IRRESPONSABILITÀ ILLIMITATA
La nuova normativa sulla crisi d’impresa ha introdotto un principio secondo il quale gli amministratori delle società ore possono essere attaccati direttamente dai creditori d’impresa qualora questi ultimi rimangano insoddisfatti dal patrimonio aziendale, generando preoccupazione tra i manager e gli imprenditori e introducendo, di fatto, un problema ulteriore, le società italiane di piccole dimensioni.
LA RAGION D’ESSERE DELLE SOCIETÀ DI CAPITALE
Il sistema capitalistico ha fondato il proprio sviluppo sulla capacità delle imprese di fallire o di riprendersi senza terrorizzare gli imprenditori con pene capitali o corporali. Più volte negli anni recenti il legislatore ha messo mano al codice della crisi di impresa cercando di introdurre soluzioni utili a superare gli inevitabili momenti di crisi e, anzi, ponendo enfasi sul mantenimento dei posti di lavoro più che sulla tutela dei creditori.
Prima di tale traguardo (secoli addietro) la legge colpiva il debitore insolvente (anche materialmente) nella figura stessa dell’imprenditore, creando un notevole spauracchio all’assunzione di rischi da parte di quest’ultimo. Con la creazione delle società di capitali quale soggetto giuridico autonomo rispetto a chi ci investe, il rischio d’impresa è stato generalmente limitato alla perdita del capitale investito, fatti salvi i casi di frode o malversazione.
Ad onor del vero bisogna ammettere che tale principio, sacrosanto affinché si investa nel capitale delle imprese senza temere la propria gogna, è stato ampiamente abusato con la costituzione di società a responsabilità limitata dotate di di piccolissima dotazione di capitali, anche quando i rischi erano ingenti. Con il risultato che spesso i diritti dei creditori sono arrivati ad essere calpestati.
ESAGERAZIONE GIUSTIZIALISTA
Ma la nuova disciplina sulla crisi d’impresa (con la modifica dell’articolo 2476 del Codice Civile varata dal ministro grillino Bonafede), ha esagerato nel riportare il pendolo dalla parte opposta, introducendo un principio giustizialista secondo il quale gli amministratori delle società possono essere attaccati direttamente dai creditori qualora questi ultimi rimangano insoddisfatti dal patrimonio aziendale. Il Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 recante Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 38 del 14 febbraio 2019 . Fino allo scorso 15 marzo 2019 contro gli amministratori d’impresa era ammessa la sola azione di responsabilità e soltanto in caso di malversazione o cattiva fede da parte di coloro che avevano affidato loro il capitale sociale.
Il risultato di questa nuova norma è senza dubbio la consegna di ulteriore potere discrezionale nelle mani dei magistrati che dovranno giudicare le numerose nuove azioni risarcitorie che verranno intentate agli amministratori d’azienda dai creditori rimasti insoddisfatti. Ma il risultato è anche e soprattutto quello che molti amministratori d’impresa stranieri stanno lasciando le loro posizioni: abbandonano le loro cariche nelle imprese italiane ben sapendo che la giustizia italiana rassomiglia a quella del terzo mondo e mettersi tra i suoi artigli non è un esercizio di salute.
Ma come se non bastasse, numerosi sistemi di allerta precoce della crisi di impresa (monitoraggio degli indici patrimoniali e finanziari) sono stati introdotti con la medesima normativa, con il risultato che anche le banche faranno sempre più fatica ad erogare credito al benché minimo segno di squilibrio (anche temporaneo). Morale: se si voleva salvaguardare la salute delle imprese si è riusciti nell’esatto opposto, scivolando nel giustizialismo più estremo e minando alla base il sistema di piccole e medie imprese che regge il 97% dell’attività industriale del nostro Paese.
CHI CI RIMETTE SONO LE IMPRESE
Ciò non potrà che svantaggiare gli esportatori, che sono in diretta concorrenza con chi non ha tali problemi in altre parti del mondo, generando di fatto una situazione di responsabilità illimitata degli amministratori d’impresa. Ma l’irresponsabilità (se non l’ignoranza) di chi approva tali normative probabilmente supera tutti, perché se le imprese chiudono o vanno oltre confine chi ci rimette sono proprio -come al solito- quei poveracci che oggi si vorrebbe educare al più becero giustizialismo. Per poi arrivare a mendicare a qualche straniero (magari dotato esclusivamente di stabile organizzazione, senza nemmeno un presidio societario) i posti di lavoro andati perduti con tali bravate!
Stefano di Tommaso