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QUANTO VALGONO LE AUTOSTRADE?

Tutti hanno notato il successo in borsa della società Atlantia, ex Autostrade SpA, che controlla all’88% Autostrade per l’Italia (ASPI) e che è a sua volta controllata al 30% dalla famiglia Benetton tramite Edizione Holding. Il mercato insomma ha plaudito alle possibili evoluzioni del titolo nonostante questo strida fortemente tanto con le responsabilità derivanti dall’evento luttuoso del crollo del Ponte Morandi, quanto con le dichiarazioni del governo Conte che parlava alla nazione di “punizione esemplare” e “revoca della concessione”.

 

L’ACCORDO

A quel che sembra di vedere, l’accordo tra Stato e Atlantia è quasi fatto, e comporta (invece che una punizione) lo scorporo della partecipazione all’88% in Autostrade per l’Italia (ASPI), e l’acquisto da parte di Cassa Depositi e Prestiti della maggioranza della medesima per poi quotarla in Borsa. La valutazione che si favoleggia tra i meglio informati sarebbe oggettivamente generosa: circa 16 miliardi di euro lordi, derivanti dalla di valutazione netta di circa 11 miliardi di euro per l’ASPI oltre a 5 miliardi di euro di debiti bancari di pertinenza. In pratica ad Atlantia verrebbe riconosciuto un prezzo per la cessione/quotazione del proprio pacchetto ASPI pari a più di 14 miliardi di euro al lordo dei debiti, pur tenendo conto dell’esborso ancora necessario per i nuovi controllanti (pari a circa altri 14 miliardi di euro) per le manutenzioni ancora necessarie alla rete autostradale per metterla definitivamente in sicurezza.

Come dire che in quell’accordo le Autostrade per l’Italia sono state valutate -nell’ipotesi di perfetto stato di manutenzione che era previsto dalla Concessione- la bellezza di 30 miliardi di euro, pari a circa 15 anni di ricavi (2 miliardi l’anno) e a 60 anni di profitti futuri nell’ipotesi (tutta da verificare) che questi rimangano pari al 25% del fatturato. Una valutazione decisamente generosa che avrebbe dovuto soddisfare gli appetiti dei Benetton, e invece non è ancora detto che lo sia, perché Atlantia sta tenendo in piedi anche altre ipotesi.

CHI PAGA ?

Dall’accordo di cui hanno parlato i giornali si deduce anche che Edizione Holding (cioè la famiglia Benetton), per la sua quota parte di spettanza per il controllo del 30% di Atlantia possa monetizzare indirettamente circa 2 miliardi di euro netti dalla vendita di ASPI da parte di Atlantia, pagati sostanzialmente dalla Cassa Depositi e Prestiti che dovrebbe controllare ASPI (oggi scissa nella nuova società Autostrade Concessioni e Costruzioni), dai risparmiatori che dovrebbero sottoscrivere un aumento di capitale per la quotazione in borsa dell’ASPI controllata da CDP, e dagli utilizzatori delle Autostrade che dovranno pagare agli investitori il 25% in più del pedaggio autostradale perché questo si trasformi nel loro profitto.

LA POSSIBILE ASTA

Ma tutto quanto sopra c’è il rischio che non venga ritenuto sufficiente dai Benetton e dai loro managers, dal momento che Atlantia ha preso tempo per la conclusione dell’operazione e oggi sembra intenzionata a tenersi in mano fino all’ultimo istante la scelta tra la quotazione in borsa di Autostrade per l’Italia (ASPI) è la sua cessione attraverso un’asta competitiva a cui potrebbero partecipare altri grandi operatori del mondo, oltre naturalmente ai tedeschi e ai cinesi già soci.

Dunque la valutazione dell’ASPI potrebbe addirittura crescere ancora in funzione del fatto che la quota di controllo del capitale, invece che in mano alla Cassa Depositi e Prestiti, potrebbe andare a qualcun altro qualora offrisse di più, e questo elemento ha contribuito allo “strappo” al rialzo in Borsa di Atlantia. Già infatti la valutazione di 11 miliardi netti per ASPI porta il calcolo del valore teorico di Atlantia a circa 18 euro per azione (contro gli attuali 14,8€ e contro i 12€ di Aprile di quest’anno, prima dell’annuncio, dunque con un potenziale maggior valore del 20% rispetto alle attuali quotazioni).

MA QUALCUNO POTREBBE AVERE DA RIDIRE…

Ma è probabile che l’ipotesi di un’asta competitiva che veda CDP in minoranza resti soltanto tale, dal momento che l’opinione pubblica avrebbe molto risentimento in un caso del genere, dal momento che comunque già in applicazione dell’accordo con CDP il titolo Atlantia si troverebbe a crescere di quell’ulteriore 20% e nella comoda situazione di risultare, nel momento più basso della recessione economica che ha investito il mondo, nella qualità di potenziale investitore straliquido e senza debiti. Se alla fine il progetto di Cassa Depositi e Prestiti dovesse vedere la luce, sarebbe per Atlantia una situazione di vero privilegio, dopo quello che ci si poteva aspettare all’indomani del disastro del ponte di Genova.

IL NODO DELLE GARANZIE

Resta tuttavia un’altro nodo non da poco da sbrogliare nella trattativa con Atlantia: quest’ultima non vorrebbe concedere manleve per le responsabilità pregresse ai nuovi titolari della concessione ASPI.


Con il disastro del Ponte Morandi alle spalle dopo il quale ancora nulla è stato deciso dai giudici e con un possibile cambio di maggioranza in Parlamento nel giro di pochissimi anni, l’argomento non è irrilevante, perché senza manleva di Atlantia c’è il rischio che oltre al danno per il Paese ci sia anche la beffa del fatto che un organismo pubblico come la Cassa Depositi e Prestiti debba rispondere lei dei danni che verrebbero addebitati ad ASPI.

E questo sarebbe veramente troppo: si è mai vista la cessione di una società senza alcuna garanzia da parte del venditore circa le malefatte pregresse? Mai. E speriamo di non doverlo vedere per la prima volta con i quattrini dei cittadini. Ma la minaccia di una vendita privata del cespite ASPI probabilmente serve proprio a controbilanciare la richiesta di garanzie, e a limitarla in cambio di un assenso finale..

Stefano di Tommaso