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L’ISOLA FELICE DELLE TECNOLOGIE

Nel bel mezzo della recessione più singolare che la storia ricordi gli analisti continuano a porsi una domanda che prevale su tutte le altre: come sta cambiando il mondo? E quanto è forte il cambiamento? C’è chi dice che (quasi) tutto alla fine tornerà come prima, ma noi non lo crediamo: ci sono sempre maggiori evidenze del fatto che la pandemia ha accelerato il cambiamento della vita dell’uomo e, di conseguenza, dell’economia e dei mercati. E quando ci si chiede se la recessione finirà presto, bisognerebbe farlo per ogni singolo settore industriale. Perché le loro sorti saranno molto differenziate.

LA PANDEMIA HA ACCELERATO IL CAMBIAMENTO

Che la crisi da distanziamento sociale stia cambiando i connotati della nostra società civile è un fatto oramai largamente assodato, anche laddove la vita quotidiana non ne evidenzi con decisione le peculiarità. Lo si può percepire solo in parte direttamente, attraverso la nostra maggior attenzione ai sistemi digitali, tanto per l’istruzione, l’intrattenimento e gli altri aspetti della vita sociale, quanto per la nostra vita lavorativa, che forse è cambiata anch’essa ancor più radicalmente.

Ma soprattutto lo si può percepire indirettamente dall’andamento degli affari, che vanno a gonfie vele per tutti i settori dove prevalgono le innovazioni, le tecnologie scientifiche e quelle digitali (dunque dai presidi igienico-sanitari fino all’elettronica di consumo) e malissimo per tutti gli altri. La crisi economica di una società civile ancora profondamente sotto choc per gli effetti della pandemia morde non poco, dunque, ma non per tutti.

I SETTORI CHE CI HANNO GUADAGNATO

Se da un lato perciò la pandemia (con i timori di una sua seconda ondata) sta forzando la modificazione delle nostre vite quotidiane, limitando persino buona parte delle libertà democratiche e radicalizzando gli scontri sociali e politici, dall’altro lato esiste una terra felice, un paradiso artificiale che non ci tiene nemmeno troppo a mettersi in mostra, costituito dalle attività fortemente tecnologiche, dalla produzione di apparati innovativi di ogni genere sino alla più remota applicazione delle nuove scienze, servizi online e produzione di boccette per la sanificazione delle mani compresi, che invece prospera e cresce.

In questa fantastica isola felice che ha beneficiato del lockdown e delle più recenti tendenze salutistiche, i fatturati salgono, i margini ancor di più e la domanda supera sistematicamente l’offerta. Persino i settori dei trasporti, della logistica e dei servizi a domicilio, che più tradizionali non potrebbero essere, ne hanno parzialmente beneficiato, perché trainati dalla crescita selvaggia del commercio elettronico, dalla discesa del costo dell’energia e dei carburanti, e dal trovare meno ostacoli sulle reti autostradali e ferroviarie. Così come ne hanno beneficiato non soltanto i mostri sacri dell’innovazione e della ricerca scientifica, ma sinanco le industrie che producono filtri e mascherine, che appartengono più alla chimica e al tessile che non a quelli dell’innovazione vera e propria.

La vera domanda dunque non è quanto durerà la crisi economica, ma come cambierà le nostre esistenze, abitudini, preferenze, percezioni e sinanco i nostri valori culturali e sociali. Posto che sta diventando palese che essi ne saranno radicalmente modificati. Non c’è troppo da stupirsene, dal momento che l’economia è sempre stata una scienza sociale, ma quello che invece non può che stranire è la velocità delle modificazioni, che in passato si misuravano con le generazioni e poi con i decenni, e oggi si toccano con mano da un anno all’altro.

Se esiste dunque un’isola apparentemente felice -quella dei business scientifici e tecnologici- almeno per quanto riguarda le sue misurazioni contabili e finanziarie, questa a ben guardarla più da vicino è a sua volta in preda a forti fermenti, sconvolta dalla frenesia delle innovazioni che si susseguono e devastata dalla rapidissima obsolescenza dei suoi fondamenti. È il futuro che avanza, ma che spesso e volentieri travolge e sconvolge al tempo stesso.

E l’America che vediamo in questi giorni in televisione, da sempre la patria di ogni frontiera scientifica e tecnologica, ne rappresenta oggi anche tutti i limiti e i difetti, con le sue svolte radicaliste, le sue estreme tensioni sociali, con l’enorme ricchezza che le tecnologie hanno trasferito a coloro che ne sono stati lambìti e con le grandi questioni che esse sollevano.

