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LA LOCOMOTIVA AMERICANA ORA CORRE A TUTTO VAPORE

Non bastava il crollo quasi miracoloso della disoccupazione nella tanto vituperata America trumpiana a tenere banco nel dibattito tra analisti, economisti e politicanti su quali siano le cause di tanta bonanza. Adesso sta continuando anche a crescere il numero di persone che rientrano nel mercato del lavoro (incoraggiate evidentemente dalle buone prospettive) e addirittura cresce la produttività delle ore lavorate. Il tutto in un clima di grandi (e al momento infondati) timori per la presunta fine del lunghissimo ciclo economico di ripresa (10 anni) che l’America ha vissuto sino ad oggi dopo la purosa recessione del 2008.

 

E’ LA TERZA VOLTA CHE LA RECESSIONE NON SI MANIFESTA

Quei timori stanno ancora una volta provandosi infatti destituiti di ogni fondamento, così come era già avvenuto nel 2016 quando è sorta la nuova leadership politica e così come è avvenuto alla fine del 2018, quando l’America stava rischiando di nuovo di cadere in recessione a causa delle ostinate politiche di rialzo dei tassi da parte della banca centrale americana e rischiano ancora una volta di rivelarsi anche quest’anno per ciò che sono probabilmente sempre stati: un eccesso di scetticismo circa le politiche economiche neo-monetariste e conservatrici dell’era trumpiana.

DA COSA DIPENDE IL SUCCESSO ECONOMICO AMERICANO?

Difficile affermare qualcosa di diverso dal taglio delle tasse nell’interpretare le cause della meravigliosa dinamica degli investimenti che si moltiplicano nel nuovo continente da quasi tre anni a questa parte. Difficile ipotizzare cause diverse dall’incentivo fiscale a dichiarare oggi maggiori redditi. Anche perché la poderosa crescita dei profitti aziendali da un paio d’anni a questa parte ha portato Wall Street a nuovi massimi storici -pur riducendo il prezzo implicito delle azioni quotate (cioè il moltiplicatore dei profitti)- e ciò accade nonostante che i tassi d’interesse abbiano ripreso a scendere (se infatti i rendimenti dei titoli a reddito fisso sono più bassi, allora l’attualizzazione dei profitti futuri va scontata a un tasso minore e dunque il valore attuale netto delle aziende cresce). E i tassi nominali continuano a restare bassi anche perché nessuno teme davvero nuove fiammate inflazionistiche.

LE CORNACCHIE GRACCHIANO

Sono peraltro quasi tre anni che sentiamo parlare di scandali mai comprovati dai fatti alla Casa Bianca, di presunti (e mai verificati) coinvolgimenti russi nell’elezione dell’attuale Presidente, ma soprattutto sono quasi tre anni che vari soloni e sedicenti “guru” della finanza continuano a predire imminenti quanto clamorosi crolli di borsa. E ciò non accade mai. Ma se andiamo a vedere chi sono quelle cornacchie di sventura e come sono schierati politicamente quegli accusatori che non sono mai riusciti a conprovare le loro invettive, guarda caso essi sono tutti oppositori politici di Donald Trump, tutti legati alla grande finanza e ai cosiddetti “poteri forti” che governano buona parte delle istituzioni finanziarie e dei media che ci disinformano. Gente che non vede l’ora di mandare a casa l’ “intruso” alla Casa Bianca che ha scombussolato i loro piani privati e inconfessabili.

Certo, così come anche un orologio rotto segna l’ora giusta un paio di volte al giorno, anche loro prima o poi canteranno vittoria quando inevitabilmente il ciclo economico positivo finirà per invertirsi. Ma se questo dovesse avvenire tra molti mesi o addirittura tra qualche anno sarà sempre più difficile dare ragione alle loro tesi: evidentemente le attuali politiche economiche della Casa Bianca sono riuscite ad ottenere il loro effetto di rilanciare alla grande la crescita economica degli Stati Uniti.

LA DISOCCUPAZIONE SCENDE ANCORA

Vediamo perciò innanzitutto i dati sulla disoccupazione: le imprese americane negli ultimi 100 mesi hanno creato in media 200mila nuovi posti di lavoro al mese abbassando ad Aprile 2019 il tasso di disoccupazione fino al 3,6% quando era ancora al 5,1% all’epoca dell’elezione di Trump (dato di ottobre 2016). Nel grafico che segue la previsione non era stata ancora aggiornata alle ultime rivelazioni:


E LE RETRIBUZIONI CRESCONO

Anche per il livello delle retribuzioni la dinamica resta fortemente positiva, con un incremento nell’ordine del 2,5% nei 40 mesi che sono succeduti alla discesa del tasso di disoccupazione al di sotto del 5%, come si può vedere dal grafico riportato:


MA SOPRATTUTTO LA PRODUTTIVITÀ TORNA A SALIRE

La vera novità delle ultime ore peraltro riguarda dati molti positivi a proposito dell’efficienza dell’ora lavorata (produttività). Le cose anche da questo punto di vista sembrano andare di bene in meglio negli Stati Uniti d’America, per fortuna, vista la decisa rigidità dell’offerta di lavoro a causa della quasi piena occupazione. Se infatti non ci fossero stati incrementi di produttività l’aumento in corso dei salari reali sarebbe avvenuto a scapito dei profitti aziendali.


