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RICETTE PER LA CRISI

L’8 giugno scorso è stato presentato al presidente del Consiglio il rapporto del comitato di esperti presieduto da Vittorio Colao per le “Iniziative per il rilancio Italia 2020-2022”. Criticatissimo e assai poco esplorato, tanto dai giornali quanto dai cittadini, ci è invece sembrato equilibrato, veritiero e, soprattutto: indipendente! È forse questo il peccato mortale di un gruppo di grandi esperti che avrebbero dovuto apparire “schierati”. Cito letteralmente l’ultimo capoverso del Rapporto: “È oggi urgente riformare, trasformare e innovare il nostro Paese con decisione e coraggio, traducendo piani e iniziative in atti concreti in grado di produrre risultati già nel breve termine. Solo così sarà possibile stimolare il rilascio delle energie individuali e collettive necessarie per rilanciare il Paese e creare un Italia più forte, resiliente ed equa.”

 


Chuchill diceva che ogni politico di alto livello saprebbe cosa fare per migliorare le cose, ma -se lo facesse- non potrebbe compiacere i suoi elettori! Ecco: forse è questo il problema: la politica avrebbe voluto piegare e indirizzare il rapporto alle proprie esigenze, mentre l’opposizione si è persa l’opportunità di valutarlo, dopo alcune schermaglie di principio. Ma i grandi esperti non sono voluti passare alla storia per politici di serie B. Hanno preferito tirare diritto, rendendolo noto alla stampa prima ancora che ai loro committenti. E hanno fatto bene! Ancora Churchill: ”Il politico diventa uomo di stato quando inizia a pensare alle prossime generazioni invece che alle prossime elezioni.” Ecco, se mai Conte aveva una chance di ergersi al di sopra della schermaglia quotidiana della lotta tra partiti e qualificarsi a futura memoria, qui l’ha proprio perduta, non difendendo l’ottimo lavoro degli esperti. E quasi dimenticandoli nell’occasione che sarebbe stata più propizia: quella degli Stati Generali dell’Economia, tristemente trasformati in celebrazione politico-europeista.

PERCHÉ IL RAPPORTO È IMPORTANTE

Ma perché sarebbe così importante invece dare seguito alle loro proposte? Perché in un mondo già fortemente finanziarizzato, già fortemente sbilanciato a favore delle classi più agiate, delle grandi corporation multinazionali e già immensamente pervaso dagli ordini di scuderia del cosiddetto “deep state” (cioè i “poteri forti” di montanelliana memoria), l’arrivo del virus, a qualunque causa sia riconducibile, ha accelerato la necessità di rinnovamento digital-economico-produttivo e ha reso ancora più fragili tutti coloro che rischiano di esserne travolti, soprattutto se l’esigenza di quel rinnovamento arriva troppo velocemente.

E tra quei “tutti coloro” c’è buona parte del nostro Paese, per molte ragioni spesso resiliente al cambiamento e dotato di una macchina infernale della politica e della burocrazia che ne è figliastra, che ne opprime praticamente ogni iniziativa! L’Italia dopo l’accelerazione imposta dalla pandemia dovrebbe mettere in assoluta priorità il cambiamento radicale del suo motore industriale, del suo mercato dei capitali, delle sue (scarse) modalità di supporto alle innovazioni tecnologiche, e invece perde l’occasione preziosa di un comitato di esperti che -senza inchini ma con ragioni da vendere- glielo ricorda a gran voce.

IL RAPPORTO INTESA-PROMETEIA

Due settimane prima, lo scorso 27 maggio 2020 – è stato presentato il Rapporto Analisi dei Settori Industriali del 2020, curato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo e da Prometeia. E Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo (in pratica il capo-progetto) ha commentato che “l’industria italiana, così come l’intera economia mondiale, sta vivendo una fase di profonda crisi economica. La gestione dell’emergenza può, e deve, essere l’occasione per accelerare i processi di trasformazione, in particolare nell’ambito della sostenibilità ambientale e della digitalizzazione della nostra economia. Investimenti verso progetti e produzioni a basso impatto ambientale rappresentano un fattore competitivo e di sviluppo per l’economia. A maggior ragione dopo questa emergenza sanitaria, che ha permesso di verificare i vantaggi delle nuove tecnologie (dal controllo non tradizionale delle fabbriche, alle vendite online, allo smart working), occorre accelerare sul fronte della digitalizzazione con uno sforzo congiunto delle imprese, anche quelle di minori dimensioni, e delle istituzioni, per aumentare gli investimenti (infrastrutture, processi produttivi, software) ma anche le competenze, su cui l’Italia sconta un gap non più sostenibile”.

Nel rapporto si sostiene che il comparto manifatturiero subirà un calo medio del 15% nel 2020, mentre nel 2021 è atteso un rimbalzo del 5.3%. che proseguirà un graduale recupero a ritmi inferiori al 3% medio annuo. La ripresa dunque non sarà soddisfacente ma costituirà ugualmente un’opportunità di trasformazione e modernizzazione del nostro tessuto produttivo, che non può essere mancata.


