Perchè la Cina continua la sua corsa
La tumultuosa crescita economica della Cina provoca da tempo molte discussioni sulla sua sostenibilità, soprattutto finanziaria.
Il principale motivo di preoccupazione riguarda infatti la composizione della crescita del prodotto interno lordo cinese, dove la componente investimenti ha sempre contato per una larga parte, sebbene sia in riduzione negli ultimi anni, sostituita progressivamente da incrementi nella spesa per consumi (spesso di importazione).
La Cina non sarebbe oggi quel che è diventata se non ci fossero state tutte le principali imprese occidentali ad investire in joint-ventures industriali di ogni genere apportando capitali e competenze.
È chiaro che man mano che quel fenomeno si ritrae altri capitali di diversa provenienza devono prenderne il posto, oppure devono ridursi gli investimenti lordi e con essi il P.I.L.
Il secondo motivo storico di preoccupazione per la sostenibilità dello sviluppo economico dell’ex celeste impero riguarda invece la natura della sua industrializzazione, principalmente orientata a produzioni “low-cost” e pertanto a rischio di incorporare una sempre minor componente di valore aggiunto, man mano che altri paesi si affacciano alla prima industrializzazione.
Questo anche a causa dell’aumento progressivo del reddito medio della popolazione, che mal si conciliava con le attività più “povere”, che si potevano realizzare con un più basso costo della manodopera.
La risposta cinese alle minacce di cui sopra però è stata particolarmente vivace e ha tratto spunto soprattutto dalla crescita dei consumi interni. Dallo sviluppo delle tecnologie elettroniche ed informatiche al passaggio verso produzioni a maggior valore aggiunto, l’intero sistema economico nazionale si è mobilitato per migliorare la qualità dei propri prodotti e subito dopo incrementare la penetrazione commerciale dei medesimi nel resto del mondo.
Giganti produttivi come Huawei, Lenovo, Hisense, Skyworth o TLC hanno sfondato anche grazie ad acquisizioni strategiche nei mercati di largo consumo occidentali (i più ricchi) precedentemente dominati da Giapponesi e Coreani, colossi della distribuzione online come Alibaba e Tencent hanno raggiunto anch’essi i mercati occidentali più ricchi e grandi innovatori come Xiaomi (telefonia mobile e elettronica di consumo) hanno raggiunto grandi traguardi anche perché il mercato interno cinese, povero ma pur sempre popolato da oltre un miliardo di consumatori, ha permesso loro di raggiungere grandi dimensioni prima ancora di esportare un solo pezzo.
Due grandi limiti a questa corsa verso gli standard occidentali sono tuttavia consistiti nella capacità di supportare lo sviluppo con adeguate risorse finanziarie e nella fuga dei capitali verso l’estero che in parte è maturata man mano che gli investitori cinesi si rendevano conto della necessità di iniziare a diversificare i loro portafogli e in parte è una conseguenza delle infinite svalutazioni competitive pianificate dal governo centrale cinese per mantenere la necessaria competitività fino a quando una larga parte delle proprie produzioni non potrà dichiararsi arrivata ad eguagliare gli standard occidentali.
Questo spiega in parte la dura risposta del nuovo corso politico americano nei confronti di quella che viene percepita come una concorrenza commerciale quasi sleale, ma soprattutto illumina sul perché il credito in Cina, tanto quello “ufficiale” quanto quello riferibile al cosiddetto “sistema bancario-ombra” sia stato lasciato a briglia semisciolta dai pianificatori centrali, con il rischio evidente di un possibile collasso, ma con il vantaggio di moltiplicare la moneta a disposizione di imprenditori e consumatori.
Un’ ultima, amara considerazione, riguarda il fatto che ciò è l’esatto opposto di quanto è avvenuto in Europa, anch’essa alle prese con la necessità di convertire buona parte del proprio sistema industriale indirizzandolo a maggiori valori aggiunti, ma dove sono ad oggi le tensioni interne all’Unione e le crescenti regolamentazioni del settore bancario e finanziario hanno viceversa ridotto il moltiplicatore del credito, limitando lo sviluppo.
Stefano di Tommaso