964) andrà in pensione, iniziando a spendere meno e a consumare con più attenzione i risparmi accumulati, mentre le generazioni successive hanno sicuramente accumulato minore ricchezza. L’espansione demografica dei paesi emergenti contrasta la riduzione dei paesi occidentali, ma genera consumi di più basso prezzo, limitando la crescita delle vendite di beni di lusso e di consumo durevole. Dunque è lecito attendersi una minor dinamica della spesa per consumi cospicui in tutto il mondo.

L’ECONOMIA, “SCIENZA TRISTE”

In definitiva sé il quadro congiunturale attuale appare buono nonostante i sussulti e gli scossoni, quello macroeconomico che emerge per il prossimo futuro sembra invece non poter evitare le tinte fosche:

  • da un lato è lecito attendersi una prosecuzione dell’attuale ciclo monetario positivo che potrebbe produrre una dinamica ulteriormente positiva per le borse, per i tassi d’interesse e per i consumi (in presenza di un’inflazione ancora sotto controllo);
  • dall’altro lato il ciclo attuale sembra difficile possa proseguire indefinitamente sulla strada attuale. Ed è relativamente probabile che il costo del credito riprenda a salire, che la dinamica dei prezzi di materie prime e semilavorati resti bassa ancora a lungo, che l’inflazione resti ancora a lungo sotto controllo (anche perché il livello globale di indebitamento continua a crescere) e che la disoccupazione resti bassa ancora a lungo.
    Le conseguenze in termini macroeconomici dell’inversione del ciclo attuale potrebbero dunque consistere nel terminare l’epoca attuale di tassi d’interesse relativamente bassi, nella probabile riduzione della straordinaria positività dei profitti generati dalle imprese quotate (i quali a loro volta hanno giustificato gli attuali picchi nelle valutazioni aziendali) e nella possibile degenerazione delle attuali tensioni geopolitiche in qualche ulteriore conflitto armato. Tutte cose che potrebbero inaugurare un nuovo ciclo ribassista sui mercati finanziari.

A MENO CHE…

Diverso sarebbe invece se le tensioni geopolitiche iniziassero nel prossimo futuro a placarsi per lasciare luogo ad una nuova distensione internazionale. Cosa che potrebbe aiutare il pianeta a intraprendere un nuovo ciclo economico positivo, che giustificherebbe tanto l’espansione monetaria in corso quanto le attese di un ulteriore prolungato periodo di contenimento dei prezzi delle materie prime e, eventualmente, anche di una ripresa delle politiche ambientali attive nella riduzione delle emissioni dannose.

COSA FARE DUNQUE ?

Ovviamente, nel dubbio occorre prudenza nel medio termine, soprattutto per gli investimenti produttivi, la finanza d’impresa per i passaggi generazionali, per l’investimento dei (pochi) risparmi. Il quadro, come abbiamo visto, appare destinato a cambiare, non foss’altro per il probabile “movimento del pendolo della storia”:

