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ALLARME IMPRESE ! (2^ PARTE: COME REAGIRE)

LA COMPAGNIA HOLDING
Se da un lato è difficile obiettare all’elencazione -riportata nel precedente articolo- dei venti contrari che congiurano per rendere assai difficile la vita degli imprenditori italiani, dall’altro lato è pur vero che alle sfide ambientali e sistemiche i governi e le imprese possono tentare di rispondere. Mentre però risulta difficile in questa sede parlare di politiche industriali e delle grandi alleanze internazionali che hanno portato nell’angolo l’imprenditoria del nostro Paese, è invece molto più interessante provare a riflettere su quello che le imprese possono fare per reagire alle straordinarie condizioni avverse che abbiamo elencato nel precedente articolo.

 

ALLA RISCOSSA

Cominciamo con la parola “allarme”. Essa viene dal grido: “all’arme!” Cioè alle armi, alla riscossa. Grido che si lanciava quando il nemico era alle porte, invitando soldati o popolazione a impugnare le armi e a reagire.

Proviamo dunque a chiederci come possono combattere la situazione esistente le imprese italiane, mettendo insieme qualche prima considerazione al riguardo:

IL COSTO DELLE MATERIE PRIME

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Il problema principale relativo all’inflazione dei prezzi dei fattori di produzione sembra essere il grado di dipendenza dell’industria dalle fonti primarie di materie prime e semilavorati: più le imprese che sono sottoposte a rialzi dei costi riescono a controllare le loro fonti di approvvigionamento (cioè a integrarsi verticalmente) e meno possono subirne pressioni.

È chiaro che il modo migliore per integrarsi verticalmente sarebbe quello di poter controllare le miniere e i produttori di semilavorati in giro per il mondo, ma per farlo bisognerebbe raggiungere dimensioni aziendali tali che ciò possa risultare conveniente. Le imprese italiane sono al contrario affette da nanismo endemico e pertanto spesso questa strada è da escludere.

Restano le grandi alleanze, i network di filiera e di sistema, i distretti produttivi e le joint ventures internazionali, che invece hanno un solo limite: le capacità manageriali a disposizione. In molti casi le imprese italiane hanno seguito questa strada ma si tratta per lo più di quelle più grandi e magari quotate in Borsa. Le piccole spesso non ci riescono. Solo che in tal caso occorre chiedersi se non conviene aggregarsi a gruppi più grandi piuttosto che subìre costi maggiori e poca capacità di reggere la concorrenza.

IL COSTO DELL’ENERGIA

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L’altro grande fattore che sarebbe molto utile poter controllare è il costo dell’energia, la cui inarrestabile escalation ha portato spesso le imprese a lavorare con margini ridottissimi. La più bella di tutte le risposte sarebbe quella di ridurre il più possibile i consumi di energia e in tal modo economizzare il costo, ma spesso per farlo occorre investire pesantemente.

In altri casi risulta perciò più pratico decentrare altrove nel mondo quella parte di produzione industriale che ha più bisogno di consumare energia, onde sfruttare la capacità di altre imprese o altri paesi nel tenerne sotto controllo il costo.

In ogni caso l’opzione migliore resta sempre quella di lavorare per trasformare la propria azienda nella più ecologica di quelle possibili, ad esempio soddisfacendo i famosi criteri di sostenibilità “Environment, Social, Governance (ESG)” in modo da risultare attraenti per finanziatori e investitori a caccia di opportunità “verdi” e in tal modo mettere in cantiere investimenti di contenimento dei costi.

IL MARKETING STRATEGICO E I CANALI COMMERCIALI

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Se la domanda da parte dei consumatori scarseggia, occorre probabilmente anche riuscire a risvegliarla raggiungendo più direttamente possibile la clientela e dialogandoci, allo scopo di trarne utili indicazioni relative alla domanda potenziale di mercato e alle azioni necessarie dal punto di vista del marketing.

Spesso le imprese di minori dimensioni non effettuano nemmeno ricerche di mercato, del loro posizionamento competitivo, indagini sull’andamento dei consumi e analisi sull’efficienza dei propri canali commerciali. Sono spesso attività che hanno ciascuna un costo elevato e che pertanto sono spesso fuori della portata dei piccoli imprenditori, ma non tutte.

In molti altri casi è il “focus” manageriale che manca davvero, la cultura d’impresa, la pianificazione strategica e la presa di coscienza della propria situazione di mercato relativamente agli attuali canali distributivi. A volte basta esaminare i bilanci delle imprese concorrenti per farsi domande utili a mettere a fuoco idee di efficientamento dello sforzo commerciale. L’unico limite è la capacità di chi gestisce, che deve poter reggere la sfida aziendale.

Anche dal punto di vista del prodotto occorre probabilmente trovare nuove modalità di vincere la concorrenza e di adattarsi alle nuove esigenze del mercato (ad esempio: quella del contenimento del prezzo di vendita) modificando la propria offerta, migliorando la competitività nei costi e trovando nuove e ulteriori valenze per l’utilità del prodotto nei confronti degli acquirenti finali. Non c’è limite da questo punto di vista alla possibilità di rinnovamento, se non quello strettamente finanziario!

MA OCCORRE AVER VOGLIA DI CRESCERE

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Di nuovo però: anche per lavorare attivamente allo sviluppo commerciale e al marketing strategico e di prodotto occorre disporre di capitali sufficienti ad investire nelle strutture, e più ancora nelle competenze. Servono ottime risorse umane, fresche, indipendenti e creative, con capacità di gestione dei costi aggiuntive, nonché forte propensione al cambiamento.

