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DIGITALIZZAZIONE DELLE IMPRESE: UNA RIVOLUZIONE È IN CORSO

Quasi tutte le imprese del mondo hanno compreso ciò che succede sui mercati e stanno cercando in ogni modo di incrementare il loro grado di digitalizzazione, tanto per poter resistere alla competizione sul mercato quanto per riuscire a creare più valore per i loro azionisti. È questo ciò che emerge dall’analisi di una serie di dati statistici sul comportamento delle imprese nei paesi occidentali, ma che vale a maggior ragione per quelle che arrivano dai paesi emergenti.

 

INIZIA LA “TRASFORMAZIONE DIGITALE”

La trasformazione digitale del business che oggi in corso è il risultato della diffusione sempre più capillare di internet (a sua volta sempre più veloce e affidabile) e della combinazione che ne consegue di una serie di tecnologie vecchie e nuove, che vanno dalla maggior diffusione dell’informatica nelle attività tradizionali d’azienda (ivi inclusi i sistemi di calcolo, gli ERP gestionali, il CAD-CAM in supporto alla progettazione e alla produzione e i sistemi di CRM), per passare attraverso l’uso della “nuvola” (il c.d. “Cloud”) che porta efficienza nella gestione dei server aziendali e nell’accessibilità da remoto degli stessi, fino al cosiddetto “back-end” più estremo, che consiste nella business intelligence per ottenere informazioni di mercato, nell’uso di supercomputer per l’analisi dei “big data” e alla loro elaborazione, (soprattutto quando derivano dalla “internet delle cose”), nei sistemi di intelligenza artificiale per le decisioni analitiche, sinanco all’uso della blockchain per l’autenticazione degli imput.

UN PROCESSO NECESSARIO, IRREVERSIBILE E PERVASIVO

La digitalizzazione delle attività delle imprese dunque -financo quelle più tradizionali- sembra un processo necessario, irreversibile e pervasivo. Una vera e propria deriva, quella elettronica, con l’avanzamento della quale bisogna riuscire a fare i conti anche per valutare le aziende, stimare la loro capacità di reggere la concorrenza e quella di crescere senza senza che i costi sopravanzino i ricavi.

Ovviamente è una manna per chi con l’informatica fa affari, mette a punto nuove tecnologie digitali e fornisce servizi oggi sempre più essenziali, ma può essere una manna anche per i business che sono costretti ad adeguarsi, perché la progressiva digitalizzazione libera risorse umane che possono essere dedicate alla qualità, al rapporto con la clientela e alla pianificazione creativa. L’automazione industriale affranca l’uomo dai lavori più umili, fa efficienza nei costi e aiuta a rilevare quelli superflui, accelerando la personalizzazione dei prodotti e i tempi di reazione alle esigenze del mercato. Ma, altrettanto ovviamente, tutto ciò ha più di un costo.

COME CAMBIA IL PANORAMA COMPETITIVO

Quanto più l’azienda diviene “digitalizzata”, tanto più si espone al rischio di attacchi informatici, di furto di informazioni sulle quali ha investito e di minacce di blocco delle attività in caso di guasti. Per questi motivi l’impresa ha bisogno di un maggior numero di esperti (interni ed esterni) e più investimenti nell’infrastruttura digitale, così come nella cybersicurezza per controllare la fuga di informazioni all’esterno e l’autenticità degli imput interni. Quest’ultima è un’altra manna per chi la fornisce ma anche e soprattutto per chi dovrà provvedere alla formazione del personale su nuove tecnologie e cyberspazio.

La nuova ondata “digitale” si stima che possa far sviluppare il prodotto interno lordo globale di 15.000 miliardi di dollari, e generare così molti nuovi posti di lavoro. Ma si stima anche che entro il 2030 il 30% del totale dei “vecchi” posti di lavoro nel mondo sia a rischio e anzi che possa essere perduta quasi la metà dei posti di lavoro meno qualificati nel mondo). Le tecnologie digitali dunque incrementano i margini di profitto, stimolano il riassetto della competizione e muovono l’esigenza di sempre nuovi investimenti, riducendo le barriere geografiche a beneficio della globalizzazione e ottimizzando i costi di trasporto e logistica, ma portano con sè anche tanti problemi.