I MERCATI LO HANNO CAPITO PRIMA DEGLI ALTRI

Senza fare questa lunghissima premessa sarebbe stato impossibile provare a interpretare l’andamento dei mercati finanziari, apparentemente imprevedibili ed erratici più che mai, in realtà fortemente condizionati da tutto ciò.

Non è un caso che di tutte le borse è oggi il Nasdaq l’indiscussa regina. Non è un caso che a Wall Street siano quasi solo le aziende tecnologiche quelli che guadagnano terreno. E non è nemmeno un caso che tra questi siano forte vincenti i primi cinque o sei titoli azionari del settore (i cosiddetti “over the top” perché sfruttano gli investimenti fatti dagli altri e profittano più di tutti gli altri della loro leadership indiscussa) con distanze siderali da tutti gli altri. C’è ad esempio un fenomeno di mercato come Netflix che capitalizza “solo” 200 miliardi di dollari e che esprime un moltiplicatore degli utili attesi pari a 90 volte, ma che ha sistematicamente surclassato il suo indice di riferimento (il Nasdaq).

L’intero comparto “high tech” è diventato il più importante di Wall Street e pesa sulla sua capitalizzazione complessiva per il 27%, ma i primi cinque titoli per quotati, tutti tecnologici e “over the top” hanno raggiunto da soli un valore pari a oltre un quinto dell’intero indice azionario SP500. Vent’anni fa, nel pieno della bolla della new economy, assommavano a poco più della metà. I titoli sono Apple (1560 miliardi di $), Microsoft (1500), Amazon (1360), Alphabet (cioè Google: 970) e Facebook (660).


E non è infine un caso che anche in tutto il resto del mondo siano quasi soltanto le iniziative più innovative a guadagnare il consenso degli investitori (questi ultimi sempre più globalizzati) sinanco in fase di quotazione. Gli investitori preferiscono comperare matricole sane e orientate al futuro che non i giganti del passato.

E se sono questi ultimi i veri vincitori della lotteria del Covid, è sensato ritenere che tale tendenza continuerà nel tempo? O è piuttosto una moda del momento? Succede quasi sempre che ogni nuova moda generi degli eccessi, da cui il mondo poi nel tempo rientra. Così come succede spesso che le novità affascinino, talvolta abbaglino e talaltra deludano le immense aspettative che hanno generato. È quindi plausibile che ciò sia vero anche stavolta.

LO SPETTRO DELLA DEFLAZIONE

Ma vista da un’altra ottica la situazione, per quanto drogata, presenta caratteristiche strutturali e mostri cambiamenti addirittura epocali. I titoli a reddito fisso sono cresciuti così tanto di valore perché i tassi sono scesi sotto zero. E rischiano di rimanerci a lungo, a meno di nuove fiammate inflazionistiche che ad oggi non si vedono.

Se così fosse, per quanto depurata dagli eccessi, la tendenza di fondo non cambierà così facilmente. In un mondo in cui il resto dell’economia -quella parte tradizionale e non digitale che oggi è sotto schiaffo- segna il passo e rischia di segnarlo a lungo, sono le tendenze di lungo periodo a contare davvero.


I tassi d’interesse sotto zero indicano la messa in congelatore di molte tra le attività economiche tradizionali. La deflazione sottostante a molti dei prezzi di beni e servizi di tipo industriale classico indicano un eccesso di offerta sulla domanda che non è destinato a breve a riassorbirsi, dal momento che i redditi medi scendono invece che salire. Ciò che cresce invece a doppia cifra è la parte più impalpabile dell’economia digitale, quella della condivisione e del baratto informazioni/servizi. Per il prodotto interno lordo non esiste, ma per la finanza è fondamentale! Così come lo è per il nostro stile di vita. Che continuerà a cambiare trainato da queste tendenze.

LA VITTORIA DELL’ECONOMIA DI CARTA

I valori azionari riflettono questi cambiamenti molto meglio di ogni possibile statistica. E infinitamente meglio di ogni teoria economica. Così come sono soprattutto le nuove generazioni a percepirli prima delle altre, e in maniera più pervasiva. Anche in questo i mercati finanziari sono anni luce avanti a quella che in passato veniva chiamata “economia reale” in contrapposizione con “l’economia di carta” della finanza.

Certo, gli interventi delle banche centrali hanno contribuito non poco alla salute dei mercati finanziari ma hanno sovvertito le loro leggi naturali. Oggi che la carta non serve più a scrivere e che il mondo digitale ha sorpassato quello industriale (troppo spesso rimasto al palo) si è rovesciato il mondo: è l’industria produttiva quella che rischia di perdere il contatto con la realtà (producendo più di quanto venderà), non i mercati finanziari, che riflettono e registrano più velocemente che mai le variazioni della vita reale, sempre più basata sulla salute e sulle nuove tecnologie.

Stefano di Tommaso