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INFRASTRUTTURE E GIUSTIZIALISMO

Il drammatico caso del ponte Morandi getta una luce sinistra su moltissime opere infrastrutturali realizzate in cemento armato, un materiale dalle grandi proprietà ma con un difetto intrinseco: si deteriora molto in fretta rispetto alle sue alternative (principalmente il metallo). L’esigenza di rimpiazzarle o metterle in sicurezza è molto forte, ma per farlo non si può pensare di arrivare stravolgere lo stato di diritto e di calpestare le regole del mercato dei capitali. Sarebbe un metodo miope che non ci aiuterebbe a raggiungere lo scopo finale.
(PARZIALE) APOLOGIA DEL PONTE MORANDI

Il ponte Morandi era stato proprio progettato male, privo com’era della possibilità che -a fronte di un qualche cedimento strutturale- altre parti del ponte impedissero che venisse giù l’intero manufatto. Ma nel giudicarlo non si può non tenere conto di due fattori fondamentali:

  • all’epoca in cui grandi opere come il “Brooklyn di Genova” (com’era chiamato il ponte in città) furono realizzate c’era anche l’esigenza di ammodernare presto un Paese che viveva ancora di un’economia quasi-rurale e le infrastrutture necessarie erano così numerose che in quegli anni non si poteva andare troppo per il sottile (quanto a sicurezza nei decenni successivi);
  • ma anche i carichi pesanti a cui tali infrastrutture erano sottoponibili erano molto minori da quelli che si sono poi verificati negli ultimi decenni: oggi dove prima transitavano al massimo pulmini e furgoni passano dei mezzi di trasporto infinitamente più pesanti, e soprattutto in numerosità così elevata che si può tranquillamente affermare che un carico complessivo del genere fosse letteralmente impensabile all’epoca della loro realizzazione (cinquanta-sessant’anni fa).


CHI SPENDERA’ I QUATTRINI NECESSARI ?
Insomma la morale è lapalissiana: se da un lato il mondo si evolve e il traffico su strada aumenta ancor più di quanto si potesse sperare in precedenza, sono veramente tante le opere pubbliche del passato da controllare oggi molto meglio, sia in Italia che altrove nel mondo. Ma ovviamente per farlo servono tantissimi denari, che fino a poco tempo fa erano sborsati dalle pubbliche amministrazioni, mentre oggi sono oberate di debiti e scarsamente capaci di proseguire in tale direzione. Dall’altra parte c’è il mercato dei capitali, con le sue regole ma anche con immense disponibilità di cassa.
Si dirà che per fare tutto ciò che sarebbe giusto (mettere in sicurezza, modernizzare, monitorare e ricostruire) ci vogliono tanti, forse troppi quattrini, ma non dimentichiamoci dell’importantissimo flusso di ricavi che le medesime infrastrutture generano già oggi (i pedaggi) e che a maggior ragione essi possono generare in futuro in funzione dei maggiori carichi sopportati! Se non ci fossero stati in precedenza “ trattamenti di favore” nei confronti di una società concessionaria che pretendeva di rimborsare con quegli incassi una grossa mole di debiti contratti per ottenere la concessione stessa (invece che per pagarci nuovi investimenti) se ne potevano prendere moltissime di iniziative, tanto a scopo di sicurezza quanto per migliorare la rete infrastrutturale nazionale!

DA NOI NESSUNO È FESSO…
Ma ci sarebbe voluto un occhio attento e intransigente a dettare legge in tal senso. Mentre abbiamo avuto politici orientati letteralmente all’opposto, ovviamente in cambio di inconfessabili favori e donazioni. Il ponte Morandi non è venuto giù per un terremoto o per un fulmine: è collassato per un evidente difetto strutturale sul quale nessuno ha lanciato l’allarme. Ora nessun Italiano adulto pensa seriamente che i nostri politici siano dei fessacchiotti!

