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UNICREDIT & MPS

La notizia, comparsa ieri sera, ha già fatto il giro del mondo: Jean Pierre Mustier non accetta il ricatto della politica italiana (prendere il Monte dei Paschi senza ottenere adeguate “coperture” dal Tesoro italiano sui veri costi della manovra) e se ne va sbattendo la porta. Il titolo Unicredit scende immediatamente, così come quello di Monte Paschi sale parallelamente. Il mercato in pochi minuti ha decretato con i fatti chi ha guadagnato (MPS) e chi ha perso (UNICREDIT).

 

Ma il mercato non misura con le sue quotazioni l’interesse nazionale, nel bene e nel male. Nel bene perché il fatto che il Tesoro dovrà così subire un minor salasso per aver salvato l’insalvabile: una banca-carrozzone politicizzato, che succhia perdite ai conti pubblici peggio di Alitalia e anche perché nei piani per accorparla Mustier parlava di 8.000 esuberi, dei quali 6.000 in Italia (ma bisognerebbe comprendere se con la sua uscita sono stati davvero evitati o soltanto rimandati).

Nel male perché l’interesse nazionale lo si salvaguarda anche e soprattutto preservando l’integrità dei mercati, la profittabilità delle banche, l’interesse degli azionisti, l’attrattiva per l’investimento di capitali sul territorio: tutte cose ampiamente calpestate col confronto serrato (di cui nessuno parla) che si è prodotto tra Mustier e il nuovo presidente di Unicredit, Padoan, arrivato poco più di un mese fa allo scranno dopo una carriera tutta politica nell’ambito del Partito Democratico.

Mustier a quanto pare ha pronta la poltrona in una banca di tutto rispetto come Hong Kong & Shanghai Banking Corporation (HSBC) mentre non sarà facile trovare una figura altrettanto imponente per guidare Unicredit attraverso il risiko bancario che imporrà a tutti delle aggregazioni e degli efficientamenti.

Che Padoan avesse la missione di mettere insieme le due banche era noto a tutti e, ai tempi, Mustier non si era opposto, ma aveva però preso carta e penna e fatto due conti: quanto costa la “parità” per gli azionisti? Si parlava già allora di 4-6 miliardi, a seconda di come si vedono certe cose. Dunque la partita non era soltanto politica, ma anche patrimoniale: senza un adeguato ristoro da parte dall’azionista di maggioranza del MPS, dall’aggregazione con MPS ci avrebbero rimesso gli azionisti di Unicredit.

Purtroppo la vicenda avrà un seguito doloroso: altri capitali e altri cervelli abbandoneranno il Paese è il titolo Unicredit potrebbe sanguinare ancora quando saranno resi noti i dettagli della fusione con MPS.

La vicenda segna ancora una volta un successo dello strapotere di un partito (il PD) che insieme ai suoi satelliti Azione, Liberi e Uguali, Italia Viva eccetera, pur segnando nel complesso una scarsa popolarità tra gli elettori, controlla quasi tutto lo scacchiere delle posizioni di potere in Italia, con ben poche eccezioni. E segna purtroppo altrettanta vittoria del sistema dei partiti che controlla le istituzioni nazionali sugli interessi economici di quella parte del Paese che, silenziosamente, paga le tasse e le commissioni bancarie e che vorrebbe vedere in cambio un sistema finanziario sano e aperto alle logiche di mercato.

Stefano di Tommaso