  1. Dunque non è detto che l’espansione della capacità produttiva sia la strada più saggia, sebbene spesso la scala industriale comporta inevitabili economie di costo, che alla lunga conteranno non poco. Migliore è invece la diversificazione geografica, dal momento che molte frontiere rischiano di rimanere semichiuse nel prossimo futuro (sinanco all’interno della cosiddetta Unione Europea!);
  2. Se è vero che la situazione dei mercati appare complessa, ma non già compromessa, le direzioni finanziarie aziendali dovrebbero cogliere il momento favorevole per raccogliere risorse a titolo di finanziamento o di capitale, o di tutte le possibili vie di mezzo, per approfittare della meravigliosa liquidità ancora disponibile e programmare investimenti non necessariamente urgenti;
  3. Sempre per il fatto che la bonanza attuale potrebbe mutare senza preavviso, le aziende industriali devono assolutamente evitare di speculare sulle materie prime, sul costo dell’energia e sui differenziali di prezzo, perché la volatilità potrebbe risultare letale per chi produce o distribuisce;
  4. Non sembra invece saggio rinviare eventuali decisioni relative ai passaggi generazionali, alle cessioni d’azienda o alla raccolta di capitali, per i medesimi motivi;
  5. Piu difficile è consigliare di affrettare le decisioni di acquisto di aziende o gruppi societari, soprattutto quando non sono immediatamente a portata di mano le economie di scala e le sinergie produttive (o distributive). In questi ultimi casi l’efficientamento (quello vero) è probabilmente il mantra del momento, unitamente alla considerazione relativa alla dimensione del business: se le condizioni generali dei mercati finanziari peggioreranno, sarà piu difficile raccogliere risorse finanziarie per le imprese al di sotto di determinate soglie dimensionali;
  6. Infine l’aspetto più controverso riguarda la gestione dei risparmi: sicuramente le prospettive di incremento della liquidità sconsigliano il “fai da te”, ma è altrettanto vero che la possibilità di un’inflazione che non demorde sconsiglia anche il restare liquidi. Per i piccoli portafogli sono sicuramente preferibili i titoli azionari difensivi e con buona cedola, dal momento che rischiano di risultare piu prudenziali dei titoli a reddito fisso. Per gli altri (quelli grandi) molto dipende dall’orizzonte di programmazione: se breve conviene probabilmente “buy the dip”, se medio o lungo occorrerà una certa dose di “hedging” sul reddito fisso.


Stefano di Tommaso




SVALUTAZIONE MA NON INFLAZIONE

La scorsa settimana la banca centrale americana (che spesso guida tutte le altre banche centrali) ha ridotto il tasso di sconto di un quarto di punto ma ha anche lanciato qualche segnale di allarme circa la possibilità di ulteriori passi nella medesima direzione. Si è vista perciò qualche piccola inversione degli andamenti dei mercati: i rendimenti di azioni e titoli a reddito fisso sono leggermente aumentati, dollaro e petrolio si sono apprezzati un po’. La cosa è abbastanza normale: un vecchio detto di borsa recita “buy on rumors, sell on news”, ma questo non significa che le tendenze di fondo siano cambiate. Anzi, gli ultimi dati sull’inflazione nel mondo lasciano sperare che questa non abbandoni i livelli attuali e sia dunque meno probabile una nuova ondata di rialzi dei prezzi, anche grazie al fatto che quelli di petrolio e materie prime rimangono relativamente quieti.

L’ANDAMENTO DEI RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATO AMERICANI A 10 ANNI

Ciò continua ad alimentare un pericoloso ottimismo di fondo, nonostante quasi tutti gli indicatori relativi ai mercati finanziari si trovino vicini ai massimi di sempre e rendano statisticamente più probabili eventuali correzioni e picchi di volatilità delle quotazioni. In particolare resta forte la sensazione che gli investimenti sull’intelligenza artificiale possano continuare a trainare lo sviluppo economico americano nonostante il mercato del lavoro non brilli e i consumi non ruggiscano. Quello che però si può notare è che le cose vadano meglio per le grandi multinazionali che possono contare su grande solidità finanziaria e che stanno raccogliendo risorse a mani basse approfittando della grande liquidità dei mercati. Le piccole e medie imprese invece restano meno favorite e si attende di vedere se il costo del denaro continuerà a calare e se la liquidità resterà alta. Lo stesso vale per le banche, motori delle borse europee, le quali tuttavia evidenziano ancora ottime rendite di posizione nonostante la tendenza a una riduzione dei tassi d’interesse.


In generale in tutto il mondo i profitti aziendali delle grandi corporation quotate in borsa continuano a superare le attese, nonostante i dati macro-economici globali siano poco brillanti al di fuori dell’America. Tuttavia l’effetto combinato dell’abbondanza di utili delle società quotate e della grande liquidità dei mercati sta puntellando le quotazioni di qualsiasi cosa, impedendo pericolosi smottamenti. Anzi, le aspettative di fondo degli investitori professionali restano buone, almeno fino a fine anno.


