THERE IS NO ALTERNATIVE
L’acronimo T.I.N.A. si riferisce nel titolo di questo articolo alla decisa polarizzazione dei mercati finanziari in questo particolare momento storico: da una parte ci sono gli “States” con la loro tecnologia, i lauti profitti delle loro imprese, la crescita dei salari che supera quella dell’inflazione e la disponibilità di energia a basso costo; dall’altra parte c’è il resto del mondo, dove è soprattutto l’Europa ad arrancare e a dividersi politicamente, mentre l’economia dei Paesi Emergenti cresce sì, ma senza altrettanto entusiasmo per le loro borse, le quali riflettono principalmente il forte deflusso di capitali in atto verso quelle americane. Il quadro a tinte fosche dell’economia globale che discende dall’analisi della congiuntura lascia peraltro parecchie perplessità a causa dei numerosi segnali contrastanti che provengono dai mercati finanziari, impedendo di poter formulare previsioni più accurate.
NUMEROSE CONTRADDIZIONI
Quando si arriva a fine anno con una situazione generale dei mercati finanziari come quella attuale diviene veramente difficile proferire parole sensate: con così tanti segnali contrastanti tutti i parametri utilizzati in passato per fare consuntivi e giungere a previsioni sembrano oggi perdere di efficacia. Le nebbie d’autunno sembrano coprire anche gli orizzonti dei mercati finanziari. Se guardiamo a quelli americani oggi buona parte dei valori sono ai massimi storici. In particolare se comparati con quelli del resto del pianeta (vedi grafico):
Ma l’andamento dell’economia americana non appare così fiorente da giustificare moltiplicatori degli utili giunti alle stelle. Molti titoli azionari quotati nelle borse valori sono vicini ai record storici, tanto in valore assoluto quanto in termini relativi ai profitti, segnalando aspettative generalizzate per ulteriori sviluppi dell’economia che però non sembrano essere facilmente realizzabili. Oggi i profitti di molte imprese sono giunti a record storici e, perché i moltiplicatori di valore attuali appaiano giustificati, essi dovrebbero continuare a crescere…
Proseguendo con l’analisi dei fattori contrastanti, osserviamo una decisa costanza del prezzo delle materie prime e addirittura una tendenza al ribasso di quello del petrolio. Ciò dovrebbe indicare una discreta probabilità che mondo si stia dirigendo verso una recessione globale ma, almeno apparentemente, non è così. I prezzi delle case (soprattutto negli U.S.A.) sono tornati a salire come se l’inflazione stesse tornando a mordere o come se i tassi d’interesse fossero già stati ridotti, ma al momento non sta succedendo né l’una né l’altra cosa.
Almeno per ciò che dicono le statistiche, perché invece, con una crescita media dei salari americani al 6%, è relativamente improbabile che la “vera” inflazione dei prezzi sia davvero sotto al 3%.
Non per niente il prezzo dell’oro si trova anch’esso ai massimi storici e non sembra rallentare la propria corsa, lasciando dunque immaginare che l’inflazione non sia affatto stata debellata.
Non per niente i tassi dei finanziamenti ipotecari americani non scendono sotto la fatidica soglia del 7%, (evidentemente la loro domanda supera l’offerta).
IL DOLLARO FORTE AIUTA L’AMERICA
Anche a proposito del cambio del Dollaro americano contro le principali valute c’è da fare qualche riflessione. Dopo le elezioni presidenziali è tornato ad essere in crescita costante, come se l’Europa, il Canada e la Cina si trovassero sull’orlo di una crisi economica. Apparentemente oggi non lo sono, anche se in un prossimo futuro lo scenario potrebbe frammentarsi. L’Europa rischia maggiormente di restare decisamente indietro, soprattutto qualora l’America di Donald Trump dovesse riprendere il suo ruolo storico di locomotiva economica globale imponendo le proprie tariffe anche alle merci del vecchio continente. La Cina invece continua a crescere oltre il 4% l’anno (potrebbe chiudere il 2024 con il 5%) anche se il Renmibi continua sorprendentemente a deprezzarsi.
IL DOLLARO SALE MENTRE LE MATERIE PRIME (IN $) SCENDONO
Il cambio del Dollaro cresce contro tutte le principali divise valutarie soprattutto perché riflette il differenziale dei rendimenti tra l’America e il resto del mondo. Laddove l’economia però non corre (come in Europa) le banche centrali cercano di stimolarla abbassando i tassi d’interesse, con un meccanismo che peraltro rischia di auto-alimentarsi perché evidentemente ha effetti negativi sul cambio contro il Dollaro. Il quale a sua volta comporta (per tutti tranne che per l’America) un qualche rincaro dei prezzi di energia e materie prime, con il rischio che ciò alimenti una ripresa dell’inflazione, che viceversa può scendere negli U.S.A. grazie al cambio favorevole.
L’INDUSTRIA EUROPEA PERDE SULL’ENERGIA E IL WELFARE
L’industria europea sembra poi messa molto peggio di quanto le statistiche ufficiali possano lasciar immaginare: la produzione industriale continua a calare da oltre un anno a questa parte (anche in Italia) e cala parimenti la fiducia degli operatori economici (evidenziata dalla discesa degli indici dei direttori degli acquisti “PMI”) come si è visto con gli ultimi risultati pubblicati di recente. Le cause vanno ricercate nella crescente concorrenza che proviene dall’estremo oriente (in particolare nel settore ”automotive”) ma anche nella scarsa competitività delle produzioni che scontano elevati costi del personale, del welfare e dell’energia.
Per non parlare della domanda interna dei mercati europei, che riflette una discesa del potere d’acquisto dei consumatori a seguito dell’erosione dei salari derivante dell’inflazione e che sconta un’eccessiva tassazione non giustificata da elevati investimenti pubblici.
