LA CICALA E LA FORMICA

I mercati finanziari hanno recuperato tutto quanto perduto dopo lo scorso 2 Aprile (il cosiddetto “Liberation Day” ). Ora però occorre chiedersi cosa potrà succedere: le borse dopo il rimbalzo torneranno a scendere oppure riprenderanno ancora più quota? Come al solito dipende: dalle prospettive dell’economia reale, ma anche dai profitti delle principali grandi aziende del mondo e dai tassi d’interesse, che a loro volta dipenderanno dall’inflazione. Ma l’andamento delle borse americane asiatiche sembra rivolto in direzione opposta a quello delle borse europee. Vediamo perché e cosa potrebbe succedere in futuro.
WALL STREET E MAIN STREET
Nel grafico qui sopra riportato l’andamento dell’indice principale di Wall Street (lo Standard & Poor 500) che mostra la manovra speculativa al ribasso e l’altrettanto rapida ripresa delle quotazioni sino allo scorso venerdì 2 Maggio. Tuttavia la ripresa dell’indice non ha superato i livelli del 2 Aprile. Secondo il mainstream per le prospettive economiche dell’occidente è stata percepita una forte minaccia a causa dell’incertezza geopolitica globale, a seguito dalle forti dichiarazioni del nuovo Presidente USA relative alle restrizioni alle importazioni dal resto del mondo. Ma occorre anche ricordare che la borsa americana era universalmente considerata sopravvalutata.
In sintesi gli investitori hanno reagito molto male a tali dichiarazioni cavalcando aspettative di stagflazione. La settimana scorsa tuttavia gli stessi investitori hanno dovuto prendere atto di due buone notizie : l’apertura della Cina al dialogo sulle politiche commerciali con l’America e la conferma della forza relativa dell’economia di quest’ultima (attraverso le buone notizie sulla creazione di 177mila nuovi posti di lavoro). A seguito delle quali hanno fatto marcia indietro ed estinto totalmente quel ribasso rispetto alle quotazioni precedenti allo scorso 2 Aprile.
Rispetto all’inizio dell’anno tuttavia le borse americane restano ancora in ribasso, mentre in Europa da inizio anno siamo ben al di sopra della parità, come si può leggere dalle tabelle:
MA I PROFITTI RESTANO BUONI…
Ma i mercati finanziari riflettono le aspettative relative ai profitti futuri che sono al momento molto oscillanti, dai timori più marcati alle speranze più rosee. Se andiamo a guardare i risultati delle maggiori multinazionali tecnologiche americane (grafico qui sotto) ancora una volta troviamo un deciso avanzamento, tanto nei ricavi quanto nei profitti:
Dunque cosa sta succedendo? I profitti delle principali aziende americane stanno davvero frenando? E in tal caso la tendenza macroeconomica generale che si è vista per i primi tre mesi dell’anno potrà trasformarsi in una nuova discesa del listino? Tecnicamente ciò è possibile, dal momento che l’incertezza relativa ai dazi per una certa parte dei costi dei fattori produttivi (molti dei quali vengono importati dall’Asia) inciderà senza dubbio negativamente, almeno per quanto riguarda le piccole imprese. Ma occorre guardare molto oltre per formulare previsioni più accurate.
A COSA È DOVUTO IL CALO DEL PIL AMERICANO
Se andiamo ad analizzare a cosa sia dovuto il brusco calo del PIL americano del primo trimestre 2025 emerge chiaramente come il balzo delle importazioni (esportazioni nette negative) sia stata la quasi unica componente che ha generato la sua frenata (come si può leggere inequivocabilmente dal grafico sotto riportato), oltre a un piccolo contributo derivante dal calo della spesa pubblica. Però senza il forte aumento delle importazioni addirittura avremmo potuto vedere un’accelerazione della crescita a causa dell’andamento positivo delle altre componenti.
E allora chi ha ragione? Gli ottimisti (che affermano che l’effetto dazi sia quantomai passeggero e che addirittura essi abbiano imposto una deflazione dei prezzi) o i pessimisti (secondo i quali gli effetti reali dell’incertezza devono ancora manifestarsi)? Probabilmente entrambi. Il che evidenzia un bel dilemma: quale delle due opinioni prevarrà sull’altra? Oppure hanno entrambi ragione e alla fine i maggiori costi derivanti dai dazi alle importazioni si controbilanceranno approssimativamente con il calo dei prezzi energetici?
DOLLARO E PETROLIO
La risposta non è banale e probabilmente cosa succederà davvero all’economia americana in uno spazio di tempo ragionevole non può saperlo davvero nessuno. Se però teniamo conto dell’altro fattore che pesa sui costi delle importazioni -la discesa del cambio del Dollaro– (come si può vedere qui sotto) allora l’impressione è che gli effetti si mescoleranno tra di loro generando un possibile aumento (almeno temporaneo) dei prezzi dei beni importati con la conseguenza di un probabile ulteriore rallentamento dei consumi (in linea con le attese).
Da notare tuttavia è che nel lungo termine l’andamento dei prezzi al consumo (l’inflazione) è proporzionale all’andamento del prezzo dell’energia, a sua volta molto dipendente da quello del petrolio. Quest’ultimo invece continua a scendere, avendo appena superato al ribasso la soglia psicologica dei 60 dollari al barile (come si può vedere dal grafico qui sotto riportato):
Dunque è ragionevole pensare che nel tempo il minor prezzo dell’energia e la possibile discesa dei tassi d’interesse possano favorire i bilanci delle piccole e medie imprese americane anche se al momento queste sono le più colpite dalla scarsa disponibilità di merci importate. Dunque è ragionevole pensare che al momento l’economia reale possa continuare a flettere sotto i colpi di una discesa dei consumi discrezionali e di un aumento dei prezzi dei beni importati, ma anche che nel tempo le tendenze possano invertirsi.