Questo impedisce che criptovalute, metalli preziosi e altri beni-rifugio riprendano la loro corsa al rialzo (anche perché lo hanno fatto già a lungo) anche se l’altro motivo per il quale i risparmiatori acquistano azioni è per contrastare la svalutazione monetaria, dal momento che le aziende sono percepite come attività reali. E più aumenta la svalutazione più è probabile che le criptovalute e gli altri beni-rifugio possano riprendere quota.

L’ANDAMENTO DEL BITCOIN RESTA INCERTO

Molto dipenderà anche dalla complessa situazione geopolitica globale, che finora ha visto l’amministrazione repubblicana americana scatenare molte guerre commerciali che in prima battuta hanno spaventato i mercati ma che in seguito, in modo relativamente inaspettato, hanno fatto segnare diversi punti a suo favore. Trump sta ottenendo infatti un flusso consistente di denaro dalle tariffe doganali e numerose promesse, facilitazioni o risorse per le imprese americane da buona parte degli altri paesi del mondo. Ciò ha limitato le preoccupazioni per il debito pubblico a stelle e strisce e, a sua volta, ha tranquillizzato i mercati.


L’ottimismo di fondo dei mercati tuttavia è principalmente dettato dall’abbondante liquidità immessa dalle banche centrali (che persino la Fed contribuirà ad accrescere) e dalla riuscita della manovra americana volta a ridurre i prezzi delle commodities (materie prime e derrate alimentari). Più volte tuttavia in passato i mercati hanno mostrato miopia e hanno poi improvvisamente cambiato idea. Oggi poi il numero di fattori che potrebbero oscurare l’orizzonte di ottimismo di borse e mercati resta decisamente elevato. In particolare è forte la tendenza di quasi tutte le nazioni del mondo a incrementare i debiti pubblici e a richiedere alle banche centrali di monetizzarne almeno una parte. Questo significa che proseguirà inesorabile la perdita del contenuto di valore intrinseco delle principali divise monetarie, anche se al momento ciò continua, per numerosi motivi, a non tradursi in un cospicuo rialzo dei prezzi di beni e servizi.

IL PREZZO DELL’ORO IN DOLLARI È CRESCIUTO ESATTAMENTE QUANTO LA LIQUIDITÀ DISPONIBILE

Ovviamente tutti sanno che questo disaccoppiamento tra svalutazione monetaria e inflazione non potrà durare in eterno, così come le banche centrali non potranno continuare in eterno a pompare liquidità sui mercati. Alto rimane anche il rischio di nuovi allarmi (che provocherebbero rialzi generalizzati dei prezzi delle materie prime) a causa del numero elevatissimo di situazioni di conflitto locale ove la maggior parte delle nazioni OCSE è (anche militarmente) contrapposta a quelle appartenenti ai BRICS. Eppure per il momento i mercati finanziari si mostrano resilienti e continuano a puntare a nuovi record, principalmente in funzione del fatto che la tendenza di fondo dei tassi d’interesse sembra ancora volta al ribasso.

IL PREZZO DEL PETROLIO SEGUE UN TUNNEL DISCENDENTE

Facile dedurne che la situazione può al tempo stesso restare rosea per un tempo indefinito ma anche che, a un certo punto, quell’eccesso di ottimismo può generare anche improvvise e grosse delusioni sui mercati, alimentando l’instabilità, cioè volatilità e riallineamenti delle quotazioni verso il basso. L’economia tuttavia ha a che fare con le vicende umane e resta, in buona parte, più una filosofia che una scienza esatta (oltre che “triste”, come dicevano Malthus e Carlyle). E per continuare con le citazioni, Oscar Wilde osservava argutamente che nel mondo nulla è più costante della precarietà…

Stefano di Tommaso




I TASSI D’INTERESSE STANNO SCENDENDO

La vera novità degli ultimi giorni non è l’inflazione che non sale, non sono nemmeno gli straordinari profitti che le grandi imprese americane stanno continuando a produrre, né l’oro che storna leggermente le sue quotazioni record, bensì il fatto che non soltanto i tassi d’interesse a breve termine sembrano destinati a scendere ma lo stanno facendo anche quelli a lungo termine.

