La Realpolitik di Draghi

image_pdfimage_print
La notizia della settimana è sicuramente la visita di Draghi a Washington, ed è una notizia non soltanto per il nostro Paese. Ma quali sono le vere ragioni di questa visita? Riaffermare l’amicizia atlantica è probabilmente solo una parte della verità. E qualcosa è trapelato: Draghi deve riuscire a barcamenarsi tra l’adesione alle tesi americane e l’esigenza di evitare disastri a casa propria!

Egli è oggettivamente un bravissimo presidente del consiglio. Ha usato la sua grande credibilità per rassicurare l’Occidente circa la posizione italiana nello scacchiere internazionale, E’ stato capace di concepire una politica estera del nostro paese che non si vedeva dai tempi di Andreotti, ma per molti versi è un personaggio totalmente opposto: lui è chiaramente schierato con il partito della guerra mentre Andreotti coltivava un ragionamento autonomo e rivendicava per il nostro Paese innanzitutto i suoi interessi! Draghi invece coltiva molto l’ “allineamento” all’Europa, alla NATO e all’America.

Ma forse Draghi non è ancora nella posizione di dire pubblicamente ciò che pensa o non lo dice in pubblico. Il detonatore che ha scatenato la guerra è stata dal 2014 in poi l’aggressione dell’esercito ucraino verso i separatisti del Donbass, con abbondanza di crimini di guerra sui civili. Che poi questa sia ricollegabile all’annessione russa della Crimea è un altro dato di fatto. Ma nessuna nazione bombarda parti del proprio territorio (le repubbliche del Donbass e del Donetsk) per ripicca. La pace e gli accordi di Minsk addirittura ne prevedevano l’autonomia, ma Kiev non l’ha mai concessa. La narrazione dei governi e della stampa occidentale dice invece sostanzialmente che Putin -nonostante il genocidio in quei territori- non doveva intervenire.

L’intervento russo tuttavia è stato mirato a bloccare le forze militari che assediavano quelle repubbliche. Molto diverso -per fare un esempio- da quello americano nella Libia di Gheddafi: 7 mesi di bombardamenti della NATO con notevoli perdite civili libiche e addirittura l’eliminazione fisica del suo leader. Oggi la NATO sostiene che l’Ucraina può vincere la guerra contro la Russia, nonostante molti osservatori indicano che quest’ultima abbia sino ad oggi impiegato una frazione minuscola del proprio esercito e che dunque avrebbe fortissimi margini di incremento della propria potenza di fuoco. Anzi è forse questa la domanda più importante: è vero che la Russia ha scelto di impegnarsi soltanto marginalmente in Ucraina? E perché? C’è qualcuno invece che afferma l’esatto opposto: la Russia è a corto di uomini e munizioni.

E’ probabilmente anche la tesi di Svezia e Finlandia che hanno chiesto di entrare nella NATO: se la minaccia russa fosse solo quella nucleare allora trovarsi sotto l’ombrello NATO potrebbe avere un grande senso. Se invece l’esercito di Putin fosse sufficientemente forte da poter tranquillamente sostenere due o più fronti di Paesi troppo avanzati per lasciarla tranquilla, allora la “provocazione” di una NATO che si avvicina troppo potrebbe sfociare in nuovi conflitti.

L’America insiste nell’alimentare il conflitto ucraino con armi, aiuti e provocazioni ma i leaders europei a casa loro, pur allineandosi alla politica NATO, fanno quattro conti e stanno facendo notare, come aveva già fatto Macron e come stavolta ha fatto Draghi alla Casa Bianca, che non è accettabile che a farne le spese siano solo loro (soprattutto che non sarà sostenibile la carenza di gas nel prossimo autunno). La bilancia va riequilibrata per tempo perché in autunno la mancanza di energie potrebbe scatenare una grossa crisi. Draghi a Washington è stato molto diplomatico ma non ha mancato di farlo notare. Che se ne sappia però egli non ha detto a Biden ciò che secondo logica doveva conseguirne: e cioè che quindi bisogna trovare un compromesso e piantarla con la guerra. Perché non lo ha detto?

Putin fino ad oggi sembra aver scelto di non fare come Obama in Libia, bombardando indiscriminatamente anche gli obiettivi civili pur di dare presto una svolta risolutiva alla sua azione militare. Ma nemmeno questo è certo: i giornalisti occidentali oggi affermano il contrario: le vittime civili sono numerose. Resta allora da comprendere quale possa essere allora la reale strategia Russia, perché sicuramente ne ha una. Osservando l’economia se ne può forse trovare una chiave di lettura: se fosse vero che le sanzioni occidentali le hanno fatto poco danno, creando invece contemporaneamente problemi all’Europa e vantaggi a Cina ed India (che si sono viste indirizzare grandi quantità di petrolio e gas a prezzi scontati) allora la politica dei piccoli passi della Russia in Ucraina potrebbe essere spiegata.

