PETROLIO? NIENTE PANICO (ANZI!): CI SONO GLI AMERICANI
La favoletta della mano iraniana (o di quella della resistenza yemenita) sull’attacco agli impianti petroliferi dell’Arabia ha fatto il giro del mondo suscitando soltanto ilarità, dal momento che nemmeno gli Stati Uniti d’America hanno potuto conprovare che siano stati i persiani a compiere quel gesto disperato, limitandosi ad affermare che “potrebbero averlo ispirato”. Ma intanto il rischio di minor immissione sul mercato di quasi metà della produzione saudita ha prodotto nel breve termine il suo effetto di far innalzare i corsi del petrolio e far temere che gli stessi resteranno alti anche in futuro. La verità fortunatamente è più o meno il contrario.
I mercati hanno reagito al rialzo alla notizia del bombardamento più letale di sempre andato a segno sugli impianti di Riyad da parte di una pattuglia di undici droni para-militari, non tanto a causa degli ingenti danni alla capacità produttiva della Saudi Aramco (che tutti sanno essere rapidamente riparabile) quanto a causa delle immediate dichiarazioni dell’OPEC (il cartello dei paesi produttori) di non voler intervenire per calmierare il prezzo e, anzi, di voler tagliare ulteriormente le quote di produzione di greggio allo scopo di sostenerne i prezzi.
Un effetto che però rischia di durare assai poco, perché il mercato del petrolio resta endemicamente afflitto da problemi di sovrapproduzione rispetto alla domanda. Di seguito un raffronto con i precedenti attacchi mostra che l’ultimo è stato il piu violento di sempre. Nel grafico successivo lo scossone alle quotazioni che ne è conseguito.
Per comprendere come stanno davvero i fatti è necessario ricordare quali effetti sta provocando la diffusione delle nuove tecnologie di estrazione di petrolio e gas attraverso la fratturazione idraulica dei giacimenti nascosti (il c.d. “fracking” attuato al momento quasi soltanto da compagnie petrolifere attive sul suolo americano). Grazie a ciò la produzione di petrolio americano è cresciuta di oltre il 40% (oltre 3 milioni e mezzo di barili in più al giorno) in soli tre anni, facendo degli Stati Uniti d’America il primo produttore al mondo di petrolio, sebbene al momento buona parte di quanto estratto vada in autoconsumo.
IL RUOLO DELL’OPEC
Nei due grafici che seguono i Paesi principali estrattori e consumatori di petrolio:
Ma soprattutto occorre guardare al fenomeno appena evidenziato in prospettiva: l’estrazione di petrolio e gas nel mondo continua a crescere più o meno quanto la sua domanda, ma anche a causa del fatto che esistono sanzioni che hanno messo al bando l’importazione dai Paesi “carogna” (ovviamente dal punto di vista degli americani) e che l’Opec (l’organizzazione dei paesi che estraggono petrolio) ha imposto a chi vi aderisce forti restrizioni dell’ammontare di barili che vengono estratti allo scopo di sostenere il prezzo (riuscendovi soltanto in parte). Morale esiste una forte capacità di estrazione di petrolio oggi inutilizzata .
E QUELLO DEL “FRACKING”
Esiste però appunto poi il Fracking: con prezzi troppo bassi il petrolio da estrarre con il tale modalità per buona parte non viene estratto, ma non appena il prezzo cresce un po’ cambia tutto (pare che già oggi ci siano solo in America 4000 nuovi pozzi petroliferi pronti per entrare in funzione). Ovviamente l’America si chiede come farà in futuro per esportarne di più, pur in presenza di forti riduzioni delle quote estrattive concordate dai Paesi Opec appunto onde evitare che il prezzo del barile scenda al di sotto di determinati livelli.
Ovviamente negli Stati Uniti d’America convivono due interessi contrapposti: da una parte quello che riguarda gli interessi dei consumatori americani, i quali hanno la speranza che una materia prima così essenziale per la loro economia per molti versi possa costare il meno possibile, contribuendo così anche alla bassa inflazione sino ad oggi registrata che a sua volta sta facendo scendere i tassi di interesse sui prestiti. Il governo americano, così come il suo presidente, non possono che schierarsi ufficialmente in questa direzione. Inoltre prezzi troppo alti del petrolio non sono sostenibili nel a lungo termine senza generare un rallentamento dell’economia globale e quindi un calo della domanda: cioè un boomerang per i paesi produttori. Dall’altra parte c’è però l’interesse contrapposto delle compagnie che estraggono e negoziano petrolio e gas, le quali potrebbero guadagnare di più se i prezzi del barile crescessero, a condizione ovviamente di trovare in parallelo anche nuovi mercati di sbocco per le loro esportazioni.