LE ASPETTATIVE SUI PROFITTI AZIENDALI SONO IN CRESCITA

LA LIQUIDITÀ GLOBALE AIUTA I MERCATI

Perché è questa la vera novità? Per il semplice fatto che i governi di mezzo mondo continuano a produrre deficit di bilancio che necessitano di essere finanziati e che dunque la liquidità in circolazione nel pianeta cresce a un ritmo superiore rispetto al debito e i risparmiatori non temono crisi e recessioni. Altrimenti i tassi a lungo termine salirebbero, perché chi finanzia chiederebbe un prezzo crescente per una merce che va rarefacendosi. E invece accade il contrario: chi è disposto a sottoscrivere titoli a reddito fisso a lungo termine oggi lo fa con un rendimento decrescente.

LA MISURA DELLA LIQUIDITÀ GLOBALE 

LE ASPETTATIVE SONO POSITIVE

Il dato (quello della discesa dei tassi d’interesse a lungo termine) non è privo di conseguenze, anche se occorre ricordare che quanto accade oggi non è detto possa proseguire indefinitamente per il futuro. La prima di queste conseguenze è il “sentiment” dei mercati finanziari, che evidentemente resta positivo, nonostante le quotazioni record dell’oro e di altri beni rifugio possano suggerire l’opposto. E ciò è rafforzato dal fatto che anche i listini delle borse valori, pur dopo una fase di elevata volatilità, sono tornati a nuovi massimi storici. Segno di ottimismo generalizzato, tanto sui mercati che per quanto riguarda l’andamento economico globale.


L’ECCEZIONALISMO AMERICANO PROSEGUE

Altrimenti le attese di profitto delle imprese calerebbero, gli investimenti sull’Intelligenza Artificiale si ridurrebbero, i consumi si placherebbero. E invece no. Almeno per ciò che riguarda la prima economia al mondo: quella americana. Per l’Europa la narrativa non può essere la medesima, e forse nemmeno per l’Asia. Dunque persiste il cosiddetto “eccezionalismo americano”, quello che fino a ieri ha sempre giustificato le extra-performance della borsa di Wall Street e sinanco la relativa forza del Dollaro (che, detto per inciso, non sembra più destinato a scendere contro Euro).

IL “DOLLAR INDEX”

L’EUROPA PAGA I CONTI DELLA GUERRA

L’America non deve infatti finanziare (e coinvolgersi) con una guerra in corso alle sue porte (come invece l’Europa), anzi rischia di guadagnare dagli ordinativi di armamenti in corso di ripida ascesa, e non rischia di vedere prosciugate le proprie riserve energetiche (soprattutto qualora il prezzo del petrolio non rimanesse così basso). L’America non rischia nemmeno il collasso di interi settori industriali (come l’Europa con l’automobile, la meccanica industriale e il lusso) e non rischia oggi di doversi confrontare con grandi crisi politiche e istituzionali (come invece succede a buona parte dei governi d’Europa).


L’INFLAZIONE SEMBRA SOTTO CONTROLLO

Ma c’è anche una seconda conseguenza: se i tassi a lungo termine scendono, le borse non stornano e le quotazioni di petrolio, materie prime e altri beni rifugio non scendono, allora tutto questo vuol dire non soltanto che gli investitori appaiono più ottimisti, ma anche che la liquidità che alimenta il circuito non ha conseguenze sull’inflazione: se investitori e risparmiatori se la fossero aspettata in tialzo non avrebbero comperato più titoli a reddito fisso. Se invece qualcuno paga più care le obbligazioni quotate (perché riducano i rendimenti ) significa che i rendimenti reali (al netto dell’inflazione) non sono percepiti troppo in ribasso.


