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ALLARME SPREAD

Per usare parole di Ernest Hemingway (nel romanzo “Il sole sorgerà ancora”), la caduta del governo di Mario Draghi è maturata prima gradualmente, e poi improvvisamente. Egli aveva speso tutto il suo prestigio internazionale per rendere credibile la promessa di attuare numerose riforme, con atteggiamento inequivocabilmente pro-NATO e pro-Unione Europea che aveva rassicurato -ma anche illuso- tanto i mercati finanziari internazionali quanto i suoi concittadini. La consapevolezza di non poter arrivare sino in fondo è man mano avanzata, sino a maturare e a divenire esplicita.

 


Forse è utile infatti ricordare che di tutte le riforme promesse al Paese e all’Unione Europea non soltanto sono parecchie quelle non realizzate, ma persino tra quelle già attuate, diverse hanno subìto blocchi inaspettati (si pensi all’incentivo “110%” alle ristrutturazioni edilizie). D’altra parte l’ambizioso programma di governo dell’ex governatore della Banca Centrale Europea non poteva non far emergere la più generale difficoltà per il nostro Paese di conciliare le esigenze dei cittadini e delle imprese con quelle -spesso divergenti- degli alleati atlantici e degli altri stati membri dell’Unione Europea, ognuno dei quali è necessariamente portatore di propri interessi.

IL RISCHIO “CAOS” INGROSSA LO SPREAD


Oggi, prima di trovare un nuovo equilibrio politico e di riuscire a fornire un seguito credibile al governo di unità nazionale che è stato sorretto dal voto favorevole del parlamento per circa un anno e mezzo, l’Italia rischia di scivolare ancora nella recessione e nel caos amministrativo. Per 17 mesi destra e sinistra hanno convissuto con un governo popolato non soltanto da tecnocrati scelti dal Primo Ministro, ma anche da pittoreschi quanto improvvisati “statisti” oltre che da consumati “passisti“ della prima repubblica. All’approssimarsi però delle elezioni, è divenuto chiaro che “sovranisti”, ”globalisti“, ”assistenzialisti” e “moderati” non avrebbero potuto più convivere nel medesimo governo, peraltro tenuto strenuamente da Draghi su posizioni tra le più filo-americane che la storia ricordi.


Attenzione: Mario Draghi resterà ancora saldamente legato alla propria poltrona fino a Ottobre, e forse anche a Novembre, dal momento che le direttive imposte dal presidente della repubblica e la scelta di quest’ultimo di sciogliere le camere e indire nuove elezioni dopo la fine dell’estate permetterà all’attuale Consiglio dei Ministri di fatto di continuare a governare -quasi a pieni poteri- fino all’entrata in carica del nuovo esecutivo. Continuando probabilmente ad inviare segretamente altre armi in Ucraina e a promulgare decreti e provvedimenti relativamente impopolari.

Il punto però riguarda le prospettive politiche del paese, dal momento che i sondaggi rivelano una probabile vittoria dei partiti di destra e, tra questi, una decisa prevalenza di quello meno propenso a proseguire sulla linea del governo attuale: i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. In un paese come il nostro, dove la legge elettorale esprime un sistema proporzionale che rende necessarie ampie maggioranze per governare, è possibile che il prossimo esecutivo, quando verrà partorito, rassomigli parecchio a quello precedente.

QUALE ALLARME


Tali prospettive politiche possono scatenare allarmi di due tipi sui mercati finanziari: l’allarme del primo tipo riguarda il rischio che l’Italia possa moderare la linea atlantista imposta sino ad oggi dal presidente del consiglio e, prima di lui, da quello della repubblica. Una linea non necessariamente virtuosa, poiché ha da un lato trascinato l’Italia allo scontro frontale con il suo maggior fornitore di energia (nonché bacino di sbocco di molte produzioni nazionali) e dall’altro lato ha garantito sì l’apprezzamento della comunità finanziaria ma ha anche fatto crescere sproporzionatamente il debito pubblico.

L’allarme del secondo tipo consiste nel timore che Commissione Europea e Banca Centrale Europea possano scegliere di non intervenire più con la determinazione e la tempestività mostrati in passato nella difesa della sostenibilità del debito pubblico italiano. Si tratterebbe di una subdola modalità di ricatto nei confronti di coloro che prenderanno il posto dell’attuale maggioranza parlamentare, onde ottenere che -chiunque siano- non possano discostarsi troppo dalla linea politica precedente.

