AD OVEST NIENTE DI NUOVO

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Non si tratta di ripercorrere gli orrori della prima guerra mondiale con una filippica sull’ antimilitarismo, così come venne percepito all’epoca l’omonimo romanzo di Erich Maria Remarque del 1928. E’ soltanto che stavolta è proprio l’assenza di brutte notizie a rincuorare i mercati finanziari e dunque a permettere loro di consolidare i record storici raggiunti aspirando addirittura a nuovi massimi. Nell’ultimo mese Wall Street è infatti salita del 7%…

 

A partire dagli sbadigli provocati dal coriaceo governatore della Bank of England che ha deciso di non alzare i tassi, spiazzando i più, fino alle buone notizie sul fronte delle filiere di fornitura di materie prime e semilavorati, dove i prezzi stanno mostrando (per il momento almeno) di non continuare la corsa al rincaro e -di conseguenza- stanno permettendo alle imprese meglio posizionate di collezionare profitti da record, ciò che sta delineandosi in sordina nell’ultima decina dì giorni è una vera e propria collezione di buone notizie (o quanto meno un’ imprevista assenza di quelle cattive), che torna a procurare sollievo alle borse e fiducia agli investitori che le frequentano.

Insomma siamo arrivati al paradosso (a livello globale, si intende) di una futuribile ma non impossibile progressiva maggior disponibilità di semiconduttori, gas, petrolio e altri materiali (quelli che insomma vanno a costituire in prevalenza i fattori essenziali di produzione), i quali fino a ieri avevano subìto rincari a dir poco a doppia cifra (e in qualche caso a tripla) e che adesso, man mano che si avvia la vera e propria normalizzazione dell’economia globale, magari non scenderanno di prezzo, ma difficilmente continueranno indiscriminatamente la loro corsa al rialzo.

La qual cosa potrebbe far gioco al sostegno della narrativa sin’ora prevalente delle banche centrali: e cioè che l’inflazione resterà “transitoria” ancora per due, tre o anche quattro trimestri, cioè forse per quasi un anno (ma difficilmente verrà retrocessa a semplice bolla speculativa), unitamente ad un ancora più verosimile progressivo rientro dei ritardi sui noli marittimi e disingolfamento dei sistemi logistici. Cioè a un possibile calo nei costi di alcuni dei fattori produttivi. Non dimentichiamo infatti che la fiammata inflazionistica dell’estate è avvenuta principalmente sui prezzi all’ingrosso.

La dura verità però resta quella già ampiamente anticipata dalla maggioranza degli osservatori economici: le banche centrali nelle ultime ottave non sapevano letteralmente quali pesci pigliare, combattute com’erano tra l’esigenza di mantenere l’inflazione sotto controllo e quella di continuare a normalizzare il mercato del “reddito fisso”, cui si abbeverano in grande copia i governi di tutto il pianeta con l’emissione senza precedenti di nuovi titoli del debito pubblico. Nel dubbio sono dunque esse rimaste impalate a guardare, e non è detto che -con il senno di poi- che non abbiano fatto assai bene!

Il risultato sui mercati finanziari dell’immobilismo delle banche centrali è consistito perciò fino ad oggi solo in qualche lieve limatura al rialzo nei tassi d’interesse, in una tendenziale nuova inversione della curva dei rendimenti (cioè quelli a breve che superano quelli a lungo termine) e in un rinvio generale a data da destinarsi delle vere scelte di fondo (inflazione o tapering, sviluppo o ambiente, assistenzialismo indiscriminato ovvero ordine nei conti pubblici…) che -immancabilmente- rimarranno necessarie e alla fine improcrastinabili, da qui a un annetto.

Ma quelle scelte appaiono oggi non più così urgenti, causa il tono di fondo dell’economia globale, che sembra non essersi arrestata come si è temuto alla fine dell’ultimo trimestre e nemmeno aver ripreso il galoppo post-pandemico. E con un’economia che mostra di poter riprendere moderatamente la propria crescita anche il pericolo di stagflazione sembra al momento allontanato. Poco importa dunque se la credibilità delle autorità monetarie scivola parallelamente così in basso, e se gli istituti di statistica dì tutto il globo faranno finta di misurare -con qualche ovvia forzatura- una moderata inflazione, pur di non ammettere che la “guidance” delle banche centrali si è di fatto azzerata.

Se davvero l’economia non decrescerà, ma nemmeno galopperà al rialzo, allora probabilmente potranno auto-realizzarsi quelle (sinora retoriche) aspettative di temporaneità dell’inflazione, sebbene ciò non potrà sicuramente avvenire gratis! Il prezzo da pagare non sarà soltanto la “faccia” dei governatori ma anche una probabile indefinita prosecuzione degli stimoli monetari, con il rischio crescente dì trascinare il mondo verso la cosiddetta “trappola della liquidità”: vale a dire quella fase in cui le politiche monetarie smettono di sortire effetti concreti mentre l’inflazione torna a fiammeggiare.

Al momento perciò -se crescono i profitti delle grandi corporations quotate nelle maggiori borse del mondo- anche i prezzi dei loro titoli ci guadagnano. E il mercato tira quel respiro di sollievo che tutti speravano, per consolidare le performance dì fine anno. Superato il Natale potrebbe essere, ovviamente, tutta un’altra storia, perché sarà più lecito di quanto appaia oggi farsi domande sulla sostenibilità dei mercati, dell’equilibrio ambientale terrestre, dei debiti pubblici da record, dei tassi così bassi e dei salari ancora ragionevolmente assai compressi.

E se sarà lecito porsi queste domande difficilmente la risposta del mercato sarà altrettanto positiva quanto lo è oggi. Il mondo non può continuare la sua corsa con il medesimo assetto del passato e -si sa- alla fine i nodi vengono al pettine. Dunque appare facile profezia immaginare prima o poi uno stop significativo nell’eterna corsa al rialzo delle borse. Ma quel mefitico momento della verità delle borse e dei tassi d’interesse (oggi sono ampiamente negativi quelli reali, cioè al netto dell’inflazione) sembra proprio essere come l’araba fenice cantata dal Metastasio: “che vi sia ognun lo dice, ma dove sia (ovvero quando arriva) nessun lo sa”…!

Stefano di Tommaso