L’EUROZONA ACCENTUA I DIVARI
Nonostante sia vero che il prodotto interno lordo dell’eurozona è cresciuto nel terzo trimestre di quasi il 13% rispetto a quello del secondo semestre (in cui era però sceso di quasi il 12% rispetto a quello ancora precedente) è altrettanto vero che le conseguenze delle nuove restrizioni causate dalla pandemia rischiano di arrecare di nuovo grossi danni all’economia europea nell’ultimo trimestre dell’anno: quello iniziato il 1.di ottobre, nel quale tutti si aspettano un’altra contrazione del prodotto interno lordo europeo mentre gli U.S.A., la Cina e buona parte del resto del mondo dovrebbero invece registrare un segno positivo (anzi: il PIL cinese scoppia di salute).
L’EUROZONA RIMBALZA NEL 3° TRIMESTRE MA NON COME DOVREBBE
Dopo che si era consolidata una previsione per l’economia europea attorno al -5,5% per il 2020 e una crescita “di rimbalzo” del 4,4% nel 2021, oggi lo scenario si fa più grigio perché non è più così probabile che la pandemia possa terminare nel giro di un paio di mesi.
Non solo, ma le rigidità strutturali dell’industria continentale e, soprattutto, quelle del mercato del lavoro (l’Italia ad esempio ha appena rinviato al nuovo anno la possibilità per le imprese di licenziare i lavoratori in eccesso, di fatto nascondendo la polvere sotto il tappeto), lasciano una grigia prospettiva addosso all’economia europea mentre prevedono che, chiunque vinca le elezioni americane, il prodotto interno lordo americano potrebbe tornare alla quasi-normalità già alla fine del primo trimestre 2021.
LA DEFLAZIONE EUROPEA È UN ALTRO INDICATORE DI PROBLEMI ECONOMICI IRRISOLTI
Passo dopo passo l’Europa sta accumulando con l’America un divario economico, industriale e sociale (le retribuzioni sono in media molto inferiori a quelle di oltreoceano) che non è più soltanto contingente.
Anche l’indice dei prezzi al consumo (grafico qui a sinistra, in forte ribasso rispetto a quello americano, riportato sopra) riflette la situazione di “stallo” dell’eurozona, accelerata dalla pandemia.
E questo non può che riflettersi (già oggi, ma ancor più in futuro) nel divario tra America ed Europa che riguarda le valutazioni d’azienda e le quotazioni borsistiche, soprattutto se non arriveranno drastici cambiamenti al sistema di amministrazione europea, che a tutt’oggi non sono affatto in programma. Possiamo allora dedurne che l’Europa è destinata ad un sicuro declino? Non esattamente, o meglio: non tutta l’Europa, come vedremo più avanti.
IL CAMBIO DELL’EURO NON FAVORISCE LE ESPORTAZIONI EUROPEE

Si salvano poche eccezioni tra le imprese europee fortemente esportatrici, che devono tuttavia confrontarsi ugualmente con il robusto corso dell’Euro, anche a causa di un deciso ritardo accumulato dalla Banca Centrale Europea nei confronti della sua omologa americana (la Federal Reserve) nell’erogare facilitazioni monetarie. Se vogliamo chiederci perché ciò avvenga si potrebbe rispondere -facilisticamente- che dipende dall’avversione della Germania per la svalutazione intrinseca della divisa comune, (di cui è l’azionista di maggioranza), ma nel farlo si commetterebbe un’ ingenuità colossale: quella di considerare ottusi i tedeschi!
In realtà il cambio dell’Euro si mantiene più basso di come dovrebbe se la sua bilancia commerciale fosse soltanto tedesca. Dunque alla Germania conviene restare nell’Euro, per “annacquare” gli effetti sulla divisa del proprio sbilancio import/export a favore dell’export. Le ragioni per le quali non vuole però allineare la divisa comune all’andamento del Dollaro sono da cercarsi altrove.
L’ITALIA E’LA PIÙ SVANTAGGIATA DALLA CRISI
Per coloro che nei mesi scorsi hanno invece preso familiarità con i due meccanismi predisposti dalla Comunità Europea (e nemmeno ad oggi davvero pronti) : il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) e il Recovery Fund e con le “condizionalità” che questi si portano dietro, adesso si capisce meglio il gioco delle èlites industrial-finanziarie che tirano le fila dei governi europei filo-franco-tedeschi: evitare che l’intervento massiccio della banca centrale a favore dei suoi membri meridionali renda inutile il ricorso a quegli strumenti e alle “condizionalità” che essi si portano dietro e che sono tanto dare ai paesi “frugali” per moralizzare (e soggiogare) il resto dell’Unione. Condizionalità che permetteranno al nucleo duro del governo europeo di tenere di fatto sotto schiaffo le economie dei paesi più deboli impedendone la fuoriuscita “all’inglese” anche quando i partiti che sorreggono gli attuali governi filo-franco-tedeschi dovessero perdere la maggioranza !

Secondo l’interpretazione sopra riportata il divario economico che l’Europa sta scientemente lasciando che si crei con il resto del mondo è probabilmente il “prezzo da pagare” affinché l’Unione Europea venga cementificata con il debito dei suoi membri più deboli nei confronti di quelli più forti. Si starebbe creando -insomma- tra i paesi forti e quelli deboli dell’Unione un altro divario, questa volta interno: di ricchezza, di autonomia legislativa e di funzionalità della pubblica amministrazione che -entro certi limiti- sarebbe visto con favore dalle èlites al comando, al fine di solidificare l’attuale assetto politico comunitario.

Ma il divario più pericoloso l’Eurozona lo “starebbe” accumulando con la Cina, che accelera da un lato la sua crescita e la sua influenza sull’Unione, e dall’altro amministra con quest’ultima l’interscambio di importazioni/esportazioni decisamente a proprio favore, senza che alcuna pressione venga fatta ufficialmente dalla Commissione Europea. Il condizionale è tuttavia d’obbligo perché sembra proprio che altre “pressioni” di carattere strettamente informale e riservato, vengano invece fatte da Germania e Francia, esclusivamente a loro favore.


La Cina rappresenta una minaccia economica per qualunque altra economia nel mondo, ma indubbiamente conviene tanto a lei quanto alla Germania fare accordi che favoriscano solo quest’ultima per ottenere in cambio un rapporto commerciale a proprio vantaggio nei confronti dell’Unione nel suo complesso. Con qualche sfumatura diversa si può affermare che ciò accade anche per la Francia.
GLI IMPRENDITORI SONO COSTRETTI A EMIGRARE


IL CALO TURISTICO COLPISCE SOPRATTUTTO IL MEDITERRANEO
Mentre la pandemia sta facendo diventare molto più economico e conveniente considerare le nostre colline, montagne e spiagge come i posti ideali dove venire (dal nord Europa) a passare il fine settimana o le vacanze programmate, una volta terminato l’allarme generale. Il nostro turismo cioè sembra destinato ad una sostanziale svendita, a favore di chi può comperarselo, anche a causa del colpo mortale inferto dal virus.
Di seguito una preoccupante statistica sulle presenze alberghiere nel periodo Gennaio-Agosto 2020/2019
Forse è anche per questo che i “ristori” pubblici alle imprese turistiche, alberghiere e di servizi sono stati così risicati: adesso che sono quasi tutte indebitate fino al collo e in vendita, valgono infinitamente meno e possono essere comperate dagli stranieri. È la cosiddetta “nuova normalità”, solo che è difficile affermare che ce la siamo scelta noi!
Stefano di Tommaso

