LA DIVERGENZA DEI MERCATI AUMENTA

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Le Borse europee non sono mai state così divergenti da Wall Street. Pur essendo un anno positivo per entrambe il divario delle performance non può passare inosservato. L’indice Eurostoxx 600 (nel grafico qui sotto) è salito in un anno soltanto del 4,7%. L’S&P 500 del 26%. Cioè più di cinque volte tanto. Ma il rischio è soprattutto che la divergenza di performance tra le borse americane e quelle europee prosegua anche nell’anno che sta per entrare.

 


WALL STREET SI È’ GIA’ RIPRESA

Wall Street Sembra avere voglia di accelerare anche nel 2025 a causa delle ottime variabili macroeconomiche degli Stati Uniti d’America e della novità di un’inflazione che sembra oramai domata.

Solo pochi giorni fa il governatore della FED aveva messo in guardia gli investitori dei rischi legati ad una recrudescenza dell’inflazione. Ma le ultime statistiche sembrano smentire questa prospettiva e ora gli analisti finanziari si attendono che la banca centrale americana possa viceversa continuare ad espandere la propria politica monetaria.

LE BORSE EUROPEE MANCANO DI LIQUIDITA’

L’Europa viceversa, nonostante i ribassi recenti (e quelli attesi) dei tassi d’interesse, rischia di ripiegarsi ancora di più su sé stessa. Soprattutto per la scarsa liquidità che attanaglia i mercati europei (complice tanto la Banca Centrale Europea quanto il drenaggio di capitali operato dall’America), ma anche perché le condizioni economiche prospettiche del vecchio continente non sembrano promettere niente di buono.


MOLTIPLICATORI A CONFRONTO

Ovviamente le prospettive contano, e si riflettono sui moltiplicatori di valore. L’indice Msci Europe vale 13,6 volte gli utili attesi per il 2025. Quasi ai livelli delle borse dei paesi emergenti, che capitalizzano tra le 9 e le 12 volte gli utili (ma che in compenso hanno anche migliori prospettive di crescita). L’indice Msci Usa invece è a quota 22,6, cioè circa il doppio.

Talvolta si pensa che le azioni con un multiplo più basso siano più convenienti, ma se quest’ultimo riflette basse attese relative all’evoluzione dei profitti, allora gli investitori preferiscono scommettere sulle società che mostrano le migliori performances piuttosto che cercare di speculare sui titoli più a sconto. Spesso questi ultimi hanno modelli di business superati o scarse capacità di crescere.

IL DIVARIO E’ AUMENTATO DI RECENTE

La vera svolta nel divario delle quotazioni borsistiche tra gli Stati Uniti d’America e il resto del mondo è però arrivata solo con la pandemia. In quel momento c’è stato il “trionfo” delle imprese a forte contenuto digitale e hanno letteralmente preso il volo i cosiddetti titoli azionari “growth“ (crescita).

Poi è stata la volta della “bolla speculativa” dell’Intelligenza Artificiale, cioè dei titoli emessi dalle grandi multinazionali super-tecnologiche che possono trarre profitto dalla diffusione dell’utilizzo di quest’ultima per scopo di business, oramai tra le più grandi corporation al mondo.

POCHI TITOLI “GROWTH” IN EUROPA

In Europa si trovano quasi soltanto aziende della old economy (meccaniche, automobilistiche, moda-lusso-abbigliamento, banche e società finanziarie, grandi multi-utilities parastatali, aziende energetiche, e società farmaceutiche). E di grandi multinazionali super-tecnologiche non ce ne sono quasi. La crisi del settore industriale automobilistico in Germania ha poi avuto ricadute praticamente in tutta Europa nelle sue filiere dirette e indirette di terzisti che lavoravano per l’auto tedesca.

Ma sono diverse nelle due sponde dell’Oceano Atlantico anche e soprattutto le aspettativa di crescita dei redditi, dei consumi e del prodotto interno lordo. Se l’economia europea tirasse di più ci potrebbero essere migliori prospettive anche per le aziende della “old economy” che in Europa sono prevalenti.

LE ATTESE SULL’INDICE PMI (DEI DIRETTORI DEGLI ACQUISTI) A CONFRONTO

L’INFLAZIONE NEGLI U.S.A. SCENDE DI PIÙ’

Non soltanto il P.I.L. americano corre, ma ci sono sorprese anche a proposito dell’inflazione. Fino a qualche giorno fa negli Usa gli analisti ipotizzavano ancora che, con una dinamica del prodotto interno lordo molto più elevata, anche l’inflazione potesse risultare più elevata. Di conseguenza la banca centrale (le FED) ha sino ad oggi ridotto di poco il costo del denaro lasciando in essere tassi d’interesse più elevati rispetto all’Europa.

