STRATEGIE D’AUTUNNO

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La radicalizzazione degli eventi globali che impattano sulla salute delle imprese (riduzione delle vendite, scarsità di manodopera, difficoltà negli approvvigionamenti, rincari dei costi, necessità di reshoring delle produzioni e di revisione dei listini prezzi…) impone un profondo ripensamento strategico a chiunque si trovi a gestire un’attività economica. Non basta riuscire ad assorbire gli incrementi dei costi e/o ribaltarli sui prezzi di vendita, ma occorre anticipare e cavalcare i cambiamenti epocali che tali eventi stanno generando per l’ambiente in cui le imprese sono inserite, costringendole ad adeguare in fretta il proprio modello di business invece di esserne travolte. Cosa ovviamente difficilissima, ma anche imprescindibile!

 

L’IPERINFLAZIONE E LE CONSEGUENZE PER LE IMPRESE

Partiamo dalla prima delle ovvietà: l’iperinflazione dei prezzi che è in arrivo in autunno per i consumatori, è già arrivata da tempo per molte imprese industriali. I costi di molti fattori di produzione sono letteralmente volati alle stelle fino a decuplicare o peggio in alcuni casi, e non soltanto per le bollette energetiche. Quegli incrementi a doppia o tripla cifra hanno iniziato a manifestarsi già un anno fa, inizialmente solo in taluni comparti, poi mano mano estendendosi sino ai servizi e alla manodopera qualificata. E’ stato cioè il fattore scarsità che nella maggior parte dei casi ha spinto al rialzo i costi. E la medesima scarsità negli approvvigionamenti ha già determinato o sta determinando una serie importante di conseguenze, anche a prescindere dal loro impatto sui conti economici delle imprese.

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Ad esempio la difficoltà di ottenere delle forniture ha costretto le imprese a fare più magazzino, con un ovvio appesantimento del capitale circolante. In altri casi le ha costrette a pagarle prima del solito o addirittura in anticipo, con la stessa conseguenza, per non parlare della garanzia di pagamento che oggi spesso viene richiesta all’ordine e che in precedenza non era invece usuale, la quale va inevitabilmente ad appesantire la dinamica finanziaria. In molti comparti il credito di fornitura era infatti altrettanto importante quanto quello bancario.

Anche le filiere di fornitura delle imprese -soprattutto quando sono internazionali- hanno subito o rischiano di subire a breve termine degli importanti cambiamenti che impongono altrettanto importanti ripensamenti strategici. Senza i quali probabilmente molte imprese sono destinate a non riuscire a restare vive.

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LA PRESA D’ATTO DEI CAMBIAMENTI EPOCALI

In realtà anzi sono numerosissimi e spesso poco visibili gli impatti non solo monetari che conseguono alla sferzata dei rincari dei costi che hanno investito le imprese. Sarebbe impossibile -nonché inutile- elencarli tutti. Quello che è invece molto utile osservare è ciò che ne sta conseguendo per quasi tutte le attività economiche: la necessità cioè per la maggior parte di imprese e imprenditori di riuscire a ripensare radicalmente e rapidamente la loro ragion d’essere.

Non soltanto per arrivare a trovare nuovi e non scontati equilibri al proprio bilancio aziendale, ma anche e soprattutto per evitare di rimanere vittima dei cambiamenti in corso, perdendo per strada parte della clientela (e dunque anche valore d’azienda) o per dover rinunciare a fattori di produzione che fino a ieri erano considerati strategici e che oggi possono risultare troppo cari o non più disponibili.

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A questo riguardo risulta ovvio per molte aziende fare (o rivedere profondamente) il proprio Piano Industriale per tener conto dei cambiamenti. Ma, come vedremo qui di seguito, ciò non è sufficiente. Il Piano Industriale è come il pesce: “puzza dalla testa”! La sua concretezza dipende cioè dalla qualità di chi è a capo dell’impresa. E per riuscire a reagire ai cambiamenti che si stanno sviluppando a seguito di inflazione, recessione e riassetto degli equilibri geopolitici non occorre soltanto una profonda revisione della piano aziendale, ma anche un’attenta disamina delle numerose ipotesi alla sua base.

