ETEROGENESI DEI FINI E MERCATI FINANZIARI
L’espressione fu inventata dal filosofo Wilhem Wundt per indicare processi collettivi nei quali forze che perseguono determinati obiettivi finiscono con il realizzare invece tutt’altro. Succede perciò che coloro pensavano di essere attori finiscono con l’apparire strumenti; cioè non cause, ma mezzi di fronte ad un fine eterogeneo. Quasi sempre però, quando ci si accorge della «eterogenesi» dei fini è oramai troppo tardi per ripararvi.
I “CIGNI NERI” E LE ATTESE DEGLI OPERATORI
Cosa succederà in borsa nel nuovo anno? Molti osservatori temono “cigni neri” a guastare inesorabilmente la festa degli investitori, come ad esempio un aggravamento della guerra della NATO contro la Russia o un rialzo dell’inflazione, che evidentemente ucciderebbe sul nascere la speranza di ribassi dei tassi. Ma temono anche una recessione indotta dall’eccesso di debiti o, peggio, un crollo delle aspettative.
Potrebbero altresì manifestarsi anche “cigni bianchi”, cioè sorprese positive, come la vaga speranza (al momento nulla di più) di veder terminare la suddetta guerra, anche se resta tutto da dimostrare che ciò possa comportare conseguenze positive per i mercati finanziari, visto che sino ad oggi essi hanno invece prosperato con la guerra. Altro “cigno bianco” non impossibile da incontrare sarebbe la conferma che l’inflazione sia stata definitivamente domata, anzi che non scenda troppo sotto al 2-2,5%. Cosa che farebbe spazio ad ulteriori “tagli” del costo del denaro da parte delle banche centrali e ad una prosecuzione dell’attuale fase positiva dei mercati.
UN INGIUSTIFICATO OTTIMISMO?
Cosa succederà davvero? Se i “market mover” del 2025 potrebbero essere numerosi non è un caso che pochi si aspettino tranquillità e che i più temano importanti conseguenze del fatto che il mondo continua a cambiare ad un ritmo crescente. Qui però “casca l’asino” come diceva Totò: gli analisti finanziari anglosassoni che in questi giorni pubblicano le loro previsioni sembrano invece tutti molto concordi nel valutare le conseguenze di tali cambiamenti in atto: piuttosto positive per USA e UK e altrettanto negative per il resto del mondo! Di seguito ad esempio una tabella relativa alle attese per l’indice S&P500 a fine 2025:
In media dunque per Wall Street gli analisti si attendono una crescita del 12% dai livelli di fine 2024 con una capitalizzazione media di borsa pari a 24 volte gli utili. Che però resta una “media del pollo” (per dirla con Trilussa) perché le sole Magnifiche Sette contano per un terzo dell’indice e partono da una capitalizzazione di fine 2024 i cui multipli di valore sono molto superiori a quelli di tutte le altre: pari in media a dieci volte il loro fatturato!
Avevamo detto che gli analisti si attendono performances positive per le grandi multinazionali americane e negative sostanzialmente per tutte le altre aziende nel resto del mondo (in particolare per quelle dell’Eurozona). Potrebbero anche aver ragione, ma fino a che punto la “Corporate America” può sperare di prosperare rimanendo indenne dall’andamento riflessivo delle economie dei suoi alleati? Nessuno ad oggi può dirlo. Le nuove tecnologie potrebbero inaugurare una nuova era di benessere diffuso, ma potrebbero anche restare fuori della portata di imprese e consumatori delle nazioni e delle classi meno agiate, deludendo così le attese di profitto delle grandi multinazionali tecnologiche. O potrebbero optare per tecnologie simili ma più semplici, provenienti da imprese dei paesi emergenti.
GUERRE COMMERCIALI E FINANZIARIE
Già perché guerre e tariffe commerciali preannunciate da Trump non dovrebbero fare altro che molto rumore nei confronti di Europa e Giappone ma potrebbero invece riuscire a radicalizzare il separatismo con i BRICS che evidentemente hanno ben compreso la necessità di seguire un’agenda propria per non sottostare allo strapotere americano e stanno organizzandosi per evitare gli scambi in Dollari e i gli investimenti in Paesi che potrebbero sequestrare le loro ricchezze.
