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EUROPA: ULTIMA CHIAMATA !

Uno dei principali motivi che hanno portato al governo Mario Draghi è il progetto di investimento dei 221 Miliardi provenienti dal Recovery Fund. Entro il 2026 l’Italia potrà investire 204 miliardi di fondi di Next Generation EU, di cui 191 nell’impianto di investimenti che sta per arrivare in parlamento come Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), da approvare entro fine di Aprile. È forse anche l’ultima occasione per cogliere le opportunità digitali e correggere mali italiani che hanno lontana origine ma che nessuno voleva nemmeno denunciare.

 

IL DIVARIO CON IL RESTO D’EUROPA

Scrive Draghi con realismo e senza retorica: “Tra il 1999 e il 2019, il prodotto interno lordo in Italia è cresciuto in totale del 7,9%. Nello stesso periodo in Germania, Francia e Spagna l’aumento è stato del 30,2%, del 32,4% e del 43,6%”. E ancora, per mostrare che il problema di fondo è la produttività: “Negli ultimi vent’anni, dal 1999 al 2019, il Pil per ora lavorata in Italia è cresciuto del 4,2%, mentre in Francia e Germania è aumentato del 21%”.


“Nel ventennio 1999-2019 gli investimenti totali in Italia sono cresciuti del 66% a fronte del 118% della zona euro” scrive Draghi nella sua sintetica ma efficace radiografia del Paese. Siamo andati avanti con la metà del carburante delle altre economie europee e l’arrivo del virus ci ha fatto molto più male perché eravamo già in declino.

IL PROGRAMMA

Draghi ha definito 6 aree prioritarie:

1) la trasformazione digitale

2) il clima e l’ambiente

3) le infrastrutture

4) la scuola, l’università e la formazione professionale

5) la salute

6) l’inclusione sociale.

Di fatto in queste sei aree c’è il mondo intero: dall’efficienza energetica degli edifici, con accento sulle fonti rinnovabili, al rinnovamento della rete elettrica nazionale, fino alla banda ultra-larga e alla sicurezza informatica, passando dal cambiamento del sistema sanitario fino alla riforma dell’insegnamento.


Alla trasformazione digitale della pubblica amministrazione, del sistema produttivo, del turismo e della cultura 4.0 sono assegnati poco meno di €50 miliardi. Alla transizione ecologica, la missione più grande, €69 miliardi. E dentro questa missione, così come nel capitolo Infrastrutture, c’è di nuovo molta innovazione e tecnologia: economia circolare, mobilità sostenibile, transizione energetica e riqualificazione degli edifici.

Draghi anche imposto un’ incremento degli investimenti ulteriori rispetto ai fondi europei rispetto alla bozza di Conte: valevano €120 miliardi, mentre nel piano di Draghi valgono €166 miliardi, dei quali 31 localizzati in un “fondo complementare” varato essenzialmente per finanziare vari progetti presentati dai ministeri che non sono riusciti a entrare nel Recovery, come l’area del digitale, dalla banda larga alla cybersecurity, che passa da €6 a €13 miliardi. Colao ha proposto poi una grande novità in una delle partite più delicate: nella banda ultra-larga, si passa da un’unica gara nazionale con una sola azienda vincitrice a varie gare (forse oltre una decina) per macroregioni. È l’approccio seguito anche negli Stati Uniti. Permette più concorrenza, il formarsi di diversi consorzi, stime più precise sulla fattibilità e aggira il problema di un blocco dell’appalto su tutto il Paese in caso di contenziosi.

LA PARTE DI PROGRAMMA ANCORA “IN FIERI”

Draghi dovrà anche prima o poi mettere mano ad altre questioni annose e incancrenite che frenano lo sviluppo del Paese, definite “riforme di attuazione del Recovery Fund”. Per fare qualche esempio andiamo dal miglior funzionamento dei tribunali e delle carceri fino alla riforma della concorrenza e allo snellimento delle amministrazioni locali. Per fare un esempio pratico: per ottenere una sentenza sul rispetto dei contratti commerciali in Italia ci vogliono in media oltre 1.100 giorni, contro la metà di Germania, Francia e Spagna.

C’è poi l’evasione fiscale: il divario tra l’incasso teorico dell’IVA (sulla base del prodotto interno lordo) e quello effettivo è tra i 6 e gli 8 punti % in Germania, Spagna, Francia. In Italia è al 24/25%. Sarà pur vero che siamo esportatori netti e che una parte dell’IVA è esente, ma siamo a 3/4 volte il resto del Continente. L’evasione totale resta -soprattutto al Sud- una pratica difficile da estirpare anche a causa dell’elevata tassazione, che scoraggia il comportamento etico.

Per non parlare del “torpore” della Pubblica Amministrazione: “prima dello scoppio della pandemia, il 98,8% dei dipendenti della P.A. in Italia non aveva mai utilizzato il lavoro agile. Anche durante la pandemia, a fronte del potenziale di tale modalità di lavoro nei servizi pubblici essa è stata pari a circa il 36%, con un utilizzo effettivo del 33%. Ma soprattutto: “tale livello è stato minore di circa 10 punti percentuali nel mezzogiorno”.

L’ALTOLÀ ALLA COMMISSIONE E LA “GARANZIA” DI DRAGHI


Certo Draghi non può fare tutto contemporaneamente: è esattamente questo il “sapore” dell’altolà che ha inviato alla Commissione Europea quando quest’ultima avrebbe voluto subordinare l’approvazione degli investimenti previsti nel Piano alla contemporanea definizione anche delle riforme. Ma per “sbloccare” la (motivata) diffidenza dei funzionari di Bruxelles, Draghi ha garantito personalmente di farlo al più presto, ed è proprio qui che scatta “l’ultima chiamata”: garantire vuol dire mettere a rischio la propria immagine e il proprio ruolo, in caso di impossibilità per il Paese di dare pratica attuazione di tali riforme.

E vuol dire anche coraggio, autorevolezza e determinazione, che certo non si sono viste con Conte e i suoi predecessori. Insomma se Draghi dovesse riuscire nel suo difficile programma i prossimi sarebbero anni straordinari per il Bel Paese. Se invece il vecchio sistema prevarrà, allora la crescita ce la potremo scordare, forse per un’intera generazione!

Stefano di Tommaso