LA RIPRESA ITALIANA POTREBBE (ANCHE) PASSARE DALLE STATISTICHE AI FATTI
Il clima di fiducia che nel nostro Paese si torna a respirare negli ultimi mesi potrebbe compiere “o’miracolo” che da molte parti si è (giustamente) dubitato che avvenisse.
Sulle statistiche (di Stato) la narrazione sarebbe molto diversa: tecnicamente siamo in ripresa da quasi un paio d’anni e -anzi- le prospettive sono per una prosecuzione della crescita del Prodotto Interno Lordo almeno per un anno ancora.
Oggi le vicende italiane sembrano aver preso una piega ancora migliore: le previsioni del superministro dell’economia, dell’OCSE, e della Banca d’Italia parlavano sino a un paio di mesi fa di una crescita del P.I.L. limitata all’1% e oggi si avventurano nello stimare almeno l’1,5%, anche per il 2018. Lo stesso vale per il deficit dei conti pubblici, avviato verso una stima del 2,1% del P.I.L. e oggi rivisto all’1,8% per l’anno in corso, con speranze di ulteriori riduzioni. E lo stesso vale anche per le stime della disoccupazione (tendenziale a poco più del10% per la fine dell’anno contro attese per l’11% e più fino a prima dell’estate) come per l’aumento della spesa per consumi, limitata fino all’altro ieri a meno dell’1% e oggi rivista decisamente al rialzo.
Ma poi lo sanno tutti che -statistiche a parte- il reddito disponibile nelle tasche degli Italiani sino ad oggi ben poco è cambiato. Di qui lo scetticismo e il sospetto diffuso che quando si parla di ripresa si tratti di quella per i fondelli, cioè della solita tiritera mediatica promossa dalla classe politica in vista del prossimo, ennesimo consulto elettorale.
I MOTIVI DI SCETTICISMO
I motivi strutturali che alimentano lo scetticismo degli Italiani circa la materializzazione di una ripresa che superi i meri numeri delle statistiche e finisca anche nelle loro tasche sono ben più d’uno:
– I continui incrementi della pressione fiscale (diretta e, soprattutto, indiretta) che vanno a erodere quelle possibili maggiori risorse che si materializzano quando arriva un minimo di ripresa;
– La crescita a macchia di leopardo sul territorio nazionale, che ha lasciato indietro ampie fasce della popolazione (i più giovani e i più anziani innanzitutto) ma anche intere aree geografiche svantaggiate o maggiormente burocratizzate o infine categorie intere di lavoratori (quelli colpiti dalla legge Fornero, una parte di quelli autonomi, molti dipendenti pubblici, eccetera…);
– La pesante eredità occupazionale che vede, più che un lieve miglioramento della disoccupazione, soprattutto una certa staticità nel numero degli occupati;
– Il fatto che quasi per ogni nuovo posto di lavoro creato negli ultimi tempi tra le categorie più basse, se ne è distrutto uno tra quelli meglio remunerati, contribuendo così ad appiattire il reddito medio della popolazione attiva;
– I continui tagli al welfare (istruzione e formazione, sanità, previdenza sociale e assistenza alle categorie più svantaggiate) e il conseguente crescente bisogno degli Italiani di provvedere a forme private integrative di previdenza pensionistica, sanitaria, e universitaria;
– Il forte svantaggio nei flussi migratori che interviene quando i migliori tra i giovani che hanno studiato, vogliono specializzarsi e vogliono intraprendere un’attività innovativa se ne vanno all’estero e al loro posto arrivano immigrati despecializzati, poco o nulla acculturati e -per necessità- poco propensi a intraprendere attività autonome.