La guerra tra le maggiori economie (tra USA e Cina innanzitutto) è già oggi innanzitutto quella di riuscire ad attrarre il maggior volume di capitali finanziari a casa propria. Una sfida di cui l’America è sempre stata la vincitrice storica, e anche adesso con le politiche di Trump è ancora una volta favorita. Appare infatti evidente che, laddove molti capitali convergono su un determinato paese, non soltanto i mercati finanziari locali ne beneficiano, ma costituiscono più risorse per finanziare infrastrutture e investimenti, i quali generano lavoro e redditi prospettici.
La guerra dei capitali però è asimmetrica: fino ad oggi l’America ha attratto capitali dai Paesi OCSE alzando i rendimenti dei propri titoli di Stato: potrà riuscire a proseguire in tal senso? La Cina al contrario attrae capitali e genera esportazioni nei confronti dei Brics, con un occhio al minor tasso possibile di interesse. Potrà proseguire ad accrescere il divario dei tassi senza svalutare troppo lo Yuan?
Chi ci rimette oggi sono tuttavia i Paesi emergenti, “schiacciati” dal super dollaro e “comprati” per pochi denari dalla Cina, che riesce tra l’altro a spuntare prezzi di favore anche nell’energia, grazie alla Russia che deve fare cassa per gli armamenti. Ma anche questa situazione appare paradossale! Potrà proseguire indefinitamente? Oppure i detentori di risorse naturali riusciranno a venderle più care al resto del mondo?
Molto probabilmente nel 2025 la crescita dell’economia mondiale andrà verso un qualche rallentamento e risulterà sempre più difficile preservare l’ “eccezionalismo americano”, soprattutto se l’intelligenza artificiale non darà presto buoni frutti. La NATO poi sta preparando una guerra secolare alla Federazione Russa che rischia di compromettere gli investimenti delle imprese europee e di generare ulteriori vantaggi per la Cina, destinatario “naturale” delle risorse russe a basso prezzo. Così come gli instabili equilibri asiatici di Corea e Taiwan potrebbero a loro volta saltare facilmente e costringere tutta l’Asia a un riarmo generalizzato, che aspirerebbe risorse da investimenti infrastrutturali.
IL RISCHIO DI SPECULAZIONE SELVAGGIA
Dunque il contesto generale appare preoccupante e, si sa, le guerre -che siano militari o commerciali- potrebbero risvegliare l’inflazione dei prezzi di energia e materie prime, compromettendo lo scenario roseo di tagli dei tassi che oggi sorregge le attuali quotazioni delle borse. Non è un caso che oro, bitcoin e altri beni rifugio restino molto appetiti, mentre i debiti pubblici continuano a crescere e di conseguenza il differenziale tra tassi d’interesse a breve e a lungo termine continui ad aumentare, accrescendo le opportunità di arbitraggio e, in definitiva, di speculazioni selvagge.
La morale perciò di questa panoramica sui mercati è che probabilmente le previsioni degli analisti non stiano tenendo in gran conto i numerosi rischi “sistemici” che potrebbero anche ribaltare le borse e generare ulteriore prudenza negli investitori. Né sembrano tenere in considerazione l’elevata probabilità che, a fronte di tutte queste incertezze, la volatilità dei corsi possa tornare a crescere, almeno sino a quando non si individueranno sui mercati delle tendenze più chiare.
Ma se nel corso dell’anno appena iniziato dovesse essere la speculazione a prevalere allora si porrebbe un gigantesco problema relativo alla stabilità finanziaria, con il rischio di radicalizzazione dell’attuale eterogeneità di cause ed effetti per chi investe. Che non sia poi questo il vero obiettivo di chi tira le fila della grande finanza: cioè generare un bel pandemonio? E lucrarne profitti. Ma ci riusciranno, senza ammazzare la gallina dalle uova d’oro?
Stefano di Tommaso