Quando lo scenario esterno peggiora e cominciano a soffiare forti venti contrari bisogna infatti correre ai ripari. Chi si ferma è perduto!

Le iniziative sopra descritte per contrastare la congiuntura sfavorevole che si prospetta sono ovviamente state sino ad oggi appannaggio quasi soltanto delle imprese maggiori, e di quelle con una più spiccata diversificazione internazionale. Mentre le più piccole devono chiedersi se è ancora possibile restare piccole. Oppure se devono riuscire ad allacciare rapporti con reti d’impresa di appoggio, tanto per i fornitori quanto per i distributori, ovvero a costruire partnership strategiche in giro per il mondo, o infine se riescono a trovare la capacità finanziaria di investire in maniera significativa nelle direzioni sopra descritte per poter crescere internamente.

E OCCORRONO CAPITALI

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Se la concorrenza è globale, anche le dimensioni aziendali devono adeguarsi. Solo attraverso il raggiungimento di quel “ticket minimo” delle dimensioni aziendali diviene possibile raccogliere abbastanza capitali e finanziamenti per investire nell’innovazione, nell’efficienza (anche energetica) e, più di ogni altra cosa, nei canali distributivi e nel consolidamento del proprio marchio di fabbrica (il cosiddetto “brand”).

Molte imprese si troverebbero nella condizione di affrontare le loro sfide investendo e assumendo, ma spesso non lo fanno perché non vogliono aprire la compagine azionaria a terzi investitori, o non vogliono quotarsi in Borsa, o non vogliono aggregarsi a grandi gruppi. È anche il motivo per il quale un certo numero di imprese a un certo punto getta la spugna…

I SETTORI INDUSTRIALI FAVORITI

Ovviamente non tutte le imprese dei vari settori industriali saranno ugualmente capaci di cogliere le opportunità offerte dalla situazione di stallo che si sta prospettando: senza dubbio l’appartenenza ai settori che sembrano più favoriti dalla situazione di scarsità energetica potrebbe favorire la loro reazione.

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La crescente fame di energia e lo scenario di fondo che non riguarda soltanto il razionamento energetico ma anche la necessità di una seria transizione ecologica porranno per molti anni a venire l’accento sull’intelligenza di macchine uomini e sistemi nell’utilizzo efficiente delle energie.

Non soltanto dunque la produzione da fonti (davvero) rinnovabili, ma anche l’efficienza nell’utilizzo, lo stoccaggio e l’intelligenza nella gestione energetica sono destinati a diventare sempre più importanti in un mondo a venire che sembra da un lato condannato ad una fame compulsiva di sempre maggiori capacità energetiche e dall’altro a doverne sopportare un costo sempre più elevato.

Ovviamente questa situazione favorirà non soltanto il mondo della produzione di energie da fonti rinnovabili bensì anche le nuove tecnologie nucleari, l’efficientamento delle vecchie centrali idroelettriche, lo sviluppo di nuove tecnologie solari e, finalmente, lo sfruttamento delle immense energie sottomarine, oggi quasi del tutto trascurate.

LE GRANDI INFRASTRUTTURE DEVONO ESSERE TUTTE RINNOVATE

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Non soltanto la transizione ecologica (come ad esempio il passaggio a veicoli elettrici e a sistemi di caldo/freddo basati sull’elettricità), bensì anche l’efficienza nei costi determineranno una domanda indotta di fortissimi investimenti nelle infrastrutture di base, quali la produzione e il trasporto di energia, i nuovi sistemi di trasporto pubblico, le comunità energetiche, i sistemi di telepresenza (il futuro delle videochiamate) e, con essi, i nuovi sistemi di trasporto dati ad altissima velocità, eccetera…

Gli anni a venire vedranno probabilmente concentrarsi sulle infrastrutture tanto la spesa pubblica quanto nuovi giganteschi investimenti privati. Entrambi peraltro avranno bisogno, per essere alimentati, di un ottimo funzionamento dei mercati finanziari regolamentati e, con essi, di nuove categorie di intermediari in grado di “fare mercato” nel mondo delle grandi opere infrastrutturali. Anche per questi ultimi ci saranno perciò opportunità di guadagno, anche se probabilmente saranno più polarizzate verso le grandi dimensioni.

SEMPRE MAGGIORI DIMENSIONI AZIENDALI

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È dunque facile profezia che la crisi in arrivo possa accelerare numerose transizioni tecnologiche e energetiche. Ad esse si accompagnerà però -probabilmente- anche lla necessità di nuove, gigantesche, dimensioni aziendali. E che dunque le piccole e piccolissime imprese saranno sempre più fuori gioco. Così come saranno in maggiori difficoltà le imprese che avranno avuto poca capacità di raccogliere la sfida della diversificazione internazionale, nonché la capacità di organizzare importanti partnership con governi ed organizzazioni pubbliche di ogni genere.

Molte imprese italiane rischiano seriamente di soccombere ai nuovi scenari economici e devono fare di tutto per preparare la propria organizzazione ai cambiamenti in corso. A partire dalla loro dimensione aziendale e dal loro “sdoganamento” sul mercato dei capitali (attraverso la trasparenza di bilancio e la capacità di rispondere ai criteri ESG), fino alla diversificazione interculturale e internazionale del management e alla capacità di realizzare partnership globali.

Se la situazione generale non potrà che peggiorare, soprattutto per le imprese italiane, bisogna anche riuscire a riconoscere che le grandi trasformazioni in corso non portano con loro solo minacce, bensì anche grandi opportunità. E chi riesce a coglierle può non soltanto sopravvivere, ma anche prosperare, accelerando l’evoluzione del proprio business e investendo pesantemente nel cambiamento.

Stefano di Tommaso