GLI ELEVATI TASSI AMERICANI POSSONO CONVIVERE CON LO SVILUPPO
L’America invece, forte di un’economia che non ha mai smesso di “tirare”, anche sull’onda delle attese di ulteriori crescite dei profitti che deriveranno dall’applicazione delle nuove tecnologie dell’intelligenza artificiale, può contare su prezzi energetici molto vantaggiosi e su attese di ulteriori riduzioni della tassazione, della burocrazia e dei vincoli amministrativi che viceversa restano molto elevati in Europa. Anche per questi motivi l’economia americana può permettersi di mantenere elevati i rendimenti dei titoli di stato americani che viaggiano ben oltre quelli tedeschi o francesi o sinanco italiani.
La conseguenza è ovvia: i capitali di tutto il mondo preferiscono fluire dov’è la crescita e dove essi trovano remunerazioni superiori, migrando dall’Europa (e talvolta anche dall’Asia) verso l’America e contribuendo così a rafforzare il biglietto verde e a finanziare il deficit a stelle e strisce. I capitali che migrano in America provengono però in parte dai Paesi Emergenti e dal bacino del Pacifico, e ancor più dall’Europa stessa, che evidentemente subisce il deflusso valutario ritrovandosi in una situazione di scarsa liquidità e, contemporaneamente, con le proprie divise valutarie in declino.
LA GUERRA ALLE PORTE
Come se non bastasse l’Europa sembra voler essa stessa accentuare l’esodo dei capitali alimentando le probabilità di una guerra con la Russia pur sapendo benissimo che l’America del nuovo presidente difficilmente la finanzierebbe. Una possibile guerra che era stata sino a ieri sostanzialmente provocata dall’America di Biden ma che invece oggi (anche grazie al cambio della guardia alla Casa Bianca) non sembra in alcun modo poter lambire l’altra sponda dell’Atlantico. Le prospettive di guerra alle porte dell’Europa ovviamente contribuiscono a preoccupare gli investitori i quali, se devono scegliere su quali piazze finanziarie investire, non hanno dubbi e attraversano l’oceano. Inoltre le prospettive di belligeranza provocano all’Europa una inevitabile ulteriore riduzione delle forniture di gas naturale, che fino a ieri (nonostante la retorica delle sanzioni e tramite la triangolazione della Turchia) provenivano per almeno il 50% dalla Russia, creando seri problemi al futuro mantenimento di adeguate riserve strategiche.
IL PREZZO DEL GAS
Ovviamente il prezzo del gas al metro cubo ne risente, e questo non fa che aggravare la scarsa competitività delle produzioni industriali continentali, in picchiata da quasi un anno a questa parte, nonché il rischio che l’inflazione rialzi la testa. Dunque l’Europa che oggi sembrerebbe poter galleggiare se ci limitiamo a osservare l’andamento del suo prodotto interno lordo (al prezzo di crescenti disavanzi dei bilanci pubblici) in realtà soffre del calo della sua produzione industriale anche a causa della discesa delle esportazioni verso buona parte dei Paesi Emergenti. La prospettiva di nuovi dazi alle importazioni in America peraltro può solo peggiorare il quadro delle esportazioni europee, dal momento che buona parte delle merci che saranno importate dagli U.S.A. finiranno nel resto del mondo a prezzi sempre più stracciati.
LA POLARIZZAZIONE DEI MERCATI FINANZIARI
Ciò che emerge dalle considerazioni appena riportate è dunque una forte polarizzazione dei mercati finanziari: da una parte ci sono gli Stati Uniti d’America, la cui economia offre prospettive di crescita anche al di sopra dell’inflazione dei prezzi e le cui imprese sembrano poter continuare ad accrescere la propria capacità di generare lauti profitti, anche grazie ad un’amministrazione repubblicana molto attenta alle loro esigenze. Dall’altra parte il resto del mondo, e soprattutto l’Europa, che offre prospettive incerte tanto per l’industria (azzoppata da costi elevati e scarsa capacità di rinnovarsi) quanto per la politica, dal momento che l’attrito tra i vari Stati dell’Unione (e all’interno di ciascuna coalizione al governo -vedi la Francia-) in una situazione come quella attuale sembra inevitabilmente destinato ad accrescersi.
I BRICS EMERGONO MA NON BRILLANO
Le prospettive delle principali economie del continente asiatico e di tutti gli altri Paesi Emergenti peraltro non sembrano al momento tanto migliori di quelle europee, a causa del rincaro del Dollaro e delle prospettive dei dazi alle importazioni in America. Ma il maggior isolamento rispetto all’Occidente al quale esse sembrano destinate potrebbe paradossalmente portare loro dei benefici, anche tenendo conto della forte dinamica demografica che sospinge i consumi e consente di disporre di manodopera a basso costo e scarsi oneri sociali.
T.I.N.A.
E se la finanza globale si polarizza sugli Stati Uniti d’America ecco che tra gli investitori torna di moda il famoso acronimo T.I.N.A. (nato ai tempi di Margareth Thatcher ma oggi più che mai valido per l’America di Trump: THERE IS NO ALTERNATIVE). A quanto pare nella situazione attuale non c’è alternativa nell’investire sui mercati americani (quantomeno in titoli a reddito fisso), dove addirittura un famosissimo analista finanziario -Edward Yardeni- noto per la cautela e l’accuratezza delle sue precedenti previsioni, si è sbilanciato ad affermare che Wall Street continuerà a correre per tutto il 2025 e che potrebbero continuare anche oltre. Ci piacerebbe sperarlo anche per le borse europee!
Stefano di Tommaso