RALLY DELLE BORSE FINO A FINE ANNO?
Dopo una grande stagione di rialzi di borsa, che va avanti da quasi due anni, tutti si chiedono se il rialzo dei listini possa essere arrivato al capolinea e se non siamo al momento di un’inversione di tendenza. Domanda più che legittima ma, al momento, la risposta sembra essere negativa: non ci sono le condizioni, anzi! Potrebbe essere appena iniziato un nuovo ciclo di rialzi in borsa, sempre che l’inflazione con riprenda vigore. Ma andiamo nel dettaglio a vedere perché questo scenario sarebbe possibile.
NIENTE RECESSIONE NEGLI USA
Viviamo in un momento di grande incertezza che non lascia molta visibilità sul futuro. Si deve al fatto che sino ad oggi i tassi d’interesse sono rimasti elevati ma i mercati finanziari hanno battuto molti record. Sì deve anche al fatto che, nell’ultimo quinquennio, sono successe tante, forse troppe: l’esperienza pandemica, i tanti focolai di guerra nel mondo, la corsa dirompente delle grandi multinazionali verso una nuova rivoluzione tecnologica, le numerosissime proteste popolari in Occidente, gli scivoloni incredibili che l’economia globale ha preso per poi riprendersi più che proporzionalmente e favorire una corsa delle borse come non se ne ricordava da molti anni.
Dopo tutto ciò e dopo che oramai molte volte l’economia più importante dell’Occidente sembrava essere in procinto di entrare in recessione ma ogni volta questa ipotesi perdeva consistenza… Oggi le stime per la crescita nel 3° trimestre superano il 3% e dunque ogni scenario sembra essere possibile!
IL FAMIGERATO INDICATORE DI RECESSIONE NEGLI USA A FINE SETTEMBRE SEMBRA ESSERE TORNATO QUASI A ZERO
L’ASIA CONTINUA A CORRERE!
Ovviamente dopo la grande stagione di rialzi in borsa sono oramai molti mesi che parecchi soloni invocano crolli epocali delle borse, che invece non arriva. Anzi! Le borse toccano ogni volta nuovi record e anche l’economia globale mostra di voler crescere a un bel ritmo (oltre il 3%). Un tasso questo che sarebbe forse ancora più alto se non ci fosse il freno a mano tirato del fanalino di coda dell’economia globale: il “vecchio continente”, dove i redditi personali non sono riusciti ad adeguarsi al maggior costo della vita e dunque consumi e investimenti ristagnano, mentre le guerre alle porte sono troppo vicine per lasciare tranquille le popolazioni e le aziende.
Anche l’economia cinese corre. Anzi, nonostante la narrativa del “mainstream” voglia affermare il contrario, essa corre ben più dell’America e trascina con sé quella di buona parte del continente asiatico.
Nonostante dunque lo sviluppo economico nel mondo stia facendo ottimi progressi (salvo che nell’Eurozona) per i tassi d’interesse a breve termine (quelli manovrati dalle banche centrali) è attesa una discesa, con politiche monetarie che tendono ad essere meno restrittive. Aggiungiamoci poi che molte grandi nazioni (ad esempio la Cina) preparano pacchetti di stimolo allo sviluppo economico senza precedenti e che i profitti delle imprese di quasi tutto il mondo quest’anno stanno battendo ogni record, come si può vedere qui sotto:
WALL STREET CONTINUERÀ A CORRERE?
Dato tutto ciò quante chances ci sono che le borse possano innestare ancora una volta un bel rally di fine anno? Apparentemente parecchie. Soltanto una brusca ripresa dell’inflazione -con lo stop che ne conseguirebbe ai tagli dei tassi già programmati- potrebbe scongiurare tale possibilità. Ma sappiamo bene che l’inflazione potrebbe risalire se i consumi personali tornassero a impennarsi (cosa al momento improbabile) o se il costo dell’energia, delle materie prime e delle derrate alimentari dovesse crescere parecchio (cosa altrettanto improbabile, nonostante guerre e carestie dovute ai sobbalzi climatici). Altrimenti i movimenti al rialzo che oggi vediamo potrebbero continuare.
Il motivo per il quale i prezzi delle “Commodities” non dovrebbero correre troppo risiede soprattutto nell’ampio divario attuale tra domanda (scarsa) e offerta (ampia) di queste ultime, che dovrebbe tendere a livellare i picchi dei prezzi che emergono ogni qualvolta un nuovo conflitto regionale esplode o si acuisce. Ma occorre non sottovalutare il rischio che il fuoco covi sotto la cenere: l’inflazione dei prezzi nelle ultime settimane sembra essere risalita, principalmente a causa del fatto che l’economia a stelle e strisce sta “tirando” e il costo dei servizi non può che adeguarsi.
È in realtà c’è anche un altro fattore (oltre all’ inflazione) che potrebbe impedire che i tassi d’interesse continuino a scendere, e questo è l’eccessiva crescita del debito pubblico che, generato dai grandi deficit di bilancio di praticamente tutti i principali governi nazionali del pianeta, BRICS, Svizzera e Germania comprese, potrebbe sollevare seri dubbi in termini di fiducia degli investitori che lo finanziano.