SI IMPONE LA CRESCITA E UNA MAGGIOR CAPITALIZZAZIONE

Innanzitutto le nuove tecnologie portano i loro benefici soltanto nel tempo e soltanto alle imprese che più danno prova di riuscire ad adattarsi al nuovo “ambiente” digitale, mentre le sospingono inesorabilmente a percorrere la crescita dimensionale, la razionalizzazione delle spese, dei servizi comuni e degli impianti produttivi. Per questo motivo mettono di conseguenza a repentaglio la sopravvivenza delle attività più piccole, più localizzate è più suscettibili di essere sostituite dalla concorrenza che proviene dal resto del mondo, dalla sharing economy (che fornisce gratis montagne di prodotti e servizi in cambio di meta-dati) e dalle imprese capaci di continuare a investire in nuove tecnologie.

Un altro tema non indifferente è quello della comunicazione d‘azienda, della pubblicità, nonché della distribuzione e commercializzazione di prodotti e servizi: con il progresso della digitalizzazione crollano le riviste specializzate, il commercio all’ingrosso, i negozi fisici e le reti di vendita tradizionali, a beneficio dei nuovi canali digitali e dei nuovi media interattivi.

Si sviluppano perciò sempre più i sistemi di profilazione della clientela e di interpretazione induttiva dei suoi gusti, aumenta il dialogo diretto tra produttori e consumatori, tra esperti e utenti, tra fornitori e utilizzatori, crollano persino i precedenti sistemi di marketing, perché le imprese non potranno più continuare a “spingere” le vendite (approccio “push”) ma saranno costrette a provocarne la domanda, l’interesse, la referenza positiva (approccio “pull”) e, per farlo, dovranno raggiungere dimensioni e capacità finanziarie superiori a quelle del passato.

COME CAMBIA LA PERCEZIONE DEL VALORE D’IMPRESA

In poche righe è difficile esplorare la vastità delle conseguenze della digitalizzazione, ma due parole occorre farle circa uno dei temi più caldi in materia di gestione industriale: quello della creazione del valore. Va da sé che nessuna impresa riesce davvero a nuotare controcorrente e che quindi se essa rimane indietro sul fronte digitale allora fronteggia rischi di ogni genere e assomma costi occulti di futura evoluzione forzosa, dal momento che dovrebbe contabilizzare tra le passività potenziali tutti quegli investimenti “digitali” che sarebbero necessari ma ancora non sono stati effettuati. E bisognerebbe dunque tenerne conto nel calcolo della posizione finanziaria netta.

Un’impresa che non “cavalca” l’era digitale si espone inoltre a subire gli attacchi della concorrenza e a quello di vedersi appiattire i margini. Di conseguenza i suoi “moltiplicatori di valore” scendono e il suo merito di credito si riduce. Per tali motivi persino nelle “due diligence” che precedono le cessioni, le quotazioni in borsa, le emissioni di prestiti e ogni altra operazione sul capitale, bisognerà iniziare a tenere conto del grado di digitalizzazione delle imprese per stimarne correttamente il valore le prospettive e la rischiosità.

È L’ALBA DI UNA NUOVA ERA E NON SOLO PER IL BUSINESS

È una vera e propria nuova era industriale quella che si apre con l’ondata di digitalizzazione del business. Essa spazza via i vecchi presupposti per generarne di nuovi e diversi, aprendo i cancelli per la corsa a ulteriori sviluppi delle tecnologie che promettono sì grandi risultati, ma anche molti problemi da risolvere, il sovvertimento dell’ordine costituito, la radicalizzazione delle scelte, la distruzione dei valori delle attività tradizionali, l’appannamento dei brand tradizionali, la minor necessità di punti vendita fisici, degli spazi espositivi e persino delle materie prime perché la produzione industriale fa efficienza, si virtualizza (si pensi ai rotocalchi, o ai biglietti per il trasporto).

