L’ALLARME LANCIATO ALL’ASSEMBLEA DI FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE E BANCA MONDIALE SARÀ ASCOLTATO?

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L’assemblea del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale rappresenta una di quelle rare occasioni nell’anno in cui i leaders di tutto il mondo possono confrontarsi, più o meno liberamente, sui grandi temi economici. L’appuntamento stavolta, 75 anni dopo Bretton Woods, e alla vigilia di una nuova possibile recessione globale, potrebbe trovare nuovi slanci verso nuove forme di collaborazione transnazionale. Gli argomenti sul tavolo sono arcinoti, ma lo sono meno i possibili rimedi.

 

IL NUOVO ORDINE MONDIALE RESISTE DA 75 ANNI

Con l’approssimarsi della fine della seconda guerra mondiale, le principali economie del mondo sentirono il bisogno di tornare a promuovere una crescita economica bilanciata atta a creare le basi per la stabilità monetaria globale e per rimediare ai danni della guerra e ai debiti che quest’ultima aveva generato. Ne sortì un un programma ufficiale (curato inizialmente dalla delegazione inglese di John Mainard Keynes), inteso a smussare i problemi dei paesi troppo indebitati con le risorse di quelli che godevano di ampio surplus, ma alla fine la versione finale fu quella americana, che eliminò la previsione di contributi a fondo perduto da versare ai paesi più poveri, lasciando in piedi soltanto la previsione del rifinanziamento dei paesi troppo indebitati.

Questo programma fu presentato ad una conferenza internazionale tenuta a Bretton Woods nel New Hampshire nell’aprile 1944, cui presero parte 44 nazioni e in cui furono approvate le linee guida del nuovo ordine monetario globale con la conseguente dotazione di un “fondo monetario internazionale”, cui seguì la creazione di una “banca mondiale” per finanziare lo sviluppo e il lancio di quel famoso “piano Marshall” che in Italia tutti ricordano per aver finanziato la ricostruzione del Paese.

Quell’ordine globale, con piccole variazioni, ha tenuto da allora per tre quarti di secolo, cercando sempre di trovare un equilibrio tra l’esigenza di stabilità monetaria e quella del finanziamento di progetti infrastrutturali che favorissero lo sviluppo dei paesi più arretrati.

Gli interventi del Fondo Monetario (un po’ meno quelli della Banca Mondiale) negli anni sono stati talvolta ampiamente criticati (e spesso a ragione) dal momento che quasi sempre sono stati condotti in modo autoritario, ambiguo e discutibile, anche se rimane la questione di come sarebbe apparso il mondo oggi ai nostri occhi se tali istituzioni non fossero mai esistite.

IL SUMMIT DEL 2019

Oggi a 75 anni da quei giorni, sta per aprirsi a Washington il summit (18-20 Ottobre) delle 189 nazioni che oggi partecipano a queste due istituzioni. L’economia globale di recente ha attraversato una crisi finanziaria paragonabile soltanto a quella del 1929 e, dopo di essa un decennio di ricrescita più o meno sincronizzata a livello globale, soprattutto negli ultimi tre-quattro anni. Ma oggi molte nuvole nere si addensano all’orizzonte degli eventi (persino in Asia, che fino a ieri sembrava marciare imperterrita verso una crescita senza ostacoli) e perciò questo congresso mondiale al quale parteciperanno i ministeri economici e finanziari di 189 paesi è percepito come particolarmente importante.

La narrativa prevalente degli organi di comunicazione di massa indica tra le esigenze prioritarie cui trovare un rimedio l’esplosione dei debiti pubblici, le guerre commerciali e il controllo dell’inquinamento, ma è soprattutto sulle raccomandazioni che verranno proposte per rimediare a tali problemi che si svilupperà il dibattito, visto che non esiste più una teoria economica prevalentemente accettata che abbia mostrato serie capacità d’interpretazione e previsione degli ultimi eventi.

La congiuntura economica mondiale vede oggi da un lato una timida ripresa dei consumi e un calo generalizzato della disoccupazione, ma dall’altro lato la crisi degli attuali sistemi di previdenza sociale, un serio rallentamento della crescita globale, il declino della produzione e dei margini industriali, nonché un mercato finanziario afflitto da prospettive deludenti e tassi di interesse per buona parte sotto lo zero.

Il nuovo amministratore delegato del Fondo Monetario, la bulgaro-francese Kristalina Georgieva ha fatto notare che mentre soltanto due anni fa la crescita economica nei tre quarti del mondo stava accelerando, oggi quasi il 90% del mondo sta vivendo una decelerazione di quella crescita, arrivata ai minimi da dieci anni a questa parte.

