LA DITTATURA DEL DEBITO
Per una volta che l’Italia sta provando a scrollarsi di dosso il vecchio (e corrotto) establishment politico che l’ha condotta all’attuale livello di demagogia e indebitamento, ecco che i mercati internazionali fanno un balzo indietro e minacciano di ricacciare il paese in una recessione profonda derivante dalla riduzione del credito disponibile, da tassi di interesse lontani da quelli medi europei e dalla fuga dei capitali e dal conseguente possibile crollo repentino degli investimenti (con la più o meno ovvia conseguenza di una forte ripresa della disoccupazione).
La minaccia è quantomai concreta, sia perché il paese è già stato in una simile situazione nel 2011 quando si è voluto far crollare con le medesime armi il governo Berlusconi, come pure perché le immagini di una Grecia messa a ferro e fuoco dai manifestanti e dove si faceva fatica a trovare uno sportello bancario o un bancomat aperto.
È una minaccia che si attuerebbe con il crollo della credibilità dei titoli di stato, oggi detenuti per un 20% circa dalla banca centrale europea e per un 35% circa da stranieri: cioè per la maggioranza da investitori non italiani.
La crisi del 2011 dimostra peraltro che quel che conta agli occhi degli operatori del mercato finanziario non sono i fatti bensì le sensazioni: se la paura si diffonde (o viene diffusa ad arte) nessuno riuscirà a contrastarla con argomentazioni razionali.
L’indicatore più concreto per soppesare il livello di paura è quello del mercato dei contratti che offrono protezione contro il timore di mancato ripagamento del debito pubblico: i CDS (ovvero i:“credit default swaps”). Purtroppo il quadro non è positivo:
Non solo si registra un‘ impennata del 43% nell’ultima settimana ma se si va a guardare di chi siamo in compagnia viene ancora più paura! L’indice mostra la necessità di pagare 140 punti base (l’1,4% del capitale di riferimento) per proteggersi dal rischio di default dell’Italia: un’enormità se paragonato alla Spagna o al Portogallo.
Eppure c’è chi vede in questa particolare situazione di mercato una bella opportunità: nelle ultime ore infatti lo spread tra I rendimenti decennali italiani e quelli tedeschi sembra essere tornato leggermente indietro e, probabilmente, a ragione:
La congiuntura del Paese infatti è su un crinale: o si inabissa (ai livelli del 2011 o anche peggio, visto che i governi che si sono succeduti a quello di Berlusconi hanno aggiunto diverse centinaia di miliardi di euro al debito preesistente) o risale, perché in qualche modo si diffonde la sensazione che l’Italia terra fede alle sue promesse.
Inutile notare che la dittatura del debito in questi frangenti non poteva essere più palese: se non metti al posto giusto le persone che dico io, a prescindere da quello che faranno le persone che dici tu, io ti faccio fallire!
Con una buona dose di realismo infatti, né le forze politiche che hanno vinto le elezioni e che si apprestano a governare, nè un presidente della repubblica messo lì dal precedente establishment, lasceranno che la minaccia si trasformi in realtà.
L’Italia è il paese dei compromessi e gli italiani vogliono che le cose cambino ma non sono degli eroi: persino il più ostinato dei leghisti si rende conto del fatto che esagerare non conviene a nessuno. E se il miracolo di un compromesso avverrà (e io lo credo) probabilmente gli attuali livelli dello spread e dei CDS sono un‘ affarone per la speculazione, perché non dureranno a lungo. L’Italia d’altronde fa bene a volere un cambiamento, vista la mala parata della situazione economica che la affligge da oramai più di un ventennio:
sebbene appaia agli occhi di un osservatore attento oramai un Paese spezzato chiaramente in due tronconi: il nord che lavora ed esporta (con punte di disoccupazione al 3% del nord-est) e, con rare eccezioni, il sud che poltrisce e riposa sui trasferimenti di Stato:
Anche nel voto la divergenza si è riflessa pesantemente: il “Movimento“ ha stravinto al sud, la Lega è emersa a nord. L’eterogeneità delle due forze politiche non potrebbe essere più grande, ma sono accomunate dalla volontà di respingere la corruttela e gli sprechi, nonché dalla voglia di esprimere un rinnovamento, che nessun euroburocrate o egemone americano potrà mai tacitare con motivazioni più o meno proditorie.
Se il miracolo del compromesso invece non dovesse materializzarsi probabilmente all’Italia converrebbe evitare di ripercorrere i passi del 2011, sia perché si è visto dove ci hanno portato, che per il fatto che tutti gli economisti si rendono conto che la situazione attuale va rovesciata in qualsiasi modo, tanto con una ristrutturazione intelligente dell’attuale massa di debito, che con la possibilità di uscita dall’euro, che si è visto il Gran Bretagna essere concreta e tutt’altro che foriera di conseguenze nefaste come il coro dei mass media avrebbe voluto far credere al mondo.
Ma quest’ultima è una prospettiva che condannerebbe a sua volta l’Unione Europea a rivedere i suoi fondamenti e probabilmente la Germania a perdere i vantaggi che la divisa unica le ha generato. E realisticamente non conviene proprio a nessuno!
Come ha dichiarato recentemente un commentatore fortemente europeista come Martin Wolf, l’Italia è troppo grande per essere salvata, ma anche troppo grande perché fallisca.
Stefano di Tommaso