AUTUNNO:PETROLIO A $100 AL BARILE?
Tensioni sul prezzo del petrolio. L’oro nero ha di nuovo superato i massimi di periodo e si appresta ad ulteriori balzi in avanti, con il rischio che possa provocare un’ulteriore inasprimento dei prezzi dei fattori di produzione (e l’inflazione). Il mondo industriale (Cina compresa) è in allarme perché la domanda di petrolio sembra destinata a crescere più dell’offerta. A meno che…
I MERCATI FINANZIARI ANTICIPANO LA TENDENZA AL RIALZO
Ieri in una Wall Street stazionaria persino per i titoli tecnologici, i titoli legati all’energia (che viene ancora prodotta principalmente con il petrolio e il gas) hanno guadagnato il 3%, con le quotazioni dell’oro nero che hanno superato i 73 dollari (nuovi massimi) nonostante il dollaro si rafforzasse sui mercati. Ma quel che preoccupa di più è che ciò accada quando le riserve strategiche (in tutto il mondo) sono basse e in buona parte del pianeta il clima si mantenga ora molto mite.
Con l’approssimarsi dell’autunno dunque ora è più probabile che, insieme all’aumento del suo consumo per esigenze di riscaldamento, tornerà a crescere ancora il prezzo di petrolio, gas e degli idrocarburi che da questi sono derivati.
Cosa significa? Che con l’autunno il petrolio potrebbe segnare nuovi importanti incrementi di prezzo e fungere da detonatore di quei timori di inflazione che ancora oggi sono tenuti nel subconscio di buona parte degli analisti finanziari.
Un altro segnale in tal senso proviene dall’altra materia prima energetica per eccellenza: il gas naturale, i cui prezzi sono recentemente cresciuti più che proporzionalmente rispetto al petrolio. Lo sanno i grandi produttori che si riuniscono intorno all’OPEC (il “cartello” dei suoi grandi esportatori) e lo sanno gli Stati Uniti d’America, che di entrambe le commodities sono anch’essi divenuti negli ultimi anni esportatori netti, ma ancora non muovono un dito per rilanciare la capacità estrattiva, poiché annusano il profumo di lauti profitti intorno a fine anno, quando il petrolio potrebbe tornare a infrangere la soglia psicologica dei 100 dollari al barile.
LE PREVISIONI OPEC: ULTERIORE AUMENTO DEI CONSUMI
A questo proposito ha agito da propellente ai prezzi l’aggiornamento da parte dell’OPEC delle previsioni di domanda di petrolio per il prossimo triennio, che -dopo la risalita post-pandemica- è vista in ulteriore crescita anche per il prossimo 2022 (+4%).
Per il momento le previsioni parlano di un prezzo medio di 80 dollari al barile per il prossimo autunno, ma è chiaro che tutti minimizzano, compresi i governanti (di tutto il mondo) e le autorità monetarie, i quali adesso hanno bisogno di tempo per escogitare qualche soluzione e non vogliono ammettere subito quanto grandi siano i rischi di reazione a catena nei rincari dei prezzi di tutte le altre materie prime!
Tanto per usare un paragone “combustibile”: governi e banche centrali non vogliono aggiungere benzina sul fuoco dei timori di ulteriori fiammate inflazionistiche, che accelererebbero il rialzo dei tassi di interesse e creerebbero non pochi problemi ai mercati finanziari, dove invece essi speravano di poter continuare a piazzare a tutto spiano titoli dei relativi debiti pubblici a tassi bassi ancora per un lungo periodo, magari addirittura dando vaghi segnali di “tapering” (riduzione) degli interventi delle autorità monetarie con i quali per qualche settimana si è sperato di placare le aspettative di rialzo dell’inflazione.
MA L’ESTRAZIONE POTREBBE AUMENTARE
Quel che è probabile è che alla fine le esigenze politiche prevarranno sui grandi interessi dei produttori e speculatori del petrolio, arrivando a smuovere i progetti di manutenzione e ampliamento della quantità estrattiva. Così come è possibile che il rialzo di questi giorni possa arrivare far riaprire a molti piccoli operatori i pozzi dello “shale oil” (il petrolio che giace negli interstizi dei giacimenti, che viene estratto con la tecnica del “cracking”, adottata principalmente in America) i cui costi in passato superavano il prezzo della materia prima ottenuta.
Il risultato potrebbe essere un maggior numero di barili di greggio che verranno riversati sul mercato, con evidenti effetti calmieratori sui relativi prezzi di vendita. Ma neanche questo è di per sé un bene, dal momento che l’amministrazione Biden aveva sperato di accelerare la “de-carbonizzazione” del pianeta e di rilanciare l’economia attraverso le grandi opere infrastrutturali del cosiddetto “green deal”. Consumando più petrolio invece, gli utilizzatori lo bruceranno, aumentando le emissioni di anidride carbonica in atmosfera.
Un circolo vizioso insomma, dovuto principalmente al fatto che i governi di tutto il pianeta avrebbero dovuto contrastare con maggior anticipo i grandi interessi sottostanti al rialzo dei prezzi del petrolio e dell’energia, invece di dedicare buona parte della loro attenzione alla retorica anti-COVID e all’esigenza del cosiddetto “booster” (alla lettera: l’amplificatore) come viene chiamata oggi in gergo la terza dose dei vaccini.
Certo l’ulteriore insorgenza della “Variante Delta” potrebbe aiutare a calmare il prezzo dell’energia, ma nessuno vuole sperare su questo, poiché ciò accadrebbe soltanto nel caso di nuove pesanti restrizioni della libertà di circolare e socializzare. Cosa che ucciderebbe del tutto le già ridotte speranze di ripresa economica nel mondo (si veda il mio precedente articolo).
Stefano di Tommaso