QUATTRO ELEMENTI PER REAGIRE

Per orientarsi perciò nella tempesta di rincari e cambiamenti che le imprese -da molto tempo prima dei consumatori- stanno subendo, occorre per chi le gestisce riuscire a trovare: una bussola per orientarsi, un metodo per agire, la determinazione di riuscire ad agire radicalmente e tempestivamente e, molto spesso, le risorse finanziarie per poterselo permettere. Nessuno di questi quattro elementi risulta semplice da mettere in pratica, non foss’altro che per le terribili conseguenze che può determinare il commettere degli errori al riguardo. Se però l’alternativa rischia di essere la stessa sopravvivenza dell’azienda, ecco allora che può valere assolutamente la pena di correre qualche rischio e affrontare le riflessioni che ciò necessita.

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LA BUSSOLA

Mentre i costi di produzione crescono e impongono vari ripensamenti in ordine alla loro gestibilità, molte imprese sono costrette a chiedersi se gli obiettivi precedentemente definiti sono ancora validi, se il proprio posizionamento nell’ambito della concorrenza è ancora sostenibile, se il proprio mercato di sbocco è ancora il medesimo (talvolta, soprattutto per le attività “business to business”, la clientela decide di orientarsi in fretta in maniera del tutto differente, pur di riuscire a mantenere un equilibrio economico: il risultato può essere che una determinata fascia di clientela può arrivare letteralmente a vaporizzarsi).

Trovare un orientamento per comprendere verso quale direzione l’impresa deve dirigersi a seguito dei cambiamenti epocali in corso, non è mai scontato e presuppone, per coloro che riescono a farlo, la necessità di cominciare dall’aggiornamento dell’analisi di mercato e, di conseguenza, del posizionamento strategico dell’impresa. Cosa più facile a dirsi che a farsi.

Spesso queste cose infatti richiedono tempo e comportano costi. Anche le competenze per riuscirvi non sono necessariamente già presenti all’interno dell’impresa. Ciò può spingere a considerarle non urgenti, ma spesso è vero il contrario: nessuna impresa è al sicuro se non riesce a individuare come cambia la domanda dei propri prodotti e servizi e di conseguenza come può cambiare il proprio contesto competitivo, e come può mutare di conseguenza il proprio vantaggio strategico. E si può scommettere sul fatto che la tempesta perfetta oggi in corso sui mercati finirà per cambiare quasi tutto!

Ogni preferenza sta cambiando con l’inflazione in arrivo e con la revisione dei budget di spesa che ne consegue. Ogni abitudine e ogni convenienza saranno riviste. Addirittura in molti casi la carenza di forniture sta impedendo il normale equilibrio economico delle imprese perché ne riduce forzosamente il giro d’affari rendendo non più sostenibili i precedenti costi fissi. Ovvero la situazione impone nuovi importanti investimenti, che si giustificano però soltanto con una crescita -mai scontata- del giro d’affari.

IL METODO

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Le precedenti considerazioni introducono il secondo dilemma -in termini di priorità- che gli imprenditori devono riuscire ad affrontare: come agire? Da dove iniziare? A chi rivolgersi? E come coinvolgere i propri collaboratori?

Di solito un buon modo per iniziare a ragionare sullo scenario che cambia per l’impresa, dopo l’analisi di mercato, della posizionamento competitivo e, di conseguenza, della strategia, è quello di riuscire a fare davvero di conto. Non basta infatti prendere atto dei rincari e delle loro conseguenze sull’equilibrio economico: bisogna rivedere profondamente il Piano Aziendale, ivi compresi lo stato patrimoniale prospettico e il rendiconto finanziario che si può immaginare, almeno per l’esercizio in corso e per quello successivo. Ma per farlo occorre lavorare sulla contabilità industriale, ovvero sull’attenta revisione delle risultanze del controllo di gestione.

Spesso infatti il diavolo sta nei dettagli e, molto più spesso di quanto si possa immaginare, il primo problema delle imprese non sta nella capacità di pianificare il proprio futuro quanto nel cosiddetto “mispricing” (ovvero nella definizione non ottimale dei prezzi di vendita). Al di là dunque del Piano Industriale (la cui validità risiede sicuramente nell’accurata definizione delle ipotesi alla sua base e di come le stesse stanno cambiando nel prossimo futuro), ciò che manca molto spesso alle imprese è la capacità di ottenere validi risultati dal controllo di gestione nonché la capacità di utilizzare le sue risultanze per svolgere i ragionamenti strategici che ne conseguono.