Senza che ufficialmente vi sia perciò alcuna posizione a favore di queste ultime da parte degli organi di governo americani, le pressioni che i petrolieri esercitano sul “deep state” fanno sì che l’America trovi sempre degli ottimi motivi per “persuadere amichevolmente” paesi come l’Arabia Saudita a ridurre le proprie esportazioni di petrolio, oppure per erogare a raffica sanzioni all’Iran, al Venezuela o alla Russia, con motivazioni ufficialmente politiche, ma guarda caso sono tutti grandi esportatori di petrolio e gas. Si calcola che l’effetto combinato delle sanzioni alle esportazioni di petrolio da parte di questi paesi abbia ridotto le forniture globali di oltre 3 milioni di barili di petrolio al giorno. Guarda caso lo stesso ammontare di maggior produzione americana negli ultimi tre anni.
IL “DEEP STATE” OVVERO IL RUOLO DELLE LOBBY PETROLIFERE
Ma cos’è il Deep State o “stato nello stato”? Esso indica una situazione in cui taluni organi interni allo stato, ad esempio nelle forze armate, nei servizi segreti, nella polizia, nelle agenzie governative o in altre burocrazie di governo non rispondano alla leadership politica, bensì a gruppi di potere dai quali ottengono favori in cambio di azioni (o ostacoli) che non rispondono alle direttive ufficiali della politica bensì a interessi di parte. Si obietta persino della sua esistenza e non è facile identificarlo, per la sua natura profondamente occulta. Ma non è difficile immaginare per chi possa tenere le parti.
Se dunque l’Opec collaborasse controllando maggiormente le quote di produzione (lo ha già annunciato per la prossima riunione di Ottobre) ovviamente gli americani avrebbero la possibilità di introdurre alla chetichella più petrolio, perché parte della domanda resterebbe insoddisfatta (condizione essenziale per farne lievitare i prezzi). Ovviamente il giochino non potrà durare in eterno ma l’effetto di incremento del prezzo del petrolio può permettere anche al gas (soprattutto al GPL: gas da petrolio liquefatto) di rincarare in parallelo e invece la distribuzione del gas naturale segue dei canali molto diversi: dai grandi gasdotti continentali d’Europa (che attingono altrove: dalla Russia al Kazakhstan) fino alle gigantesche navi gasiere che lo trasportano dall’America. E soprattutto è una materia prima che rimane al di fuori dalla sfera di influenza dell’Opec.
IL RUOLO DEL GAS
Ci sono dunque immensi interessi di parte a far crescere il prezzo del barile di petrolio (a partire dal fatto che la Saudi Aramco -la più grande compagnia petrolifera al mondo- vuole quotarsi in borsa). Ma perché ciò accada una macchina molto sofisticata di accordi, sanzioni e controlli dovrebbe funzionare a puntino oppure deve scoppiare qualche guerra. E la cosa non è così scontata, anzi!
Innanzitutto ci sono ancora dei limiti potenti alle quantità di petrolio che può essere “imbottigliato” sotto forma di GPL e venduto in giro per il mondo. Poi resta possibile che l’Opec si spacchi nel chiudere tutti e due gli occhi davanti al doppio gioco americano che le ha permesso di vendere sottobanco più petrolio di quanto dichiarato. È poi sempre possibile che parte della produzione oggetto di bando da parte degli americani prenda ugualmente il mare e anche che le quote di estrazione di petrolio concordate in sede OPEC vengano solo parzialmente rispettate. Senza contare il fatto che i venti di recessione che iniziano a spirare in Europa (in particolare sul fronte dei trasporti, grandi consumatori di petrolio) e le istanze ambientaliste cospirino negativamente sulla domanda complessiva di greggio nel mondo.
Ma poi anche le tensioni USA-Cina che avrebbero potuto aiutare ad alimentare dei focolai di guerra in giro per il medio-oriente (dov’è la maggior produzione petrolifera globale) sembrano essere entrati in una fase di assestamento, coincidenti con l’interesse del presidente Trump di farsi rieleggere l’anno prossimo.
MOLTI OSTACOLI AL RIALZO DEL PETROLIO
Tutti questi fattori che fanno pensare che il problema della sovrapproduzione di petrolio nel mondo non si riuscirà tanto facilmente ad evitarlo solo grazie a qualche accordo para-militare, qualche sanzione o qualche funzionario troppo zelante. E che le probabilità cumulate che il prezzo del petrolio resti elevato nel prossimo futuro non sono poi così forti. Se si guarda al prezzo del petrolio con la prospettiva di un anno si intravede una tendenza di fondo al ribasso, di volta in volta contrastata da taluni eventi che -a pensar male- sono “stati fatti accadere” per puntellarne il prezzo. Ma sarà difficile che riescano a invertirla.
Stefano di Tommaso