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EFFETTO DOMINO

Mentre la congiuntura economica americana sembra andare anche meglio di quanto si poteva prevedere, le quotazioni di Wall Street oscillano e scendono oramai da circa un mese. Oggi dunque ci si chiede se sarà possibile non solo se che il “Sell-off” della borsa americana prosegua ancora, ma anche che arrivi a contagiare le borse europee. Anche perché la catena di trasmissione del problema passa per il rialzo dei rendimenti dei titoli di stato in tutto l’Occidente, che sembra non accennare a fermarsi.
Sebbene tra qualche mese lo scenario per le borse potrebbe migliorare decisamente, a breve c’è il rischio che le quotazioni dei titoli azionari vengano penalizzate dall’aumento dei tassi a lungo termine, soprattutto per le aziende di minor dimensione (quelle più sensibili al costo e alla disponibilità di credito), anche perché il mancato allentamento delle politiche monetarie impedisce alle banche commerciali di erogare maggior credito e di far scendere il costo del denaro, il quale -nonostante quanto dichiarato dalle banche centrali- rischia addirittura di tornare a salire.

 

L’ECONOMIA REALE U.S.A. SPIAZZA LA BORSA

U.S. “NON FARM” PAYROLLS JOB CREATION

Nonostante l’economia reale degli USA abbia mostrato nelle ultime settimane grandi segni di vitalità (qui sopra il grafico relativo al numero mensile di nuovi occupati), forse anzi proprio per questo (per i conseguenti timori di inflazione) nel corso dell’ultimo mese la borsa americana ha avuto un andamento assai incerto e sostanzialmente riflessivo (-5% circa) dopo i recenti massimi raggiunti nel mese di Dicembre (nel grafico qui sotto riportato), mentre quelle europee hanno potuto godere di un andamento migliore.


Non soltanto la Borsa Valori di Milano ma soprattutto quella di Francoforte (qui di seguito riportiamo il grafico del’andamento del principale indice tedesco: il DAX) hanno continuato la loro corsa peraltro dovuta al ritardo accumulato rispetto a Wall Street.


L’INCREMENTO NEI RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATO

Ma ciò che preoccupa di più gli investitori sono i grandi protagonisti delle notizie di mercato nella settimana appena trascorsa: i cospicui cali delle quotazioni dei titoli di stato (con i conseguenti incrementi nei rendimenti impliciti), non soltanto quelli dei BTP italiani ma anche e soprattutto i Treasury Bond di USA e UK, i cui rendimenti sono saliti al di sopra delle attese fino alla soglia psicologica del 5% (poco meno del 5% il titolo decennale, poco sopra il 5% il tasso del titolo trentennale).


L’aumento dei tassi di rendimento impliciti dei titoli a medio termine rappresenta oggi l’elemento di principale preoccupazione per le quotazioni borsistiche prospettiche, che da qualche giorno rischiano di venire ridimensionate dal momento che le valutazioni d’azienda dipendono dai flussi di cassa futuri attesi e dal tasso di lungo termine al quale vengono attualizzati tali flussi.

E LA FEDERAL RESERVE POTREBBE INTERROMPERE I SUOI TAGLI

Come se ciò non bastasse, parallelamente sono peggiorate le aspettative per le mosse della Federal Reserve (la banca centrale americana, che guida sempre le mosse di quasi tutte le principali altre banche centrali) e molti ora ne prevedono un sostanziale immobilismo (qui sotto il grafico dell’andamento del tasso ufficiale di sconto negli USA), in attesa delle mosse di politica fiscale e commerciale del nuovo Presidente eletto.


Occorre precisare che i tassi oggi salgono (anche nel resto del mondo) anche perché l’economia americana “tira” più del previsto, ma soprattutto essi salgono perché ci si avvicina pericolosamente a numerose scadenze dei titoli del debito pubblico americano e le aspettative sono quelle di una domanda di capitali che molto probabilmente supererà l’offerta (qui sotto gli istogrammi che indicano l’ammontare annuo in scadenza di titoli del debito pubblico americano).

LO SPIAZZAMENTO DELLE AZIONI DA PARTE DEI TITOLI DI STATO

L’aumento dei rendimenti dei titoli di stato (cioè di titoli sostanzialmente privi di rischio) gioca inoltre a sfavore delle quotazioni delle borse valori in un secondo modo, poiché il tasso di rendimento in termini di utili per azione è stato oramai raggiunto e superato da quello di investimenti privi di rischio intrinseco.


Per i gestori di portafogli la scelta di investimento in azioni quotate in borsa (se paragonata a quella in titoli a reddito fisso) è ora più ardua perché il medesimo rendimento atteso dei titoli azionari viene offerto dai titoli di stato, sebbene giochi a favore dell’investimento in azioni il fatto che esse rappresentano quote parte di valore di attività reali e dunque in teoria risultano attività “rialziste” in caso di nuove fiammate inflazionistiche.