Forse è quest’ultima la capacità più rara: quella di riuscire a tradurre in pratica i suggerimenti che discendono dalla pianificazione. E quando le cose cambiano occorre riuscire ad agire in maniera molto diversa da quanto fatto in precedenza. Pianificare il futuro prossimo è già molto complesso. Quasi impossibile farlo quando si vuole guardare ancora più in avanti. Ma è altrettanto vero che risulta quasi imprescindibile. Da questo punto di vista l‘accurata formalizzazione del Piano Industriale che ne consegue può aiutare l’imprenditore nel ragionamento.

Tradurre in pratica i suggerimenti che derivano dal controllo di gestione tuttavia non può non comportare la diffusione ad un certo numero di collaboratori di informazioni strategiche, al fine di coinvolgerli e motivarli. Senza disporre di un gruppo di persone molto coese e motivate è difficile per le imprese riuscire a reagire velocemente e bene. Per questo motivo occorre riflettere innanzitutto sulla qualità delle risorse umane che dovranno mettere in pratica i cambiamenti. E una volta fatto ciò può valer la pena di correre qualche rischio nell’affidarsi ad un certo numero di collaboratori condividendo con essi informazioni delicate! Nessuna azienda può dipendere dal solo vertice.

LA DETERMINAZIONE

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Pur riconoscendo la vastità e la difficoltà che comporta -per qualsiasi impresa, anche piccolissima- effettuare la revisione dell’analisi di mercato e della strategia aziendale, nonché la revisione conseguente del Piano Industriale e delle ipotesi alla sua base, e infine l’aggiornamento del controllo di gestione per tenere conto dei nuovi numeri che discendono dall’iperinflazione, ciò nonostante il punto non è mai la teoria, bensì la pratica.

Un’impresa infatti può dotarsi di ottimi consulenti e/o di personale interno estremamente capace di rivedere rapidamente ogni elemento della strategia aziendale, ma può ciò nonostante non riuscire affatto nel vincere le resistenze che immancabilmente si presentano quando si tratta di tradurre in realtà le indicazioni che emergono da tale revisione.

Se vogliamo insomma, per quanto siano chiare e importanti le indicazioni che discendono dalle analisi e pianificazioni che l’attento imprenditore deve riuscire a tradurre in realtà, il vero problema è il tracciare la cosiddetta “road map”, cioè il percorso di graduale progressività dei cambiamenti da effettuare, nonché la tempistica che ne consegue, mai facile da rispettare. Anzi! Normalmente ogni variazione delle procedure aziendali risulta traumatica, costosa e lunga da attuare. E l’alternativa alla capacità di tenere conto delle istanze dei dipendenti che vi si oppongono (a volte anche a ragione) è quella di scombussolare l’organizzazione, arrivando a perdere l’equilibrio acquisito in precedenza.

Ma ciò che accade “là fuori” sul mercato rischia di essere altrettanto traumatico, e non consente all’impresa di concedersi tempi lunghi per reagire. Le cose nel frattempo potrebbero cambiare ancora. Un attento imprenditore (o capo azienda) deve perciò contemperare la necessità di analizzare i mercati e i concorrenti arrivando a rivedere intelligentemente la strategia, con quella, altrettanto importante, di declinare -gradualmente ma con decisione e rapidità- i cambiamenti strategici e organizzativi che ne conseguono. Di nuovo: è molto piu facile a dirsi che a farsi.

LE RISORSE FINANZIARIE

Si è parlato più volte sino a qui della revisione strategica necessaria a seguito dei mutamenti oggi in corso sui mercati e delle conseguenti manovre che le imprese devono mettere a fuoco. Piani e manovre che devono essere condivisi, accettati e gradualizzati, prima che attuati. Ma non si può fare “i conti senza l’oste”. Fuor di metafora: la dimensione finanziaria dell’azienda rischia di risultare particolarmente strategica di fronte alle sfide che recessione, inflazione e revisione delle filiere produttive stanno imponendo alle imprese. Quasi sempre potervi reagire significa investire, e per farlo bisogna potertelo permettere.

Una prima osservazione riguarda la disponibilità di credito per le imprese, non soltanto bancario ma anche quello di fornitura. Che, con l’arrivo della recessione, rischia di prosciugarsi. Contrastare questo fenomeno generalizzato significa dunque vincere la concorrenza di altre imprese che vorrebbero ottenerlo (o mantenerlo) in presenza di una disponibilità complessiva del sistema finanziario che necessariamente arriverà a ridursi. Significa cioè risultare particolarmente resilienti alle difficoltà poste dalla congiuntura sfavorevole ovvero particolarmente capaci di cavalcare i cambiamenti in corso.