Se la Russia fosse ancora forte (economicamente e militarmente) allora le forniture occidentali di armi agli ucraini non faranno che rallentare la conclusione della guerra, ma è improbabile che permettano di rovesciarne le sorti a favore dell’invasore. I molti morti serviranno soltanto ad affermare la tesi che vuole che le responsabilità siano tutte di quest’ultimo. Inoltre le forniture di armi occidentali all’Ucraina sono anche a carico dei paesi europei ma corrispondono ad altrettanti ordinativi di nuove armi, principalmente a vantaggio delle grandi fabbriche di armi americane. Il rischio di questo passo è che la guerra in Ucraina possa durare molto a lungo, almeno sino a quando l’Occidente non avrà svuotato di vecchie armi i suoi arsenali (10-15 anni) e non le abbia rimpiazzate con quelle nuove.

Il problema è che in questo scenario l’Europa potrebbe subire importanti danni economici per i retro-effetti delle sanzioni e per lo sbilancio nelle forniture energetiche. Chi ci guadagnerebbe invece sarebbero le grandi èlites (americane soprattutto) che controllano l’esportazione di gas e petrolio a prezzi maggiorati e che ovviamente preferirebbero andare avanti con questa situazione molto a lungo.

Esiste un altro scenario, in cui la guerra potrebbe durare assai meno: quello in cui in autunno la maggioranza democratica al Congresso potrebbe dissolversi e i repubblicani addirittura arrivare a votare l’impeachment per Biden, o comunque un taglio alle spese di guerra. A quel punto Russia e America potrebbero trovare un soddisfacente incentivo a fare la pace. Il problema però è che l’Europa non sembra potersi permettere di attendere l’autunno per cercare la pace nell’Ucraina. Nella prima parte del 2022 è già caduta in recessione e, in assenza di sufficienti forniture di gas, in autunno la situazione potrebbe peggiorare.

E inoltre c’è sempre il rischio che nel frattempo il conflitto degeneri: ad esempio che le provocazioni americane si moltiplichino spingendo la Russia ad agire direttamente contro le forze alleate, o che si intensifichi la pressione militare per concludere la campagna d’Ucraina più in fretta, o infine che qualche paese europeo ne venga troppo coinvolto divenendo parte belligerante. E’un rischio concreto, dal momento che l’intelligence NATO sta smaccatamente guidando i missili ucraini per affondare le navi russe. La possibilità che scatti l’articolo 5 dello statuto NATO e che venga coinvolta nella guerra l’intera Europa prefigurerebbe per quest’ultima ingenti danni collaterali sul proprio territorio. A quel punto o la Russia preferirà fermarsi perché impossibilitata a sostenere un confronto così importante oppure una parte consistente dell’Europa si ritroverà in guerra.

Forse tuttavia è proprio ciò che Macron, Draghi e altri capi di stato continentali stanno aspettando: la naturale estinzione del conflitto ovvero il casus belli, per arrivare in tal caso a dire “adesso basta” e puntare i piedi per evitare l’escalation. A quel punto cioè essi potrebbero trovare adeguata giustificazione per alzare la voce e imporre alla NATO una politica diversa. Senza attendere che le fortune politiche del presidente americano scemino da sole. Sono capi di stato e hanno al loro servizio importanti studiosi di strategia. Forse lo sanno già benissimo e forse è per questo motivo che oggi non lo fanno ancora. Attendono semplicemente tempi migliori, pur con un occhio a non incrinare mai la linea politica condivisa con gli americani. Forse hanno anche ragione a comportarsi così ed è questa la realpolitik che debbono avere. Sicuramente però insieme a un certo cinismo!

Draghi è stato uno dei più importanti banchieri centrali che la storia ricordi ed è noto quale sia l’arte di governare una banca centrale: quella di attendere che una serie di variabili possano bilanciarsi a tal punto che basti una piccola mossa (talvolta solo una frazione di punto percentuale dei tassi d’interesse, o una dichiarazione ben assestata relativa alle proprie intenzioni) per orientare massicciamente l’economia. La speranza è che Draghi stia applicando allo scacchiere internazionale la medesima tattica: attendere che le variabili si allineino per poterlo orientare con una sua piccola mossa. E’ una speranza, ma non si comprende quale potrebbe essere l’alternativa perché appare oggi impossibile che la guerra in Ucraina e il conseguente progressivo blocco delle risorse naturali della Federazione Russa non creino una sconvolgente devastazione economica in Europa. E nessun capo di stato europeo sembra davvero poterselo permettere!

Stefano di Tommaso