LA STAGFLAZIONE PUÒ ATTENDERE

E questo nonostante il gran battage della stampa tutta allineata sui grandi rischi per l’economia derivanti dai dazi doganali e dalle guerre commerciali. Sembra un secolo ma soltanto un paio di mesi fa lo spettro della “stagflazione” (stagnazione più inflazione) sembrava gettare nel panico i commenti di ogni economista o analista finanziario! In realtà senza gli introiti derivanti dai dazi doganali il deficit di bilancio governo federale americano darebbe molti grattacapi.


MA C’È TROPPA “COMPIACENZA” SUI MERCATI

Ma cosa succede davvero? E’ davvero tornato il sereno stabile sui mercati? Ovviamente no, non è mai tutt’oro ciò che luccica. Innanzitutto perché non sarebbe la prima volta che la Federal Reserve Bank of America si sbaglia sulle sue previsioni macro-economiche che oggi la spingono a far capire ai mercati che opererà almeno un altro taglio dei tassi d’interesse prima di fine anno. È già successo un anno fa e i tassi a lungo termine all’epoca andarono in direzione opposta (al rialzo). La nuova discesa della volatilità può esserne una misura:


I RISCHI GEO-POLITICI NON SONO DIMINUITI, ANZI !

Ma c’è un’altra considerazione che può agitare i sonni dei risparmiatori: il fatto che il mercato finanziario sembra non voler affatto considerare i rischi di deflagrazione delle crescenti tensioni geo-politiche, dal momento che la situazione in Ucraina/Russia appare sempre più esplosiva, che il Venezuela sembra alle soglie di una nuova guerra civile, che le tensioni commerciali tra America e Cina sembrano destinate a peggiorare, che una parte dei paesi africani sono occupati in sanguinosi conflitti, eccetera eccetera eccetera!


ASPETTIAMO UN NUOVO “CIGNO NERO” ?

Il vero unico grande rischio che la festa dei mercati finisca anticipatamente e inaspettatamente insomma è quello di un nuovo “cigno nero” (per dirla con Nassim Taleb). Un evento geopolitico che possa peggiorare radicalmente le prospettive andando a incidere sulle attese di profitto aziendali, ovvero sul reddito disponibile percepito, o infine sui programmi di investimento a lungo termine (come quelli sull’Intelligenza Artificiale o sui Data Center). Un evento che resta ancora oggi relativamente improbabile, ma che sicuramente i mercati non stanno “prezzando” affatto.


LE ALTRE BANCHE CENTRALI SINO AD OGGI HANNO COLLABORATO

E poi il fatto che i tassi d’interesse scendono non dipende soltanto dall’America. Dipende anche (e parecchio) dalla grande liquidità aggiuntiva che ancora oggi affluisce al Dollaro da buona parte del resto del mondo, che numerose banche centrali immettono in circolazione per una moltitudine di motivi. E dipende dal fatto che le maggiori entrate già in corso nel bilancio federale americano, insieme ai numerosi programmi di revisione della spesa pubblica e agli afflussi di moneta dal resto del mondo lasciano sperare il governo americano di poter gestire senza sforzi l’inevitabile incremento in corso del proprio debito pubblico.


IL COSTO DEL CREDITO STA SCENDENDO

La cosa peraltro alimenta (positivamente) il circuito finanziario abbassando (soprattutto in America) i tassi sui mutui e sui finanziamenti alle imprese, in particolare quelle di minore dimensione, meno facilitate delle altre nella generazione di cassa e mediamente molto meno capitalizzate di quelle di più grandi proporzioni. Anche le previsioni di ribasso dei tassi d’interesse federali aiutano a migliorare l’accesso al credito da parte di cittadini e imprese, cosa che permette loro di spendere e investire.