Anzi: il governatore della FED Jerome Powell nell’ultima settimana ha sì abbassato i tassi (di un quarto di punto), ma ha anche avvisato che per un po’ avrebbe potuto restare d’ora in avanti fermo. Fornendo dunque ai mercati un’indicazione contrastata che li aveva gettati nel panico.

Ma ciò che nell’ultima parte della settimana è venuto fuori è viceversa l’esatto opposto: l’inflazione americana sembra proprio continuare a scendere, mentre quella europea rischia di rialzare la testa, complice il forte divario tra Europa e USA relativo al costo delle materie prime energetiche (soprattutto il gas naturale), che fa decollare i costi di produzione e riduce i margini industriali.

I CAPITALI VANNO IN AMERICA

Dunque i capitali che si rivolgono ai mercati finanziari americani non soltanto ottengono una remunerazione maggiore, ma rischiano anche una minore erosione della valuta (il Dollaro) in cui sono investiti. Il “Dollar Index” è giunto ai massimi di periodo, come si può leggere dal grafico:

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SARANNO GLI INVESTIMENTI A FARE LA DIFFERENZA
I PROFITTI E I FONDAMENTALI DELL’ECONOMIA TENGONO ALTE…
LE BORSE SCENDERANNO ANCORA?

Non per niente l’Euro continua a svalutarsi nonostante una bilancia commerciale dell’Europa con gli USA in deciso avanzo. Perché i capitali preferiscono attraversare l’oceano.

Del resto il 71,5% (in valore) dei titoli che compongono l’indice delle borse internazionali ”MSCI World” è composto da titoli americani. Come dire che ben oltre i due terzi dei titoli di qualsiasi portafoglio che voglia risultare perfettamente diversificato a livello internazionale devono essere a stelle e strisce. E questo fa affluire liquidità sul sistema finanziario americano rendendolo liquido e tonico.

LE COSE POTREBBERO CAMBIARE

Le cose potrebbero cambiare non poco per le prospettive economiche europee se davvero si avvicinasse a grandi passi la fine della guerra in Ucraina.

Oggi la minaccia di Trump di sanzionare le nazioni europee che non accrescono il budget militare rischia di veder peggiorare i nostri conti pubblici o, peggio, di veder accrescere oltre misura la tassazione. Anche questo scenario peggiora la percezione dei mercati finanziari continentali. Se il “pericolo” bellico dovesse tuttavia ridursi la situazione potrebbe migliorare e magari il costo dell’energia per l’Europa potrebbe ridursi.


Ma al momento la cosa sembra tutt’altro che certa. E poi non è detto che un tale evento possa generare conseguenze positive per il costo delle materie prime energetiche per il vecchio continente.

L’EXPORT VERSO LA CINA POTREBBE TORNARE A CRESCERE

Anche l’eventuale miglioramento delle performances dell’economia cinese (la quale comunque rischia di chiudere l’anno con una crescita del prodotto interno lordo più che rispettabile: +5%) potrebbero dare nuovo impulso alle esportazioni europee.

Ma anche questa cosa è tutt’altro che certa perché l’America vuole limitare la capacità interscambio della Cina con i paesi OCSE. Con il rischio dunque che se la Cina dovesse accelerare chi ne beneficierà di più non sarebbero i paesi d’Europa bensì quelli aderenti ai BRICS (che oramai superano la ventina).


L’INSTABILITÀ POLITICA

Sinanco dal punto di vista politico tra l’America e l’Europa non potrebbe esserci un divario più netto: assai stabile l’assetto politico degli USA dopo che il partito conservatore di Trump ha praticamente vinto tutto (presidenza, camera e senato) che hanno dunque davanti a loro diversi anni per consolidare le nuove politiche.

Mentre rischia di essere sempre più frammentato e dunque instabile il quadro politico europeo, con pesanti problemi soprattutto nei due paesi che sino a ieri sono stati di guida all’intera Unione (Francia e Germania), e una dinamica salariale generalmente piuttosto pesante (anche a causa dell’inflazione dei prezzi) che rischia di scatenare nuovo scontento sociale.


Questo si traduce in ulteriore debolezza della Divisa Unica e in una dinamica riflessiva dei consumi europei a causa dell’incapacità di varare misure espansive per rilanciare gli investimenti continentali.

Con il rischio che le imprese quotate in Europa, per quanto siano tra le migliori nel contesto industriale complessivo , non tengano minimamente il passo con la crescita degli utili di quelle americane. E dunque che il divario delle performances delle borse americane rispetto a quelle europee continui ad aumentare.

Stefano di Tommaso