L’UNIONE BANCARIA EUROPEA PUÒ ATTENDERE

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Quella della Commerzbank che non deve unirsi a UniCredit rischia di diventare una telenovela germanica di sapore nazional-socialista e, a questo punto è chiaro, la pretendente come minimo dovrà attendere un’intera stagione politica d’oltralpe. Nella quale qualcuno inizierà però a chiedersi se l’Unione europea è davvero tale oppure c’è soltanto quando fa comodo. Nel frattempo la Germania sta per varare addirittura una legge federale per evitare che il “Montepaschi di Germania“ possa fondersi con la Hypo Vereins Bank già controllata dagli italiani e finire sotto il controllo di questi ultimi.

LO SBARRAMENTO DELLA POLITICA TEDESCA

Qual’è infatti la principale preoccupazione dei politici e sindacalisti tedeschi di fronte a un’integrazione con la più grande banca italiana? Apparentemente la salvaguardia dei 42mila posti di lavoro che andrebbero ridotti con l’assorbimento della banca nel gruppo UniCredit: e se questo non è socialismo di vecchio stampo qualcuno dovrebbe spiegare cos’altro è. Un socialismo che l’Italia non ha mostrato quando molte aziende francesi olandesi e tedesche hanno integrato quelle italiane (a partire dalla BNL per finire alla Fiat).

Ma a quanto pare rischia addirittura di prevalere a Berlino una seconda e ancor più scomoda motivazione, agitata senza troppo pudore dai sindacati come dai principali ministri: Quella di lasciar scivolare la banca in mani straniere (seppur europee e dichiaratamente non-ostili). E se questo non è nazionalismo qualcuno provi a spiegare cos’altro è. Come si può vedere nel grafico qui sotto, l’azionariato della banca alla data di pubblicazione del bilancio 2022 mostra una grande prevalenza degli investitori istituzionali e privati, i quali non saranno felici di vedere la banca sotto il ricatto di sindacalisti e politici:

SUDDIVISIONE DELL’AZIONARIATO DI COMMERZBANK

NAZIONALISMO + SOCIALISMO = NAZIONALSOCIALISMO

Ma se nazionalismo + socialismo (la cui sintesi è nazional-socialismo altrimenti noto come ”nazismo”) emergono come le due vere linee politiche espresse in questa brutta storia a Berlino (dopo che il governo ha pure fatto cassa con gli italiani, vendendogli parte della sua partecipazione acquisita ai tempi del salvataggio della ”Commerz”), allora torna inevitabilmente alla memoria la famosa frase di Andreotti: “amo talmente la Germania che ne preferisco due”. Il ”divo Giulio” era vissuto abbastanza a lungo da ricordare la congiuntura politica mitteleuropea che aveva portato agli orrori dell’Olocausto e alla seconda guerra mondiale. A seguito della quale la nazione tedesca era stata prudenzialmente suddivisa in due.

E sullo sfondo c’è un’altra inconfessabile (eppure palese) motivazione politica allo sbarramento verso gli italiani: in caso di crisi bancaria come potrebbe il governo tedesco salvare una banca che è controllata dagli stranieri? Inconfessabile perché politicamente inaccettabile quando si parla di Unione Bancaria Europea, ma al momento chi la sbandiera non si fa scrupoli a metterla in prima pagina.

Non solo: la questione del governo che potrebbe salvare delle banche si pone a causa del fatto che con un espediente anch’esso politicamente inaccettabile in Germania le mille casse rurali e banche di credito cooperativo “territoriali” sono di fatto rimaste fuori del controllo della Banca Centrale Europea (BCE, che comunque ha sede a Francoforte, non a Parigi o Roma). Fragili e antistoriche sì, ma sostenibili perché sostenute dalla politica. Il giorno in cui l’Unione Bancaria dovesse divenire “reale” quell’eccezione regolamentare dovrebbe venire rimossa.

L’UNIONE BANCARIA EUROPEA

Il bello è che UniCredit attende soltanto il “via libera” della BCE per trasformare in diritti di voto (di maggioranza relativa) il 21% già acquisito di Commerzbank e poter giungere fino alla soglia del 29,9% con acquisti dei titoli in borsa, per disporre dei poteri di lanciare un’Offerta Pubblica di Acquisto.

La medesima BCE che, lo scorso 26 Giugno 2023, in nome dei principi dell’Unione Bancaria Europea (creata nel 2014 quale componente essenziale dell’Unione economica e monetaria dell’UE per garantire alle componenti del sistema bancario solidità, redditività e minor frammentazione) ha approvato il regolamento che va sotto il nome di ”Basilea III” e che lo scorso 26 Marzo 2024 ha adottato la cosiddetta “direttiva sulle catene partecipative” per garantire che l’assorbimento delle perdite e l’eventuale ricapitalizzazione delle banche avvengano con mezzi privati qualora le banche entrino in crisi.