L’EUROPA FANALINO DI CODA DELLE BUONE NOTIZIE

In Europa al contrario la situazione non appare altrettanto rosea, a causa del fatto che i settori più rappresentati dai grandi titoli azionari che dominano le borse riguardano l’automotive, la meccanica, il lusso e i servizi finanziari. Nessuno dei quali può pensare di godere di ottime prospettive. Ciò nonostante le borse europee possono anch’esse beneficiare della grande liquidità in circolazione e del fatto che molti paesi emergenti continuano a ordinare macchinari, impianti e armamenti europei, nonostante le rispettive industrie siano penalizzate dal maggior costo dell’energia. Sempre che altre guerre (commerciali e non) non riducano anche le vendite di queste industrie.


Stefano di Tommaso




ECONOMIA GLOBALE A DUE VELOCITÀ

Alla fine degli eccessi di mercato e dei dubbi conseguenti circa la sostenibilità di quotazioni troppo elevate, una piccola correzione delle borse è arrivata. Ora è piu lecito chiedersi se sia stato soltanto l’inizio di una svolta nell’atteggiamento di risparmiatori e investitori professionali o se essa sarà classificabile soltanto come una pausa prima che i mercati riprendano la loro corsa. Ma per trovare una risposta occorre guardarsi intorno: come va l’economia reale? Continua l’entusiasmo degli operatori? Le banche centrali hanno finito di restringere la politica monetaria? I tassi d’interesse sono davvero in discesa? La risposta, però, non è univoca…


Cominciamo col dire che la Federal Reserve (la più importante di tutte) ha effettivamente dato segnali di distensione, indicando -a seguito del rischio di togliere troppo ossigeno al sistema bancario- la conclusione del “tapering”, cioè della politica monetaria restrittiva. Questo non significa necessariamente che diventerà espansiva, ma è sicuramente qualcosa.


Anche i rendimenti espressi dal reddito fisso sono scesi un filino, più che altro perché le vendite dei titoli azionari hanno dato luogo ad acquisti dí quelli obbligazionari. La qual cosa è tuttavia un secondo segnale “non-negativo”, perché indica che gli investitori stanno riposizionandosi su un approccio meno speculativo ma non stanno fuggendo dai mercati finanziari, come l’ascesa strepitosa del prezzo dell’oro e degli altri metalli preziosi poteva far pensare.


I principali dubbi tuttavia (al di là delle eccessive valutazioni di molti titoli americani) riguardano l’evoluzione della crescita economica: proseguirà indisturbata dai sempre più impetuosi venti di guerra e dalle crescenti restrizioni commerciali internazionali o alla fine fletterà? Ai listini delle borse (composti principalmente di azioni delle grandi multinazionali) più che altro però interessano i profitti attesi: essi continueranno la loro corsa o dovranno riflettere un contesto generale deteriorato?


La congiuntura economica effettivamente può dar luogo a preoccupazioni in tal senso. Il punto però è che manca la sincronizzazione tra le tendenze delle varie principali economie del mondo: quella americana è passata da una foga nei consumi cospicui (che non si è ancora interrotta) ad un incremento degli investimenti tecnologici e dunque ha sostanzialmente proseguito la sua corsa. Le prospettive americane inoltre sono ottimistiche a causa del “reshoring” (il ritorno di numerose attività industriali) che comporta altri investimenti e nuova occupazione. Si può perciò continuare a parlare di “eccezionalismo americano”.

Quella europea molto meno, anzi è chiaramente in decrescita e gli investimenti tecnologici non controbilanciano molto il calo dei consumi nonostante la maggior necessità di inseguire l’iper-digitalizzazione, richiesta dall’utilizzo crescente dell’intelligenza artificiale. L’Europa in generale deve poi confrontarsi con il problema strategico dei costi della guerra con la Russia e con quello conseguente dell’escalation dei costi di approvvigionamento energetico.