L’INFLAZIONE POTREBBE RIPRENDERE VIGORE


L’inflazione resta per il momento il convitato di pietra di ogni operatore del mercato: le tariffe promesse da Trump nei confronti dei commerci internazionali saranno in grado di riaccenderla? Personalmente ho qualche dubbio che una seconda ondata d’inflazione (che farebbe scattare rialzi dei tassi a breve termine) possa dipendere soltanto dai dazi alle importazioni negli Stati Uniti. Però molti guardano le importanti similitudini tra l’andamento dell’inflazione di questi giorni e quello di cinquant’anni fa, al termine della cui prima ondata se ne è mostrata una seconda, peggiore della prima (di seguito i due grafici sovrapposti):


Occorrerà vedere anche cosa succede alle quotazioni di gas e petrolio (oggi in ascesa, come si può leggere dal grafico dell’andamento del prezzo del petrolio) nonchè al costo medio del lavoro (al netto però degli incrementi di produttività). Ma il rischio di ritorno dell’inflazione è comunque reale, per lo meno in Occidente, dove è sempre meno probabile che sarà possibile continuare ad accedere a basso costo alle materie prime e alle commodities.

ANDAMENTO DELLE QUOTAZIONI DEL PETROLIO “CRUDE BRENT”

LA CURVA DEI RENDIMENTI E’ ANCORA QUASI “PIATTA”

Peraltro lo “spiazzamento” dei titoli azionari da parte di quelli a reddito fisso, unito al fatto che è ancora abbastanza piatta la curva dei rendimenti (quella che unisce il rendimento medio dei titoli di ciascuna scadenza) lascia ritenere che i tassi a lungo termine possano crescere ancora, almeno sino a quando non sia stata ristabilita un’inclinazione adeguata della curva (oggi appena accennata, come si può dedurre dal grafico qui sotto riportato), dal momento che può risultare più conveniente investire in fondi di mercato monetario (i cui rendimenti sono legati a quelli espressi a breve termine) in attesa di maggior chiarezza sui mercati.

SE I TASSI SALGONO LE VALUTAZIONI D’AZIENDA SCENDONO

Lo “spiazzamento” suddetto inoltre rimanda al tema di fondo intrinseco alla valutazione dei titoli azionari quotati: la crescita dei profitti -peraltro al momento non in discussione- e la sostenibilità dei loro multipli di valore (tipicamente: il rapporto tra prezzo e utile atteso), che invece sono forse cresciuti un po’ troppo, soprattutto in America. Un multiplo di valore elevato può essere giustificato da tassi d’interesse molto bassi (e adesso sicuramente non è più così) oppure dalla previsione di un elevato tasso di espansione dei profitti (e con il rischio di un rallentamento economico globale non è nemmeno questo il caso).


L’ENORME DIFFERENZA DEI MULTIPLI DI VALORE TRA EUROPA E USA

In tal senso non stupisce più di tanto che i rapporti tra prezzo ed utile delle piazze del Vecchio continente siano molto contenuti, soprattutto rispetto a quelli americani. Il p/e della Borsa di Milano, stimato sugli utili attesi per il 2024, è secondo Bloomberg di 10,22 volte. Quelli di Parigi e Francoforte rispettivamente 14,6 e 15,1. Londra, infine, si “accontenta” di un P/e di 10,77.


Al di là dei singoli numeri, si tratta di valori complessivamente bassi e molto inferiori a quelli dei mercati a stelle e strisce. L’S&P 500 esprime un rapporto sempre sul 2024 – di 24,1 volte gli utili attesi. Il Nasdaq, poi, arriva addirittura a 35.

PREVISIONI PER I PROFITTI A WALL STREET

Quasi superfluo sottolineare che secondo alcuni le Borse Usa sono troppo care e che il Vecchio continente dovrebbe avere più spazio quest’anno, senza tenere conto però della maggior liquidità della piazza finanziaria americana e del rischio che i profitti delle imprese europee rimangano vittima di una congiuntura economica molto più fragile.


IL POSSIBILE EFFETTO DOMINO

Il “problema” principale delle piazze finanziarie continentali tuttavia è quello del possibile “effetto domino” derivante dallo spiazzamento dei rendimenti dei titoli a reddito fisso americani. Se i rendimenti offerti dai titoli obbligazionari continueranno a salire -e soprattutto se le relative economie non si riprenderanno e conseguentemente i profitti non cresceranno più che proporzionalmente, le borse (anche quelle europee) dovranno fare i conti con una concreta prospettiva di ribasso, almeno per i primi mesi dell’anno, che potrebbe estendersi anche ai valori dei titoli obbligazionari, dal momento che al salire dei loro rendimenti scenderanno le loro quotazioni.


Questo almeno nel breve periodo. Dalla primavera in poi infatti le cose potrebbero invece andare diversamente, dal momento che la tendenza di fondo dell’economia globale è verso una deflazione dei prezzi, e dunque di nuovo verso un calo dei tassi d’interesse. Anche a livello geopolitico, sebbene nel breve termine risulti impossibile immaginare un calo delle tensioni tra Oriente e Occidente, nei mesi successivi le cose potrebbero anche cambiare. Se ciò accadesse ne potrebbe beneficiare il commercio globale e il Dollaro americano potrebbe finalmente tornare a scendere, sebbene nessuno se lo aspetti troppo, beneficiando sicuramente le quotazioni azionarie.


Il conseguente rialzo delle aspettative (anche di ripresa dell’export verso i Paesi emergenti) potrebbe catalizzare l’interesse degli investitori verso titoli europei a bassi multipli e con buone prospettive di beneficiare della nuova ondata di digitalizzazione che -in assenza di preoccupazioni eccessive- potrebbe investire l’Europa a seguito delle prime applicazioni pratiche relative all’intelligenza artificiale.

Stefano di Tommaso