Una seconda e già meno scontata considerazione riguarda il capitale di rischio: teoricamente a seguito dell’incremento di numerosi rischi aziendali la dotazione di capitale sociale dovrebbe accrescersi, non diminuirsi a causa di perdite o minusvalenze cui facilmente -magari anche solo per pochi mesi- sono incorse le imprese prima di potersi adeguare ai rialzi dei costi di produzione. Inoltre per riuscire a mantenere il medesimo perimetro aziendale è piuttosto probabile che le imprese debbano effettuare investimenti, vuoi nell’efficienza di produzione e vuoi nella capacità di adeguare la propria struttura ai cambiamenti di mercato. Per i quali occorre altro capitale.

Quand’anche gli investimenti suddetti siano tutti sacrosanti e -nel medio termine- anche redditizi, ci sono soltanto due modalità per poterli sostenere: raccogliere altro capitale di rischio o dismettere delle attività non strategiche. Una terza modalità potrebbe sempre essere il ricorso ad ulteriori linee di credito ma non è affatto semplice riuscirvi, e presuppone un’insolita capacità dell’impresa di contrastare la tendenza di fondo degli istituti di credito a ridurre le erogazioni con l’arrivo di una recessione.

A meno perciò di importanti disinvestimenti (più difficili a realizzarsi e anche meno convenienti in tempi di recessione) le imprese che vogliono fare correttamente fronte all’attuale congiuntura e all’aumento generalizzato dei rischi aziendali (nonché agli ulteriori investimenti necessari) dovranno trovare il modo di raccogliere capitali, ovvero dovranno accettare di subire i cambiamenti di mercato senza potervi reagire e probabilmente accusando contemporaneamente una riduzione della disponibilità di credito.

Di solito si può sperare di ottenere capitale di rischio da terzi investitori a fronte di due condizioni: dell’aspettativa di tradurre in profitti incrementali tale capitale (cosa mai sicura) e della possibilità per chi investe di riuscire agevolmente a disinvestire in futuro (cosa altrettanto complessa quando l’impresa non è quotata in borsa). Per riuscire dunque nell’intento occorre disporre di un Piano Industriale molto affascinante e dove si mostra la capacità dell’impresa di riuscire addirittura a incrementare i propri profitti nonostante le difficoltà sopraggiunte.

LE ALTERNATIVE

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Da quanto sopra appare particolarmente evidente a quali difficoltà stanno andando incontro le imprese al sopraggiungere dell’attuale crisi: non soltanto dovranno riuscire a ribaltare gli incrementi dei costi e a mantenere i propri mercati di sbocco ma dovranno anche ripensare il proprio modello di business arrivando a trovare nuove filiere di fornitura, delle risorse umane qualificate per reagire ai cambiamenti, ed effettuare cospicui investimenti senza incrementare l’indebitamento ma anzi raccogliendo nuovo capitale di rischio.

E’ chiaro perciò che molte imprese non riusciranno a fare in tempo tutto ciò, se non dismettendo per tempo attività e cespiti non strategici per raccoglierne cospicue risorse finanziarie e/o per focalizzare i propri sforzi nelle direzioni più strategiche. All’arrivo di una recessione economica unita a una forte ventata di inflazione e con il conseguente rialzo dei tassi d’interesse, può dunque risultare particolarmente urgente effettuare dismissioni e incassare del denaro contante.

L’ultima alternativa possibile è quella di affrontare un importante “turnaround aziendale” accompagnato ad una o più aggregazioni con altre imprese, con lo scopo di ampliare la base dei ricavi e apportare tagli alle spese comuni. Spesso questa alternativa consente anche di sopperire all’impossibilità di effettuare direttamente degli investimenti strategici, che in caso di aggregazioni potrebbero non essere più necessari.

Dal momento che le crisi comportano non soltanto cambiamenti ma anche riduzioni del giro d’affari e/o fallimenti, contrastare un periodo del genere attraverso un programma di aggregazioni aziendali può risultare la più economica e la più veloce delle strategie possibili, soprattutto quando mettere in pratica le alternative risulta poco agevole o è poco probabile superare indenni le difficoltà.

Se vogliamo è questa l’indicazione più forte che discende dall’analisi qui effettuata: resistere e reagire alle mutate condizioni di contesto economico si può, magari anche con successo. Ma è piuttosto improbabile riuscirvi rimanendo immobili o aspettando troppo!

Stefano di Tommaso