L’ITALIA SI DEVE ADEGUARE AI TEMPI CHE CAMBIANO

In pratica entrambi i rapporti hanno emesso un vero e proprio grido di dolore per il nostro Paese: la ripresa arriverà, ma non sarà la fotocopia di quella precedente. L’industria europea-e ancor più quella italiana- rischiano di restare indietro e azzerare i propri margini. Bisogna favorire urgentemente l’innovazione , il cambiamento, la digitalizzazione, e supportare gli investimenti e le infrastrutture che possono rendere possibile tutto ciò. Il concetto di urgenza risuona spesso anche nelle parole del Rapporto Colao. L’importanza della rapidità di risposta alle sfide da vincere inciderà non poco nella validità della sequenza di iniziative che verranno messe in campo. Se arriveranno troppo tardi non sarà affatto la stessa cosa. E guarda caso l’Europa cosa fa a proposito del Recovery Fund (il piano da 750 miliardi di euro voluto dall’asse franco-tedesco e presentato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen)? Lo rimanda al 2021. Ogni commento è scontato al riguardo.

L’EUROPA SI MUOVE, MA LENTAMENTE

La settimana dal 15 al 19 giugno per l’Unione Europea sarà peraltro densa di avvenimenti: si parte con il vertice sulla Brexit, per impostare un divorzio regolato se si scivola nel no-deal. Giovedì la BCE farà partire il nuovo strumento di liquidità ( il TLTRO) con cui finanziare le banche europee e Venerdì 19 si riunirà il Consiglio europeo sul tema del Piano di risanamento europeo sul quale si innesterà l’intervento del Recovery Fund, un piano centrale per la ripresa dell’Unione, che al momento vede come maggiore beneficiaria l’Italia assieme ai Paesi più colpiti dal Covid-19. Per rendere il piano operativo entro metà ottobre è necessario che il processo inizi nel migliore dei modi e che arrivi presto alla decisione finale.

Il negoziato potrà scorrere veloce o potrà essere un pianto, dal momento che ciascuno dei minori beneficiari del Piano chiederà qualcosa in cambio: una vera miseria morale che deriva dall’impostazione minimalista degli attuali trattati europei e che dovrà trovare presto miglioramenti se non si vuole andare incontro ad altri exit. Ma se si arriverà ad erogare i 750 miliardi, questi saranno -per la prima volta nella storia dell’Unione- finanziati da un debito comune emesso attraverso il Mes, un passo che fino a poco fa pareva inimmaginabile.


E se la politica monetaria -non solo quella europea- si prevede possa rimanere estremamente espansiva, per mitigare le lungaggini della politica, si può forse sperare che gli stimoli monetari ci aiutino a vedere una luce in fondo al tunnel della recessione in cui ci siamo infilati con la serrata anti-virus. Così come è possibile che le borse, pur attraverso le acque agitate di una volatilità stabilmente accresciuta, resteranno a galla -grazie a loro- senza tornare a sprofondare come tre mesi fa.

Ma l’economia reale, soprattutto quella italiana, senza pesanti e urgenti riforme strutturali e una fortissima volontà politica di rilancio (al momento solo nominale), farà molta fatica a riprendersi. Non c’è perciò troppo da rallegrarsi se soltanto la finanza (che in questo momento mena il bastone) saprà sostenere lo sviluppo delle imprese e le innovazioni più radicali, così che il mondo potrà evitare una lunga e dolorosa stagnazione economica.

GLI ASSI DEL NUOVO SVILUPPO

Ma gli esperti ci dicono che gli assi attorno ai quali potrà svilupparsi nuova crescita industriale saranno in buona sintesi la l’innovazione, la sostenibilità ambientale e la digitalizzazione. Da questo punto di vista entrambi i rapporti sopra citati parlano chiaro: o l’industria italiana riuscirà ad adeguarsi a queste direttrici e a raccogliere l’interesse degli investitori privati per scommettere sul futuro, a promuovere iniziative eco-sostenibili, ad essere supportata nei suoi programmi di innovazione e espansione internazionale, o di quel che essa era rimarrà giusto l’ombra, perché tutto il resto del mondo procede a grandi passi in queste direzioni.


Noi italiani -molto indietro su quei tre assi- possiamo contare sull’offerta culturale, e potremmo cercare di riguadagnare spazio sulle nuove infrastrutture, la cui realizzazione aiuterebbe non poco occupazione e reddito nel nostro Paese. Siamo un popolo di architetti, stilisti, costruttori, innovatori e tecnici, molto più di tanti altri. Se riuscissimo nella valorizzazione del nostro patrimonio culturale e nella realizzazione di grandi infrastrutture potremmo poi tornare a esportare competenze ed eccellenze come è più di prima. Ma per farlo occorre orientare all’uopo risorse che oggi si disperdono in mille rivoli.

Se invece resteremo impegnati a salvare vecchie industrie in crisi allora arriveremo a patire la fame. Ecco il messaggio implicito degli esperti che la politica avrebbe voluto smussare. E che essi invece hanno voluto ribadire.

Stefano di Tommaso