MENTRE LA DIGITALIZZAZIONE AVANZA

Infine una nota sul principale indicatore dell’avanzamento economico di una nazione: il prodotto interno lordo (cioè IL P.I.L. ovvero la somma di tutti i redditi lordi di una nazione). È una misura che viene criticata da quasi novant’anni a proposito della difficoltà che essa trova nel riflettere “ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta” (come diceva il senatore Robert Kennedy in un famoso discorso del 1968),

Oggi questa misura dell’economia è di nuovo sotto attacco a causa della sua incapacità di riportare quella parte di servizi che vengono barattati online o forniti (spesso gratis o per pagamenti effettuati su siti internazionali) per via digitale, nonché quelli che vengono condivisi da più utenti (sharing economy) in cambio di informazioni o altri servizi ovvero di pubblicità.

Oggi con il diffondersi dell’economia digitale il problema della rilevazione di questa parte delle transazioni commerciali inizia a diventare macroscopico, cosi come la creazione di valore effettuata attraverso il successo digitale di iniziative spesso assolutamente gratuite non viene riflessa dalla misurazione del P.I.L. L’esempio piu ovvio è quello dell’enorme successo in rete -e in termini di valore creato- di Facebook e Google, ovvero delle mappe digitali che vengono utilizzate per le applicazioni di navigazione satellitare che oramai qualsiasi telefonino può offrire senza costi.

QUANTA PARTE DEL REDDITO AMERICANO NON VIENE RILEVATA?

Quanta parte delle transazioni digitali (che creano a livello patrimonial-finanziario valori stratosferici) sfugge alla misura del Prodotto Interno Lordo? Non ci sono risposte facili, se non quelle (tutt’altro che attendibili ed esaustive) che provano a misurare il valore teorico di ciascuno di questi servizi che, pur non pagati, generano comunque un corrispettivo figurativo a causa delle entrate pubblicitarie che essi procurano ai loro gestori. Si stima per esempio che la partecipazione a Facebook equivale -per ogni utente- a circa 50 dollari al mese, mentre le mappe digitali superano quell’importo arrivando ad un equivalente di 67 dollari. Purtroppo però non possiamo considerare queste misure nè attendibili e nemmeno esaustive, ma possiamo ben renderci conto che iniziano a sfuggire alle contabilità nazionali (e al fisco locale) quote crescenti delle nuove attività economiche.

Inutile ricordare che il paese al mondo più avanti da questo punto di vista sono proprio gli Stati Uniti d’America. Inutile altresì ricordare che evidentemente la loro crescita economica appare perciò maggiormente sottostimata rispetto a quella delle altre potenze economiche mondiali.

COSA NE CONSEGUE ?
Cosa possiamo dedurre dalla constatazione dell’enorme successo che sta ottenendo l’America di Trump? Che le nuove teorie che accompagnano questa nuova leadership politica evidentemente stanno funzionando, così come possiamo facilmente dedurne che il loro successo è destinato a propagarsi alle economie a loro piu vicine, ai loro migliori partner commerciali e ai mercati finanziari meglio lambiti dalla liquidità che viene generata dai profitti delle loro imprese.

Possiamo dedurne anche che evidentemente se questo modello economico sta funzionando, la fine del ciclo economico espansivo non è ancora arrivata, e che di conseguenza le quotazioni stellari cui sono giunti i mercati finanziari di azioni e obbligazioni non sono destinate a contrarsi nella misura in cui i profitti aziendali continueranno a galoppare. Ma possiamo anche dedurne che, se questi ultimi veleggiano alla grande, anche la divisa valutaria in cui sono espresse le loro quotazioni (il dollaro americano) continuerà a restare sopravvalutato, a causa della legge della domanda e dell’offerta.

Purtroppo sono tutte illazioni a fronte delle quali nessuno può esprimere certezze o anche soltanto teorie fondate. Ma proprio come chiunque altri su queste colonne può valere la pena di proporre questi ragionamenti, proprio per il fatto che le considerazioni sino a qui esposte sono in molti casi contrarie a quelle del cosiddetto “mainstream”…

Stefano di Tommaso