LO STUDIO DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA

In un recente studio la BCE mette proprio in evidenza che La crisi finanziaria globale del 2008-2010 ha segnato l’inizio di un lungo inverno nelle fusioni e acquisizioni bancarie europee. Esso mostra che le dimensioni delle banche acquisite dopo la crisi finanziaria sono molto più piccole di prima, mentre c’è un tasso di fallimento più elevato per le tentate fusioni negli anni successivi al 2008. Deutsche Bank ad esempio ha abbandonato i colloqui per fondersi con il suo rivale tedesco nel 2019, mentre circa quattro accordi su cinque nella zona euro erano solo nazionali.

Le poche operazioni bancarie transfrontaliere dalla crisi finanziaria tendono ad essere tra istituzioni in paesi vicini collegate da linguaggio o commercio comuni, come la CaixaBank spagnola che acquista il Banco BPI del Portogallo nel 2017 o vari accordi più piccoli come quelli che coinvolgono banche belghe, francesi e olandesi o la continua ricerca di Addiko austriaca da parte del prestatore serbo Alta Pay. In conseguenza di ciò le banche europee sono molto indietro rispetto a quelle americane o asiatiche da dalla crisi del 2008 in poi.

IL ”CASO” DELLE LANDESBANK

Se però si parla delle ”Landesbank” la musica è sempre stata diversa, dal momento che nelle numerose crisi che si sono succedute di recente (pandemia compresa) queste ultime sono sopravvissute praticamente solo grazie agli aiuti di stato. E alla prossima recessione avranno bisogno di nuovo di sostegno dal governo tedesco. Che però l’Unione Europea vorrebbe evitare per tutti gli altri. Due pesi e due misure insomma.

Va inoltre considerato che il principale problema del sistema bancario europeo è stato fino al 2022 quello della scarsa efficienza, e dunque di una limitata redditività. La questione è poi evaporata con il repentino rialzo dei tassi da parte delle banche centrali, che ha permesso anche alle banche continentali di tornare a macinare utili. Ma oggi, che lo scenario inflattivo “sembra” essere sopito, il sistema finanziario ha esigenza di tornare a far scendere i tassi d’interesse (soprattutto per una questione di sostenibilità dei debiti pubblici) e le questioni di competitività delle banche europee potrebbero tornare presto in primo piano.


VIA LIBERA ALLE FUSIONI TRANSFRONTALIERE, MA SOLO A PAROLE

Anche per questo motivo si è tornato a parlare di fusioni tra le banche di stati diversi del vecchio continente: non soltanto perché al livello di ciascun singolo stato un’eccessiva concentrazione della presenza delle principali banche porrebbe un gigantesco problema di normativa “antitrust”, ma anche perché -appunto- per raggiungere un’efficienza competitiva globale simile a quella degli istituti bancari asiatici e anglosassoni le banche europee dovrebbero superare i confini nazionali.

Oggi mediamente le banche europee hanno la metà dei profitti di quelle americane e, ovviamente, anche la metà dei multipli di valutazione in borsa. Ma questo è anche il motivo per il quale ci potrebbe essere ancora molto spazio per un incremento di valore delle banche europee, e anche il motivo per il quale il mercato del credito deve procedere verso una maggiore concentrazione.

Oggi delle 10 più grandi banche al mondo solo 3 sono europee. L’inseguimento dell’ampliamento dimensionale, anche in vista dell’esaurimento del triennio di “vacche grasse” per il sistema che ha gonfiato i profitti a causa dei tassi d’interesse elevati, sarebbe decisamente auspicabile. Tanto per la maggior resilienza alle prossime recessioni economiche che dovessero arrivare, quanto per poter mettere in grado il sistema di riuscire a finanziare quei grandi investimenti europei infrastrutturali che tutti riconoscono sarebbero necessari ma che al momento vengono ancora sistematicamente rinviati.

IL RIBASSO DEI TASSI D’INTERESSE INFLUIRÀ SUI CONTI DELLE BANCHE

Senza contare il fatto che, nonostante la discesa in corso della forbice sui tassi d’interesse, per il momento non si prevede un calo dei profitti delle principali banche europee soltanto perché è ancora piuttosto scarsa la concorrenza tra di esse all’interno dell’Unione Europea, che consente loro di poter esigere commissioni elevate sui servizi erogati. Ma questa peculiarità non è pensabile che perduri in eterno, perché la scarsa concorrenza tra banche si regge aspirando margini di profitto dalle piccole e medie imprese, senza lo sviluppo delle quali il sistema industriale europeo non potrà modernizzarsi. E Dio solo sa quanto occorrerebbe che questo si rinnovasse, se non vorremo che il vecchio continente si riduca ad essere un mero parco dei divertimenti del resto del mondo!

Stefano di Tommaso