Ciò riduce la domanda di beni fisici per varie strade: sviluppandone la durata, efficientandone l’utilizzo e stimolandone la condivisione (si pensi alle auto in città) e incrementa quella di servizi “online”, in tempo reale e personalizzati, a scapito di quelli tradizionali. La rivoluzione digitale dunque non è destinata a restare soltanto nella sfera del business, ma si trasmette inesorabilmente anche negli usi e costumi, nelle abitudini e nelle decisioni di consumo, nelle cure sanitarie e nello stile di vita. Cambiano così le preferenze di spesa, la percezione del lusso e dell’esclusività, le necessità fisiche e quelle psicologiche.

L’intelligenza artificiale è destinata peraltro soltanto a complicare la decrittazione del panorama che si prospetta, permettendo alle nuove tecnologie di influire ancor più profondamente nella vita quotidiana, nella reale capacità di autodeterminazione e nell’incrementare il potere economico di chi può effettuarvi i maggiori investimenti. Inizieremo presto a darla per scontata, così come facciamo oggi quando scattiamo al meglio un fotografia con il telefonino, ma così facendo rischiamo anche di perdere la nostra consapevolezza, la capacità di giudicare in autonomia e di interpretare correttamente l’animo umano.

È UNA RIVOLUZIONE, DA MANEGGIARE PERCIÒ CON CAUTELA

E come tutte le rivoluzioni, quella digitale va necessariamente maneggiata con attenzione anche dal punto di vista politico, effettuando ogni sforzo per comprenderla profondamente e non sottovalutarla.

Il ricambio epocale in corso, che talvolta facciamo persino fatica a identificare e a considerarne le incredibili e numerosissime conseguenze infatti, apre ancora una volta all’umanità gli orizzonti del progresso e dello sviluppo economico, ma si appresta inevitabilmente a lasciare molte vittime sul campo. Non soltanto alcune imprese si spegneranno ed altre compariranno. Si amplia anche il divario tra le generazioni, si generano ostacoli sempre più elevati tra coloro che possono studiare e aggiornarsi e coloro che rimangono intellettualmente arretrati, tra nazioni povere e nazioni ricche, così come tra classi e gruppi sociali, incrementando le disuguaglianze e alimentando i rischi di radicalizzazione politica e di nuovi conflitti regionali.

STORIA E LETTERATURA SONO DI SCARSO AIUTO

La storia dell’uomo da questo punto di vista è relativamente povera di insegnamenti, perché la crescita esponenziale in corso di ricchezze, tecnologie, potere e conoscenza non ha eguali nel passato. Le fratture sociali che essa può determinare non sono mai state così marcate. L’evoluzione degli eventi non è mai stata così rapida. La libertà individuale (quella “vera”, delle coscienze e non quella apparente, di movimento) non è mai stata così in pericolo. Il ciclo di vita dell’essere umano non è mai stato così lungo da porre così pesanti dubbi sulla capacità di sostentamento degli anziani. Le barriere geografiche e fisiche in passato non hanno mai contato così poco.

Tutti noi abbiamo in mente l’incubo cui si caccia l’umanità nello scenario del “Grande Fratello” dipinto da Orwell in “1984”. Il rischio di un futuro fortemente “distopico” si affianca perciò alle prospettive radiose di creazione di ricchezza e di liberazione dalla schiavitù del lavoro fisico. Nessuno è dunque in grado di prevedere a quali scenari andiamo davvero incontro. È come disporre di un veicolo sempre più veloce e potente che accelera costantemente e però non riesce a scrutare più di tanto oltre la nebbiolina che la nostra condizione umana lascia sulla strada verso il futuro.

E non è così scontato per i vertici del business, della società civile e dell’intellighenzia comprenderne le modalità di conduzione, i rischi, le opportunità da non mancare, e i disastri da evitare.

Stefano di Tommaso