Certo, i drammatici eventi di questi giorni gettano una luce sinistra anche sull’ingegneria che stava alla base del ponte Morandi: un difetto di progettazione già ampiamente esplorato negli scorsi anni che aveva innescato un importante dibattito accademico sulla necessità di intervenire per rimpiazzarlo. Ma a ciò non era seguìta alcuna risposta, nè regolamentare (ad esempio: chiudiamo il ponte o impediamo che ci passino sopra i mezzi pesanti), ne gestionale (ad esempio: avviamo la realizzazione di un nuovo ponte e nel frattempo monitoriamolo meglio).

Per quale motivo ciò potesse accadere sembra oramai una questione assodata: c’era molta “bonarietà” della precedente classe politica (e forse persino della Magistratura) verso il soggetto economico che aveva ottenuto la concessione delle Autostrade per l’Italia, sino al limite di far chiudere a tutti entrambi gli occhi davanti alle evidenze negative ! Non andiamo oltre sulle illazioni riguardanti i possibili motivi che sospingevano tali comportamenti, ma forse è anche per questo che l’attuale coalizione al governo -totalmente alternativa a quella precedente- intende andare con mano pesante alla ricerca delle responsabilità! Non bastano però i funerali di Stato e la pubblica gogna degli amministratori di Atlantia a sanare il problema generale che emerge dalla constatazione dei fatti di Genova : adesso serve fare (presto) qualcosa!
IL RISCHIO CHE IL RIMEDIO SIA PEGGIORE DEL DANNO
Trovare infatti una via di risoluzione dell’attuale situazione giuridico-contrattuale tra lo Stato e Atlantia per passare la gestione delle Autostrade a qualcun altro è affare molto complesso. Persino qualora la magistratura dovesse arrivare a evidenziare in capo a pochi indiscutibili soggetti delle pesantissime responsabilità (cosa quasi impossibile in tempi brevi), non sarebbe comunque facile dare una spallata agli equilibri economico-finanziari che stanno dietro ad una società quotata in borsa dotata di un largo flottante econ quasi tre quarti dell’azionariato di matrice straniera. Difficile pensare insomma di cancellare con un tratto di penna i diritti acquisiti e consolidati da Atlantia (e dagli altri concessionari) sui quali sono state costruite importanti operazioni finanziarie di carattere internazionale. Come si direbbe in Veneto: si rischia che ”xe pèso el tacòn del buso” (il rimedio sia peggiore del danno)!

Ed è qui che l’attuale Governo rischia di scivolare (pur mosso da nobili principi di giustizia e volontà positiva) : nell’agire in maniera incauta davanti a un gigantesco coagulo di interessi e questioni di diritto. Non solo, ma il medesimo trattamento ne verrà riservato a quella società concessionaria che oggi è alla pubblica gogna per i morti di cui è per molti versi direttamente responsabile, un domani dovrà essere usato per tutti gli altri soggetti che gestiscono le altre (numerosissime) infrastrutture che necessitano di ammodernamento nel nostro Paese! Le quali dovrebbero trovare nelle casse pubbliche le risorse per rispondere alle necessità di investimento oppure dovranno essere privatizzate anch’esse, con il rischio che gli eventi si ripetano con riguardo al trattamento che verrà loro riservato.
IL COMPROMESSO, INNANZITUTTO
Ma l’Italia da questo punto di vista è un Paese fortemente bisognoso di interventi infrastrutturali: con una conformazione geografica lunga e stretta e poi anche chiuso com’è tra montagne, valli e costiere scoscese. Senza adeguate infrastrutture il “bel Paese” rischia di pagare molto caro lo scotto della sua bellissima conformazione geografica e di trovarsi un divario con il resto d’Europa anche nei costi di trasporto. Ed è altrettanto ovvio che senza una rinnovata sensibilità nazionale per trovare un equilibrio intelligente tra giustizialismo e stato di diritto, il mercato dei capitali non investirà a casa nostra i molti altri miliardi necessari per rinnovare ed ampliare le nostre infrastrutture, lasciando di conseguenza sempre più a rischio anche la revisione di quelle esistenti. La fine dell’era della corruzione di Stato non passa per la politica del giustizialismo, bensì per la ricerca di soluzioni intelligenti alle scelleratezze dei suoi predecessori.
Stefano di Tommaso