Ma il vero problema da questo punto di vista è in America, che fino a ieri ha sempre potuto contare su un afflusso netto di liquidità proveniente dal resto del mondo che si indirizza presso i mercati finanziari d’oltre oceano perché essi sono i più liquidi al mondo e perché sono patria delle più grandi compagnie multinazionali del globo terracqueo.
Oggi però tale afflusso potrebbe ridursi, perché buona parte del mondo non-occidentale vorrebbe evitare di denominare i propri commerci internazionali in dollari anche per non dover mantenere riserve in dollari americani. Dunque in America di liquidità a poco a poco potrebbe arrivarne di meno, proprio adesso che il debito pubblico USA sta esplodendo e che dunque qualcun altro ”deve“ sottoscrivere i titoli emessi dal governo federale.
LA MONETIZZAZIONE DEL DEBITO GENERA INFLAZIONE
E chi potrebbe essere questo “qualcun altro” se non la stessa banca centrale americana? Il fenomeno è già in atto da tempo e si chiama “monetizzazione del debito”. Un’operazione che però non è esente dal rischio di generare nuova inflazione. Non per niente, le ultime rilevazioni dell’inflazione americana ne riportano una ripresa, come si può vedere dal grafico qui sotto:
E questo avviene tuttavia mentre la Federal Reserve ha iniziato ad abbassare i tassi di rifinanziamento delle banche. Quanto durerà la sua retorica se l’indice dei prezzi continuasse a correre? L’analisi grafica dell’andamento (il confronto del tasso d’inflazione CPI con la sua media mobile a 200 giorni) suggerisce che lo farà, come si può leggere dal grafico qui sotto:
Storia diversa riguarda invece i tassi a lungo termine, che sono impliciti nelle quotazioni dei titoli del Tesoro americano, che sembrano infatti tornare a crescere.
I TASSI D’INTERESSE A LUNGO TERMINE RISALGONO
Una tendenza che può tagliare le gambe al trascinamento (principalmente di ordine psicologico) che fino a ieri c’è sempre stato: quando le banche centrali muovo al ribasso i tassi d’interesse a breve termine, normalmente trascinano anche quelli a lungo termine. Questa volta però non sembra essere così, come si può vedere dal grafico qui sotto riportato:
Il problema è che le valutazioni d’azienda si basano quasi sempre sulle aspettative dei flussi di cassa futuri, attualizzati al momento zero scontandoli ad un tasso che normalmente è quello di lungo termine. Dunque se i tassi a lungo termine divergeranno dalla tendenza di quelli a breve a scendere anche le valutazioni d’azienda ne potrebbero risentire negativamente.
LA VALUTAZIONE DELLE IMPRESE “MINORI”
Si tratta però al momento di un aspetto che può riguardare quasi solo le imprese di minori dimensioni, non riscontrabile invece nei principali indici di borsa: sono proprio i listini delle borse americane infatti quelle che continuano a bruciare nuovi record, e che presumibilmente potrebbero continuare a farlo ancora per un po’ . Nel grafico qui sotto un confronto allo scorso Venerdì 11 Ottobre dell’andamento dell’indice RUSSELL 2000 (le principali medie imprese americane, linea azzurra) con l’indice Standard&Poor 500 (dove pesano molto di più le cosiddette “Big Tech”, linea rossa):
L’INDICE RUSSELL 2000 NON PERFORMA COME L’ SP500
A proposito della corsa dei listini azionari ho letto di recente un interessante articolo sul Sole 24 Ore in cui si prendono a esempio i precedenti cicli rialzisti sulle borse americane. La tesi di questo articolo è che la durata dell’attuale corsa dei listini non è poi particolarmente lunga se paragonata alle precedenti fasi “toro” dell’ultimo secolo.
LA CORSA DEI LISTINI POTREBBE PROSEGUIRE
E viene sintetizzata benissimo non tanto nel grafico qui sotto riportato quanto nella tabella che è accanto:
In questa tabella si può leggere che i 730 giorni di durata del ciclo rialzista oggi in corso, e soprattutto l’entità della salita delle quotazioni (+61% in poco meno di 2 anni) sono in realtà poca cosa se paragonati a molte precedenti fasi di crescita della borsa americana quali ad esempio quella del periodo 2009-2020 (+400% e quasi 4000 giorni di durata) e quella del 2020-2022 ( che comprende anche il crollo di Aprile-Giugno 2020: +114% per 661 giorni di durata). Dunque i grandi rialzi degli ultimi due anni dal punto di vista statistico non stupirebbero nessuno se dovessero andare avanti ancora qualche mese. E la fine del ciclo rialzista potrebbe non essere dietro l’angolo.
I PROFITTI AZIENDALI SONO AI MASSIMI
Soprattutto perché sono i profitti aziendali a correre più che mai, come si può vedere dai grafici qui sotto riportati :
E se i profitti continuano a battere le aspettative i mercati potranno non tenerne conto?
Stefano di Tommaso