HELSINKI 16 LUGLIO 2018: UN GIORNO COME UN ALTRO

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Cosa ci vada a fare Trump da Putin non è chiaro a nessuno. La maggior parte degli analisti politici avrebbe preferito che i due non si incontrassero affatto, che le sanzioni americane continuassero per sempre e che la “nuova guerra fredda” instauratasi dopo l’ultima crisi in Siria potesse andare avanti per sempre.

L’America ha sempre supportato la guerra intestina in Ucraina e non ha mai accettato l’annessione della Crimea alla Federazione Russa (in precedenza rimasta sotto l’Ucraina dopo il disfacimento dell’Unione Sovietica) nonostante il referendum popolare che lo ha decretato sia stato una specie di plebiscito per Putin.

E invece no: Trump non solo ha deciso che l’incontro si farà, ma anche che si terrà a porte chiuse. Una mezz’ora a parlare da soli lui e Putin, senza alcun collaboratore, e un probabile disgelo nelle relazioni in vista che farà bene alle borse.

Di temi da affrontare sul tavolo tra America e Russia ce ne sarebbero a bizzeffe : dalla situazione esplosiva in Medio-Oriente (Iran compreso) alla guerra commerciale con la Cina, fino al prezzo di gas e petrolio, dei quali oramai gli Stati Uniti d’America vogliono diventare i principali esportatori (sempre che il loro prezzo non scenda troppo, dati gli elevati costi di estrazione e di trasporto). Ma è improbabile che verranno affrontati in questa sede. Vediamone il perché:

L’incontro non s’ha da fare

Non è infatti difficile ipotizzare che -dialogando- si possano trovare velocemente degli accordi di reciproca soddisfazione basati su una concessione ciascuno da parte di ognuno dei rivali, individuando delle strategie intelligenti sui tanti fronti che vedono oggi apparentemente in forte opposizione le due superpotenze.

Eppure secondo il “mainstream” (che odiosa parola!) l’incontro non s’ha da fare. Troppi i pericoli secondo la stampa prevalente che l’abilissimo Putin strappi qualche concessione di troppo a un Presidente che sui “media” si vuole far passare come mentalmente annebbiato per la sua ipocondria! Ma ne siamo sicuri? A me, a giudicare dai fatti, sembra di vedere l’esatto opposto. Certo i deputati democratici se le sono inventate tutte per cercare di far deragliare l’incontro, ma senza riuscire a spiegarne troppo il perché. D’altronde la storia dell’interferenza russa nelle elezioni politiche americane è vecchia di due anni e dopo mille processi e testimonianze nessuna prova seria è stata mai trovata in proposito.

Il coraggio di Trump

Certo Trump ha avuto sino ad oggi il coraggio di cento leoni, non soltanto a candidarsi, ma anche a resistere alle innumerevoli minacce che gli sono giunte da ogni parte, fino addirittura a non esitare ad applaudire l’esito positivo del referendum sulla Brexit e a salutare con entusiasmo il cambio della guardia al governo italiano. Tutte le volte è stato pesantemente avversato, ma sino ad oggi i fatti gli hanno dato altresì piena ragione, con l’economia americana che, pur essendo giunta alla supposta fase termine di un lungo ciclo economico di espansione, sembra non essere mai stata così in salute dopo la riduzione delle tasse, fortemente voluta da Trump e lungamente osteggiata dai suoi oppositori con l’argomentazione che avrebbe creato un deficit insostenibile per il bilancio americano.

Anche sulle guerre commerciali Trump ha sino ad oggi portato a casa un risultato di tutto rispetto per la sua “America First”, infliggendo alla Cina una dura stangata e invitandola a trattare su basi meno risolute, sebbene si tratti di un gioco duro e difficile, perché alla lunga le guerre fanno sempre morti e feriti, anche quando sono soltanto “commerciali”. Ma Trump ha fino ad oggi mostrato di avere le doti di grande giocatore di poker e di sapere sopportare la tensione meglio di tanti suoi predecessori.

Troppo presto per segnare un risultato

E così Trump ha scelto di sedersi al tavolo con Putin, considerato anch’egli un abilissimo giocatore di poker, una specie di James Bond dell’est, con un’agenda piena di argomenti che richiederanno una vita per essere dipanati, ma con l’idea fissa in testa di evitare di lasciare la Russia tra le braccia della Cina, da decenni il vero rivale dell’America, ma sempre molto defilato sino ad oggi. La credibilità del suo presidente e la forza militare ancora oggi imponente della Federazione Russa potrebbero nel lungo termine risultare preziose per Trump che sa bene che degli alleati europei non ci si può proprio fidare. Ma non oggi.

Oggi Trump deve ancora consolidare il suo potere, la sua linea politica che dà fastidio a molti grandi papaveri della finanza, la sua leadership incerta al Congresso degli Stati Uniti, dove tra poco si svolgeranno le elezioni di medio termine. Trump deve trovare munizioni per uscire vincente da quella prova, altrimenti il resto del suo mandato presidenziale sarà tutto in salita, e la sua rielezione fortemente in dubbio. Putin lo sa e, dal momento che nel sedersi al tavolo conTrump ha già portato a casa una vittoria politica interna, non credo che vorrà chiedergli la luna.

Ma se le cose si metteranno bene allora sarà diverso: una collaborazione tra i due potrebbe risultare alla lunga costruttiva per Trump e per la stessa America. E il dialogo -si sa- è il primo mattone di quella costruzione. E le borse probabilmente brinderanno al rinnovato dialogo, nonostante i malumori che esso potrà generare.

Stefano di Tommaso