LE RAGIONI DELLA SPERANZA
Esistono di converso taluni oggettivi motivi che alimentano la speranza di una svolta effettiva della situazione economica tangibile del cittadino medio:
– Il risparmio delle famiglie che aumenta e si rivolge a strumenti più sofisticati, passando dai titoli di stato e dai depositi bancari ai fondi di investimento, alla Borsa, o addirittura al “crowdfunding” (la sottoscrizione a mezzo internet di capitale di ventura destinato alle startup innovative). Da questo punto di vista la normativa sui Piani Individuali di Risparmio sta sicuramente facendo la sua parte;
– Gli investimenti produttivi che stanno subendo una decisa accelerazione, sostenuti anche da taluni sgravi fiscali (come il superammortamento o il “Patent Box”) o programmi di sostegno all’innovazione (“Industry 4.0”), ma sostenuti anche, non dimentichiamolo, dalla ripresa di investimenti diretti dall’estero;
– La (timida) ripresa dell’erogazione di credito da parte del sistema bancario, di cui le imprese e i privati sono tornati ad approfittare anche a causa del livello ridotto dei tassi di interesse odierni;
– Il deciso ritorno alla crescita della capacità produttiva nazionale, che sembra aver quasi smesso di essere delocalizzata oltre confine e che sta beneficiando indubbiamente di un periodo molto positivo per le esportazioni;
– La speranza di una possibile nuova ventata di detassazioni, defiscalizzazioni, riduzioni delle imposte dirette e stimoli ulteriori agli investimenti. Potrebbe partire dall’America di Trump e dal Regno Unito di Theresa May e potrebbe anche valicare oceani e continenti fino a superare l’arco alpino. In fondo il resto del mondo vuole crederci e non si vede perché non potremmo fantasticarlo anche noialtri! Se questa si materializzasse anche il quadro macroeconomico globale migliorerebbe ulteriormente e, al netto delle infinite esigenze della spesa pubblica e del suo servizio del debito, in qualche parte il cittadino comune potrebbe riuscire a beneficiarne.
LE PREOCCUPAZIONI POSSIBILI
Ciò detto, se si vuole, si può anche elencare un numero pressoché infinito di motivi di scetticismo e preoccupazione per la possibilità che si verifichino improvvisi ribaltoni del roseo scenario appena delineato:
– L’elevatissimo peso dei debiti pubblici di quasi tutti i paesi del mondo, che nelle precedenti fasi di crescita economica non rischiavano di bloccare lo sviluppo come potrebbero oggi;
– Il rischio che i sistemi bancari di molte nazioni e ampie fasce geografiche (dall’estremo oriente al sud America passando anche per l’Africa) divengano improvvisamente ancora più instabili di quanto lo siano già è sicuramente molto più elevato che in passato;
– Il rischio che l’escalation delle tensioni geopolitiche in medio oriente e nel mar del Giappone possa portare a nuovi conflitti militari e nuove limitazioni del commercio internazionale è concreto;
– Il rischio conseguente che la troppo fresca ventata di rinnovata crescita economica internazionale possa velocemente ridimensionarsi, anche a causa della già lunga durata del ciclo economico attuale può far cadere le oggi rosee aspettative degli investitori e, di conseguenza, la loro propensione agli investimenti, alla base sicuramente della buona congiuntura odierna;
– La possibilità che un nuovo ribaltone della situazione idilliaca che da troppo tempo avvolge i mercati finanziari mondiali è sempre in agguato, con il rischio di provocare una nuova ondata di sfiducia, regressione e riduzione della liquidità in circolazione, esattamente come abbiamo già sperimentato negli anni 2008-2009.
IL BICCHIERE È MEZZO PIENO
Il bicchiere insomma è sempre mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda dell’ottica di chi lo osserva o degli interessi (politici, economici o di conflitto sociale) che sottostanno sempre alla retorica di chi vuole commentare la situazione o interpretarla in funzione delle proprie convinzioni.
La crescita economica mondiale però quest’anno sembra andare anche ben oltre le attese più rosee che sino all’altro ieri ci avevano propinato i soliti (ben pasciuti) commentatori nazionali ed internazionali. L’economia globale -e soprattutto quella asiatica- sta correndo, insieme alla demografia, alla rinnovata efficienza dei fattori di produzione e alla finanza a disposizione per lo sviluppo di questi ultimi.
La speranza insomma che stavolta -pur in presenza dei freni che abbiamo elencato- qualche goccia di quella maggior ricchezza che può derivare dalla crescita economica globale in corso, giunga anche dalle nostre parti, è -come sempre- l’ultima a morire.
Anche per questo motivo la Borsa italiana appare oggi così euforica.
Stefano di Tommaso