LA “MEZZA MISURA” DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA


La BCE infatti, ha sì varato il cosiddetto Transmission Protection Instrument (TPI: un nuovo meccanismo di contrasto alla speculazione contro il nostro sistema finanziario, consistente in un programma teoricamente illimitato di acquisto di titoli di stato dei membri più deboli dell’Unione), ma ha altresì lasciato ampia discrezionalità ai propri organi esecutivi circa le modalità e le tempistiche dell’intervento di questo meccanismo, evitando di precisarne troppo il funzionamento e, di fatto, azzoppandolo sin dalla nascita.

Il risultato di questa vaga -seppure illimitata- delibera, è quello che i mercati si attendono già oggi un maggior rischio di deprezzamento dei titoli di stato italiani, con la conseguenza di una crescita decisamente probabile del differenziale tra il rendimento garantito dal “Bund” tedesco e quello del BTP italiano: il famigerato “spread”! E le aspettative sui mercati finanziari -si sa- tendono quasi sempre ad auto-realizzarsi.

Cosa che risulta decisamente penalizzante per il nostro paese proprio adesso che i tassi d’interesse stanno salendo a razzo in tutto il mondo, il costo dell’energia va alle stelle a causa delle tensioni internazionali e il rischio che non arrivi abbastanza combustibile per riscaldare la cittadinanza e far funzionare l’industria continua a crescere. L’Italia infatti non brucia quasi carbone (come invece ha ripreso a fare la Germania), non ha centrali nucleari in funzione (come invece hanno altri membri dell’Unione, come Francia e Germania, anche se quest’ultima aveva, prima della crisi, deciso di spegnerle) e non estrae idrocarburi dal proprio territorio, per dissennata scelta, falsamente ambientalista.

I DANNI PER LE IMPRESE


Chi rischia dunque di fare parecchio le spese di questa situazione sono le imprese italiane, non soltanto per perché pagano inequivocabilmente l’energia più cara di qualunque altro concorrente in ambito comunitario, ma anche per altri due motivi:

1) rischiano in autunno di dover ridurre la loro attività per scarsità e maggior costo dell’energia rispetto alla stragrande maggioranza delle loro concorrenti europee,

2) rischiano di rinviare o ridurre investimenti e capitale circolante a causa del maggior costo del denaro: i tassi d’interesse risultano Infatti appesantiti dall’incremento dello spread e a causa della scarsa liquidità in circolazione nel nostro Paese, con la conseguenza del maggior costo del credito che ne deriva.

Anche la Borsa Italiana, ceduta al circuito europeo Euronext, risulta penalizzata dall’aumento dello spread. La caduta delle aspettative di crescita del nostro paese ha ridotto la quota di investimenti che i grandi gestori del risparmio destinavano in precedenza all’Italia, con il risultato che la liquidità scarseggia e le valutazioni aziendali inevitabilmente ne risentono. Diviene dunque più problematico per le matricole affacciarsi alla quotazione in borsa, proprio adesso che un gran numero di imprese stava decidendo di rompere gli indugi e decidere di proporsi al mercato dei capitali, anche per la scarsità di risorse disponibili a titolo di credito!

WHATEVER IT ”FAKES”


L’annuncio della Banca Centrale Europea insomma ha deluso parecchio. Sembrava che il nuovo programma illimitato di “anti-frammentazione” (di fatto rivolto al sostegno dei debiti pubblici di paesi come il nostro) potesse vagamente somigliare al famoso “whatever it takes” pronunciato proprio da Mario Draghi più o meno esattamente una decina d’anni fa. Ma a guardarlo bene rischia di essere una farsa, un minuetto piuttosto vago nei contenuti. Più simile dunque a un “whatever it fakes”! In linea con la politica di piccoli passi e molta circospezione che ha tenuto la governatrice Christine Lagarde da quando è stata eletta, soprattutto nei confronti dei falchi tedeschi, che notoriamente non sono particolarmente propensi a concedere granché a paesi come il nostro.

Stefano di Tommaso