 

I BANCHIERI CENTRALI HANNO TERMINATO LE MUNIZIONI ?

Grandi protagonisti dell’ultimo decennio sono stati indubbiamente i banchieri centrali, i quali hanno concertato tra loro (meglio di quanto abbiamo fatto i rispettivi governi) una serie di interventi atti a profondere liquidità al sistema finanziario, che inizialmente sembravano aver funzionato.

Ma lo “sgocciolamento” di quelle risorse immesse sui mercati finanziari verso l’economia reale non è quasi mai avvenuto, provocando di conseguenza il calo generalizzato dei tassi d’interesse fin sotto il limite dello zero. Oggi nuovi dubbi sorgono circa la possibile efficacia di nuovi interventi di politica monetaria e tutti concordano sulla necessità di pensare anche in altre direzioni affinché nel complesso gli sforzi abbiano effetto.

L’azzeramento (o quasi) dei tassi di interesse ha decisamente depotenziato i rischi connessi all’eccesso di indebitamento che il mondo sta vivendo, ma genera di per sè altri problemi e, in assenza di inflazione, può addirittura favorirne l’opposto, ovvero la deflazione, oltre che privare i detentori di risparmio di una rendita affidabile per la vecchiaia.

Ma soprattutto l’accusa prevalente rivolta ai banchieri centrali (in parte anche a ragione) è quella di aver favorito, con i loro interventi, l’incremento della concentrazione della ricchezza in poche forti mani e, in definitiva, l’incremento delle disuguaglianze sociali. Questo tema è esploso negli ultimi anni e rischia di generare un ulteriore indesiderabile divario tra la politica e l’economia.

LA STAGNAZIONE SECOLARE INCOMBE ?

L’economia globale si trova dunque oggi a fronteggiare una sorta di “buco nero” che assorbe ogni nuovo possibile intervento di politica monetaria, come fa notare l’ex rettore dell’Università di Harvard ed ex ministro del Tesoro americano Larry Summers, autore di un saggio (nel 2013) noto come “teoria della stagnazione secolare“ (la caduta cronica della domanda di beni e servizi) che oggi più che mai sta provando le sue qualità di discernimento.

Il problema principale, secondo Summers, è che la situazione attuale volge verso l’assenza di prospettive positive che rischia di durare molto a lungo, rischiando di incancrenirsi e di rendere inefficace ogni ulteriore iniziativa. Un’interpretazione severa della situazione di “aureo declino” che stiamo vivendo che richiede la necessità di riconoscerne la gravità.

LA RICETTA PROPOSTA: STIMOLARE LA DOMANDA

Senza un radicale ripensamento delle politiche economiche e fiscali insomma non se ne esce. Senza una forte discontinuità e adeguati stimoli alla domanda aggregata le risorse private non saranno mobilitate e quelle pubbliche saranno sprecate. Ogni sforzo perciò, secondo Summers, dovrebbe essere rivolto a risvegliare la domanda di beni e servizi, ignorando ogni altra questione per poter concentrare sufficiente capacità di fuoco in tale direzione.

Per tali motivi andrebbe colta nel mondo (in modo auspicabilmente coordinato) ogni possibilità di ridurre i costi (e le tasse) che affliggono le transazioni tra privati, ogni occasione per stimolare gli investimenti tecnologici nonché l’ampliamento e il rinnovamento delle dotazioni infrastrutturali, i consumi e l’adottamento delle nuove tecnologie. Persino gli investimenti atti a rendere l’economia globale più “verde” possono aiutare ad andare in tale direzione, evitando di cercare di “bilanciare” tali sforzi con altri rivolti alla prevenzione dell’eccessivo indebitamento o al riequilibrio nei rapporti tra parti contrapposte.

Una ricetta forte, dunque, da vera situazione di emergenza in cui ogni nazione dovrebbe imporsi di collaborare superando le divisioni e i dissidi. Una ricetta peraltro non troppo diversa da quella raccomandata da Keynes subito dopo la grande depressione e messa effettivamente in pratica dopo il trattato di Bretton Woods.

Chissà se questa volta l’ingente quantità di forze e cervelli che si daranno appuntamento a Washington riuscirà a far partorire alla montagna il topolino, a trovare cioè un afflato comune per opporsi al rischio immanente di una stagnazione secolare? Anche il tempo, in tali situazioni di emergenza, può risultare prezioso.

 

Stefano di Tommaso