I MERCATI FINANZIARI POSSONO ANDARE IN CONTROTENDENZA
Però i mercati finanziari si curano soltanto fino a un certo punto dell’andamento dell’economia reale, privilegiando invece i due fattori che possono influenzare il valore attuale dei profitti netti futuri delle imprese quotate (cioè soprattutto quelle di maggiori dimensioni): i margini sui ricavi e i tassi d’interesse a medio termine. I primi sono la base per la creazione di profitti lordi, i secondi sono il fattore di sconto dei profitti netti futuri (se il tasso di sconto scende il valore attuale sale). E su entrambi al momento ci sono soltanto buone notizie.
Dunque non è improbabile che le borse possano registrare andamenti quantomeno non negativi mentre l’economia americana nel secondo trimestre possa invece continuare a flettere. Uno spunto in tal senso ci viene fornito dal calo progressivo della volatilità della borsa americana, come si può vedere dal grafico discesa al di sotto della media a 50 gg e vicina a incrociare anche quella a 200 gg. :
LA CICALA (L’EUROPA) E LA FORMICA (GLI USA)
Se vogliamo fare un paragone con le classiche fiabe di Esopo, Fedro e LaFontaine potremmo equiparare la situazione attuale dell’economia americana a quella di una formica nel corso dell’estate, che sta mettendo ordine a casa propria per avere sufficiente spazio di manovra (e risorse) per l’inverno.
Per l’Europa valgono quasi i ragionamenti opposti: al momento se da un lato i capitali fuggiti dall’America sono in parte finiti nel vecchio continente (andando ad alimentare la liquidità delle borse europee, in primis quella tedesca che è la più esposta alle iniziative europee di riconversione delle fabbriche automobilistiche in produzione di armamenti), dall’altro lato una parte delle mancate esportazioni cinesi a basso prezzo verso gli USA può ora rivolgersi all’Unione Europea contribuendo a calmierare i prezzi al consumo. Nel grafico qui sotto possiamo notare l’andamento particolarmente positivo del cambio Euro/Dollaro dovuto al suddetto afflusso di capitali da oltreoceano:
Occorre poi tenere conto dell’effetto della rivalutazione dell’Euro anche contro lo Yuan cinese (nel grafico sotto riportato) che può generare deflazione dei prezzi dei beni importati, ivi comprese talune materie prime. Senza contare i benéfici effetti dei cali dei tassi d’interesse (che migliorano il reddito disponibile dei consumatori e favoriscono gli investimenti fissi) e del prezzo del petrolio. Anche la probabile riduzione degli oneri ambientali imposti dall’Unione Europea potrebbe contribuire a rilasciare risorse che possono favorire i consumi.
Dunque nel breve termine non stupirebbe vedere margini di crescita del prodotto interno lordo europeo (non includendo però la Gran Bretagna per numerosi motivi), sebbene nel medio termine (cioè quantomeno a partire dal secondo semestre dell’anno) la bilancia potrebbe pendere dalla parte opposta, dal momento che i governi europei stanno continuando ad incrementare i loro debiti pubblici e rischiano di coinvolgersi in un conflitto duraturo con la Federazione Russa. E a causa del fatto che, con i dazi e con la rivalutazione dell’Euro, non potranno che registrare una riduzione delle esportazioni, le quali costituiscono il motore effettivo dell’economia continentale.
Anche i bilanci delle banche continentali, il cui valore capitale rappresenta una fetta importante della capitalizzazione delle borse europee, potrebbero ridurre i margini a causa del calo importante della forbice dí intermediazione sul costo del denaro. Mettendo in tal modo le basi per una futura discesa delle quotazioni. Nel grafico l’andamento di un ETF che replica il principale indice europeo del settore banche:
Seguendo il precedente paragone (sulla Formica e la Cicala) l’Europa potrebbe perciò essere accostata alla cicala, che al momento gode di una situazione favorevole ma che non sta facendo nulla per stare meglio nel prossimo futuro, quando le condizioni ambientali (geo-politiche) potrebbero risultare meno favorevoli. L’Europa dovrebbe approfittare del positivo contesto ambientale per investire pesantemente in infrastrutture e in tecnologie, invece di riconvertire le fabbriche automobilistiche per la produzione di armamenti. Anche se non si può escludere che riesca a fare passi anche in tal senso.
LE PREVISIONI PER I MERCATI FINANZIARI
I ragionamenti al riguardo di ciò che accadrà in futuro possono discendere dalle tendenze sin qui delineate: un contesto generale ancora difficile per i mercati finanziari americani, con la grande incognita di una banca centrale (la FED) che tiene duro almeno fino all’estate nel timore di fiammate inflazionistiche, mentre la congiuntura potrebbe risultare relativamente positiva per quelli europei, con il vento in poppa per l’afflusso di capitali dall’estero (anche dalla Cina) e caratterizzati da valutazioni aziendali relativamente contenute rispetto a quelle d’oltreoceano (con uno spazio dunque di riequilibrio del gap). Situazione che potrebbe tuttavia ribaltarsi a partire dall’estate (o anche prima) quando la congiuntura favorevole potrebbe terminare per il vecchio continente (e i tassi d’interesse ritornare a salire). Allora la cicala potrebbe smettere di cantare e la formica potrebbe iniziare a trarre beneficio dei passi precedentemente compiuti, ritrovandosi in posizione forse privilegiata nel nuovo assetto geopolitico.
Stefano di Tommaso