Il settore trainante in Europa (quello dei veicoli da trasporto) resta boccheggiante, almeno per ora. L’impiantistica industriale soffre della caduta verticale del mercato interno, le costruzioni e l’immobiliare hanno fino ad oggi beneficiato degli incentivi europei ma adesso devono fare i conti con la scarsità di risorse pubbliche e il settore bancario, che prometteva grandi profitti non potrà che limitarli a causa della sua (almeno parziale)dipendenza intrinseca dall’industria e dal commercio.

L’economia asiatica (così come quella sud-americana) prosegue la sua crescita in funzione delle prospettive positive dei consumi interni ma indubbiamente deve fare i conti con il calo atteso delle esportazioni verso l’Occidente. Le economie emergenti (esclusa la Cina, che oramai è un colosso) risentono a loro volta della crescita demografica ma stanno subendo il calo dei prezzi delle materie prime (in particolare il petrolio è sceso sotto la soglia psicologica dei 60 dollari) e continuano a soffrire il deflusso netto di risorse finanziarie a favore per lo più degli U.S.A.


\Persino nel caso di una crescita a due o tre velocità (America, India, Cina e Giappone da una parte, Europa dall’altra e in mezzo i Paesi Emergenti) le prospettive complessive non appaiono così rosee. C’è poi lo spauracchio del moltiplicarsi dei conflitti armati. Ė vero che le guerre sono sempre un gran business ma il loro eccesso può sortire il contrario.

Dunque le preoccupazioni generali si addensano come nubi nere all’orizzonte delle prospettive di profitto delle imprese quotate e di quello, ancor più pericoloso, della sostenibilità dei debiti pubblici con le entrate correnti. Una preoccupazione ulteriore in tal senso genererebbe una fuga dai titoli a reddito fisso e una conseguente crisi di fiducia. Un problema più per le prospettive a medio termine che non per l’immediato dei mercati finanziari, i quali oggi risentono più della liquidità in circolazione che delle attese di profitto.


A fronte di una decisa risalita della volatilità dei mercati infatti i grandi portafogli si sono “dovuti” riposizionare su una strategia di contenimento dei rischi, che ha favorito il piccolo calo delle borse e l’ancor minore crescita delle quotazioni obbligazionarie. Se essa proseguirà la tendenza negativanbsp; delle borse non potrà che continuare. Se si invertirà i grandi gestori torneranno a comperare azioni e le borse invertiranno la rotta al ribasso. Quello attuale è perciò (almeno da un punto di vista tecnico) un punto di domanda: prevarrà il Toro (cioè l’ottimismo, o rispunteranno forme dí Quantitative Easing che lo favoriscono) oppure le borse dovranno prendere atto delle zampate dell’orso e vireranno decisamente a “sud”?

A favore della prima delle due possibilità c’è la fondamentale considerazione che l’inflazione (mai completamente sopita a causa della crescente monetizzazione dei debiti pubblici che di fatto svaluta la moneta)erode il reddito fisso e favorisce gli investimenti in attività reali (comprese le azioni che sono pur sempre quote di aziende). A favore della seconda i rischi in aumento della geopolitica e quelli ancor più immanenti dei deficit dei bilanci pubblici che minano la capacità di sostenere non soltanto il debito, ma anche i salari reali (e con essi i consumi).

LA,FIDUCIA DEL CONSUMATORE AMERICANO CONTINUA A CRESCERE

Da notare che il prezzo dell’oro (anch’esso una misura dei timori dei risparmiatori) ha potuto beneficiare non soltanto della domanda che da tempo ha superato l’offerta, ma anche del contesto attuale di attese (forse eccessive) di pesante svalutazione monetaria in un contesto di tassi reali dunque sotto lo zero. Se viceversa i rendimenti dovessero tornare a crescere e il “debasement” (il calo del contenuto di valore delle principali divise monetarie) percepito dovesse ridursi al che le quotazioni del metallo giallo potrebbero ridimensionarsi. Senza contare il fattore minerario: alle quotazioni attuali conviene parecchio di più investire per estrarre altro oro e nel lungo termine la sua offerta potrebbe tornare a sorpassarne la domanda.

Stefano di Tommaso